giovedì 10 giugno 2010

In margine a una trasmissione televisiva di Raitre sulla grande storia

Una recente puntata della grande storia su RaiTre era dedicata alla propaganda di Mussolini e veniva proposta in qualche modo come rievocazione dell’entrata in guerra dell’Italia il 10 giugno 1940, nove mesi dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale.
Ineccepibile quanto a documentazione e scelta dei documenti ha rappresentato una buona trasmissione di approfondimento storico, che però come tale non diceva niente di nuovo a chi abbia un interesse sull’argomento.
Di grande interesse era piuttosto la reazione a volte sconvolgente che veniva provocata nello spettatore dalle palesi analogie in certi comportamenti fra il capo popolo populista di allora e quello di oggi.
Detto questo, chiarisco subito che basta dare un’occhiata ai post che ho dedicato alle similitudini fra elementi del fascismo ed elementi del berlusconismo per sapere che non condivido affatto la semplicistica equiparazione fascismo = berlusconismo per le ragioni che ho più volte sottolineato.
Tanto per cominciare l’Italia attuale non ha persa nessuna delle libertà fondamentali.
Secondariamente Berlusconi si trova di fronte una opposizione costituzionale praticamente inesistente come consistenza politica ma all’interno della sua coalizione non è in grado di esercitare una vera leadership e qui di tanto meno può fare il dittatore.
Terzo argomento Berlusconi non ha fondato un partito vero e comunque il suo non è neanche lontanamente avvicinabile al PNF.
Nessuno storico ha mai pensato di qualificare il PNF come “partito di plastica” ,così come viene comunemente definito il partito di Berlusconi, semplicemente perché non avrebbe senso il farlo.
Quarto Berlusconi non ha una visione politica di medio lungo periodo, che vada al di la della pura sopravvivenza, mentre Mussolini aveva l’ambizione non solo di rivoluzionare l’Italia ma addirittura di forgiare un nuovo tipo di italiano.
Quinto il fascismo è finito in tragedia ma il berlusconismo non potrà mai andare oltre la commedia.
Fra fondare l’impero, il welfare, Cinecittà ,i littoriali che chiamavano a raccolta le migliori intelligenze e il contratto con l’Italia di Berlusconi c’è la differenza che separa due grandezze incommensurabili.
Sesto ritengo probabile non solo che Berlusconi non abbia la minima intenzione di fare il dittatore, ma che proprio non gliene importi nulla, non perché abbia il senso della misura o della modestia, ma perché è essenzialmente un furbo “salesman” di grande successo,che saprebbe vendere i frigoriferi agli esquimesi e per un tale tipo di uomo la politica è una sfizio piacevole e ricco di soddisfazioni, ma nulla di più.
E’ un paradosso, anzi è “il” paradosso del berlusconismo, ma sono convinto che al nostro della politica non gliene importi realmente un accidente, anche se occupa la scena in primo piano da 16 anni.
Quanto sopra perché trovo sempre fastidioso che persone intelligenti della sinistra continuino o per convinzione o per calcolo a rimenarla col rischio ,che correremmo col berlusconismo.
Chiusa la parentesi torniamo alla trasmissione dalla quale siamo partiti.
Comincia col famoso discorso dall’ancora più famoso balcone e dalle fatali parole d’ordine : “vincere e vinceremo!”.
E’ chiaro che il documento cinematografico ha i toni della tragedia dal momento che conosciamo tutti gli sviluppi avversi della storia.
Come si è detto il curatore deve aver scelto quei documenti per richiamare l’anniversario dell’entrata in guerra, ma intelligentemente anche per cominciare dalla fine per poi andare avanti con dei flash back.
Prima presentare Mussolini all’apice del suo potere (quale potere più grande può manifestare un essere umano se non comandare i suoi connazionali all’estrema manifestazione di lealismo nei confronti della società mandandoli tutti al fronte e senza suscitare rilevanti manifestazioni di dissenso) , per poi a poco a poco spiegare come mai il Duce avesse capitalizzato negli anni quell’immenso potere.
Primo obiettivo fondamentale per chi vuole acquisire il potere (sia che si parli di un sistema democratico sia che si parli di un sistema totalitario) è acquistare consenso.
Come si acquisisce il consenso? Con la propaganda, o per metterla in termini più digeribili, con la pubblicità del proprio programma e del proprio curriculum.
E per l’appunto il programma televisivo era incentrato proprio sulla macchina propagandistica mussoliniana definita geniale e senza pari.
Il giudizio è stato trovato eccessivo da Aldo Grasso, il critico televisivo del Corriere, ma è abbastanza generalmente condiviso dagli storici a cominciare da De Felice, che riconosceva a Mussolini prima di tutto il fiuto e il mestiere del giornalista di razza, che gli consentiva di essere sempre aggiornato sul “polso” degli italiani regolandosi di conseguenza.
La trasmissione ha riportato a questo proposito un motto mussoliniano estremamente significativo: ”le folle non hanno bisogno di sapere, ma di credere”.
Questa era la filosofia della propaganda fascista e se non era geniale era sicuramente da manuale, perché evidenzia i due elementi inscindibili della comunicazione politica : l’informazione, l’invito a ragionare, ma anche l’appello all’emotività, ai simboli, ai miti, ai sentimenti etc.
Nei regimi democratici si privilegia il primo aspetto, ma non senza includere anche elementi del secondo.
Nei regimi non democratici si gioca tutto invece sull’emotività, sui pregiudizi, oggi si direbbe sulla comunicazione alla “pancia” dei cittadini e le notizie si filtrano, facendole diventare elemento di propaganda e basta.
Ci è stato anche ricordato che Mussolini, ( tra parentesi ,quest’uomo non era affatto il rozzo ignorantone che si è voluto per polemica ideologica far credere), leggeva e rileggeva di frequente il testo fondamentale sulla psicologia delle folle del francese Gustave Le Bon, che sottolinea la tendenza delle folle a imitare i comportamenti del gregge subordinandosi ai media.
E qui siamo al cuore del problema : i media, Mussolini è stato maestro nel padroneggiare i media allora disponibili e ci è stato spiegato dettagliatamente come.
A cominciare dall’uso spregiudicato dell’Agenzia di stampa Stefani (oggi Ansa) divenuta megafono del regime, poi ancora più efficacemente affiancata nel ’37 dal Miniculpop,il ministero ad hoc per la cultura popolare, ma in effetti ministero per la propaganda, che aveva come compito istituzionale il controllo, cioè la censura dei media e l’elaborazione delle famosissime “veline” che dettavano la linea a tutti i mezzi di comunicazione.
Ci sono così stati riproposte le direttive più folcloristiche come il divieto di stampare foto del duce con preti accanto o il duce in luoghi colpiti da calamità.
E’ noto infatti l’elevato grado di dipendenza di Mussolini dal culto della superstizione più spinta.
Meno folcloristiche e più sostanziali le veline- direttive a trasmettere solamente notizie positive con il divieto per esempio di parlare di furti o di cronaca nera in generale per non alterare la vulgata che voleva che tutto fosse sotto controllo.
Chiaro, dittatura era e quindi non c’era alcun posto per qualsiasi voce di opposizione.
Però questa affermazione va valutata un po’ più approfonditamente nel senso che le opposizioni non avevano voce, ma questo non toglie che ciò non ostante la società era in grado di godere di istituzioni scolastiche e culturali di elevato livello, fondamentali per la formazione della classe dirigente e la sua selezione.
E’ noto a tutti infatti che la classe dirigente postbellica, partiti antifascisti compresi, è venuta in gran parte da lì.
Per capire il senso di questo discorso basta uscire dagli aspetti “folcloristici” del Miniculpop per non ignorare le altre branche di questo ministero : per esempio, Cinecittà inaugurata nel ’37 e il centro sperimentale di cinematografia, l’Istituto Luce,nato nel ’24 per la produzione tra l’altro dei documentari di informazione sul cui schema si sono ispirati decenni dopo i telegiornali, l’Enit per il turismo etc.
La creazione dell’Albo nazionale nel ’25, che poi divenne l’ordine nazionale dei giornalisti.
C’era istituzionalmente la dittatura, però questo non ha impedito alla cultura di esistere e di svilupparsi dando anzi impulso alle sue forme di espressione più moderne.
Ombre intollerabili, condannate irrevocabilmente dalla storia, ma anche evidenti elementi di luce, che ha ereditato l’Italia repubblicana, non sempre al corrente delle loro origini.
La trasmissione televisiva non si è sottratta al compito di evidenziare anche questi aspetti con giusto equilibrio e doveroso senso storico.
Altri elementi fondamentali della propaganda fascista, poi, furono i giornali a cominciare dal giornale del duce : il Popolo d’Italia,e tutti gli altri allineati con le veline.
Poi il cinema, allora agli inizi usato e sfruttato però con molta intelligenza sia con i i documentari Luce, sia con la serie dei film dei “telefoni bianchi” per lo svago e l’intrattenimento degli italiani ,per toglierli dalla durezza dei problemi quotidiani ed immetterli nel mondo di plastica dei ricchi e dei potenti.
Poi la radio agli albori, ma usata ,ancora con molta intelligenza, avendo ben capito che non c’era mezzo più efficace per raggiungere con la propaganda anche l’ultimo degli italiani direttamente nella sua casa.
Con la radio le canzonette riecheggianti più o meno direttamente le idee che il regime voleva fare passare.
Anche per la radio ricordo però che questa aveva comunque una sua valenza positiva, perché sviluppare le trasmissioni radiofoniche voleva anche dire dare alla cultura un mezzo formidabile di espressione.
Non dimentichiamo anche che la tecnica non ha colore e la stessa radio che era servita alla propaganda del regime servì poi per ascoltare a Radio Londra come andava effettivamente la guerra.
Secondo artificio fondamentale al quale ha ricorso il regime per fondare il suo potere sulle masse,che ci è stato riproposto da questa trasmissione : la creazione del mito.
L’Impero è stato proclamato nel ’36 ed è stato ovviamente uno dei culmini del potere del regime.
Per arrivare all’impero ,Mussolini, lo abbiamo visto dalle immagini d’epoca, doveva uscire dal grigiore di Palazzo Chigi, sede del governo e della sua abitazione privata per adottare la magnificenza di Palazzo Venezia, completo dell’enorme piazza antistante con vista di facciata sull’Altare della Patria (i simboli in qualsiasi regime politico contano moltissimo) per la sede del governo e di Villa Torlonia, sulla Nomentana per la sua abitazione privata.
Nel ’38 ci hanno fatto vedere il duce, che diventa primo Maresciallo dell’Impero alla pari di Vittorio Emanuele III e così si conclude il suo “cursus honorum”.
Mito significa anche culto della personalità, cioè, come si dice ogg, della fisicità del personaggio. Ecco allora il duce che deve essere sempre giovane ed al massimo della vitalità ,curioso ma significativo il fatto ricordato a questo proposito, che il personaggio non tollerava che si celebrasse il suo compleanno il 29 luglio perché era pur sempre nato nel 1883 e quindi non era giovanissimo soprattutto per allora.
Campione in tutte le discipline sportive.
Guidatore esperto di qualsiasi mezzo moderno (è stata esilarante la rievocazione del duce alla guida di un aereo col quale voleva trasportare un importante personaggio, senza avere pratica sufficiente di volo senza l’assistenza di un copilota esperto e della risoluzione del rebus con l’occultamento nottetempo di un valido pilota nascosto sotto un telone).
Grande amatore, ma con discrezione e col rispetto della sensibilità cattolica e piccolo borghese condivisa della maggioranza degli italiani.
L’immagine che la propaganda teneva a presentare era quella dell’uomo entrato nel mito e quindi dotato di virtù elevatissime, ma la stessa propaganda era anche ben attenta a coniugare il mito del condottiero con quella del buon padre di famiglia, che condivideva la vita di qualsiasi italiano.
Così anche il duce dopo una faticosissima giornata di lavoro tornava a casa circondato dai figli ed accudito dalla moglie.
E questo del “sono uno di voi” è un artificio che la scienza della comunicazione dimostra essere di grandissima utilità per chi ne fa uso perché significa insinuare nell’inconscio l’idea della condivisione della vita con il personaggio nella buona ma anche nella cattiva sorte, come si fa in famiglia e quindi alza di molto la soglia della tolleranza o della sopportazione del personaggio da parte delle masse.
Il programma televisivo finisce ribadendo il concetto che è condiviso dagli storici, ma che è anche il più diffuso giudizio popolare sul fascismo e cioè che il mito di Mussolini finisce con l’entrata in guerra.
Più sottilmente il programma ha evidenziato la fine a poco a poco della fascinazione delle masse per il duce sotto il peso delle sconfitte incalzanti.

Come si è visto, ho ricordato i punti principali del programma televisivo senza inserire nessuna insinuazione su paragoni col berlusconismo per evitare commistioni storiche non corrette e lasciare quindi fluire la storia del fascismo nella sua consistenza storica.
Ora però veniamo al dunque.
E’ innegabile che assistendo con interesse a quel programma televisivo ogni cinque minuti almeno, mi suonavano nella testa dei campanelli di allarme e presumo che la stessa cosa sia stata condivisa dagli altri telespettatori.

Mussolini asso della propaganda.
Che dire allora di Berlusconi , proprietario di Gran parte dei mezzi di comunicazione in Italia a cominciare di quelli di maggior peso: le televisioni e genio del business della pubblicità e delle tecniche di marketing e quindi la persona più dotata per padroneggiare i moderni mezzi di propaganda, che anche solo si possa immaginare in Italia.
Mussolini che impone al paese il suo mito riferito alla fisicità del suo personaggio.
Berlusconi che impone il suo mito di sempre giovane e di grande, grandissimo amatore.
Mussolini condottiero, ma soprattutto padre di famiglia di tutti gli italiani.
Berlusconi che costruisce il consenso a proprio favore giocando in gran parte sulla tecnica di comunicazione subliminale pretendendo di essere “uno di voi”, il padre di famiglia della grande famiglia italiana al quale affidare la gestione dello stato con fiducia, anzi con fede.
Mussolini che calibra la sua propaganda sul motto “le folle non hanno bisogno di sapere, ma di credere”.
Berlusconi che non esita a umiliare il suo ruolo istituzionale telefonando in diretta ai talk show per ribadire la “sua” verità.
Mussolini che inizia la giornata di lavoro informandosi sui comunicati della Stefani e sulle veline predisposte.
Berlusconi che non vive se non ha tratto conforto dall’ultimo sondaggio della sua agenzia di fiducia.
Mussolini che usa continuamente e con tutti i mezzi uno dei trucchi elementari della tecnica delle comunicazioni, cioè quello di ribadire messaggi semplici ripetendoli in modo quasi ossessivo facendoli scrivere anche sui muri di ogni paesino, fino a incassare la convinzione fra la gente che siano veri proprio perché ripetuti.
Berlusconi che usa lo stesso identico mezzo anche perchè è il cavallo di battaglia del suo business, cioè quello della pubblicità televisiva, che ripete lo stesso messaggio pubblicitario più volte nel giro di poco tempo perché si fissi nell’inconscio dello spettatore.
Voltato in politica, invece dell’”Omo che lava più bianco” ecco il : “Noi non metteremo mai le mani nelle tasche degli Italiani” tanto per fare un esempio.
Mussolini che col film “dei telefoni bianchi” si preoccupa di dare il dovuto “panis et circenses”, cioè programmi di intrattenimento agli italiani.
Berlusconi che produce solo intrattenimento sulle sue televisioni.
Mussolini che usa anche le canzonette per far passare certi messaggi.
Berlusconi che si serve di Apicella per intrattenere gli ospiti, per fortuna e questo è a suo favore, col buon gusto di non imporre agli italiani canzonette di regime.
E allora Berlusconi quasi fascista o avviato sulla strada di Mussolini?
Ho già detto che considero questo discorso del tutto privo di basi sul quale appoggiarsi perché le similitudini pur così evidenti, che si sono appena elencate in realtà non provano nulla.
Purtroppo i danni causati dal fascismo sono stati talmente tragici, da fare venire la pelle d’oca ogniqualvolta si ravvisano analogie.
Ma Berlusconi ,pur essendo anche lui un leader populista, credo che sia del tutto disinteressato non solo ad imitare il personaggio Mussolini, ma addirittura alla politica e questo solo lo distanzia radicalmente da Mussolini.
Secondariamente quand’anche lo volesse, lo dico chiaramente, per quanto la cosa sia ancora considerata politicamente scorretta, quand’anche volesse imitare Mussolini , non ne sarebbe neanche lontanamente all’altezza.
Le analogie che sono venute fuori evidenziano un’altra cosa sulla quale occorre riflettere ed è il fatto che la politica si serve da sempre, ma soprattutto nei tempi moderni delle tecniche di manipolazione dell’opinione pubblica.
Un sociologo della politica e giornalista , che andava per la maggiore negli anni ’60 Vance Packard con il suo libro “i persuasori occulti” uscito nel ’57 negli Usa ,sosteneva in buona sostanza che una forza politica con i soldi e la determinazione necessaria, usando i mezzi di comunicazione moderni sarebbe stata in grado di eleggere uno scimpanzé presidente degli Stati Uniti.
Non è una buona notizia, ma occorre prenderne atto ed imparare a coltivare l’unico antidoto possibile in queste situazioni, cioè il proprio senso critico perché solo in questo modo si possono sconfiggere i persuasori occulti.