domenica 9 dicembre 2018

Sembra incredibile ma i cugini francesi stanno facendo una mezza rivoluzione per copiarci il governo giallo verde






Proprio nel momento nel qual la nostra fiducia nel governo giallo verde Lega-Movimento 5Stelle è messa più a dura prova a causa delle idee confuse e della impreparazione della nuova classe politica, in Francia sorge dal nulla il movimento dei gillets jaunes che dopo qualche settimana di manifestazioni anche violente pubblica un programma che non solo sembra copiare pari-pari le idee dei nostri giallo- verdi, ma presenta le medesime idee con un a connotazione ancora più radicale.

Tanto per fare un esempio chiedono non solo l’uscita dall’Unione Europea, ma anche dalla Nato e il ritiro delle truppe francesi da ogni parte del mondo nel quale si trovassero.
Questa proposta sorpassa di molto a sinistra la linea giallo-verde e sembra invece aderire al pensiero dei movimentisti arcobaleno di quasi vent’anni fa degli Agnoletto, Zanotelli, Strada e centri sociali vari : pacifismo senza se e senza ma e sopratutto senza realismo e senza buon senso.
La Francia ha l’industria degli armamenti più forte d’Europa e questi cosa vogliono chiudere le fabbriche francesi a favore di Cinesi , Americani ,Russi?

Ma non lo sanno che se la Francia rimpatriasse la Legion dal Mali, dal Niger e dagli altri debolissimi regimi del Sael, questi cadrebbero come birilli e la Francia e l’Europa sarebbero invase da colonne di immigrati?
Immigrati che i gilets jaunes dichiarano candidamente in un altro punto programmatico di vedere meglio fermi al loro paese, visto che la Francia ha già dato abbastanza.
Ecco che siamo stati costretti a mettere in evidenza una contraddizione evidente, che dimostra superficialità, impreparazione, approssimazione eccetera, cose che noi conosciamo bene e che non ci aspettavamo che sarebbero state esportate così presto.
Il problema però è serio perché dimostra per l’ennesima volta che la globalizzazione e l’avanzata anche troppo veloce delle nuove tecnologie hanno sconbussolato la struttura e la stabilità delle nostre società, perché la politica non ha saputo gestire i passaggi
Il famoso ceto medio in questo nuovo movimento francese rappresentato curiosamente da cittadini in grande maggioranza di mezza età è talmente scontento che si è visto costretto a scende nelle strade.
Evidentemente perché non solo non si sente più rappresentato dai partiti tradizionali, destra e sinistra moderati, ma non giudica nemmeno più di essere rappresentata dal movimento en marche dell’attuale presidente Emmanuel Macron che è riuscito ad andare al potere per arrestare l’avanzata della destra radicale della Lepen, ma che ha dimostrato purtroppo di non avere un contatto con quello che avrebbe dovuto essere il suo popolo, cioè appunto il ceto medio.
Se Macron non si è nemmeno accorto che le piazze stavano per scoppiare,la situazione per lui è veramente seria.
D’altra parete, come e peggio dell’Italia il movimento di protesta che abbiamo visto all’opera in questi giorni è ben lungi dal saper dimostrare di essere pronto ad andare a governare.
Tanto per dirne una sulla capacità di fare i conti anche i più elementari è parecchio peggio dei nostri peggiori ministri giallo-verdi, si pensi che uno dei punti programmatici chiede di costruire 5 milioni di case popolari.
Facciamo finta di non conoscere il costo astronomico delle case a Parigi e ipotizziamo un costo medio di 150.000 € ad appartamento popolare da 75 metri quadri per 5 milioni verrebbero fuori 750 miliardi, per buttare là una tale idiozia è chiaro che non hanno nemmeno messo giù un conticino.
Alcuni punti riguardano problemi tipicamente francesi come la richiesta di togliere ogni ingerenza statale e ideologica dalle scuole.
Siamo però eccessivamente sul vago, anche riguardo alla sanità per la quale ci si limita a chiedere di verificare la situazione, come dire, non siamo soddisfatti, ma non sappiamo quale sia il problema
e questa confessione di non conoscenza non è bella per una forza politica nuova.
Abbastanza naif anche il limite per legge alla tassazione al 25%.
E siamo sempre lì.

Tagliamo le tasse e aumentiamo le spese, e i soldi li porta babbo natale?
Perchè naturalmente chiedono anche loro il loro reddito di cittadinanza (aumento di stipendi e pensioni minime).
Neanche un minimo sforzo di fare una proposta coerente nell’insieme,qui non c’è nemmeno l’idea di cosa sia un bilancio.
Aumento massiccio nelle assunzioni di funzionari (pubblici) nei servizi ferrovie, ospedali, scuole e poste, in un paese che ha già il record continentale di impiegati pubblici!
Quadruplicare il personale addetto alla giustizia e limite per legge alla durata dei processi.
Questi vogliono risolvere i problemi con la bacchetta magica.
Un altro articolo stabilisce lo stop immediato alle privatizzazioni dimostrando la presenza di una forte ideologia statalista, del resto parte integrante della tradizione colbertista della Francia.

Ma la ciliegina sulla torta che dimostra la totale incompetenza in economia e finanza è la richiesta di annullare il debito, che è sinonimo di dichiarare unilateralmente default, cioè fallimento, ma forse non lo sanno nemmeno.
E dove si vanno a prendere i soldi per fare tutto?
Naturalmente sconfiggendo l’evasione fiscale.
Il livello del documento scade nelle chiacchiere da bar sport quando si chiede il ritiro immediato degli autovelox e udite, udite il divieto non solo agli imballaggi di plastica, ma anche agli oggetti di plastica.
Siamo al grottesco.
Poi ce l’hanno con i giornali cattivi ed anche questo ci ricorda qualcosa.
Ma che ci ricorda ancora i più qualcosa di nostrano è la richiesta di democrazia diretta introducendo referendum popolari riscrivendo la costituzione.
E infatti Beppe Grillo ha detto di essersi commosso.

Insomma, per farla breve l’impressione che si ricava da questo documento è la sua similitudine come livello infantile e dilettantesco a quando la maestra delle elementari chiede alla classe : allora bambini oggi facciamo questo tema : scrivete cosa fareste voi se foste voi il sindaco di questo paese.
Povero Macron, con questi interlocutori è ben messo male, lui che è piuttosto arrogantino e distaccato dal popolo, si trova a parlare con dei marziani dei quali non conosce quasi nulla.
Consoliamoci e teniamoci i nostri giallo-verdi.
La Francia ci sta dimostrando che c’è di peggio.
Ma quel che è veramente peggio è il fatto incontestabile che si tratta di brava gente, perfettamente in buona fede e molto incazzata, che avrebbe diritto ad avere un interlocutore e un rappresentante politico.
Pensate che minestrone verrebbe o verrà fuori mettendo insieme il partito della Lepen e quello di Melanchon, destra e sinistra radicale insieme, visto che non c’è altro da scegliere per i gilets jounes.
Non si era ancora visto, ma a questo punto la cosa è perfino verosimile.


venerdì 7 dicembre 2018

Si avvicina il Natale ed il Corriere ha intervistato due delle non molte “teste d’uovo” che il Vaticano è in grado di schierare fra i suoi uomini di Curia. Il messaggio veicolato però appare parecchio deludente






Il primo degli intervistati in ordine di tempo è stato Gianfranco Ravasi, che la porpora ce l’ha da anni e la porta con disinvoltura ed evidente compiacimento, all’altro Vincenzo Paglia la medesima porpora la fanno ancora aspettare a causa delle intricate alchimie di potere vaticane , ma per rango e livello intellettuale è come se già l’avesse.
Il primo è titolare di un dicastero di Curia anzi di due come Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e Presidente della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra , il secondo non è da meno come Presidente dellaPontificia accademia per la vita e Gran cancelliere del Pontificio istituto Giovanni Paolo II , ma è universalmente noto come co-fondatore della Comunità di Sant’Egidio con Andrea Riccardi.

Comunque al di là delle altisonanti attribuzioni in uso presso l’ultima monarchia assoluta rimasta sulla terra, i due intervistati brillano di luce propria per la loro non comune intelligenza ed è questa la ragione per la quale ho trovato di particolare interesse leggere cosa avessero da dire.
Di Ravasi su questo blog se ne era parlato già nel post del lontano 24 ottobre 2010, proprio quando Papa Woytila lo aveva gratificato col berretto cardinalizio e si era dato atto delle sue singolari doti intellettuali, che proprio perché fuori dal normale avevano rischiato di perderlo ai fini della carriera e del potere, quando i suoi studi biblici effettuati esercitando il senso critico lo stavano spingendo a scrivere cose troppo in contrasto con la dogmatica cattolica misurata sul metro del Sant’Uffizio.

Il brillante teologo biblico a un certo momento , si diceva in quel post, messo alle strette aveva fatto la sua scelta a favore di un più stretto controllo delle sue esternazioni per renderle compatibili con la carriera alla quale evidentemente non voleva rinunciare.
Scelta personale che aveva tutto il diritto di fare, anche se rinunciare di fatto alla piena libertà di ricerca per un intellettuale è un problema serio.
Sarà anche sulla base di queste considerazioni che non ho potuto non rilevare che nel corso dell’intervista della quale stiamo parlando tutta costruita su una esposizione che brilla veramente ben poco per originalità,è rintracciabile però anche un breve ma significativo guizzo del diavoletto che un intellettuale di razza può incatenare, ma non del tutto.
Purtroppo, come si accennava, l’insieme del discorso che viene fuori non è diversa dall’omelia che potrebbe fare un qualunque buon parroco di campagna.
Il discorso fatto da Ravasi è questo : oggi prevale l’indifferenza in materia religiosa e la religione stessa diventa irrilevante per la gran massa degli uomini contemporanei.
La gente più che professare un ateismo determinato, si adagia in una indifferenza soft e come diceva a suo tempo papa Ratzinger vive tranquillamente “come se dio non fosse”.
Fin qui nulla da osservare, il fenomeno del quale parla Ravasi è quello della secolarizzazione descritto e analizzato nell’ambito del pensiero e della teologia cattolica già ai tempi dell’ormai lontano Concilio Vaticano II degli anni ‘60.
Poi però Ravasi prende una scivolata non degna del suo livello intellettuale quando fa l’equazione :
rifiuto o indifferenza alla fede cattolica = caduta del sistema etico.
Diavolo, una banale affermazione del genere, intellettualmente parlando, è al limite della volgarità, la lasci se vogliamo ai meno colti parroci di campagna, ma non ci cada lui, proprio perché si tratta di un affermazione del tutto insostenibile sia a livello di pensiero, essendo in totale contrasto con la filosofia classica e con tutto l’umanesimo, e poi con la prassi che chiunque può constatare.
Non voglio cadere nella volgarità anch’io ma se ci poniamo su questo piano come non chiedere all’eminenza come possa ritenere ancora autorevole, credibile e fonte di moralità quella stessa chiesa istituzionale scossa da scandali sessuali e finanziari in ogni angolo del mondo?
Il rettore del dicastero della cultura vaticana non sa fare di meglio che insultare in questo modo il mondo laico, che sta fuori dalle mura leonine, oltre che la sua intelligenza?
L’argomentazione che segue nel corso dell’intervista di Ravasi non risulta più convincente quando sostiene che la chiesa non ha alcuna intenzione di fare sì che tutte le piazze diventino Piazza San Pietro e quindi è a favore della secolarità in questo senso.
Si vede che solo nominare il termine laicità ,in modo che la gente possa capire di cosa si sta parlando, nel Vaticano del presunto papato progressista Francesco è assolutamente proibito.
Peccato però che l’affermazione di Ravasi appena precedente secondo la quale “extra ecclesa nulla moralis” vada esattamente nel senso opposto.
Poi l’intervistatore, che è il vaticanista di lungo corso Gian Guido Vecchi, chiede come pensa l’eminenza che la chiesa debba affrontare la crisi in atto.
La risposta è : ci sono due strade percorribili, la prima è quella praticata da molte chiese protestanti ed quella di concedere tutto al “soggettivismo”, strada che l’eminenza esclude, la secondo alla quale è invece favorevole è “conservare il nucleo”.

Strana la irritante banalità delle argomentazioni ,protratte per quasi due terzi dell’intervista con relativi scivoloni ,per arrivare a quella che è un’autentica deflagrazione, come una deflagrazione era stata nella storia della chiesa l’analoga richiesta di un tale frate Francesco di tornare al Vangelo nudo “sine glossa”.
Se fosse presa sul serio una tale affermazione potrebbe avere conseguenze incalcolabili sulla struttura se non addirittura sull’esistenza stessa di una chiesa istituzionalizzata.

L’eminenza lancia il sasso, che si è detto è pesantissimo, ma ritiene poi di non andare oltre.
Anzi per la verità in qualche modo fa intravvedere l’oltre e questo mi sembra sia “il diavoletto dell’intellettuale” che non si lascia incatenare del quale si era accennato all’inizio e consiste in questa affermazione inaudita e forse impronunciabile per un porporato di quel rango : riproporre il nucleo come fece san Paolo nell’Areopago “pur sapendo che è possibile anche il fallimento”.
Questa è un’affermazione indicibile nel campo della teologia cattolica, perché questa è il senso stesso della laicità, che consiste in un’affermazione di fede nel senso di credenza solo se passata al vaglio della ragione.
La laicità è in contrasto insanabile con qualsiasi fede ,perchè questa rifiuta per definizione di sottomettersi al vaglio della ragione in quanto fondata su assunzioni che si autoproclamano verità rivelata, data una volta per tutte.
La laicità è invece per definizione relativista e non da mai niente per scontato e per assoluto.
E allora, bravo, bravissimo Ravasi che sa dire l’indicibile adombrando la possibilità di un relativismo?
No, proprio no, perché lanciare un sasso di quella portata e poi non dire più nulla non è onesto né umanamente, né intellettualmente.
Per la semplice ragione che i lettori del Corriere, come l’italiano medio hanno probabilmente un livello di cultura in materia di teologia cattolica e di storia della chiesa da non permettere loro di afferrare nemmeno in modo grossolano le implicazioni teoriche e pratiche di un termine apparentemente esoterico come “Vangelo sine glossa”, e quindi lanciare il sasso e lasciarlo affondare senza spiegarsi per il popolo,non è onesto, tanto valeva lasciare perdere e andare avanti col discorso del parroco di campagna, modesto, arretrato, ma onesto.
Nascondersi dietro al latinorum di Don Abbondio è una tattica trita e veramente di basso profilo.
Capisco che scegliere la porpora è umanamente più appagante che fare la vita, tanto per fare un esempio di un teologo come Vito Mancuso ,che per dire quello che la libertà di ricerca gli portava a dire si è messo nelle condizioni di dover rinunciare non sono all’eventualità di una carriera verso la porpora, ma perfino alla tonaca.
Non è onesto non spiegare alla gente che “Vangelo sine glossa” significa inconfutabilmente dire tra l’altro eccelsia sine porpore, per farla breve, ricorrendo un latinorum da strapazzo.
Capisco che avere il coraggio di dire questo per chi la porpora l’ha eccettata e la veste con tutti gli agi annessi e connessi possa essere duro e complicato, ma tant’è .
Questa situazione nella quale si trova un personaggio vistoso come Ravasi è la dimostrazione che non si può fare contemporaneamente l’intellettuale e il burocrate ,se pure di alto o altissimo livello, o l’uno o l’altro.
Evidentemente uno come Ravasi tende a cedere a quell’arroganza intellettuale che gli fa pensare di pter tenersi la porpora e contemporaneamente permettersi di prendersi la soddisfazione intellettuale di esternare certi pensieri da diavoletto irrefrenabile, approfittando del fatto di essere come prefetto della congregazione della cultura contemporaneamente controllore e controllato.
Ma non è onesto, “not fair at all” per lui che si dice parli dieci lingue.

L’altro cospicuo personaggio vaticano che è stato intervistato dal Corriere in questi giorni, questa volta avendo come interlocutore Aldo Cazzullo, firma principe di quel giornale, è l’Arcivescovo Vincenzo Paglia che ha osato coraggiosamente cimentarsi con l’argomento difficilissimo della morte.
Difficilissimo perché paradossalmente la ragione per la quale la stragrande maggioranza della gente che ancora si rivolge alla fede cattolica lo fa per cercare la risposta di quella fede proprio all’assurdità razionale della morte, ma incredibilmente la chiesa in due millenni di storia non ha saputo elaborare risposte di un qualche senso a questa domanda così basilare.
Prova dell’affidarsi ancora alla chiesa per dare un senso alla morte è che fra i “riti di passaggio”, quello che resiste più degli altri è il funerale religioso.
Mons. Paglia in quell’intervista comincia con un’affermazione di senso comune, fatta proprio dalla teologia cattolica, ma non certo in esclusiva, essendo ben presente nel pensiero filosofico :il bisogno di un oltre che superi l’oltraggio irrazionale della morte è insito nel profondo dell’uomo, perché dice Paglia, sarebbe un enorme spreco se tutti gli affetti accumulati nella vita finissero nel nulla.
Poi riconosce che quando i cristiani affrontano il problema lo fanno usando un gergo clericale scontato e superficiale che non dice più niente a nessuno.

E questo è un onesto riconoscimento di quanto si diceva sopra e cioè che la chiesa non ha saputo elaborare alcuna risposta appena appena convincente.
Successivamente però si lascia andare a una argomentazione più che discutibile dicendo che il cattolicesimo non riconosce la reincarnazione , ma piuttosto la resurrezione dei corpi e su questo fonda la sua risposta di senso al fenomeno della morte.
Santo cielo, ma possibile che un uomo che conosce non solo il mondo patinato dell’accademia come Ravasi, ma che ha conosciuto e bene il mondo dei diseredati e dell’uomo comune non veda che questo concetto tradizionale della “resurrezione della carne” fa parte integrante di quello che lui stesso aveva chiamato prima “gergo clericale” che non convince più nessuno?
Se Paglia cade su un argomento come questo lascia intravedere una cultura scientifica mai praticata seriamente, ed è un peccato, dato che una parte non trascurabile della teologia cattolica ha da tempo proposto di archiviare questo dogma tradizionale per assoluta incompatibilità col pensiero scientifico moderno.
Da Giordano Bruno a Teillard de Chardin a Mancuso si è sviluppata una riflessione nei secoli che riesce ad essere in sintonia con i dati più recenti della ricerca scientifica proprio ipotizzando l’archiviazione definitiva del dogma della resurrezione della carne ed allora perché impantanarsi su un concetto così insostenibile?
Purtroppo per Paglia la difesa a oltranza dell’idea della resurrezione della carne è ripetuta più volte anche quando dice che il cristianesimo va oltre l’idea della sopravvivenza platonica dell’anima spirituale.
Riconosce che l’idea della resurrezione è difficile anche solo concepirla, ma allora per quale ragione ritiene di insisterci?

La soluzione per salvare capra e cavoli, volgarmente parlando, come tra l’altro hanno fatto da secoli i teologi ci sarebbe e lui stesso ne da un esempio quando dice che la Madonna “si tramanda” che si addormentò e il suo corpo fu portato in cielo.
Si tramanda vuole dire che si parla di una leggenda o se si vuole di una metafora.
Un’icona per farci sopra una meditazione, una riflessione spirituale volendo anche intellettuale e filosofica.
Ma senza affermare come verità storica che Maometto è salito in cielo dal terreno della spianata delle moschee a Gerusalemme col suo cavallo Buraq.
Questa del riconoscimento della narrazione metaforica, mi sembra l’unico modo sensato di parlare di resurrezione dei corpi.
Peccato che un uomo del livello di Mons.Paglia abbia scelto la solennità del Natale per pubblicare un libro sulla morte ,cosa che ha dato il pretesto per l’intervista in parola, se ,in poche parole, non aveva niente di appena appena originale da dire.
Vista la ben scarsa efficacia degli interventi “sui sacri misteri” evocati dal Natale, di due figure di grande spicco dei vertici vaticani, mi convinco sempre di più che non esista un futuro per la chiesa cattolica se qualcuno non sarà capace di attaccarsi veramente al messaggio di un Vangelo sine glossa, o se si vuole sul pensiero originario di Gesù risultante da quella riflessione teologica denominata “Quest” per trovare il coraggio non solo di proclamare il messaggio ma anche di cominciare a dire alla gente la verità conseguente sulla storia della chiesa e sulla sua struttura attuale.
Che questa rivoluzione possa avvenire dall’interno della chiesa istituzionale o peggio all’interno dalla sua gerarchia e cioè da parte del papa o di un concilio ecumenico mi sembra altamente inverosimile e improbabile.
Mi sembra invece più probabile che se questo avverrà, avverrà dall’esterno delle istituzioni.
Perchè che nasca un altro San Francesco è improbabile, che poi nasca un altro San Francesco ,che questa volta però non si lasci “fregare” dalla Curia, facendosi imporre una regola che ne sconvolga l’ispirazione, come purtroppo ha lasciato fare il Francesco storico è ancora più improbabile.
Anche se le cose improbabili possono benissimo accadere, come dimostra la statistica e il calcolo delle probabilità.
Le anime pie fantasticando chiamano queste cose miracoli, gli scienziati tenendo i piedi per terra le chiamano possibilità di un evento casuale di frequenza molto bassa, ma esistono in natura.
Coltivare “spes contra spem” diceva il visionario Giorgio LaPira.