giovedì 31 ottobre 2013

La notte di Halloween aleggia sulla politica italiana



In questo paese bislacco la parte più oscurantista della cultura cattolica da tempo strepita contro le sempre più diffuse celebrazioni di Halloween anche in Italia, facendo finta di ignorare che quelle celebrazioni appartengono da sempre alla nostra storia e cultura, avendo origini antiche, indiscutibilmente celtiche.
Indiscutibile pure è il fatto che celti siano i nostri antenati, almeno se parliamo di Italia del nord.
Ma chi ce l’ha con Halloween, non è interessato alle sue radici storiche ed etniche, ma reagisce semplicemente al fatto che si tratta di una festa pagana, mosso per istinto da un pregiudizio religioso fondamentalista.
Quella di Halloween è’ una festa pagana, non si discute.
Ma che vuol dire.
La contrapposizione cattolicesimo- paganesimo, fatta per descrivere la pretesa superiorità culturale del cristianesimo su un paganesimo presunto barbaro è una bufala penosa, che purtroppo è largamente diffusa, ma per questa ragione non è meno penosa.
Se avesse un senso l’equiparazione del paganesimo ad una cultura inferiore ,sarebbe come dire ad esempio che la filosofia greca sarebbe un prodotto culturale di serie B, in confronto alla presunta superiorità delle mitologie e dei dogmi del cattolicesimo tradizionalista, che per definizione sarebbe la sola cultura degna della serie A.
E’ chiaramente un non senso, ma secoli di propaganda religiosa in senso clericale hanno scolpito nella gente pregiudizi irragionevoli ma diffusissimi, dei quali questo della presunta inferiorità delle culture pre -cristiane è soltanto una.
La storia della religioni ed ancora più le acquisizioni dell’antropologia hanno evidenziato che l’origine delle religioni si ritrova nella primordiale ricerca di contrastare la paura della morte.
Prima del consolidamento del cristianesimo la gente accedeva alle religioni pagane per soddisfare lo stesso tipo di esigenze esistenziali per le quali si è poi rivolta al cristianesimo.
Halloween  richiama uno dei riti più antichi, del resto presenti in tutte le culture, inventati per lo scopo sopra accennato, cioè lo stesso per il quale sono state inventate le religioni.
La zucca scavata per ricavarne le sembianze di un volto umano, con inserita dentro una fonte di luce è una ritualizzazione chiaramente mirata ad evocare il mondo dell’occulto, degli spiriti o dello spirito, secondo le esigenze culturali di ognuno di noi.
La zucca è naturalmente fatta per essere esposta di notte, e quanto è più nera è la notte, più è efficace l’evocazione simbolica.
Qualunque negozio o supermercato presenta poi in abbondanza gli ulteriori oggetti- simbolo di questo rito.
Cappelli da strega, pipistrelli, disegni di alberi da Sabbah.
Da una parte quindi vi sono oggetti volti ad evocare la notte e le paure ad essa collegate e dall’altra c’è indissolubilmente legata la luce, che sia la fiammella dentro alla zucca scavata o che siano i falò, fatti con le foglie secche del mais, mietuto da poco, che da secoli si sono ripetuti sulle aie delle nostre campagne.
Il fuoco per mettere in ritirata le paure della notte, evocatrice della morte.
E quanti sono i riti cattolici, che hanno letteralmente saccheggiato l’intero armamentario inventato nei tempi pagani, dal cero al fonte battesimale, alla benedizione del fuoco nella liturgia notturna della messa di Pasqua.
E le a volte enormi teche, con le presunte reliquie dei santi, presenti in ogni cattedrale, che evocano non i riti pagani, ma vanno addirittura più indietro nel tempo, fino ai riti diretti al culto degli antenati ?
Parlare con disprezzo del paganesimo è quindi pericolosamente indice di poca cultura, o semplicemente di non avere mai approfondito il problema, accontentandosi dei pregiudizi diffusi dalla parte più retriva del cattolicesimo.
Fatta questa doverosa premessa sul senso di Halloween, veniamo a quanto si è affermato nel titolo.
La politica italiana, ormai, è tanto lontana dalla vita della gente normale ,da muoversi per vie esoteriche (cose riservate a pochi iniziati, che i non iniziati non possono comprendere, secondo il dizionario Treccani).
E quindi Halloween è la sua festa, è la sua icona, la sua rappresentazione più veritiera, perché questa politica italiana è una cosa sempre in bilico fra il giochetto e una possibile tragedia.
Giochetto, farsa, tragedia è un paese in ostaggio di un personaggio politico, ex leader, con la fedina penale irrimediabilmente macchiata.
In quelle condizioni, per legge, uno non può andare a fare il bidello in una scuola, il portantino in un ospedale, lo spazzino in un comune, ma questo pretende di fare il leader politico, il parlamentare e ripresentarsi alle elezioni per diventare ancora presidente del consiglio, cioè capo del governo, dopo aver rischiato di diventare capo dello stato.
Non è una cosa  normale.
Giochetto, farsa, tragedia è il fatto che un bravissimo comico sia diventato leader dell’opposizione, dopo avere preso tanti voti come il primo arrivato, entrando in politica usando le stesse tecniche dei suoi spettacoli, dopo aver rischiato di poter essere determinante in un qualunque governo, se solo l’avesse voluto.
Anche questo non è normale.
C’è oggi in carica un debolissimo governo formato da una coalizione fra il diavolo e l’acquasanta, cioè fra due forze politiche, che hanno preso i pochi voti (nel senso di molti, ma molti meno di quelli che avevano prima) dichiarando che l’attuale alleato era il suo nemico da battere e che mai gli sarebbe andato insieme.
Normale?
C’è oggi al Quirinale un esponente molto anziano  dei mandarini ex comunisti, che aveva dichiarato e monitato più volte che mai e poi mai avrebbe accettato un nuovo mandato, e che invece l’ha accettato.
Che, per giudizio unanime, è il vero dominus di questo governo, pur essendo l’Italia tutt’ora una repubblica parlamentare e non presidenziale, che si è talmente avvolto in una serie di scelte cervellotiche che ora, come tutti gli altri,  non sa più che pesci pigliare.
L’unico partito storico rimasto, colonna dell’area di centro-sinistra, dopo un lungo periodo, nel quale visibilmente non comandava nessuno e le mille fazioni se le davano di santa ragione, è ora imbambolato in attesa di proclamare leader, con procedure complesse fino alla  follia, un giovane leader mediatico, che dopo diversi anni di giri per il paese e per le televisioni per farsi conoscere, non solo manca ancora totalmente di un disegno politico coerente, una visione del futuro da  costruire, ma anche della più elementare trasparenza su come risolverebbe i principali problemi del paese in concreto.
Spettatore di questa notte di Halloween, che in Italia dura tutto l’anno c’è un popolo che ha perso la sua anima, che non ha più fiducia in nessuno e nemmeno in sé stesso, che ha paura del futuro.
Si dice che non ha ancora preso a legnate i politici, perché sta ancora troppo bene, essendo assicurato il pane e il companatico.
In parte questo è tutt’ora vero, ma l’area dei “non aventi” sta aumentando in progressione geometrica rispetto a quella degli “aventi”.

Bisogna che ci troviamo in fretta qualche ricetta finalmente “normale” per uscire da questo caos o il caso sceglierà per noi silenti e assenti l’ennesimo buffone.

venerdì 25 ottobre 2013

Papa Francesco rivendica il primato della coscienza personale. Per la Chiesa è una vera rivoluzione culturale.




Dopo la lettera a Scalfari, della quale abbiamo parlato nel post del 18 settembre scorso, papa Francesco continua il discorso facendosi intervistare ancora da Scalfari direttamente in Vaticano.
La scelta che ha favorito Scalfari è con tutta evidenza assolutamente casuale.
Nel senso che lo scopo del Papa era quello di interloquire con il mondo moderno attraverso un anziano intellettuale, noto al grande pubblico, non credente e di dichiarata formazione e ispirazione illuminista.
Come tale quindi, persona adatta a rappresentare il punto di vista del mondo moderno.
L'intervista è avvenuta il 24 settembre in Vaticano ed è stata poi pubblicata ovviamente su Repubblica, il giornale di Scalfari. per venire poi riportata in un apposito libro, uscito nei giorni scorsi ,del titolo : dialogo tra credenti e non credenti.
Come nella lettera di papa Francesco a Scalfari, sopra citata, lo stile del Papa in quest'intervista è sempre quello al quale ci siamo ormai abituati.
Informale e giornalistico, lontano anni luce da quello curiale dei suoi predecessori.
È chiaro che solo scegliendo questo stile il Papa fa delle scelte pesanti anche di natura teologica.
E infatti quando si fanno scelte di cambiamento abbastanza radicali, come questa ,si sa in anticipo che ci saranno conseguenze positive e negative, nel senso che una parte del popolo cristiano esulterà ma un'altra parte rimarrà magari anche fortemente sconcertata.
Se un Papa sceglie di esprimersi, dopo essersi mostrato in sedia gestatoria, con tanto di flambelli e guardia reggia,fra inni e cantici, in stile Pio XII, ma anche dei suoi successori , è chiaro che vuole con quella messinscena sottolineare la sacralità nella sua posizione ed apparire al popolo in una veste analoga ed in continuità con quella di Mosé, che ha appena ascoltato la parola dell'altissimo.
Se invece un Papa sceglie di parlare a un intellettuale –giornalista, in stile giornalistico, è chiaro che è consapevole di mettere con ciò stesso nell'armadio la stessa sacralità della sua figura, ritenendola non più adeguata, per parlare in modo credibile con l'uomo del 21º secolo.
Molti diranno : finalmente era ora.
Ma altri diranno : ma cosa fà, un Papa non può comportarsi così.
Tanto più che cinquant'anni fa il concilio Vaticano secondo aveva fatto intravedere questo nuovo modo di annunciare il messaggio cristiano, ma poi i successivi cinquant'anni sono stati tutti dedicati a metterlo in frigorifero quel concilio.
Il popolo cristiano ha così subito cinquant'anni di propaganda e indottrinamento tradizionalista e anticonciliare.
Riproporre quel messaggio oggi non è quindi indolore.
In questi cinquant'anni la cultura del popolo cristiano non è maturata, ma è regredita e il popolo medesimo si è vistosamente assottigliato nel numero.
Se per cinquant'anni la predicazione era orientata a presentare il mondo moderno, fondato sulla mentalità scientifica ,come una cosa della quale diffidare, come un pericolo sempre incombente, non è facile oggi con un Papa nuovo e di diverso orientamento cominciare a predicare, che la mentalità scientifica del mondo moderno è cosa buona e giusta.
La stessa situazione l'hanno sperimentata ,di recente, gli anglicani ,vicini ai cattolici più d'ogni altra denominazione protestante e dotati di organi di governo molto più partecipati e meno medioevali di quelli del cattolicesimo.
Quando in quella Chiesa si è formata una dirigenza gerarchica decisamente aperta al mondo moderno sugli argomenti ,che riguardano i diritti civili e umani nonché l'uguaglianza fra uomo e donna, hanno dovuto verificare con sorpresa ,che la base dei loro fedeli reagiva in modo negativo, perché non era sufficientemente acculturata e matura per fare propri quei nuovi orientamenti.
Questo papa è appena partito ma non è che abbia la mano leggera.
Nell'intervista a Scalfari, per esempio, ha sparato un'autentica cannonata quando ha detto : “il proselitismo è una solenne sciocchezza, non ha senso.
Bisogna conoscersi e ascoltarsi e far crescere la conoscenza del mondo che ci circonda”.
E come se questo non fosse bastato, ha proseguito ribadendo l'affermazione, che era stata considerata di maggior peso nella lettera di settembre, a proposito del primato e dell'autonomia della coscienza personale.
“Ciascuno ha la sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e di combattere il Male, come lui li concepisce”.
Teologicamente questa affermazione costituisce una rivoluzione culturale, che ha fatto rizzare i capelli a tutto il fronte dei tradizionalisti.
Per esempio, il foglio di Giuliano Ferrara, esponente di spicco dei cosiddetti atei devoti o neo con,  tanto apprezzati e lodati nella lunga gestione dalla conferenza episcopale, da parte del cardinale Ruini, si è deciso a titolare senza mezzi : termini questo papa proprio non ci piace.
Nell’ affermazione di papa Francesco  sul primato della coscienza non ci sono sfumature o cavilli di difficile comprensione, tipo discussioni sul sesso degli angeli.
Ci sono invece in ballo in modo chiaro e trasparente due teologie diverse.
Una, quella tradizionale, derivata dalle affermazioni dottrinali del concilio di Trento a metà Cinquecento, basate sul principio di autorità.
Autorità del papato ,che interpreta la scrittura in modo non discutibile da altri  e che da queste interpretazioni deduce una montagna di dogmi, che regolano tutto.
L'altra teologia, basata invece sul principio della priorità e sull'autonomia della coscienza personale, che già era emerso, ma non era nemmeno stato statuito, al concilio Vaticano secondo.
Per farla breve questo è un principio fondamentale, di chiara ispirazione illuminista, che sta alla base del mondo moderno e della mentalità scientifica.
Il teologo Vito Mancuso sull'argomento aveva già sostenuto le ragioni di questa tesi nelle cinquecento pagine del suo testo di teologia fondamentale intitolato :”io e Dio”, apparso nel 2011, regnante Papa Ratzinger.
È infatti quel suo libro era stato accolto da commenti arroganti, superficiali e pungenti da Civiltà Cattolica allineata con la curia e dalla ancor più allineata Società Teologica Italiana.
Costoro, gli rivoltarono contro addirittura delle ridicole accuse di “neo gnosticismo”, che nulla c'entrava con il contenuto del suo libro.
Ma così vanno le cose nelle corti e nelle curie.
Oggi Mancuso, con molta sobrietà e “nonchalance” si è tolto la soddisfazione di commentare queste affermazioni di papa Francesco, in un articolo sempre su Repubblica del 17 ottobre scorso, nel quale, in uno stile tutt'altro che giornalistico, ma decisamente teologico, dà conto del concetto tratto dalla teologia classica, che sarà risultato ai più piuttosto astruso ed esoterico.
Il concetto, che in teologia si chiama “sinderesi”.
Questo concetto, dice Mancuso, cerca di spiegare la capacità di conoscere il bene oggettivo, mediante la coscienza soggettiva.
In parole povere, Mancuso si preoccupa di spiegare come quelle parole del Papa non significano affatto accettare l'individualismo esasperato, che si manifesta nel mondo moderno e meno ancora accettare un relativismo morale puro e semplice.
Si tratta invece di proclamare il primato della coscienza individuale, che non disconosce affatto l'esistenza per tutti noi di un patrimonio morale largamente comune, cioè un messaggio etico universale, immanente alla natura delle cose, che gli uomini sono in grado di decifrare.
Queste  parole  Mancuso le cita prendendole da un documento di curia in proposito e che proviene dalla Commissione Teologica Internazionale in data  6/12/2008.
Questo documento appena dopo prosegue così :  la legge morale non può essere presentata come l'insieme di regole, che si impongono a priori. ma è fonte di ispirazione oggettiva. per il suo processo eminentemente personale di presa di decisione.
Fa una certa impressione vedere un teologo come Mancuso, al quale il Vaticano, fino a poco tempo addietro disconosceva polemicamente addirittura la qualifica di teologo, per il semplice fatto che non era l'un teologo di corte, che ora si preoccupa di mettere insieme argomenti, per dimostrare l'ortodossia delle tesi del papa regnante, invece che di sottolinearne la forte portata innovativa.
Questo è un segno non secondario del fatto che in Vaticano ora le cose sono veramente cambiate.
Detto quello sopra riferito, il singolare intervento non tradizionalista, ma certo molto ortodosso, del teologo progressista Mancuso si arresta  ed è un peccato, perché uno dei meriti della teologia di Mancuso è quello di rifondare la teologia, come si è sopra accennato, non più partendo dall' autorità della rivelazione e relative interpretazioni ecclesiastiche , ma ha fondato  la teologia a partire dalla conoscenza della realtà, come è stata sviluppata dalla scienza moderna.
Per fondarci sopra una nuova cosmologia e una nuova teologia, capaci di  individuare l'esistenza dello “spirito” e del “divino”, non solo nell'ordine dell'universo, scritto in termini matematici nelle universali leggi fisiche, ma soprattutto nella tendenza che lui vede nel processo evolutivo verso forme sempre più organizzate e complesse.
Per ironia della sorte questo concetto fondamentale del teologia di Mancuso, era stato già espresso con chiarezza nella prima importante opera teologica del giovane teologica teologo Ratzinger, basata sul commento del credo quando questi era nella sua fase, diciamo progressista, ai tempi del concilio Vaticano secondo.
Si  tratta del libro dal titolo “Introduzione al cristianesimo”, apparso in italiano nel 1968.
Libro, che Ratzinger ,da papa, seppure con qualche contorsione logica, ha esplicitamente scritto di non ritenere di dover ripudiare.
Questa rifondazione della teologia, partendo dalle evidenze della scienza moderna, è di grande importanza, perché nel campo della teologia morale afferma il primato della coscienza individuale e quindi la sua autonomia dalla autorità della rivelazione e della tradizione, ma nello stesso tempo afferma anche con forza il concetto dell'esistenza di un nucleo obiettivo di valori universali, valevoli per tutta la specie umana.
Questo stesso concetto, sul piano filosofico, è stato bene argomentato da Roberta de Monticelli, che non a caso era stata a suo tempo chiamata ad insegnare all'Università del San Raffaele insieme a Mancuso, da quel singolarissimo prete –diavoletto- geniaccio, che è stato Don Verzé.
Si diceva prima, peccato che Mancuso, probabilmente per esigenze di spazio, in quell'articolo a commento dell'intervento di papa Francesco sul primato della coscienza, non abbia proseguito accennando a questi concetti così tipici delle sue teologia.
Perché proprio in questi giorni la stampa ha riportato il pensiero di importanti scienziati espresso in occasione dei  festival della scienza a Bergamo e a Genova.
Scienziati cultori di discipline diverse hanno sostenuto e argomentato l'esistenza di una base di valori morali universali, riscontrabili nel patrimonio culturale acquisito dalla specie umana ,attraverso il processo di evoluzione.
L'evoluzione darwiniana è un processo nel quale la selezione naturale avviene in modo che siano favorite quelle variazioni, che comportino un rafforzamento delle probabilità di sopravvivenza, che è legata anche a una maggiore capacità riproduttiva.
Questo meccanismo sembrerebbe intrinsecamente egoistico.
In parole povere sembrerebbe orientato alla politica del “ farsi i fatti propri”, nel modo più efficace.
E invece ,etologi e antropologi hanno dimostrato, che questo meccanismo è accompagnato da evidenti comportamenti altruistici, che in natura sono molto comuni e non solo fra i primati più evoluti.
Comportamenti attraverso i quali il singolo individuo sacrifica il suo interesse egoistico a favore del bene del gruppo, al quale appartiene.
Questo si verifica regolarmente, quando per esempio un animale dà l'allarme a tutto il gruppo, mettendo con ciò stesso a rischio la sua vita ,nei confronti di un predatore ,che si avvicina.
E nella direzione opposta sono comuni nei gruppi animali le punizioni nei confronti degli individui ,che manifestano comportamenti egoistici, ad esempio quando dopo avere cacciato in gruppo non condividono la preda catturata con gli altri componenti del gruppo.
In base alla teoria darwiniana, questi comportamenti si inseriscono nella logica di fondo dell'evoluzione,perché il sacrificio potenziale del singolo e comunque il suo comportamento cooperativo porta un vantaggio alla sopravvivenza del patrimonio genetico dei suoi parenti ,presenti nel gruppo medesimo.
Ma fra gli umani si va oltre e si verificano i casi di “altruismo senza reciprocità”, quando ad esempio, rimanendo nella logica sopradescritta, non c'è alcun parente da salvare nel gruppo o nella comunità di appartenenza.
Gli etologi hanno individuato comportamenti del genere anche fra gli scimpanzé quando un individuo interviene a favore di specie diverse dalla sua.
Gli scienziati spiegano questi comportamenti come compatibili con l'evoluzione darwiniana, affermando che questi individui percepiscono, a seguito di acquisizioni culturali consolidate con l'evoluzione, che il gruppo o la società, che comprende più gruppi, si trova a vivere in un ambiente più favorevole ,se fra i gruppi o nei gruppi c'è più coesione e meno conflittualità.
E questa sarebbe la base evolutiva acquisita ,che porta a favorire in certe circostanze i comportamenti altruistici o addirittura altruistici senza reciprocità.
L'etologo Frans de Waal ha rilevato dallo studio del comportamento dei primati bonobo, che nei gruppi di questi animali è possibile dimostrare l'esistenza di quelle, che noi chiamiamo comportamenti ispirati ai principi morali e in particolare di “empatia” cioè la tendenza ad occuparsi degli altri e capacità di valutazione relative alle all' “equità”, che noi diremmo essere principi di giustizia, assoggettandosi a certe regole sociali.
Da queste considerazioni ,l'etologo olandese deduce che quella che noi chiamiamo morale oggettiva esiste in natura e non è quindi fondata su rivelazioni religiose, perché a queste è preesistente.
Non è nemmeno derivata da un ragionamento filosofico ma è un qualcosa di precedente, che c'è e esiste  prima delle elaborazioni delle religioni e delle filosofie, facendo parte della nostra natura di umani, derivanti dai primati.
Le acquisizioni scientifiche sopra riportate, sono con tutta evidenza argomenti usabili a forte sostegno dell'affermazione di papa Francesco a favore del primato dalla coscienza individuale e dell'impostazione  teologica di Mancuso, fondata non più sul principio di autorità   della rivelazione, interpretata dalla tradizione, ma sulle conoscenze del mondo, ottenute partendo dalle acquisizioni della scienza moderna.
In altre parole, una base obiettiva dei valori morali universali di giustizia c'è, ma non è necessario fondarla sulla rivelazione fatta a un popolo eletto, essendo questo un concetto obiettivamente debole, perché è per definizione non universale, in quanto di  rivelazioni religiose a popoli eletti ce ne sono diverse a secondo delle latitudini geografiche.

Questo patrimonio morale obiettivo e universale c'è in quanto iscritto addirittura nel nostro patrimonio culturale evolutivo in quanto specie umana.

lunedì 14 ottobre 2013

Amnistie, indulti, condoni : ma quando impareremo a fare le persone serie?






Se all’ estero ci considerano persone poco serie dipende anche da scelte sbagliate della nostra storia, dipende anche dall’avere votato e rivotato un Berlusconi, ma dipende ancor più vistosamente dal solo fatto di prendere in considerazione mostruosità giuridiche come amnistie, indulti, condoni, sanatorie eccetera, eccetera.
Tutte cose da stato di Pulcinella, tutti segnali per dire che ognuno può fare i cavoli suoi e che lo stato di fatto non c’è, perché la classe politica non si vuole che ci sia e cioè che imponga la sua autorità.
Il presunto scopo di migliorare la condizione delle carceri è una scusa semplicemente indegna.
Per migliorare la condizione delle carceri occorre investire somme ingenti, perché la detenzione non sia il mettere la gente in gabbia a passare il tempo a fare nulla, cosa indegna per una persona umana, ma serva a rieducare e riabilitare, chi ha tradito sé stesso e la società, come insegnava Cesare Beccaria ben due secoli fa.
Per fare questo seriamente, occorrono luoghi fisici adatti a che i condannati possano studiare e soprattutto lavorare, diversamente le carceri non servono a nulla, se non ha buttare via una ingente quantità di soldi e a fabbricare una classe di criminali sempre più professionali e incalliti.
Occorre abolire leggi idiote come quelle ultra-proibizioniste sulle droghe che assimilano spinello e marijuana a cocaina ed eroina, dosi per uso personale e dosi da spaccio.
Occorre depenalizzare tutti i reati minori decentemente depenalizzabili.
Ma soprattutto occorre investire nelle strutture per fare lavorare i detenuti.
Concepire il carcere come luogo nel quale la gente deve stare rinchiusa a guardare per aria e per di più stipati come le sardine è cosa indegna del genere umano.
Il carcere deve essere luogo di lavoro socialmente utile, diversamente il detenuto non ha alcuna reale possibilità di riguadagnare la fiducia in sé e nella società.
Per riguadagnare alla società la gente che commettendo reati e quindi esponendosi alla giusta reazione e sanzione della società contro di loro sono finiti in carcere, ci vogliono schiere di educatori e di psicologi, oltre alle normali guardie carcerarie, cioè ci vogliono molti soldi, che una volta tanto sarebbero spesi bene e per un fine elevato.
E’ inutile che i nostri politici, Papi, Arcivescovi e compagnia vadano a fare  visite di rito a San Vittore, a Regina Celi ed a Poggio Reale, perché lì, se vogliamo essere sinceri,  ci vedranno né più né meno di quello che avevano già visto la volta prima e che già conoscevano bene.
Spettacolo indecoroso prima, spettacolo indecoroso dopo.
Vadano piuttosto a visitare i servizi corrispondenti a Stoccolma, Oslo e Copenaghen, dove il nostro Cesare Beccaria è stato studiato e preso sul serio, dove si sono fatti da decenni investimenti seri e non si sono buttai via un sacco i soldi per non risolvere nulla.
E, guarda caso, in questi paesi i tassi di criminalità sono arrivati ad essere i più bassi del mondo.
In questi fortunati paesi la gente paga molte più tasse di noi, ma non si lamenta affatto, perché vede tutti giorni quali  servizi vengono finanziati con le tasse che loro hanno pagato e vedono che il loro sistema di welfare (che si può chiamare anche con l’italiano sistema di sicurezza sociale) funziona.
Per fare un esempio solo, chi si riempie la bocca declamando le eccellenze della sanità lombarda pubblico- privata del metodo Formigoni, vada a vedersi il giustamente famoso policlinico pubblico  Karolinska di Stoccolma, capirebbe tutto quello che c’è da capire.
Se in uno dei servizi, che costituiscono il sistema di Welfare   scandinavo, qualche amministratore o dipendente decidesse di fare il furbo pretendendo tangenti su appalti e forniture, non finirebbe in una gabbia a guardare vuotamente il soffitto, ma pagherebbe letteralmente il suo debito con la società fornendole  lavoro sociale.
In Italia, anche se rispetto agli scandinavi, siamo più Congo che Europa, c’è qualche volenteroso e capace che ci ha provato a gestire delle carceri alla Cesare Beccaria cioè alla scandinava.
Per esempio a Bollate, con risultati esaltanti.
E’ inutile buttare soldi pubblici nel pozzo, i soldi pubblici vanno spesi per finanziare progetti mirati e di questo si occupava la politica quando c’era la politica, non la farsa berlusconiana.
Quando in Italia c’erano i partiti veri, pur con tutti i loro difetti, non gli aborti padronal- televisivi di adesso e la classe politica era almeno vincolata alla coerenza rispetto ad una precisa ideologia, questi partiti ,in materia carceraria, avevano espresso per esempio un Mario Gozzini, esponente di punta del cattolicesimo sociale, che ha prodotto una legge di riforma, ispirata a quei principi, che si è lasciata stupidamente deperire per mancanza di finanziamenti alle strutture riabilitative delle quali abbiamo sopra parlato.
Quindi non ostante il degrado attuale delle strutture carcerarie non siamo all’anno zero.
Ci sono dei precisi principi ispiratori e ci sono addirittura delle leggi e degli operatori, che ci hanno provato  seriamente e con successo a fare quello che si dovrebbe fare ovunque.
Si tratta di togliere soldi a chi li spreca sistematicamente, per metterli a disposizione di chi li utilizza per progetti efficienti e vincenti.
Disgraziatamente questo può farlo solo la politica.
Però che almeno ora si eviti di umiliare ulteriormente l’autorità dello stato, evirandolo ulteriormente con misure indecenti come amnistia, indulto e via dicendo.


giovedì 10 ottobre 2013

Fine del ventennio berlusconiano e inizio di non si sa che cosa



Nella politica italiana tutto è terribilmente relativo e aleatorio e quindi nessuno può dire con sicurezza se il berlusconismo è veramente finito o no.
Però dopo l’ammutinamento di Alfano e ministri vari contro la abortita decisione del loro capo di fare dimettere tutti per fare cadere il governo, molte cose sono cambiate e la posizione del capo padrone si è indebolita di parecchio.
L’opinione pubblica ha avvertito una naturale vicinanza fra Alfano e i moderati del PDL e Letta e i moderati del PD.
Sembra allora perfino, che una volta tanto nei più recenti avvenimenti politici ci sia una logica evidente : i moderati di una parte si riconoscono con i moderati dell’altra e fanno alleanza con loro.
Purtroppo però, sembra così solo a un primo giudizio superficiale.
Superficiale perché occorre tenere conto che Enrico Letta, sarà pure personalmente un moderato, anzi lo è di sicuro, ma il suo partito sarebbe quello del popolo della sinistra.
E come fa il partito che rappresenta il popolo della sinistra andare a nozze coi dei moderati fin che si vuole, ma che di fatto rappresentano le forze conservatrici ?
La logica più elementare non lo consente, anche se i grandi giornali da mesi suonano la grancassa ripetendo fino alla nausea un solo insensato motivo, per il quale priorità assoluta sarebbe la stabilità a tutti i costi e addirittura una non meglio precisata “pacificazione” nazionale.
Come se fosse  in atto una guerra civile e non invece l’espressione della semplice richiesta dei cittadini consapevoli, che la legge sia uguale per tutti e che chi si è beccato una condanna penale vada in galera, come ci andrebbe chiunque di loro,  se avesse riportato la stessa condanna.
Il ragionamento sopra enunciato  : i moderati vadano coi moderati andrebbe benissimo se il partito di Enrico Letta fosse, che so io, il partito di Monti o di Casini.
Ma non è così e il popolo della sinistra è irritato fino al limite della sopportazione a causa dei comportamenti incoerenti della sua classe dirigente da vent’anni vista come prona e subordinata alle ragioni ed alle tesi politiche del moderatismo.
E questa irritazione l’ha dimostrata facendo mancare un 10/15% di voti al Pd per riversarli sui 5 Stelle.
Non parliamo delle iscrizioni, che sono letteralmente precipitate.
Insomma le larghe intese per la base del PD sono indigeribili, perché non si vedono le ragioni che potrebbero giustificare una alleanza così innaturale, tanto più che fino a ieri l’alleanza era con un Berlusconi imperante ed in prima persona, come sempre.
Ma oggi le cose sono cambiate.
In parte sì, perché, come si è detto sopra, il trono di Berlusconi è quasi schiantato e comunque traballa.
Ma attenzione, al di fuori di ogni logica, il disegno di Enrico Letta non credo proprio che sia un semplice tirare a campare.
L’uomo è persona di buona caratura, ben temperata da decenni di militanza democristiana.
Lo si era detto più in dettaglio nel precedente post del 16-4-13.
Non è uno che si accontenta di veleggiare costeggiando, è uno che a differenza dei raccogliticci moderati del PDL, un disegno strategico per la testa ce l’ha, anche se da un punto di vista logico si tratta di pura follia.
Sono convinto che Enrico Letta punti a sostituire Berlusconi come vero e credibile leader del centro destra.
Letta non è tanto il concorrente di Renzi all’interno del PD, Letta è nel paese il vero concorrente di Alfano, perché Letta ha il famoso quid e Alfano non ce l’ha.
La strategia che presumo sia di Enrico Letta non è poi così folle come appare.
La DC ha governato cinquant’anni alternando orientamenti di sinistra con quelli moderati.
In linea di pura ipotesi non si vede perché la cosa non possa essere ripetuta.
Ci sono due o tre ostacoli ponderosi sui quali Letta si dovrà cimentare se ha veramente questa strategia.
Prima di tutto deve in qualche modi farla digerire a Renzi, appoggiandolo e facendogli conseguire in cambio la segreteria del PD.
Ma anche per fare questo deve essere capace di fare fuori politicamente la parte più potente della attuale nomenclatura del PD, quella che fa capo da sempre a baffetto D’Alema.
Non è per niente facile, ma alleandosi con i renziani, la cosa sarebbe possibile e verosimile.
Dura però fare fuori in pratica la vecchia componente ex PCI del PD, ma non impossibile.
E per fare questo non c’è che l’alleanza strategica con il rottamatore sindaco di Firenze.
Saprà questi accontentarsi della segreteria, che non è quello che voleva?
Potrebbe anche farlo, stante il fatto che la popolarità di Letta nel paese è aumentata a vista d’occhio, come registrano i sondaggi e Renzi è giovane, ma ha già una certa esperienza e potrebbe rassegnarsi ad aspettare il suo turno, che oggi sembra irrealistico.
L’altro lato del problema è la gestione dei moderati del Pdl o Forza Italia che dir si voglia.
Alfano non è certo un’aquila, ma forse non è nemmeno quel tontolone, come viene spesso descritto, e qualche sospetto di cadere dalla padella berlusconiana nella brace lettiana probabilmente ce l’avrà.
Se Letta corre nel paese per avere la leadership dei moderati, Alfano tornerà a fare il cameriere di un altro leader che lui non sarà mai.
Alfano è quindi realisticamente destinato ad essere al massimo un numero due.
Difficile per lui farlo digerire ai suoi ,ubriacati da anni dalla droga retorica del loro vecchio capo-popolo, in attesa perenne dell’avvento di una chissà quale rivoluzione, sempre descritta in termini tanto generici e anacronistici, da essersi ormai ridotta alla linea del Piave della difesa dei puri e semplici e volgari interessi dei più ricchi.
Non è roba da moderati questo decadente berlusconismo e questa è probabilmente la ragione per la quale la strategia di Enrico Letta mi sembra un po’ folle, ma anche verosimile.
In prospettiva trovare una casa per i moderati più credibile e dignitosa di quella che aveva per loro approntato il leader storico in questi ultimi vent’anni.
Ho rispetto solo per chi fa politica con una strategia e Letta sembra averla.
Personalmente  però sono molto lontano.
L’eventuale successo di Letta, sarebbe un avanzamento, rispetto al marciume (ben inteso bipartisan) del ventennio berlusconiano, ma non è certo quello nel quale si riconoscerebbe il popolo della sinistra, dei progressisti laici e dei cattolici sociali.
Rimarremmo orfani, come del resto siamo da molto tempo.
Personalmente avevo dato credito alla novità incontestabile dei 5 Stelle.
Finora ho registrato praticamente solo delusioni di fronte a una inesperienza prevedibile, ma manifestatasi in modo veramente clamoroso.
Di fronte a problemi di governance, che più passa il tempo e meno sono tollerabili, perché la figura del capo padrone non è inammissibile solo nel berlusconismo, ma lo è per definizione, per simpatico che sia.
Ma soprattutto mi urta la strategia politica, che vedo come intrinsecamente bacata se talibanamente non prevede soluzioni provvisorie intermedie.
Ci avevano già provato altri e meglio dotati a imbarcarsi per una rivoluzione proletaria, che non è arrivata mai, perché si rifiutava ogni tappa intermedia di compromesso.

Ma è talmente disastrato il panorama e mi sembra talmente indigeribile questo PD che un’ulteriore, ma magari ultima apertura di credito ai 5 Stelle non mi sembra azzardata.

venerdì 4 ottobre 2013

Questi coraggiosi migranti sono gente che già da “bambini vivevano nella contemplazione della morte”






A scuoterci dalla condizione di raccapriccio nella quale ci precipita quotidianamente una politica indegna del nostro paese è venuta questa immane tragedia di Lampedusa.
Una tragedia di proporzioni mai viste prima.
Il sofferente sud del mondo, che sbarca sulle nostre coste più meridionali non più uomini ma un numero incredibile di cadaveri galleggianti.
In un paese cloroformizzato da un insinuante e aggressivo apparato di media televisivi, che ci costringono a ingurgitare quotidianamente  una ebete sequenza di programmi di “evasione” , ci eravamo abituati a vivere fra gente, che ormai sembrava incapace di  reagire , divenuta cinica, insensibile e piena di gretto  egoismo.
Però, poi abbiamo visto alla fine dell’estate le ricreanti immagini di bagnanti, che lasciano ombrellone e bimbi per correre in mare ad aiutare lo sbarco degli ennesimi migranti sfiniti  condividendo con loro acqua ,teli spugna e merendine.
C’è ancora speranza?
Probabilmente si.
Questa mattina, ho dovuto registrare un fatto scioccante e inatteso, che si pone sulla stessa linea di un paese che sembra dare finalmente qualche segno di risveglio ad atteggiamenti di più alta umanità.
Nella rassegna stampa di prima mattina su Radio Rai 3, il giornalista di turno, che era Ugo Tramballi, del Sole 24 Ore, quando ha preso a leggere l’articolo  sulla tragedia di Lampedusa, dell’ormai famoso, suo malgrado, Domenico Quirico de la Stampa , ha dovuto interrompersi, perché commosso fino alle lacrime.
Quirico diceva fra l’altro, che questi africani coraggiosi, che si lanciano in orribili viaggi per deserti, taglieggiati da trafficanti della peggiore specie, sono persone che a differenza di noi europei, immersi nel benessere, fino da bambini vivono nella contemplazione della morte.
Bambini che vivono nella contemplazione della morte.
Questa frase efficacissima è una vera sferzata sulla nostra faccia.
Mi ha subito richiamato quei terribili versi di Leopardi nel “canto notturno di un pastore errante nell’Asia” sulla durezza della condizione umana.
Comincia con quel famosissimo e bellissimo : “che fai tu luna in ciel, dimmi che fai?”
E poi, più avanti, recita : “a che vale al pastor la sua vita, la nostra vita a voi (astri del cielo) ?
Ove tende questo vagar?....Nasce l’uomo a fatica ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento per prima cosa, e in sul principio stesso la madre e il genitore il prende a consolar dell’esser nato”.
Condividiamo la perenne durezza della condizione umana, che nessun idiota programma televisivo di “evasione” potrà mai farci superare.
Piuttosto dobbiamo ritrovare il senso della nostra responsabilità.
Questo nostro mondo ormai definitivamente globalizzato ci mostra in modo plastico che oggi ognuno di noi è responsabile di tutti.
Le piccole patrie sono amati luoghi di provenienza, ma è ormai il mondo il paese nostro e dei nostri figli e nipoti.
E del mondo dobbiamo occuparci.
Cominciando da casa nostra.
Torniamo all “I care” il “me ne importa”,” me ne occupo”, lo slogan divenuto simbolo di Don Lorenzo Milani e di John F.Kennedy.
Occupiamoci di politica, per toglierla dalle mani di questi buffoni e ladroni.
Per chi proviene dal mondo cattolico ci si occupi di incoraggiare e portare avanti i nuovi indirizzi di papa Francesco.
La Chiesa è il maggiore proprietario immobiliare d’Italia, e allora non c’è posto per i migranti?
Intendiamoci, la chiesa nelle sue estesissime diramazioni sul territorio è fortunatamente l’istituzione già oggi più presente e facente, ma le dimensioni del fenomeno migratorio sono epocali.
Le supposte politiche di contenimento sono tutte vane esercitazioni verbali, buone solo per chi non sa nemmeno di cosa si sta parlando : c’è un intero mondo che preme e che non si farà fermare da quattro razzisti ignoranti.
Si dovrebbero trovare meccanismi internazionali per stoppare e deporre i ladri dittatori che governano i paesi di provenienza dei migranti, ma siamo lontani, troppo lontani da soluzioni del genere, anche se queste devono essere un fine da perseguire.
E allora occorre qualche idea intermedia realistica da proporre e sostenere con determinazione in Europa, questo è il compito della politica.
E ricordiamoci della massima : se noi non ci occupiamo di politica sarà comunque la politica ad occuparsi di noi.