giovedì 27 marzo 2014

Il Movimento 5 Stelle a cavallo fra anti- capitalismo speculativo e una visione dell'economia più a misura d'uomo, proprio come Papa Bergoglio. Che scandalo!





A  costo di alienarmi lettori ed amici, continuo a considerare i Grillini l'unica novità e quindi l'unica speranza della politica italiana.
Il pensiero unico ,con il quale i media televisivi e la grande stampa, indottrinano gli italiani vuole annientare il peso politico dei 5Stelle, o ignorando sistematicamente le sue iniziative, o sbeffeggiando sistematicamente i suoi parlamentari , o usando le proprie migliori penne per analizzare i presunti errori fatali di questo movimento.
Su questa linea ,pochi giorni fa, il Corrierone ha dedicato un articolo di approfondimento per illustrare il presunto anti- modernismo ideologico ,del quale soffrirebbe il 5 Stelle.
L'articolo in questione era di Daniele Manca e partiva stigmatizzando il fatto che l'Italia, a differenza degli altri paesi di grande civiltà è pervasa tutt'ora  largamente da una cultura, che nutre un  istintivo pregiudizio e una altrettanto irrazionale diffidenza ,nei confronti della scienza e del progresso, cioè in poche parole, della modernità.
L'articolista poi , in qualche modo, svicolava da quella premessa allargando il discorso all' anti- industrialismo, osservando, che oggi ,in Italia, dietro a qualsiasi iniziativa diretta a costruire opere di un certo respiro, la gente oppone subito il sospetto ,che queste nascondano trame corruttive e che in realtà non abbiano alcuna utilità per il bene pubblico.
Ma procedendo con questa logica, sosteneva l'articolista, si finisce per bloccare lo sviluppo economico del paese, facendo uscire l' Italia dai paesi di un qualche interesse per l'economia mondiale, prova ne sia il fatto che gli investimenti stranieri in Italia sono fra i più bassi dell'area europea.
E fin qui non si può che concordare con l'esposizione di un problema reale, che esiste e che costituisce in effetti uno dei punti di debolezza e di inferiorità del nostro paese.
Ma se il discorso va bene, non va bene applicarlo  all'Expo di Milano 2015 ed alle critiche che il Mov. 5 Stelle sta facendo montare contro alla sua realizzazione, come fa invece l'articolista, che evidentemente, aveva lo scopo dichiarato di esaltare l'Expo, difendendola dall'attacco dei presunti anti- modernisti.
Ora, che la magistratura, come sempre, ha preceduto e sostituito la politica, che non si accorge mai di niente, mettendo sotto accusa tutto l' apparato degli affari logistico- immobiliari dell'era Formigoni, i dubbi della gente sull'Expo appaiono forse un po' più fondati e un po' meno anti- modernisti.
Una politica corrotta e da decenni incapace di comunicare con la gente, non ha praticamente mai saputo spiegare cos'era l'Expo ed a che cosa serviva.
L'unica cosa che la gente ha capito è che si trattava di una specie di olimpiadi ,senza nemmeno gli atleti, per celebrare la quale, si sarebbero allestite aree ed edifici, che passato l'evento, sarebbero stati destinati alle ortiche, ma che ,intanto, avrebbero dovuto far girare un fiume di  danari.
Danari ,come sempre, vaganti nella nebbia padana, anche perché nessuno ha ancora capito da dove verranno, se verranno, questi danari, ma è indubbio che di soldi ne stiano già circolando parecchi , se  la magistratura ha dovuto occuparsi  di tangenti e di infiltrazioni dranghetiste o mafiose, in appalti connessi all'Expo.
Ora, finito il movimento dei Verdi nella più completa irrilevanza, in Italia, l'unica forza politica consistente, di comprovata tradizione a favore della difesa dell'ambiente e contro la cementificazione speculativa e senza alcuna utilità per il bene comune, è quella ispirata da Grillo, che queste battaglie ha portato avanti da decenni, molto prima di entrare in politica.
Diavolo, almeno questo merito, l'articolista, per obiettività ,avrebbe dovuto riconoscerlo a Grillo ed ai Grillini.
Vanno benissimo il Fai, la sempre battagliera Contessa Crespi, eccetera, eccetera, ma se non ci fossero i Grillini ,con la loro cospicua forza parlamentare , questi politici delle grandi intese si venderebbero il Colosseo e costruirebbero anche sui fiumi, dopo avere ridotto in modo abnorme le aree agricole.
Ma sarebbe riduttivo parlare dei 5 Stelle solo come i quasi unici difensori dell'ambiente ,che sono rimasti, perché il discorso dei Grillini, se pure saldamente fondato sulla tradizione ambientalista, si allarga a quello di una economia che va ripensata.
E questa è quello che i poteri forti dell' economia e della finanza temono come la peste.
Si può dire  di tutto, ma guai a parlar male del sistema capitalistico, così come è oggi o delle presunte virtù salvifiche e autoregolantesi del mercato.
Se poi, a mettere in discussione queste istituzioni , equiparate ai clericali “principi non negoziabili” ,sono forze politiche, che ,come i Grillini,  col comunismo o col socialismo non hanno chiaramente nulla da spartire, per i  difensori dell'esistente si  accende l'allarme rosso e allora qualche penna di prestigio, deve pur compiacere gli azionisti del Corriere e di Repubblica.
Il discorso dei Grillini si allarga dalla difesa dell'ambiente alla politica dell'energia ,nel senso di chiedere un superamento totale in prospettiva della dipendenza dai combustibili fossili e non rinnovabili.
Come si vede ,dietro a questi discorsi, non c'è solo la filosofia dell'ecologismo e della salvaguardia della terra, bene di tutti, ma c'è una vicinanza alle filosofie ed alle dottrine sociali ,come la cattolica, che invitano a ripensare questo capitalismo finanziario, fondato sul consumismo, volto come si sa, a precedere e fabbricare i desideri dei consumatori, creandone di sempre più fittizi e spingendo la gente a credere nel dogma o nel mito fasullo della crescita senza fine, come se le risorse non fossero finite per definizione.
Che la si chiami invito alla sobrietà, moderazione, frugalità o quello che si vuole, il concetto è questo.
Ma se qualcuno lo porta avanti, partono subito gli strali contro gli anti-modernisti, o i lazzi contro la politica del favorire le merci a kilometro zero, dello slow food eccetera, che mirano a difendere le produzioni agricole o artigianali locali o le biodiversità dei prodotti locali, come se tutte queste politiche fossero fossero in invito al ritorno al Medioevo e non a costruirsi una vita più a misura d'uomo.
Sai possono fare questi discorsi, essendo animati da spirito evangelico , come sta ricominciando a fare la chiesa cattolica guidata da papa Francesco, o ispirati dalle filosofie orientali, da sempre attaccate al culto della madre terra, o semplicemente ispirati alle filosofie laiche ,che difendono il pensiero critico e la ricerca scientifica, che da tempo mette in guardia contro lo sfruttamento scriteriato delle risorse e le sue deleterie conseguenze sull'ambiente e di conseguenza sulla qualità della vita.
Ci sono diverse ispirazioni ed è bene che ci sia questa diversità, perché questo serve a prevenire che queste idee cadano nel dogmatismo o nel fondamentalismo o realmente nell'anti- modernismo.
Nessuno vuol tornare al Medioevo o alle distorsioni del comunismo reale, o al pauperismo, che viene imputato sprezzantemente alla nuova linea di Papa Francesco.
E' ora però che la gente cominci a ragionare sul fatto che l'autogoverno è un concetto che appartiene non solo alla politica, dove si chiama democrazia, ma anche all'economia e che di conseguenza la gente medesima sarebbe ora che cominci a rivendicare il suo diritto- dovere di autodeterminarsi anche nella costruzione di un sistema economico più adeguato.
Veniamo al dunque : è dimostrato che questo sistema economico esistente ha anche consentito nel medio- lungo periodo  a  masse sempre maggiori ,di uscire da una vita miserabile ed ha aumentato la ricchezza non solo globale, ma anche dei singoli.
Ma è altrettanto assodato ,che il medesimo sistema economico produce una forbice di disuguaglianze che si allarga costantemente, in modo che i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, in proporzione, anche se quelli che muoiono di fame ,sono globalmente sempre di meno.
Questa situazione non può durare, perché l'aumento delle disuguaglianze porta diritto a far saltare il patto sociale ed a creare sempre maggiore instabilità politica.
Nessuno dovrebbe più credere al dogma del mercato come divinità cieca, capace automaticamente di distribuire ricchezza, perché non è vero, che i più ricchi, arricchendosi ulteriormente, contribuiscono automaticamente col loro incremento di ricchezza, ad aumentare le condizioni dei più poveri.
Le cifre testimoniano il contrario, la società non può tollerare l'aumentare delle disuguaglianze senza sfasciarsi.
La difesa dei privilegiati si è sempre espressa nel presunto assioma, che sembra così di buon senso, ma non lo è, secondo al quale non si può dividere e distribuire ricchezza, se prima non la si crea.
Questo è in larga parte un inganno ed è precisamente su quest'inganno che è fondata la presente politica dell'austerità.
In base a questa politica ad esempio in Grecia i conti stanno tornando a posto.
Benissimo, ma chi se ne giova ?
La società o i banchieri e in genere i ricchi e i privilegiati ,che vedono così salvaguardati i loro crediti, che coi conti a posto avranno la garanzia di essere pagati fino all'ultimo centesimo coi dovuti interessi (che in Grecia sono elevatissimi).
Ma che se ne fa la gente comune e la  classe media della salvaguardia dei crediti di banchieri e ricchi se deve pagare questa garanzia con una disoccupazione crescente oggi oltre il 30% ?
Che se ne fa della salvaguardia dei crediti dei ricchi se la deve pagare con riduzioni di stipendi, pensioni e servizi dello stato sociale?
Non sarebbe stato più sensato dichiarare il fallimento dello stato greco, chiamandone a rispondere la classe politica ,che l'aveva provocato e ricominciare da principio?
Tutte queste cose Grillo le dice e le ripete sul suo blog, come le dicono i suoi parlamentari.
Capisco che ipotizzare una coppia ideale Papa Bergoglio – Beppe Grillo sia un poco scioccante, ma la cosa nella sostanza è parecchio più solida, di quello che può apparire in superficie.

Bergoglio e Grillo vogliono cambiare  le cose realmente, gli altri no.

giovedì 20 marzo 2014

La Crimea è russa esattamente da 240 anni






Quante volte su questo blog si è scritto che uno dei difetti più intollerabili dei politici italiani è quello di  non sapere dire la verità alla gente.
E' un difetto serio, perché se non si dice la verità, vuol dire che si mente ,che si racconta una cosa per l'altra, che si prendono in giro i cittadini e non li si ritiene all' altezza di capire come stanno veramente le cose.
La vicenda della Crimea ha dimostrato che si tratta di una malattia contagiosa, che affligge gran parte della classe politica nel mondo attuale.
E' un vero guaio perché è indice di una debolezza, di una inadeguatezza della politica, come viene declinata oggi nelle grandi democrazie.
Prova ne è che il punto più alto del farisaismo lo si è riscontrato proprio nella posizione americana, cioè nel paese che si proclama come il garante degli ideali democratici del mondo e che negli anni recenti ha pagato il prezzo più alto per cercare addirittura di esportar, senza successo, la democrazia, andando a fare la guerra  in Iraq , in Afganistan, eccetera.
Cerchiamo di farla breve, evitando di partire da Adamo ed Eva, come hanno fatto in questi giorni parecchi giornali, per raccontare la storia della Crimea e dintorni.
Il mondo è andato avanti per secoli e millenn, fondando i rapporti fra stati sulla regola elementare, mutuata dalla natura, che è il principio della prevalenza del più  forte sul più debole.
Il più forte fondava un impero e le altre nazioni divenivano vassalli di quell'impero, fino a quando non si formavano le condizioni per una decadenza del vecchio impero e, dopo un periodo più o meno lungo di instabilità,  non si affermava una nuova nazione,capace di imporre la propria superiorità alle altre.
Una versione un poco più edulcorata del principio del più forte è stata quella degli equilibri, cioè della convivenza fra potenze prevalenti, in una data area geografica, senza che nessuna di queste pretendesse di diventare l'impero universale.
La filosofia dell'illuminismo, portatrice dei principi della libertà e dell'eguaglianza ha fatto fare un passo decisivo verso una forma più elevata di civilizzazione, creando una cesura radicale col passato.
Tale filosofia è stata in pratica recepita dalle così dette “democrazie liberali” ,solo con seconda guerra  mondiale, che aveva messo fra gli scopi di guerra, appunto delle democrazie liberal, che combattevano contro le dittature illiberali,  il fondamentale principio del diritto all'autodeterminazione dei popoli, ponendo le basi, tra l'altro, per il  superamento definitivo del colonialismo.
Su questo principio si è costruito l'Onu e la conseguente rete di organizzazioni internazionali.
Il principio di autodeterminazione significa che ogni nazione può esprimere con il voto la propria volontà di essere indipendente o di associarsi ad altre entità.
Questo principio ,dopo la seconda guerra mondiale, se pure riconosciuto formalmente da tutti i partecipanti, col sottoscrivere la carta dell'Onu, è stato contraddetto in modo pesante dal blocco sovietico e dal così detto spirito di Yalta (è singolare che Yalta sia una cittadina proprio della Crimea), cioè dall' accordo fra democrazie liberali e blocco sovietico a rispettare reciprocamente le zone di influenza, formatesi di fatto sul campo di battaglia fra Est ed Ovest.
Ne nacque il periodo della così detta “guerra fredda”, durato dal '45 all' 89, con la caduta del muro di Berlino e dell'Unione Sovietica, tre anni dopo.
Dopo la caduta dell'Unione Sovietica si arrivò all'applicazione del principio dell'autodeterminazione dei popoli, anche fra i paesi dell'Est, e quasi tutte le ex repubbliche sovietiche  decisero di entrare nella sfera di influenza dell'Ovest (Unione Europea, alleanza con gli Usa).
Il fortissimo ridimensionamento della Russia, che si è compiuto con quegli avvenimenti, è passato attraverso diverse fasi.
In politica, come nella vita, non esiste il bianco e il nero, ma esistono solo infinite variazioni di grigio.
Per esempio, la scelta filo occidentale di quei paesi non comportava automaticamente anche un incameramento degli stessi nella alleanza militare, che lega i paesi europei, cioè la Nato.
Probabilmente ,sarebbe stato più saggio per i governanti dell'Occidente prendere tempo per non umiliare la Russia.
Se la storia insegnasse qualcosa ,sarebbe stato utile ricordarsi, allora, di quale disastro aveva causato alla fine della prima guerra mondiale, l'umiliazione della Germania.
Superare i regimi autoritari, come erano quelli delle repubbliche ex sovietiche, è stata cosa buona e giusta, ma gli statisti sanno che una classe dirigente non si fabbrica in poco tempo.
E infatti le classi dirigenti di questi paesi ,se pure democraticamente elette, sono risultate abbastanza penose.
Alla permanenza di gran parte della classe dirigente precedente, si sono aggiunti faccendieri, ex dei servizi e dei vecchi regimi, come  acquirenti delle ex aziende di stato, che sono diventati gli attuali ricchissimi e potentissimi burattinai dei nuovi regimi, i così detti oligarchi.
A questi, in diversi paesi dell'Est, si sono affiancati  addirittura gli esponenti di vere e proprie organizzazioni criminali mafiose.
In ogni caso, la democrazia formale, nel senso di svolgimento di periodiche elezioni, non significa affatto che questi paesi siano diventati, di punto in bianco, democrazie liberali, come quelle che conosciamo.
L'Ungheria per fare un esempio ha un regime, che sta riducendo le libertà in modo preoccupante e che è molto vicina a un regime autoritario puro e semplice; la Polonia è stata per anni in balia di un regime clerico- autoritario, eccetera.
Dopo la formazione delle nuove repubbliche ex comuniste dell'Est, si sono verificati gli eventi che hanno portato alla dissoluzione dell'ex Iugoslavia.
La smania della Germania di sottomettere economicamente quei paesi, prendendo ,senza indugio, il posto dell'Urss, e il fanatismo anticomunista di Papa Woityla, ambedue accecati da interessi immediati e privi di una strategia geopolitica di lungo respiro, hanno destabilizzato un'area delicatissima ,umiliando scioccamente il ruolo egemone della Serbia, col solo risultato vistoso di dare libero corso al dispiegarsi del fondamentalismo musulmano e di rinfocolare odi etnici, spesso artificiali.
L'anticomunismo ideologico e il risentimento verso l'imperialismo sovietico, covati per decenni, hanno fatto sì, che l'Occidente si illudesse di poter sostituirsi, come potenza egemone, alla Russia sovietica in tutto l'Est europeo, dall'oggi al domani, ignorando la storia e la geografia.
Nella vicenda della Crimea e dell'Ucraina, ancora in corso, l'Occidente sembra orientato a ripetere gli stessi errori.
E' penoso, vedere un Obama inconcludente, indeciso , ondivago e senza strategia, che, forse da un punto di vista  puramente accademico, deve aver capito che la strada maestra per gli Usa nell'Est Europa non può essere che quella di una partnership con la Russia, che quindi non va affatto umiliata, né privata del suo ruolo naturale di potenza regionale egemone, ma non è mai riuscito a costruirci sopra una politica estera coerente.
Come è penoso vedere un'Europa ,che come al solito non c'è, che va in ordine sparso non si sa dove.
Per l'Europa però occorre non sottovalutare il ruolo di leadership che Angela Merkel sta ora per assumere  senza le remore del passato, andando contro alle ossessioni  ed ai complessi di colpa del suo popolo e forse anche al suo carattere.
Almeno il realismo politico ed economico della Germania sembra essere un buon antidoto a bloccare chi non sa far altro che guardare indietro, e che quindi, se si riparla di ritorno alla guerra fredda, si sente completamente e stupidamente a suo agio.
La Crimea è russa da quando si è staccata dall'impero musulmano nel settecento.
Cercare di negare la realtà, e peggio ancora negare la legittimità di un referendum, che ne sancisca l'autodeterminazione, se pure improvvisato, è una insensatezza.
I nostri non sono tempi di grandi ideali, ma questo forse non è un male.
Che oggi prevalgano le ragioni dell'economia nei rapporti con la Russia, sarà un po' volgare, ma è almeno una cosa sensata.

venerdì 14 marzo 2014

Questo Renzi sempre più sconcertante





Hanno detto di lui:
Frivolo, superficiale, esuberante, incosciente, coraggioso, fa sognare, pasticcione dinamico, il messaggio è lui stesso, grande venditore, dilettante allo sbaraglio, incompetente , vanaglorioso, supponente, borioso, tracotante, bombarolo fanfarone, decisionista arrogante,  rappresentante delle lobbies, il rottamatore che sdogana Berlusconi, tutto fumo e niente arrosto come al solito, c’è chi lo paragona a Wanna Marchi con l’hashtag  #matteodonascimento,  tele-imbonitore, semplificatore, uomo dalla narrazione manichea il bene è solo lui, riuscito come  rottamatore di “comunisti”, questo è peggio di Berlusconi, crede di essere Mandrake ma il risveglio sarà amaro.
Della sua fantasmagorica conferenza stampa di mercoledì 12 marzo hanno detto:
Libro dei sogni, politica degli annunci, finanza creativa, sembra il “contratto con gli italiani” di Berlusconi nel 2001 scritto sulla lavagnetta a “porta a porta” di Bruno Vespa, solo recitato in modo più moderno con gli slides (diapositive e lucidi) al posto della lavagna; sembrava uno spot della Lidl; volantino del discount; logica da oratorio salesiano educare spiegando è meglio che imporre; dalle “cene eleganti” all’Happy hour (spuntino da bar);  parlare semplice e puntare al “prodotto civetta”;  invenzioni inverosimili ma chi crede di prendere in giro; tutto esagerato; clima da meetng aziendale vecchio stile.
Dal fiume di commenti scritti in questi giorni su Renzi è ben visibile lo sconcerto, che ha suscitato.
Sembra che in fondo nessuno lo voglia giudicare, perché nessuno ha la sensazione di aver capito chi è Renzi e cosa voglia realmente.
E’ la stessa reazione che ho avuto io quando ho ascoltato il suo comizio nel suo giro per l’Italia col camper per le primarie che poi aveva vinto Bersani.
Si capiva che la comunicazione era del tutto nuova.
Si capiva che il ragazzo era il maschio Alfa, che mancava alla mandria della politica italiana, per sostituire   un Berlusconi, diventato  troppo vecchio per sostenere ancora quel ruolo.
Il suo uso fin troppo accentuato  delle nuove tecnologie dava a vedere che ci si trovava di fronte realmente ad una nuova specie di politico, che con lui ci sarebbe stata veramente  una cesura rispetto alle logore liturgie della vecchia politica.
In quella sua campagna elettorale il continuo riferimento ad Obama, dava a vedere che il ragazzo aveva posto l’asticella della politica ad un livello nettamente più alto di quello abituale.
Anche per chi  non aveva il master nella oggi gettonatissima  scienza della comunicazione era evidente quanto fosse nuovo il “format” delle sue esibizioni, studiate e preparate bene in ogni particolare :
la narrazione diretta e semplice, ma non banale, il ricorso costante all’assistenza degli slides per confermare il discorso con grafici e dati, brevi filmati per alleggerire l’atmosfera.
Il tutto per fare passare innanzitutto questo messaggio : io sono una nuova razza di politico , mi sono preparato alla bisogna e so bene come vendere questo prodotto nuovo sul mercato della politica e della comunicazione.
Già allora era chiaro che il ragazzo si ispirava chiaramente e direttamente al “grande comunicatore” per antonomasia, che aveva occupato il ventennio precedente,  con l’ambizione di sostituirlo in modo più credibile e moderno.
E questo veniva percepito come  il suo massimo pregio, ma anche come  il suo limite, perché, coloro che  avevano sempre avuto il più cordiale disprezzo per il berlusconismo, e non erano pochi, rimanevano molto, ma molto perplessi per quelle evidenti similitudini e vicinanze.
Immaginiamoci oggi, quando il grande comunicatore è diventato ufficialmente un pregiudicato per evasione fiscale, in attesa di assegnazione della pena.
Oggi, con Renzi in sella e lanciato al galoppo, la situazione di fondo sembra dare le stesse sensazioni.
A favore di Renzi c’è la percezione, che il nuovo che questo ragazzo vuole esprimere, sia comunque una cesura col passato e che quindi sia autentico.
Vuole essere il nuovo ,vuole apparire come decisionista , vuole correre fuori dalla palude.
Se lo si giudicasse solo per queste evidenti aspirazioni, dovrebbe riscuotere il pieno sostegno, di chi non ne poteva più dell’eterno impasse della politica italiana.
Il problemino però è che non basta volere per essere.
Volere veramente il rinnovamento è l’indispensabile primo passo.
Poi però ci vogliono i fatti.
Per fare i fatti ci vorrebbe una maggioranza coesa e convinta ,disposta a battersi per un sogno di ideali alti, da tradursi in un programma chiaro e coerente, indirizzato alla realizzazione del bene comune.
Purtroppo, siamo talmente lontani da questi obiettivi, che mentre li mettevo per iscritto,  mi veniva   da ridere, se pure contro voglia.
Se si guarda alla situazione con fredda ragione, diciamolo pure chiaramente, Renzi è fregato, non ha scampo.
Ma noi, come italiani, messi male come siamo, non abbiamo al momento alcun interesse a che anche Renzi fallisca, dopo il sobrio luminare Monti e il soporifero ultimo rampollo della dinastia democristiana Letta.
In lizza, con la reale facoltà di giocarsi la partita, mi sembra che siano solamente in due : Renzi e Grillo.
Le prossime europee, con relativa campagna elettorale, sembrano fatte apposta per favorire Grillo, perché la gente è esasperata da un Europa declinata, come è stata declinata fino ad oggi.
Renzi, (che, pare sia stato  definito, come del tutto impreparato in politica estera, proprio da colei, che lui poi avrebbe imposto come ministro degli esteri, qualche mese fa, quando nemmeno si poteva sognare il ministero) dovrà giocarsi quindi la sua partita più importante a Bruxelles, come se le partite in casa fossero uno scherzo.
Se ci riuscisse dovrebbe essere un fenomeno.
A noi converrebbe che ci riuscisse, anche se non vedo proprio come possa farcela.




mercoledì 5 marzo 2014

La “contro storia” della Resistenza nell’ultimo libro di Pansa



Esaltato dal successo, anche di cassetta, dei suoi libri precedenti Pansa si lancia col suo ultimo libro in una “contro storia” della Resistenza.
Questo giornalista, ritenuto di area socialista, ha avuto il merito di scoprire un nuovo genere di divulgazione storica, dopo avere dedicato alla storia della resistenza numerosi  saggi, a cominciare addirittura , dalla sua tesi di laurea.
Quindi,  tutto si può dire di lui, ma non che non abbia studiato l’argomento.
Quando Berlusconi , all'inizio della sua avventura politica,  ha deciso, che  gli sarebbe convenuto “sdoganare” politicamente  i fascisti, senza fare troppo lo schizzinoso, per avere una larga maggioranza parlamentare , Pansa si è avviato a  questo suo nuovo genere di divulgazione storica, riportando un notevole successo editoriale, che non aveva arriso ai suoi libri precedenti.
Non dimentichiamoci, che il nucleo storico dei fedelissimi di Berlusconi sono stati proprio i socialisti, rimasti orfani del loro capo.
Pansa, evidentemente era ben conscio di quell'odio viscerale , che i socialisti hanno sempre avuto in Italia, peraltro ben ricambiati, nei confronti dei comunisti, ed  ha avuto l'intuizione di andare a cercare e intervistare coloro, che nel periodo più nero della guerra, avevano subito gravi soprusi, o avevano avuto familiari, vittime di eccidi ingiustificati e ingiustificabili, da parte di uomini della resistenza.
Era un modo per cercare di smontare la mitizzazione della resistenza, costruita per decenni soprattutto dal Pci, per “sdoganarsi” e acquistare, con l'esaltazione del suo  ruolo storico di salvatore della patria, in quanto forza primaria della resistenza, la piena legittimazione democratica, che i suoi rapporti con Mosca non potevano comunque fornirgli.
Va detto, subito, come ha a suo tempo ribadito, con tutta la sua forza polemica, Giorgio Bocca, a sua volta, autore di una robusta Storia Della Resistenza, che la ricerca storica seria, anche di matrice di sinistra ,non ha mai taciuto l'esistenza di diversi efferati episodi di violenze private o di barbare pulsioni, scaricate su innocenti, da parte di uomini della resistenza.
Ma Pansa ha capito che il momento politico era favorevole per una operazione mediatica ad ampio raggio.
Molte famiglie, provenienti, per una ragione o per l'altra, dal fascismo storico, hanno visto nel berlusconismo la loro nuova casa, perché vi avevano individuato una riabilitazione dei loro sentimenti, che per decenni si erano trovati nella condizione di dover nascondere in pubblico, perché giudicati impresentabili e soggetti a una condanna generalizzata da parte della società.
Di conseguenza, in questi ambienti, i libri di Pansa sono subito divenuti oggetti di culto.
Pansa non è uno storico, pur essendo un giornalista ben documentato sull’argomento, come si è detto sopra, e da giornalista ha fatto interviste.
E le interviste hanno portato alla luce fatti in gran parte ben noti agli storici, ma non conosciuti dal grande pubblico, che era ancora abbagliato dal mito, quasi religioso e sacrale, della resistenza, abilmente costruito per decenni dalla nomenclatura del Pci.
Se ammanti qualcosa di un velo sacrale è chiaro, che non puoi, poi, permetterti di farlo oggetto di  critica.
Gli intellettuali laici non comunisti e di cultura illuminista, facendo uso del pensiero critico, hanno sempre visto con scetticismo, se non con fastidio, l'eccessiva enfatizzazione e beatificazione della resistenza e la critica a senso unico verso il fascismo.
Le due cose, infatti, sono sempre andate di pari passo.
Chi santificava la resistenza, ignorando e oscurando il suo “libro nero”, che pure sapeva che esisteva, contemporaneamente vedeva con fastidio, per esempio, la monumentale e correttissima opera di Renzo De Felice sul fascismo, che per la prima volta, ne ha evidenziato i numerosi lati costruttivi e positivi per la storia d'Italia, nel primo decennio.
Ma i tanti anni di propaganda hanno pesato anche sulle menti più lucide e molto lontane da ogni simpatia per il comunismo, come è successo per esempio a Corrado Augias, che ogni volta che viene portato a parlare di qualcosa di connesso al fascismo si lascia andare, fino dal linguaggio del corpo, a mostrare un atteggiamento disgustato, come se dovesse sopportare qualche cattivo odore.
Eppure, le famiglie di fascisti storici, colpite nei loro affetti da qualcuna delle efferatezze, operate da uomini schierati con la resistenza, avevano tutto il diritto di vedere quegli episodi tirati fuori da quello che è stato un oblio ingiusto e ingiustificato, durato per troppo tempo.
Se delle persone si sono comportate come barbari delinquenti, senza alcun senso di giustizia e di umanità, il fatto che fossero schierati dalla parte della resistenza, non giustifica e non copre nulla, rimangono delinquenti ,meritevoli del più deciso disprezzo.
La resistenza è stato un fatto storico complesso e plurale.
E se qualcuno la santifica, la falsifica, come qualsiasi altro fatto storico, che va giudicato con il distacco e i parametri di giudizio proprio del mestiere dello storico, per il quale i sentimenti e le ideologie devono rimanere rigorosamente fuori dalla porta.
Come abbiamo detto, Pansa non è uno storico, è un giornalista, che portando alla luce le nefandezze commesse al tempo della resistenza, da uomini della resistenza, ha reso un servizio alla pluralità dell'informazione ed anche, obiettivamente, ha offerto un se pure tardivo riconoscimento alle sofferenze delle famiglie, che per decenni avevano dovuto tenere per sé il peso delle ingiustizie sopportate.
Tutto bene quindi fino a questo punto.
Non va bene però, usare il “libro nero” della resistenza per trarne delle deduzioni, del tutto gratuite, in senso opposto, cioè per dire : e allora se è successo quello che è successo, la  resistenza è stata tutta una gran porcheria, e i fascisti, che erano i buoni della situazione, hanno perso la partita solo perché il caso ha voluto che perdessero la guerra.
Cioè, va bene, riconoscere che per la storia la parola “revisionismo” non è una parolaccia, ma è una garanzia della attendibilità della storia medesima, nel senso che la storia non è una presunta verità religiosa, ma è la più verosimile versione di fatti storici ,sulla base della conoscenza e valutazione dei documenti consultabili.
E quindi bene fa la gente, che, come Pansa,  fornisce documenti da valutare, che erano rimasti tenuti ingiustamente in disparte.
Erroneo è invece sfruttare quei documenti per sostenere, dilettantescamente, delle tesi arrischiate.
Pansa, infatti, sembra voler portare il lettore del suo ultimo libro a credere che la resistenza era stata un evento tutto gestito e manovrato in ultima analisi dai sovietici e che quindi avrebbe fatto cadere gli italiani dalla padella nella brace, senza offrire nessuna forma di democrazia.
Questa è una tesi arrischiata e smentita da molti fatti storicamente acquisiti.
La resistenza, come è noto, è stata per sua stessa natura un movimento complesso e plurale, come plurale era la società italiana di allora, in senso politico e culturale.
Allora, le ideologie contavano moltissimo e quindi le tradizioni : cattolica, socialista, e laica di derivazione risorgimentale (liberali, repubblicani, monarchici ecc.) erano finite tutte nella resistenza.
I comunisti, si dice, erano maggioranza.
Questo è un fatto storico assodato, ma non significa  né che i comunisti fossero tutti eterodiretti da Mosca, né che le altre componenti fossero subalterne.
Non dimentichiamo che quelle partigiane erano brigate tutte di piccole dimensioni, tutte o quasi costrette a vivere per mesi o anni a casa di dio, cioè in posti impervi e inospitali, con un sacco di tempo a disposizione ai partigiani medesimi per  parlare e discutere fra di loro, in modo che il comunista sentisse il  punto di vista dei cattolici o dei liberali o dei monarchici.
Cioè  apprendendolo l’esistenza di altre tradizioni culturali ed ideologiche non dai un libri, ma dalla viva voce di gente che rischiava ogni giorno la pelle di fianco a loro.
In queste condizioni, si generano legami umani saldissimi e profondissimi, al di la ed al di sopra delle ideologie di provenienza, anzi in queste condizioni si valuta la validità della propria ideologia.
La resistenza, come altri fatti storici così coinvolgenti, ha avuto quindi una formidabile funzione pedagogica.
Questo è un fatto che ha operato esattamente all'opposto dei tentativi di omologazione, che portavano avanti i “commissari politici” comunisti, ricordati da Pansa, che c'erano, pesavano, ma che dovevano vedersela con un contraddittorio quotidiano (e poi, siamo realisti, Stalin non li vedeva, né li sentiva là sulle montagne, e quindi potevano permettersi di ragionare con la propria testa).
Le brigate, è vero, nascevano con un loro colore politico e ideologico, ma avrei voluto vedere se ad una brigata Garibaldi, cioè rossa,  operativa in qualche zona ,quando si presentavano giovani di altri colori, si sarebbe detto loro di rivolgersi altrove, è irrealistico pensare una cosa del genere in quelle condizioni.
Poi c'è un altro fatto storico appurato, che testimonia contro il presunto controllo assoluto del Pci sulla resistenza.
Se i partigiani volevano avere armi bombe a mano, esplosivi, radio, eccetera, dovevano saper parlare inglese, non russo, e le notizie sulla situazione reale della guerra, venivano da radio Londra, non dalla voce di Mosca.
Pansa, in questo libro, ha il difetto di attaccarsi a  episodi reali, per costruirci sopra  conclusioni generali, tutte da dimostrare.
E' un procedimento che può far piacere a una certa fascia di lettori, ma che è storicamente  scorretto.
Per esempio, è verosimile che in alcuni casi, una formazione Gap, ad elevata presenza  di comunisti, strettamente osservanti e strettamente in contatto con strateghi, fanatici  , si sia lasciata andare ad azioni atte a provocare apposta la rappresaglia tedesca, per avere visibilità, ma, da qui a sostenere che questa era la strategia generalizzata dei Gap è tutt'altra cosa.
E poi, per valutare la presunta volontà della resistenza, nel suo insieme, di portare l'Italia nel campo sovietico, c'è a disposizione la cartina di tornasole delle Repubbliche Partigiane tipo la Repubblica dell’Ossola, poche purtroppo, e durate poco tempo, ma molto significative per l’argomento che stiamo trattando.
Gli storici oggi dispongono di abbastanza documentazione (statuti ecc.) per riconoscere che in nessuna di queste si era espressa la volontà di attuare in quei territori la nazionalizzazione dei mezzi di produzione, di formare soviet o di collettivizzare l’agricoltura.
Si può ritenere verosimile, che una buona parte dei partigiani comunisti volessero che l'Italia post bellica aderisse al campo sovietico, per la semplice ragione, che costoro, dei paesi sovietici, in realtà non conoscevano null'altro se non le panzane gigantesche, che raccontava la propaganda ufficiale.
E' lo stesso procedimento logico, che muove la gente, che in buona fede va a Lourdes o Fatima o Mediugorie, e che sono convinti di trovarci miracoli e soprannaturale, sono convinti cioè, che basti credere in una cosa per renderla reale.
Ma basta confrontarsi con la realtà per capire quello che c’è da capire.
Quando Peppone, nei film di Don Camillo, si trova alle prese con un trattore di produzione  sovietica, dono dei compagni russi, e si accorge , essendo un meccanico, che quel trattore era fatto indiscutibilmente con i piedi, la sua fede, prima incrollabile ,fu molto scossa.
E così succedeva anche nella resistenza, confrontandosi con gli altri, il paradiso sovietico usciva dall'ambito della fede , per avvicinarsi un po’ di più alla realtà.
L'esperienza della resistenza, probabilmente, per la maggioranza dei partigiani serviva per acquistare un po’ di senso critico, non per omologarsi a un peggiore fanatismo.
Che è il contrario di quello che Pansa spinge a credere.
Lo ripeto, i primi libri di Pansa hanno reso un servizio alla pluralità dell'informazione.
Ma se lo scopo dell'autore era quello di demitizzare la resistenza, per sdoganare un sentimento favorevole al fascismo, visto attraverso la lente aberrante dei “vinti” da rivalutare, perché ritenuti solo incolpevoli sfortunati, allora l’operazione non è corretta.
Se uno è stato fascista, solo perché era giovane in quel periodo ed, allora, tutto spingeva i più dotati e determinati  a partire volontari per sostenere, anche con la vita, gli alti ideali della patria, a loro vada tanto di cappello.
Se la maggioranza degli italiani è stata fascista, perché per lavorare ci voleva la tessera del fascio, e soprattutto perché durante il primo decennio  poteva apparire un fascismo,  capace di costruire un'Italia ordinata e laboriosa, mentre “l' Italietta”  precedente   era stata si democratica, ma non riusciva a suscitare alcun entusiasmo: questo lo si può anche  capire.
Ma dopo i disastri dovuti  al disonore imperdonabile delle leggi razziali, ad un'entrata in  guerra, senza serie giustificazioni e con un apparato militare dimostratosi penoso, dopo che il fascismo ha mostrato tutta la sua faccia di sangue e di morte tanto più con la Repubblica di Salò e poi con l’epilogo di un Duce che viene catturato vicino alla frontiera svizzera, ignominiosamente  travestito, invece che morire combattendo, come voleva l'epica nibelungica, dei suoi amici nazisti, per fare acquisire la gloria del Walhalla al guerriero che cade in battaglia.
Dopo tutto questo, per chi è stato fascista per ragioni alte o semplicemente comprensibili, non c'è molto da recuperare.
Se uno si è trovato, suo malgrado, dalla parte sbagliata della storia, non è stato per colpa sua,  o della sfortuna, ma lo è stato per scelte razionalmente sbagliate, operate da governanti avventurieri, più che da politici o statisti.
E' giusto ed anzi doveroso, verso sé stessi ,recuperare gli ideali della giovinezza.
Ma occorre anche riflettere su chi ha allora cercato e avuto la fiducia dei giovani, che l' hanno seguito e che poi sono stati  traditi tragicamente da chi quegli  ideali a messo sotto i piedi.
Seguitemi e vi donerò la gloria di un impero.
Era un bel sogno, che, tra l’altro, era già stato servito prima e con successo da Inglesi, Francesi , Tedeschi, Olandesi e Spagnoli.
Però poi quell’avventuriero ha lasciato quei giovani, partiti entusiasti, a gestire un mucchio di rovine materiali e morali.
Meriterebbe, suppongo, almeno un po’ di rancore.
Se abbiamo perso la guerra non è stato a causa della sfortuna o della” perfida Albione” o delle “potenze demo-plutocratiche”, ma perché ci siamo fatti guidare da un sostanziale avventuriero, che ha giocato a carte sul tavolo della storia, con le vite di troppe persone, che è riuscito abilmente a manipolare con gli strumenti del regime.
Cerchiamo di vedere le cose con un po’ di senso storico e ricordiamo, che la stessa operazione di autocritica, sono stati costretti a farla anche quelli dell’altra parte, quei comunisti, ai quali era stato promesso un paradiso in terra e che hanno visto poi la storia smascherare quel mucchio di menzogne, alle quali avevano creduto, per lo più in perfetta buona fede.
Anche loro avevano perseguito un sogno ed alti ideali e poi sono stati traditi, da chi li aveva manipolati.
L'operazione di Pansa, se fosse quella di catturare il sentimento  di chi è stato fascista, per dare a un fascismo irrimediabilmente condannato dalla storia a causa dei suoi errori, una dignità che non può assolutamente riacquistare o recuperare, sarebbe veramente deprecabile.
Questo nostro paese ha bisogno di informazione e conoscenza, per risolvere ancora una parte dei  disastri combinati dai fascisti, per rimediare ai quali, non abbiamo ancora smesso di pagare cambiali.
Perché le debolezze, lo “spread”, del quale soffre questo paese, rispetto ai cugini europei, derivano, per una parte almeno, ancora, dalla filosofia di fondo dei fascismi e dei comunismi, che perdura nel subconscio di molti.
Dobbiamo constatare, che questa filosofia di fondo, malata di autoritarismo, ed estranea ai principi fondanti della democrazia, è stata assorbita anche dai nipoti di chi allora era stato fascista o comunista.
Diversamente non si spiegherebbe, come mai, i partiti personali, guidati da sostanziali avventurieri, come Berlusconi, Grillo, Bossi ed ora forse anche da Renzi, sorgono come i funghi solo da noi.
Perchè Germania, Francia e Inghilterra sono guidati ed hanno opposizioni, guidate da persone e partiti “normali”?
E' chiaro che la fortuna non c'entra nulla.
“Unusquique faber suae fortunae” : dicevano gli antichi e il discorso vale anche per i popoli.
Questo ultimo  lavoro di Pansa, sarà anche stato ispirato da perfetta buona fede, ma alla fine sembra tanto, l’ennesimo tributo dedicato ad un anticomunismo viscerale, che non ho mai condiviso, e che mi è sempre sembrato, che fosse suscitato artificialmente e mediaticamente da untori interessati, che, spesso, ci hanno campato sopra.
Non penso ovviamente a Pansa , ma  ovviamente a quei personaggi politici che hanno fatto da vent’anni di un anticomunismo anacronistico, la loro bandiera.

Ma ciò non toglie, come si è detto sopra,  che queste sue opere abbiano prodotto e divulgato una documentazione,  che, di per sé, credo che sia da accogliere come utile e positiva.