mercoledì 30 settembre 2015

Il viaggio di Papa Francesco negli USA grande successo mediatico e sostanziale ma con una stecca clamorosa



Il papa negli Usa c’è andato ad esercitare il suo ruolo recitandolo essendo perfettamente sé stesso e c’è riuscito perfettamente.
E’ stato applaudito in modo entusiastico dopo che ne aveva dette abbastanza per scontentare tutti.
Ma questa stiamo apprendendo che è ormai la regola in questa civiltà dell’immagine : chi appare come il vincitore sui media, non solo viene percepito, ma diventa il vincitore.
Praticamente tutto quello che  ha detto il papa al Congresso degli Usa (in seduta comune, onore mai tributato prima a nessun altro papa) era il  contrario di quello che pensa da sempre l’americano medio.
Apertura praticamente incondizionata all’immigrazione; abolizione della pena di morte; cessazione della vendita di armi nel mondo; economia che non contempli la speculazione.
L’incipit del discorso del papa è stato molto scaltro  : io sono un figlio di migranti e voi che i ascoltate siete tutti figli di migranti.
Ovvio : gli Usa sono un paese di migranti  fino “Pellegrins Fathers” e sono da sempre una società multietnica in senso americano, che ha un significato molto diverso da quello europeo.
Da noi multietnico significa in pratica città con dei grandi ghetti dove le diverse etnie sono separate.
Negli Usa il sentire comune, condiviso in modo estremamente esteso vuole che alla base della cittadinanza ci sia la condivisione.
Il patriottismo negli Usa è richiamato costantemente, per evitare che qualcuno se lo scordi :
l’alzabandiera prima dell’inizio delle lezioni in qualsiasi scuola, il ripetersi del “giuramento di fedeltà” “oath of allegiance” in molte occasioni, il culto della bandiera, delle forze armate, degli eroi di guerra eccetera, tutte cose che da noi in Italia  non si facevano tutte nemmeno nel periodo fascista che pure aveva giocato molto sul patriottismo- nazionalistico.
A confermare la natura di paese dalle mille contraddizioni, l’America è questo, ma questo non le ha impedito di ospitare 14  milioni di immigrati clandestini per lo più latino- americani provenienti dal Messico da una frontiera che non è chiusa da un muro, ma da un reticolato  robusto, misure elettroniche adeguate, pattuglie, cani elicotteri, ma i migranti vi sono passati in massa e continuano a passarci.
Sull’immigrazione (purchè diretta all’integrazione radicale) il papa quindi in pratica sfondava una porta aperta.
Ben diverso il discorso sulla pena di morte.
Se pure vi è stata negli anni una revisione abbastanza netta nell’opinione tradizionale una volta favorevole in modo quasi unanime, qui il sentire comune non è affatto in sintonia con le esortazioni del papa.
Negli Usa i cops, i poliziotti sparano con estrema disinvoltura, perché la stragrande maggioranza della gente condivide la linea dura.
L’America ha uno dei più alti tassi del mondo di carcerati.
Non solo, le idee di Cesare Beccaria secondo le quali la pena deve essere finalizzata al recupero, in America non sono affatto condivise, in quel paese chi varca le porte del carcere sa che ci va per scontare una punizione e che la  gente vuole che il secondino  “butti via “ la chiave della sua cella, perché  questo significa che la società lo ha “buttato via”.
Soluzione spartana, ma si ragiona in questo modo dai tempi dei padri pellegrini e poi del Far West fino ad oggi.
L’esortazione sull’abolizione del commercio delle armi poi, è ancora più drasticamente rifiutata dalla stragrande maggioranza degli americani.
Il possesso delle armi in casa e l’”esportazione della democrazia” con le armi” all’estero, sono considerati principi ovvi a difesa della libertà individuale e americana.
Non parliamo dell’ “economia speculativa”.
La morale civile americana è basata sul business e il business è basato sul profitto e la speculazione.
Il sentire comune americano si trovava più in sintonia con papi come Woytila e Rztzinger che per ragioni diverse avevano dimostrato vicinanza al modo di pensare americano che in Italia è abbastanza vicino alla forma mentis dell’Opus Dei o di Comunione e Liberazione : se hai successo e fai i soldi o acquisti potere questo significa che dio è con tè e che sei “rinato in Cristo”.
Papa  Francesco che si propone di riproporre il messaggio evangelico originario la pensa al contrario e non cessa di ripetere le sue convinzioni.
Questo papa, in carica da relativamente poco tempo noi eravamo ancora incerti su come decifrarlo.
Da questa visita in America è stato più esplicito del solito e quindi ha fatto in modo che lo conoscessimo meglio.
Per esempio ha dimostrato in modo molto chiaro di avere un bel caratteraccio.
Ci rimarranno impresse le immagini di quell’ormai anziano papa con tanto di sciatica che soffriva le pene dell’inferno, ma che con caparbia determinazione saliva da solo quella infinita scaletta dell’aereo, incespicando continuamente nella veste, anche per la assurda volontà  di tenere una mano occupata da quella consunta valigetta nera, che avrebbe più sensatamente dovuto portare qualcuno dei suoi assistenti.
Ma ha prevalso evidentemente l’amore dei simboli e la valigetta consunta significava molte cose : il possessore si presentava come una persona comune , dotata di basso reddito, e nell’atto di viaggiare come i migranti.
Il caratteraccio stava nel rifiutare categoricamente e probabilmente anche con modi bruschi di essere aiutato, quando ne avrebbe avuto bisogno e la scena si è ripetuta più volte.
Il  secondo indizio di un bel caratteraccio il papa lo ha esternato quanto sull’aereo del ritorno nell’usuale colloquio a tutto campo coi giornalisti si lasciato andare nella manifestazione della sua non più nascondibile disistima se non addirittura disprezzo per il sindaco Marino, guardato con pena e preoccupazione alla  vigilia dell’apertura del Giubileo.
Non è stato molto evangelico “uccidere un uomo morto”, come dicevano gli antichi.
Ma la vera dimostrazione della caparbietà e quasi durezza del suo carattere è stata proprio nella filosofia che ispirava la visita.
Il papa sapeva di  dire cose del  tutto non condivise dal comune sentire americano, ma lo ha fatto apposta senza usare diplomazie e imbellettamenti.
Evidentemente voleva con quello manifestare la radicalità sociale e morale del messaggio evangelico, che si era andato perdendo nei lunghi decenni dei due pontificati precedenti il suo.
E questo è il senso di tutto quel viaggio.
Vi è stata però anche una stecca evidente, messa abbastanza poco in evidenza dai media, esaltati dal successo mediatico dell’avvenimento.
Il papa, e qui viene fuori probabilmente ancora il ruolo del suo carattere forte, che a volte potrebbe essergli di danno,  si è intestardito a volere canonizzare un frate francescano del primo settecento che aveva “evangelizzato” la California con metodi tutt’altro che limpidi ed ancor meno evangelici.
Lo ha fatto per pure motivazioni politiche , cioè per la volontà di mettere vicino ai “padri fondatori” della nazione americana, di cultura e di lingua inglese, un nuovo presunto padre fondatore di cultura e di lingua spagnola.
Il tutto ovviamente per compiacere la comunità latino- americana non solo residente negli Usa, ma ormai parte, che potrebbe divenire addirittura maggioranza fra pochi anni al posto dei “bianchi”.
Comunità, manco a dirlo di religione cattolica- romana.
Junipero Serra, questo il presunto santo, è accreditato per avere cercato di mitigare un po’ i costumi indegni dei “conquistadores” spagnoli, nei confronti dei quali le SS apparirebbero degli angioletti, infatti si legge che avessero il costume di trattare le donne indiane come schiave sessuali al punto da portarsele in giro al guinzaglio come fossero cani.
Serra stesso nei suoi scritti descrive queste aberrazioni,  ma pare che l’elenco dei suoi presunti meriti ,che gli hanno valso la canonizzazione consistano proprio in quello che lui stesso ha scritto di aver fatto.
Risulta però che la sua “missione” californiana di San Gabriele fosse una specie di campo di concentramento dedicato ai lavori forzati, dal momento che  gli indigeni più fortunati, che avevano avuto il buon senso di “convertirsi”, non avevano affatto la libertà di allontanarsi dalla “missione”, pena la fustigazione o la morte.
Però uno dei meriti che Serra si accredita è quello di essere stato un antesignano della lotta alla pena di morte, dal momento che in un caso, aveva interceduto presso gli spagnoli perché risparmiassero la vita a un indigeno fuggito, perché così si potesse “convertire”.
Le associazioni dei nativi americani, pur  ridotti numericamente al lumicino hanno raccolto invano ben 10.000  firme contro la canonizzazione di Serra, ma il papa aveva già deciso che sarebbero prevalse considerazioni politiche.
Peccato, tanto più che a questo papa sudamericano sono certo ben note le gesta , dei gesuiti del Paraguai, che dal 1600 a  quegli stessi anni di Serra,  hanno costruito quelle “reducciones” del Guaranì, che sono passate, queste si alla storia, come gli unici tentativi di applicare i principi evangelici rispettando le culture locali, prima di essere cacciati dai Portoghesi, perché non difendevano il loro metodi colonialisti in base ai quali la “conversione” si otteneva con le armi e significava la riduzione in schiavitù degli indigeni stessi.
Questi gesuiti  di ben altre vedute avrebbero dovuto essere beatificati, non Serra.
E’ sperabile che in futuro papa Francesco rimedi a questa debolezza, che ha avuto, facendo prevalere  le ragioni della politica, cioè del potere, invece che quelle del Vangelo.





mercoledì 23 settembre 2015

Il vilipendio è un residuo dei reati di opinione di marca fascista e quindi va abolito



Come si vede dall’illustrazione qui sopra il passaggio dell’art. 290 del Codice Penale che definisce l’applicazione del reato di vilipendio dal testo originale del codice penale elaborato dal fascismo, a quello attualmente in vigore, ha lasciato intatto l’impianto illiberale d’origine, imbellettando solamente il testo con la sostituzione della terminologia relativa alle istituzioni fasciste e monarchiche con quelle repubblicane.
Ma rimane l’insensatezza di mettere alcune persone al di sopra della legge comune valida per tutti gli altri cittadini, come se fossimo ancora al tempo dell’assolutismo e la Rivoluzione Francese del 1789 non avesse mai portato al mondo la filosofia illuminista, i diritti umani eccetera.
Eppure abbiamo letto di una più  che sorprendente sentenza che condanna  il fondatore della Lega, Umberto Bossi alla pena assurda di 18 mesi, anche se fortunatamente siamo solo al primo grado di giudizio, per avere dato del terun all’allora Presidente Napolitano e un altro titolo all’allora premier Monti.
A confronto del linguaggio da suburra che è oramai divenuto indecentemente comune nei dibattiti di Camera e Senato, quei termini usati da Bossi e sanciti con tanta solerte pesantezza, sono fra i più corretti in circolazione e quindi la  pena inferta a Bossi ,lascia di stucco qualsiasi persona di buonsenso.
Esistono sempre i reati di diffamazione e di ingiuria, di stolking eccetera, ma sono  rilevabili solo a querela di parte.
Il vilipendio, che in questo caso ha visto avviare il procedimento penale per iniziativa di alcuni ben-pensanti, è invece nato come rilevabile d’ufficio, ovviamente per quasi divinizzare all’origine i monarchi e i gestori della dittatura fascista.
Che questo residuo del vecchio regime non sia stato spazzato  via dopo settant’anni di repubblica ci dice quale sia la sensibilità ideale e il livello culturale delle nostra classe politica.
Sembra che siano persone che non hanno seguito regolari corsi di studio e che quindi non conoscano bene la storia della Rivoluzione Francese e il senso dello stato liberale e rappresentativo contemporaneo.
Ci sono svolazzi illiberali che aleggiano in questi giorni, non c’è solo la anacronistica sanzione al presunto vilipendio.
Lo scrittore Erri De Luca sta subendo un processo con accuse pesantissime perché avrebbe incitato alla violenza i manifestanti no-Tav, e anche qui siamo vicinissimi al reato di opinione.
E il PD di Renzi, eternamente sottomesso a qualsiasi artificio tattico e di breve periodo pur di rimanere in sella, ha appena licenziato un disegno di legge sulla limitazione dell’uso delle intercettazioni telefoniche, più illiberale di quello che avrebbe voluto approvare il peggiore berlusconismo.
Ma si sa, Renzi sta per giocarsi il tutto per tutto al Senato nel voto sulla riforma istituzionale del Senato ed oltre ai voti già rimediati dal prode Verdini, veterano in quel ramo, pensa evidentemente che sia più prudente dare una contropartita di peso direttamente a Berlusconi ed al suo partito, per avere in cambio più  voti possibili.
E’ umiliante però vedere un quarantenne come Renzi, che è giunto al potere sull’onda della “rottamazione” del vecchio sistema e della casta politica precedente, che non dimostra la minima sensibilità per il tema dei diritti civili.
Chi gli ha dato quel famoso 40% alle europee, che ora si è sensibilmente ridotto, pensava di avergli dato il mandato di voltare pagina, per esempio cassando tutte le leggi ad personam di Berlusconi : conflitto di interessi, falso in bilancio, termini di prescrizione a fisarmonica eccetera.
Renzi finora non ha mantenuto per nulla  quelle promesse ed anzi quando si è mosso, come sul falso in bilancio a detta degli esperti, come per esempio il Prof. Flick, ha perfino peggiorato la situazione.
Stia attento perché chi gli ha dato quel mandato non è disposto a digerire di tutto ed almeno in parte si troverebbe costretto all’occorrenza a votare per esempio 5Stelle, come dimostrano i più recenti sondaggi di opinione.
In ogni caso, tanto per cominciare, una proposta di legge per l’abolizione del reato di vilipendio troverebbe in parlamento la quasi unanimità dei consensi.


martedì 22 settembre 2015

La riforma istituzionale di Renzi



Se Renzi cela fa a portare a  conclusione  la così detta riforma del Senato tanto meglio.
E’ da quando DeGasperi nel 1954 tentò senza successo  di far passare la  legge elettorale con premio di maggioranza, che i più avvertiti  fra i politici italiani  si erano resi conto che la struttura istituzionale  prevista dalla  costituzione basata su  un sistema  proporzionale  secco  e sul bicameralismo perfetto  era fatta in modo per non consentire  a nessun presidente  del  consiglio di governare veramente.
Nel  senso che con quel sistema di garanzia  qualsiasi presidente del consiglio non sarebbe stato in grado  di  realizzare il programma di legislatura per il quale era stato eletto.
I  costituenti è inutile ricordarlo  hanno avuto il difficile compito di conciliare le ideologie e le tradizioni di partiti  molto diversi  :democristiani, comunisti, socialdemocratici e liberali.
Ma soprattutto avevano tutti la grossa preoccupazione mai resa esplicita, ma che ispirò tutto il loro lavoro di delineare istituzioni che non consentissero il riapparire di avventure fasciste o di altro segno  perché i disastri  combinati dal  ventennio fascista erano sotto gli occhi di tutti.
Seguendo prima di tutto quella preoccupazione avevano badato  di limitare accuratamente i poteri del presidente del consiglio  bilanciandoli con quelli del parlamento  e nell’ambito del parlamento avevano badato  di  limitare il potere di un solo partito maggioritario, bilanciandolo col sistema elettorale di tipo proporzionale secco, che  costringeva  a fare alleanze fra partiti diversi.
In tutto il mondo si usa il termine inglese “premier” per indicare il capo del governo, ma in Italia i costituenti hanno accuratamente evitato di usare quel termine per usare quello molto più attenuato di “Presidente del Consiglio dei Ministri”.
Comprensibili quegli scrupoli, nel primo dopoguerra e dopo fascismo, ma con tutti quei bilanciamenti,  lo stesso DeGasperi, come si è sopra accennato, si rese conto che in quelle condizioni era pressoché impossibile governare, con una prospettiva a medio-lungo termine e quindi propose il passaggio ad una nuova legge elettorale con premio di maggioranza.
I social-comunisti, che col proporzionale secco lucravano in pratica un potere di interdizione, superiore alle loro dimensioni reali , si opposero strenuamente e quella legge non passò.
Dopo di allora i  governi durarono per periodi brevi, sempre in balia di alleati ben contenti di far valere il potere di veto, che dava loro il proporzionale.
Per di più le cose peggiorarono ulteriormente con il formarsi di potenti correnti organizzate all’interno dei partiti.
Renzi con il sistema elettorale “italicum” introduce il principio del premio di maggioranza (a un partito o a una coalizione ci sarà da vedere) e soprattutto punta a uscire dall’attuale sistema istituzionale bicamerale paritario.
Il sistema bicamerale completamente paritario è praticamente un unicum al mondo ed è un mostro di inefficienza nella produzione legislativa.
In Europa su 28 paesi  ben 15 hanno una sola camera; 8 ne hanno  due ma con compiti diversi e il senato è eletto in modo indiretto e cioè non dai cittadini ma da assemblee rappresentative; solo 5 hanno un senato eletto direttamente dal popolo ma con compiti più specifici rispetto alla camera.
Il progetto di Renzi è italicamente macchinoso,  ma risponde a due esigenze fondamentali : i senatori sono drasticamente ridotti di numero : 100 membri dai 321 attuali; poi e soprattutto non saranno più eletti direttamente, ma da assemblee rappresentative (Consigli regionali); infine il nuovo senato avrà competenze estremamente ridotte, perderà tra l’altro quelle di maggior peso come concorrere al voto di fiducia al governo.
Quindi complessivamente la riforma proposta si ispira a ragioni di funzionalità del tutto condivisibili.
Molti  costituzionalisti hanno storto il naso perché troverebbero il sistema che ne uscirebbe  dotato di troppo pochi contrappesi, che  bilancino i poteri del premier.
Sinceramente mi sembra assurdo avanzare osservazioni del genere se si pensa che lo scopo della riforma è esattamente conferire più poteri al premier e toglierne al senato esistente.
Ancora più sinceramente ritengo che gli alti lai che quotidianamente emette la minoranza PD non siano espressione di nessun disegno costituzionale alternativo, ma solo della pura e semplice paura di perdere il loro attuale potere, il che é esattamente la funzione e lo scopo della riforma.
Dei giuristi puri, cioè non sviati nel giudizio da motivazioni o interessi di parte politica argomentano che la riforma è giuridicamente architettata in modo pasticciato e scarsamente coerente.
E questo è l’argomento che mi sembra condivisibile.
In materia costituzionale, il principale cultore italiano di scienza politica, Giovanni Sartori, oggi ultra novantenne, aveva sostenuto giustamente anche con molti articoli divulgativi sul Corriere, che tale materia esige un disegno ispiratore, coerente alla base e che non si possono fare dei puzzle assemblando pezzi di sistemi costituzionali diversi, ispirati a consuetudine storiche o architetture diverse.
Quello che però mi sembra fondamentale è che la riforma si faccia, nel senso di superare l’attuale bicameralismo paritario, che con la sua inconcludenza ha contribuito non poco a  generare sfiducia e discredito nei confronti della politica.
Certo che se si vanno a vedere i meandri tecnici della riforma in fieri, viene da dire che l’abolizione pura e semplice del Senato, sarebbe stata più sensata.

Ma accontentiamoci di quello che può passarci il convento oggi, piuttosto che andare avanti come prima.  

giovedì 17 settembre 2015

Il problema immigrazione non si risolve a Bruxelles ma in Siria, in Libia, Eritrea



Abbiamo purtroppo una classe di politici europei più che mediocri, che però ,per mezze  calzette  che siano, sanno benissimo che  il  flusso  dei migranti  in crescita incontrollata si risolve alla partenza e non all’arrivo.
Questi politici, però, purtroppo per noi, non sanno proprio che pesci pigliare per distribuirsi i migranti all’arrivo, cioè, dove comandano loro e quindi a maggior ragione hanno difficoltà solo a pensare come intervenire  alla partenza, dove loro non comandano affatto e dove quindi i problemi si risolvono solo con le armi.
Per cercare di mascherare le loro pochezza ci inondano di scemenze “ buoniste” a base di  solidarietà e accoglienza senza si e senza ma, salvo spaventarsi da morire quando si accorgono che i migranti in marcia sono decine di miglia, che in potenza possono diventare centinaia di migliaia e poi milioni.
Naturalmente poi quando si parla di politica estera seria,cioè di come mettere le mani  sull’intrico Medio orientale, sono unanimi nel dirci ,sapendo di mentire, che tutto si deve risolvere per via diplomatica.
Peccato però che né in Siria,né in Libia esistono forze o schieramenti ben definiti coi quali eventualmente trattare,e quindi invocare la via diplomatica è un inutile esercizio verbale.
Certo che è  ben comprensibile ritenere che occorre pensarci bene e fare bene i calcoli, prima di  intervenire militarmente, dopo  i risultati disastrosi e di fatto perdenti delle precedenti guerre inutili di Bush in Iraq e in Afganistan, ed a quella successiva spensierata avventura condotta in Libia per cacciare l’unico in grado di tenere a bada quell’intricato coacervo di tribù e fazioni che è quel paese.
Siamo talmente messi male in Europa e in occidente che ci troviamo a constatare che gli unici statisti che non ci raccontano su questo tema delle  balle indecenti pare siano solo Putin e Papa Francesco, che non a caso si sono di fatto ritrovati alleati, addirittura strategici nell’area medio orientale e non solo.
Di tutti i nostri politici il leader dell’Occidente, Obama è quello messo peggio.
Ha tergiversato per tutto il suo primo mandato, dimostrando di non avere mai scelto alcuna strategia per il Medio Oriente, e non poteva proprio permettersi una tale inerzia.
Nel  secondo e ultimo mandato è vero che ha messo a segno un grosso punto a  suo favore portando in porto l’accordo con l’Iran.
Questa è un’ottima cosa,  alla quale però non sembra capace di dare un seguito conseguente.
Per capirci, oggi tutti gli osservatori di un certo livello sono concordi nel rilevare che il caos che regna in quell’area è dovuto quasi unicamente agli errori marchiani di Bush e delle sue guerre insensate.
Tutto è cominciato con l’11 settembre 2001 e l’abbattimento delle torri gemelle  a New York,  dell’attacco al Pentagono, eccetera.
Gli attaccanti erano stati tutti quanti opera di cittadini sauditi e di conseguenza gli Usa avrebbero dovuto far pagare il conto alla decrepita monarchia saudita.
Però la famiglia Bush, coi sauditi hanno scritto i giornali che avesse fatto  affari da sempre e forse a causa anche di questo, incredibilmente, l’Occidente è stato acriticamente trascinato a fare una guerra ai taliban afgani ed a Saddam, che con l’attacco all’America dell’11  settembre non c’entravano assolutamente   nulla.
Il tutto giustificato da panzane non provate perché non provabili, essendo state pure menzogne, come quella delle  fantomatiche armi chimiche che avrebbe detenuto Saddam e che  nessuno ha mai rintracciato.
Quelle guerre per di più furono mal condotte e  peggio gestite dopo la cacciata di Saddam dall’Iraq e dei Taliban dal potere in Afganistan.
Tutto è finito malamente perché Bush ha fatto le guerre ,con quello che sono costate, senza avere una qualunque strategia pronta per gestire il dopo-guerra, e la cosa è stata poi aggravata dalla scelta di  personaggi del tutto incapaci e nel caso afgano anche corrotti, designati da Bush per gestire Iraq e Afganistan.
E così oggi, oltre ad avere ancora l’Iraq alla mercè quasi totale del Isis e i Talibani che detengono di fatto il potere reale in Afganstan, esattamente come prima  della guerra, in più  abbiamo la Siria e la Libia nel caos più assoluto.
Poi abbiamo i sauditi e gli sceicchi del golfo, che di fatto, essendo sunniti, che fanno riferimento al wahabismo, che è una teologia forse ancora peggiore di quella dell’Isis,  in realtà appoggiano l’Isis, e contemporaneamente anche un po’ gli avversari dell’Isis, perché hanno una paura matta che l’auto-nominatosi califfo dell’Isis stia già tramando per allargarsi alla penisola arabica per cacciarli e prendersi il loro petrolio, oltre che i luoghi simbolo dell’Islam.
Ma limitiamoci al disastro della Siria.
Quattro anni di guerra civile, oltre 250.000 morti, 4 milioni di espatriati, 8 milioni sfollati all’interno  del paese, su un totale di 22 milione di abitanti.
Attualmente il governo di Assad, controlla solo Damasco (che pure ha dei quartieri minacciati) e un quarto di quella che era la Siria, cioè controlla solo quelle regioni che volgono da Damasco a nord e verso il mare e che ,guarda caso, sono proprio l tradizionali regioni abitate dagli Aleuiti, la versione dell’Islam Shiita , alla quale appartiene la dinastia degli Assad.
Sull’altra parte del fronte,  ci sono  l’Isis che controlla gran parte della Siria centrale, ed i Curdi, che sono l’unica forza, insieme a quel che rimane dell’esercito siriano, in grado di contrastare in modo stabile e credibile l’Isis.
Poi ci dovrebbero essere delle fantomatiche milizie di opposizione al regime di Assad, delle quali Usa ed Europa hanno enfatizzato per anni la presenza, che però si sono rivelate del tutto inefficienti sul piano militare e che comunque non contano oggi quasi nulla, essendo per di più divise in cento fazioni.
Assad essendo  l’espressione delle tribù aleuite (che fanno riferimento all’Islam sciita, come si è detto sopra)  nel mondo arabo trova appoggio appunto solo di correligionari sciiti e cioè dall’Iran e dagli Hezbollah stanziati in Libano.
I sunniti sauditi o  del golfo, gli sono contrari, anche se temono l’Isis.
La Turchia di Erdogan gioca una partita ancora più sporca e contradditoria, appoggiando contemporaneamente l’Isis in funzione anti curda e i raid americani contro l’Isis.
Le potenze occidentali tergiversano e la tirano in lunga prendendo o nessuna posizione o posizioni generiche per non fare nulla se non appoggiare timidamente i soli raid aerei americani, che da soli servono quasi a niente.
Come è facile osservare in una situazione di caos assoluto come quella sopra descritta i numeri sopra riportati  sono solo stimati dalle organizzazioni internazionali, essendo difficilissimo controllarli, ma sulla base di quelli è lecito ipotizzare la possibilità che altri 10 milioni di Siriani si mettano  in marcia  verso la Turchia per venire in Europa.
E’ un numero enorme e chiaramente insostenibile se si pensa che un grande espero di Africa come Romano Prodi, continua ad ammonire : attenti all’Africa che potrebbe mettere in movimento milioni di persone.
E’ quindi sempre più ridicolo stare a vedere chi in Europa giocherebbe la parte del buono e chi la parte del cattivo, perché in una situazione potenzialmente apocalittica, come quella sopra illustrata è sempre più evidente che gli statisti veri si dovrebbero occupare prima di tutto di come affrontare questi movimenti epocali alla partenza e non all’arrivo.
L’amara verità che costringe questi politici di mediocre caratura a tergiversare è che i veri problemi di questi esodi apocalittici  si risolvono solo mettendo insieme delle grosse forze armate, capaci di sconfiggere militarmente il presunto Califfo, che non sta affatto scherzando e nemmeno sta retrocedendo di un passo, anzi…
E se i nostri politici non hanno gli attributi o la visione strategica per prendere il toro per le corna saranno costretti a fare comunque la guerra per procura o di fatto tramite “soldati di ventura” come si faceva 5/600 anni fa, ma la guerra bisogna farla comunque, per sgradevole che sia parlare di guerra, quando nessuno ha più voglia di farla.
Come si diceva sopra, è sorprendente constatare che l’unico statista che ora non racconta favole ma che sta preparando la logistica per una azione militare seria è il tanto criticato Putin.
E  papa Francesco, che pure fra tanti voli ideali, come è giusto che faccia il papa, tiene ben ancorati i piedi per terra , da molto tempo ha indirizzato il suo, tutt’altro che trascurabile apparato diplomatico, a sostenere Putin ed a stigmatizzare l’incapacità  ad agire in Medio Oriente dei governi occidentali.
Papa Francesco ha scelto Putin, in quanto lo ha riconosciuto come capo dell’unica potenza che si mette in grado di agire a difesa delle comunità cristiane, cattoliche od ortodosse che siano,  senza sproloquiare a vanvera sui musulmani buoni, i  profughi tutti uguali, senza se e senza ma , eccetera eccetera.
Putin sembra avere un suo disegno strategico diretto a consentire ad Assad di ritirarsi dalla scena in modo per lui accettabile, lasciando il potere ad un  esponente più presentabile del suo regime, che al meno a breve periodo deve essere aiutato a rimanere in piedi, essendo la maggiore forza organizzata contro l’Isis nella regione.
Contemporaneamente il resto  del mondo deve trovare il modo di coalizzarsi per sconfiggere militarmente l’Isis.
Questo è un piano strategico credibile, il resto sembrano solo chiacchiere.
Si noti che lasciare che la Siria si spopoli ulteriormente del suo popolo, spingendo tutti a espatriare, significa puramente e semplicemente fare il migliore regalo possibile all’Isis.

Ed è inutile illudersi come fa ancora Obama, che quella guerra se la debbano  fare gli arabi, come apparirebbe sensato solo in teoria, trattandosi della loro regione, perché questi regimi arabi, non ne hanno la minima intenzione e forse non ne hanno nemmeno la capacità, come stanno dimostrando le truppe saudite impegnate nello  Yemen, contro altri arabi, ma di confessione shiita, dove hanno dimostrato di avere armi e mezzi modernissimi, ma di non avere nessuna capacità militare.

giovedì 10 settembre 2015

Papa Francesco è uomo di grandi visioni, anche sul tema immigrazione ma è lasciato solo



Ma perché il Papa invece di predicare a favore dell’accoglienza dei migranti non si decide ad accoglierli lui utilizzando le infinite strutture immobiliari della chiesa?
Questa domanda è stata rilanciata da mesi sui media per esempio da Matteo Salvini, che ne ha fatto uno dei suoi cavalli da battaglia.
Sarà anche uno slogan da bar sport, ma è difficile negare che abbia una sua logica.
Papa Francesco veleggia molto più in alto, ma ora vive  in Italia e dei problemi dell’immigrazione in Europa e in Italia in particolare si interessa e si documenta.
Da papa che si è posto l’obiettivo strategico di riportare la chiesa alla sua missione evangelica lasciando per la strada dogmatismi che non interessano più a nessuno, ricerca spasmodica di potere e soldi , difesa di tutti i privilegi acquisiti eccetera, non solo si è interessato e documentato sul problema, ma da mesi e mesi ha preso posizione ed ha emanato direttive.
Il risultato sconfortante delle sue prese di posizione e direttive emanate, è stato riassunto dal vaticanista del Messaggero pochi giorni fa che ha fatto questa semplice constatazione : in Italia ci sono 224 diocesi con altrettanti vescovi, ebbene il papa da quasi un anno  aveva invitato i medesimi vescovi a farsi promotori nelle loro diocesi di commissioni che producessero non già studi ma proposte e iniziative sul tema immigrazione focalizzate sulla loro realtà territoriale.
Il problema è che non risulta che una sola diocesi su 224 abbia prodotto alcunché seguendo le direttive del papa.
Con molto e ingiustificato ritardo a seguito delle continue prese di posizione del papa i vescovi hanno almeno iniziato a dare direttive perché le parrocchie cominciassero a farsi carico di un minimo di accoglienza.
Scola a Milano, Nosiglia a Torino, Monari a Brescia e con ancora più decisione Bagnasco a Genova hanno dato direttive precise per aprire le porte.
Mons.Perego  direttore della fondazione Migrantes, braccio  della Cei per l’immigrazione, ha fatto due conti molto semplici : se ci sono in Italia ben 27.133 parrocchie, anche un impegno minimo da parte di ognuna potrebbe portare a risultati addirittura eclatanti.
Una famiglia media di quattro persone di profughi accolte da ogni parrocchia , consentirebbe alla chiesa di accogliere addirittura 108.000 persone.
E se si pensa che nelle varie strutture statali oggi ne sono ospitate circa 90.000 si capisce quanto pesi quel numero teorico di 108.000.
Se poi si pensa che oltre alle parrocchie, la chiesa dispone anche di un’altra possente armata di conventi e strutture annesse, si potrebbe arrivare a numeri impressionanti, ho letto di una quantificazione approssimata di edifici riconducibili alle varie congregazioni  che arriva addirittura a 60.000.
Basterebbe solo avere la voglia di passare dalle belle parole ai fatti concreti.
Perché il passaggio è così difficile e il papa risulta quindi essere  lasciato solo?
Oggi sul Fatto Quotidiano il vaticanista di quel giornale riporta un servizio con interviste ad alcuni parroci che sono ancora una volta raggelante.
Molti preti infatti rispondono in questo modo : ma non vedete, la gran parte di noi siamo vecchi ed avremmo tutt’al più bisogno noi di badanti.
C’è chiaramente la realtà di una chiesa complessivamente vecchia e spompata.
Se poi ci aggiungiamo i danni fatti dai decenni di pessima  teologia ed ancora peggiore prassi con i pontificati di Woitila e di Ratzinger, che hanno reso irrilevante la predicazione cattolica per l’uomo moderno, completiamo il quadro.
Naturalmente di fronte a numeri elevatissimi come quelli che abbiamo citato sopra per misurare la potenza sulla carta delle armate cattoliche sul territorio, ci sono anche realtà ancora efficienti, ma probabilmente ci vuole altro.
Oltretutto le poche realtà ancora vive sono spesso vive non perché abbiano a capo campioni di spiritualità, ma invece perché dispongono di pochi efficenti preti- manager che si danno un gran da fare per mettere insieme tutte quelle iniziative che spetterebbero ai pubblici poteri o alla società civile che invece latitano : assistenza ai giovani con i grest ,strutture sportive, assistenza agli anziani, assistenza ai crescenti poveri con mense e posti letto, eccetera.
Ma è questa la chiesa, quella che fa supplenza ai servizi pubblici che non ci sono? Ne dubito molto.
Meglio quelle strutture che niente, per venire incontro alle esigenze ed ai problemi delle famiglie, ma la chiesa che si riduce a supplenza si snatura, perché la gente ne usufruisce come erogatrice di servizi, non perché è la chiesa, questo è evidente.
Nell’assistenza ai migranti abbiamo visto che la chiesa avrebbe abbondantemente i mezzi per fare la sua parte.
Però anche qui attenzione.
Non per fare supplenza a quello che dovrebbe e che deve fare lo stato, ma perché dare una prima assistenza ai migranti è un modo di dimostrare di essere veramente chiesa.
Guai pero se questa assistenza si istituzionalizzasse.
Le porcherie che le indagini giudiziarie stanno portando alla luce a carico di cooperative che riportano senza vergogna nella ragione sociale sigle esplicitamente religiose, siano di monito.
Purtroppo questa chiesa italiana prima di predicare agli altri ha necessità di dare molto di scopra al suo interno, per riacquistare un minimo di credibilità.
Papa Francesco  ha dato le direttive, ora però  eserciti l’enorme potere personale che ha.
I vescovi che dormono possono anche essere destinati ad altri incarichi e così via.
Sulla curia si può anche fare il corrispondente di una bella “spending revue” seguita da tagli anche lineari.
Questa è l’unica cosa che gran parte di quell’alto clero capisce : occorre tagliare gli emolumenti e questo il papa lo può fare, a meno che non tema, magari a ragione, di essere avvelenato, come nella storia della chiesa è capitato più volte.

L’esercizio della carità seguirà, ma prima occorre fare quaresima e penitenza, per purificare l’anima, questo abbiamo appreso fin da ragazzi.

mercoledì 2 settembre 2015

Migranti : vediamoci un po’ di numeri e lasciamo momentaneamente da parte slogan e prediche



L’ultimo giorno di agosto il pittoresco, ma preparato Oscar Giannino sul Messaggero ha scritto un articolo- saggio nel quale ha tentato di mettere in ordine una serie di numeri sul fenomeno immigrazione che consentisse di fare quattro conti elementari.
L’ho letto con molto interesse anche perché dimostrava quanto è più difficile passare dalla politica spettacolo dei  talk shaw al  lavoro serio di cercarsi una documentazione attendibile.
Non è una novità, viviamo in un paese complicato, sono andato a controllare i dati  citati da Giannino nei siti istituzionali o delle associazioni-organizzazioni che si occupano di questo problema e ho  toccato con mano il  fatto  che per affrontare problemi complessi si costruiscono  con successioni di leggi decreti ecc. organizzazioni barocche spesso opache e non trasparenti, e così i numeri sfuggono ,ma il problema è che i soldi che questi apparati manovrano continuano a uscire  continuamente.
Il caso delle famose cooperative implicate in mafia -capitale  con le quali chi le gestiva faceva dei  bei soldi con la gestione degli immigrati, insegna.
Cominciamo con qualche numero essenziale.
Gli sbarchi in Italia sono passati dai 15/20.000 dei primi anni 2000 ai 170.000 dell’anno scorso ed ai previsti oltre 200.000 di quest’anno.
Se allarghiamo l’orizzonte all’Europa intera si presume per l’anno in corso un flusso complessivo di 600.000 persone.
Non si può quindi negare che il fenomeno sia vistoso e in forte crescita.
Numeri  elevati e in crescita, d’accordo, però le organizzazioni internazionali e l’attuale gerarchia cattolica, obiettano che non dovremmo spaventarci per due ragioni :
1-avremmo le risorse per occuparcene;
2-ci sono stati che fanno molto ma molto di più e non si lamentano e citano il Libano che ospita 1,1 milioni di profughi su una popolazione di 4 milione di abitanti; la Giordania che con 6 milioni di abitanti ospita 2 milioni di profughi; la Turchia che ospita 1,7 milioni di profughi con 77 milioni di abitanti
Verissimo sui numeri, ma non si trascuri il fatto che in quei paesi c’è affinità etnico, culturale e religiosa, sono musulmani che vanno in stati musulmani, anche se mettere insieme sciiti e sunniti non è così semplice come mettere insieme cattolici ,ortodossi e protestanti, però ci  sono moltissimi riferimenti di fondo e questo conta moltissimo.
Altro argomento usato soprattutto dalle organizzazioni internazionali è questo che è vistosissimo : in un anno si calcola addirittura in 14 milioni il numero delle persone che decidono di abbandonare il proprio paese a livello mondiale e viene usato per dire : vedete bene che il carico sull’Europa è quindi minimo.
L’argomento è troppo grezzo per essere usato in questo contesto perché per lo più indica spostamenti nella stessa area geografica , non tiene conto del fatto che i confini segnati dopo la decolonizzazione sono cervellotici e che molti gruppi etnici sono trans- nazionali (vedi  Kurdi, Masai, ecc.).  
Numeri importanti di musulmani che arrivano in Europa creano molti più problemi anche se non si considerassero i rischi di infiltrazioni terroristiche.
Veniamo a qualche numero sui soldi, che richiede l’accoglienza.
Giannino in quell’articolo riesce a mettere insieme una spesa annua di circa 3 miliardi e mezzo, avvertendo però che si tratta di una stima per difetto.
Contro questa spesa, abbiamo entrate che ci vengono da appositi fondi europei, che sono però lontanissime dal coprire le spese, dal momento che riceviamo o piuttosto riceveremo  per quest’anno circa 470 milioni.
Come li spendiamo quei 3 miliardi e rotti?
Li spendiamo finanziando una rete di strutture, create ad hoc da leggi e decreti successivi.
Il Ministero degli interni conta ben 5 tipi di “centri” di accoglienza con denominazioni diverse a seconda del servizio che espletano.
-la prima accoglienza, per esempio  a Lampedusa, per intenderci è fornita dai CPSA (centri di primo soccorso e accoglienza) dove gli immigrati vengono “fotosegnalati” e basta, e poi da questi centri si viene trasferiti ai centri di identificazione eccetera;
- dai CPSA si va ai Cda (centri di accoglienza) o ai Cara (centri di accoglienza per i richiedenti asilo). Lo scopo di questi centri è (dovrebbe essere) prima di tutto l’identificazione e non essendo ancora abolita la Bossi Fini il sito del Ministero Interni  dice anche che deve essere accertata “la regolarità o meno della loro permanenza in Italia”, cosa abbastanza ridicola, perché se sono lì è perché non hanno passaporto e visto o permesso  di soggiorno.
Ai Cara si riceve la richiesta di acquisire lo stato di rifugiati che si ottiene se si può dimostrare :”di avere il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione,nazionalità,appartenenza a un determinato gruppo sociale  o opinione politica”.
Il migrante può anche richiedere di usufruire della “protezione sussidiaria” per colui che non possiede i requisiti di rifugiato ma “ vi sono fondati motivi per ritenere che se ritornasse nel suo paese …correrebbe il rischio di subire un grave danno”.
Si apprende anche che le donne che affermano di avere subito violenza possono ottenere lo status di rifugiato, così come i minori  non accompagnati.
I Cara gestiscono una spesa annua di 225  milioni, per assistere 9.000 persone.
-il Ministero poi elenca gli SPRAR (sistema di protezione per  i richiedenti asilo e i rifugiati), che sono gestiti dagli enti locali o dai “soggetti del terzo settore”, cioè cooperative, Onlus, diramazioni della chiesa ecc.
Questi enti e organizzazioni ricevono il finanziamento presentando domanda a seguito di bandi emessi dal Ministero.
E’ significativo constatare che di 8.000 comuni italiani solo 456 hanno concorso per gestire programmi di assistenza su base volontaria.
Qui parliamo di una spesa annua di 225 milioni che è una cifra di una certa consistenza, per assistere 20.000 persone.
-si ricava poi l’esistenza dei Cas (centri di assistenza temporanei) che sono allestiti appunto in via temporanea e che assistono ben 57.000 persone, assistono quindi un numero di persone in forte aumento.
Questi Cas, non sono al momento reperibili nell’elenco del Ministero e questo dimostra la forte difficoltà a mettere insieme dei numeri attendibili per avere una comprensione adeguata del fenomeno e soprattutto per stimarne i costi in modo almeno approssimativo.
-esistono  i CIE (centri di identificazione e di espulsione) dove dovrebbero finire i richiedenti asilo che risultano senza i requisiti necessari.
Sono deputati a “identificazione, espulsione, rimpatrio”.
Le condizioni quindi fanno presumere una situazione di libertà personale quanto meno limitata.
Il numero complessivo di migranti “assistiti” è  attualmente di 87.000 persone.
I numeri essenziali sono quindi quelli sopra elencati, su questi si può ragionare, contando sull’enorme vantaggio della matematica che è obiettiva per definizione.
Non così però è l’uso dei numeri nelle polemiche ideologiche o politiche.
In questi campi la prima precauzione da avere è quella elementare di non confrontare mai “mele” con “pere”, cioè rimanere sempre  nell’ambito di grandezze dello stesso genere.
Tanto per intendersi un esempio comunissimo di uso scorretto dei numeri è quello praticato in genere dai “buonisti”, favorevoli ad aprire le porte ai migranti “a prescindere” da qualsiasi altra considerazione, quando argomentano in questo modo  : l’assistenza ai migranti ci costa per anno
3 miliardi e rotti, ma gli immigrati che lavorano in Italia versano fra tasse, contributi eccetera 16 miliardi e quindi sarebbe convenientissimo aprire tutte le porte.
Non ci siamo, perché si confrontano “pere” con “mele”, non ha alcun senso infatti confrontare i versamenti allo stato degli immigrati lavoratori, ormai inseriti in Italia, col costo per assistere gli immigrati pervenuti in Italia, che sono per la quasi totalità “in transito” per raggiungere i paesi nordici.
L’Italia l’anno scorso ha riconosciuto il diritto d’asilo a 20.000 persone su 65.000 che ne avevano fatto richiesta e di questi 20.000 si presume che solo una piccola parte sia rimasta nel nostro paese.
In conclusione, i numeri ci sono e sono grossi, ma non perché in teoria siano tali che il paese non sia in grado di gestirli, tanto più che si tratta per lo più di persone “in transito”.
Il problema vero è che l’Italia non è né la Francia (che ha assorbito milioni di persone provenienti dalle sue ex-colonie) né l’Inghilterra (che ugualmente ha assorbito un numero enorme di persone dall’ex-Impero) né la Germania (che ha assorbito l’unificazione con la ex Germania comunista ed ha una comunità di immigrati turchi molto consistente), l’Italia non ha mai fatto l’esperienza di ricevere e integrare consistenti flussi di immigrati di altri continenti, etnie, culture e religione e quindi sente il problema in modo più marcato come fosse una minaccia, tanto più che siamo un paese in crisi economica da vent’anni.

Con questa condizione di sofferenza,  dovere trovarci ad essere stati fino a ieri quasi gli unici in trincea per assorbire il primo impatto coi flussi  è un fatto che ha reso la nostra percezione del fenomeno quasi come di un evento potenzialmente tragico e quindi sarebbe ora che la politica riconoscesse che il problema è avvertito fortemente, prima che strutture democratiche già graciline diano segni di cedimento.