sabato 29 gennaio 2022

Luca Zaia Ragioniamoci sopra .Dalla pandemia all’autonomia Marsilio Editore – recensione

 



Luca Zaia ,il Governatore del Veneto ,è un personaggio veramente singolare.

Sulla stampa spesso c’è qualcuno che si chiede come mai non si attivi per sostituire il segretario della Lega, Salvini che dopo i pur clamorosi successi iniziali non imbrocca più una mossa azzeccata neanche per sbaglio.

Ma incredibilmente nelle 164 pagine di questo libro il termine “Lega” lo si trova scritto forse una o due volte, non credo di più.

E lo stesso autore tiene a definirsi come amministratore e non come politico.

Lo capisco o almeno cerco di capirlo perché in effetti da tutto il libro traspare una gran voglia ed orgoglio di “fare” cose concrete come amministratore pubblico negli enti locali (Comune, Provincia, Regione) in quel determinato territorio che l’autore sente fortemente come la sua terra. Però l’autore medesimo è stato anche ministro e quindi non può ignorare di calcare il mondi della politica praticamente da sempre.

Voglio dire che dopo aver letto il libro direi che Zia è assolutamente in buona fede quando proclama di sentirsi amministratore più che un politico, ma obiettivamente il discorso ha un senso obiettivo?

Non credo proprio, come non credo abbia un senso la distinzione che oggi appassiona molti fra “tecnico” e “politico”.

Per fare l’esempio più emblematico come si fa a dire che Draghi per tenere l’incarico che a tenuto nelle UE non abbia esercitato tutte le sfumature delle arti politiche?

E’ sicuramente molto più politico lui in quanto competente di politica dei segretari dei partiti che lo sostengono o lo avversano.

Potremmo argomentare che Draghi non è iscritto a nessun partito e non è stato eletto.

Vero ma questo è un altro discorso che comunque non gli impedisce di essere Presidente del Consiglio dei Ministri.

Ma se torniamo a Zaia la distinzione amministratore-politico è ancora di più di lana caprina e nella sostanza non ha basi obiettive se non nella percezione soggettiva dell’interessato.

E’ un atteggiamento che ripeto capisco che sia giustificato come sensazione dell’autore, ma che non può essere sostenuta perché diviene una formula invocata per sfuggire a una parte importante delle proprie responsabilità, come personaggio pubblico.

Se poi andiamo a vedere che lo stesso atteggiamento è tenuto anche con la stessa convinzione da Massimo Fedriga, Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia scopriamo che si tratta di un modo di pensare molto diffuso nella Lega fin dai tempi di Bossi.

Ma è intrinsecamente sbagliato perché l’amministratore pubblico è un politico per eccellenza, in quanto eletto direttamente dal suo popolo, se così non fosse gli enti potrebbero benissimo essere governati dai dirigenti tecnici, detti anche burocrati, ma questo è proprio quello che i Leghisti aborrono.

E quindi che si prendano la loro responsabilità nella gestione del loro partito senza delegare la gestione politica a presunti fenomeni.

Il meglio del libro di Zaia è l’appassionata esaltazione dello spirito veneto che ha delle sue peculiarità innegabili.

Il Veneto è passato da terra dove si faceva la fame e che costringeva almeno una parte delle famiglie ad emigrare per sopravvivere in ogni parte del mondo, al miracolo del Nord Est degli anni 70 e 80 che ha portato la regione a un elevato livello di benessere con la più alta percentuale di piccoli capannoni industriali del Paese.

La narrazione di Zaia per la mia esperienza personale ha sfondato una porta aperta, dato che la mia famiglia ha antenati veneti e quindi la sua descrizione dello spirito veneto faceva già parte del mio Dna.

Nelle storie della mia famiglia è un fatto scontato quello di considerare il cittadino Veneto come uno che nasce con la cultura lavorativa della partita Iva, con lo spirito del piccolo imprenditore autonomo nel sangue, che si costruisce la propria autonomia con la caparbietà con la quale fa il suo lavoro.

Zaia sforna pagine e pagine nelle quali narra e documenta con orgoglio quanto ha fatto il Veneto per contrastare l’epidemia dimostrando di avere un sistema sanitario di eccellenza e ben gestito.

Rivendica le sue scelte sopratutto nella determinazione di aver parlato ogni santo giorno alla sua gente in una conferenza stampa facendo il punto della situazione in modo da responsabilizzare tutti tenendoli informati costantemente di quello che facevano i loro “amministratori”.

E’ noto che Zaia è forse il più convinto assertore delle virtù dell’autonomia regionale.

Lui dice in sostanza : abbiamo fatto molto e con successo, ma se avessimo avuto più autonomia avremmo potuto fare ancora meglio per contrastare la pandemia come ha fatto per esempio Israele prendendo due piccioni con una fava cioè bloccando la diffusione della pandemia consentendo però alla gente ed all’economia di procedere quasi normalmente.

Sono interessanti le sue proposte in merito all’ autonomia differenziata cioè da conquistarsi “per merito”.

Zaia è il classico self made man, venuto da una famiglia contadina povera del veneto profondo, che ha saputo emanciparsi lavorando duramente.

Ha saputo prendere l’ascensore sociale basato sul lavoro sopratutto autonomo ed è convinto che questa sia la ricetta buona per tutti.

Ci parla di sanità e istruzione da finanziare al massimo e da considerare fiori all’occhiello.

Ma sa benissimo anche a ragione della sua formazione professionale (prima perito agrario e poi Medico Veterinario) che l’enorme potenziale che il Veneto può e deve sfruttare è il turismo sostenuto anche dalle eccellenze agricole di quella Regione.

Zaia ha una marcia in più rispetto ai politici dei quali ho letto e recensito le biografie e consiste nel fatto che ha realmente una visione strategica della politica.

Scrive e ripete nel libro che ora il Veneto rispetto al passato è ricco, ma che i soldi ci vogliono ma non bastano.

Ci vuole la cultura per affrontare un presente e un futuro sempre più complicati.

La sua concezione di autonomia è prima di tutto un’acquisizione culturale.

Grossa affermazione per un esponente della nostra classe politica, che di solito non sa andare oltre a proclami populisti ispirati da una tattica di corta visione.







martedì 25 gennaio 2022

Luigi Di Maio : Un amore chiamato politica La mia storia e tutto quello che ancora non sapete – Piemme Editore – recensione

 


Tempi duri per i politici.

Lo sappiamo tutti che il livello di credibilità della classe politica è arrivato ai minimi storici.

Di conseguenza è ovvio che un leader politico che si scrive la sua biografia ,ovviamente in collaborazione col suo gost-writer del momento è difficile che sia tanto sciocco da eccedere nell’auto esaltazione tutt’al più dovrebbe essere costretto a giocare in difesa.

E questo mi sembra anche il caso di Luigi Di Maio leader di fatto del Movimento 5 Stelle che ha delle caratteristiche peculiari per la giovanissima età del personaggio, che fa sì che di Di Maio non si sappia molto.

Purtroppo per lui quello che in genere si crede di sapere si riduce a quello è quello che i suoi avversari politici ,Berlusconi in testa gli hanno appiccicato addosso.

Il re dei media è infatti riuscito a battezzarlo una volta per tutte, tanto per cambiare, con una foto definita assolutamente un fake dallo stesso Di Maio, foto che ritrae un giovane che vende le bibite allo stadio del Napoli con la faccia di Di Maio.

Da allora la gente pensa di sapere per certo che Luigi Di Maio sarebbe un giovane senza né arte né parte, miracolato dalla politica.

Leggendo il libro pare proprio che le cose stiano in un modo completamente diverso e questa è la ragione per la quale ho letto questo libro e dopo averlo letto e trovato ben costruito con una narrazione verosimile e documentata, invito a leggerlo.

Di Maio non ha lauree da esibire questo è vero, però è uscito bene da un liceo classico, che tuttora è una scuola severa e meritocratica.

Dopo si è iscritto a Ingegneria Informatica e infine a Giurisprudenza ma è stato ben presto risucchiato dalla politica attiva, che del resto aveva cominciato a praticare come rappresentante di classe, poi di istituto al liceo e in seguito come Presidente del Consiglio degli studenti all’Università.

Padre piccolo imprenditore edile e madre insegnante di italiano e latino.

Inizia l’attività politica vera e propria animando i meetup del neo nato Movimento 5 Stelle al suo paese Pomigliano D’Arco.

Da lì parte una carriera travolgente come quella del suo Partito che allora si fregiava del titolo di “non partito” a iniziare dalla conquista del primo seggio parlamentare nel 2013.

Vice Presidente del Consiglio, Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico nel governo Conte I , diventa Ministro degli esteri nel Conte II ,dicastero che conserva nel Governo Draghi tutt’ora in carica.

Stiamo parlando di un esponente politico che alle elezioni che hanno espresso il parlamento in carica fino al 2023 ha preso abbastanza voti da essere indicato come il primo partito italiano.

Sto facendo una recensione e quindi ritengo doveroso da parte mia guardarmi bene da esprimere le mie personali preferenze politiche e in base a quelle le mie simpatie o meno per il personaggio del quale si parla.

Chi fa una recensione penso sia tenuto a riferire ai lettori sopra tutto il grado di obiettività della narrazione, perché immagino che al lettore interessi appunto avere in mano un libro che gli offra degli elementi che lui stesso valuterà criticamente, prescindendo da eventuali cadute nella propaganda politica, che certo il lettore non gradisce.

Ecco obiettivamente ritengo che il libro di Di Maio sia sufficientemente onesto e sempre sufficientemente lontano dalla propaganda.

Confesso che leggendo e sentendo parlare di Di Maio alla Farnesina, che rimane il ministero di maggiore prestigio politico, mi sono sempre chiesto, ma come se la caverà questo ragazzo con l’inglese ?

Lui stesso ce lo dice.

Sveglia alle 5 e traduzioni dall’inglese fino all’ora dell’andata appunto alla Farnesina dove lo aspetta un professore di madre lingua per lezioni tutti i giorni.

Se è vero come spero che sia i miei complimenti a Di Maio, le lingue si imparano anche molto bene se le si studia in modo sistematico, non c’è il minimo dubbio.

Anche i dossier politici ed economici si imparano solo ed esclusivamente se li studia.

Ecco da libri come questi si cerca di evincere la preparazione, le idee, il carattere del personaggio che si narra.

Però proprio perché come si diceva all’inizio siamo tutti piuttosto perplessi e insoddisfatti dalle prestazioni dei nostri politici, quello che dicono di loro nei libri, ben lungi dal prenderlo per oro colato, cerchiamo di vagliarlo per valutarne l’attendibilità.

Ecco a favore di Di Maio devo dire che mi hanno bene impressionato diverse cose fra l’altro la sua scelta iniziale di richiedere per sé come primo incarico due ministeri notoriamente fonte di rogne e non di onori, quelli del Lavoro e delle Sviluppo Economico.

Invito a propositi il lettore a fare mente locale sul fatto che Di Maio è di Pomigliano d’Arco.

A Pomigliano d’Arco la Fiat aveva insediato uno dei suoi stabilimenti più iconici diretti a propagandare la leggenda di un industria molto sensibile alle esigenze del sottosviluppo del Sud, che nel Sud investiva pesantemente e che per questo presentava allo stato il conto molto salato di adeguati contributi e facilitazioni.

Disgraziatamente dopo l’ubriacatura iniziale la Fiat delocalizzò pesantemente nell’Est europeo lasciando senza lavoro la gran parte degli operai di Pomigliano.

Questa era la realtà che Di Maio aveva sotto gli occhi del suo paese e questa infelice esperienza è sicuramente servita a dargli una forte spinta per mandare avanti le riforme che facevano il Movimento 5 Stelle quello che era e che è.

Il decreto dignità a tutela dei lavoratori precari e la famosa e chiacchieratissima legge sul reddito di cittadinanza.

Altre leggi bandiera che il Movimento nel corso degli anni ha portato a casa sono la legge di riforma della prescrizione ,la legge anti- corruzione, la riduzione del numero dei parlamentari.

Ribadisco non darò alcun giudizio di merito ma per esempio avendo prima recensito su questo stesso sito la analoga biografia di Giorgia Meloni mi viene spontaneo chiedermi :

a parità di giovane età e di pur grandissimo e coinvolgente impegno politico, cosa è riuscita a portare a casa per gli Italiani la Meloni nella sua carriera politica?

E poi anche la Meloni dice come Di Maio di essere una secchiona, ma disgraziatamente non ci dice cosa e come studia.

Mi fermo qui.

Il libro di Di Maio mi sembra scritto bene e in modo scorrevole.

E’ breve ,180 pagine e coinvolge il lettore nella narrazione degli avvenimenti dell’ultimo decennio, tutt’altro che irrilevante per le sorti del nostro paese.









mercoledì 19 gennaio 2022

Tom Miller : China’s Asian Dream. Empire Building Along The New Silk Road - Published by Zed Books Ltd London – recensione

 






Se questo non è il migliore libro che ho letto sulla Cina contemporanea, è sicuramente il più completo.

Chi è l’autore? Ecco questa è una domanda che crea un po di imbarazzo perché l’autore impersona figure professionali diverse.

La presentazione che compare sul libro qualifica Tom Miller come giornalista che ha vissuto in Cina per 14 anni dove tra l’altro ha studiato e imparato il mandarino.

Appena prima però lo stesso Miller viene indicato come Senior Analist del Gavekal Research , un istituto di ricerca di geopolitica e direttore del periodico China Economic Quarterly.

Perchè ho esitato a definire la figura professionale dell’autore, perché definirlo prima di tutto come giornalista mi sembra francamente fuorviante e fortemente riduttivo per uno studioso che correda il suo lavoro con un apparato di riferimenti di quasi quaranta pagine, questo è il modo tipico di procedere degli accademici e questo libro è senza dubbio di livello accademico.

Nei precedenti libri sulla Cina contemporanea recensiti in questo blog abbiamo più volte parlato della nuova via della seta o più propriamente della Belt and Road Initiative.

Cos’è?

E’ una strategia anzitutto economica a lungo periodo tipica del modo di procedere della dirigenza cinese che a differenza dei gruppi dirigenti del resto del mondo è capace di pensare anzitutto al futuro e di programmare dettagliati piani di politica economica a lungo o addirittura lunghissima scadenza.

Programmazione di cose molto concrete,sopratutto costruzione di infrastrutture su scala gigantesca

per avvicinare la Cina al mondo con strade, ferrovie, vie marittime, hubs, porti, logistiche, gasdotti elettrodotti, cavi di telecomunicazione eccetera.

Il tutto provvisto del relativo finanziamento scaglionato nel tempo quanto basta a tassi spesso di favore ma nell’ambito dei prezzi di mercato.

La carta vincente che usa la Cina verso i paesi in via di sviluppo non è tanto il tasso del prestito particolarmente conveniente ma sopratutto il fatto che sia le istituzioni finanziarie internazionali, sia i privati difficilmente sono disposti a fare prestiti a paesi di dubbia solidità se non imponendo condizioni capestro, ma più spesso a certi paesi non fanno proprio credito.

La seconda carta vincente della Cina è la sua proverbiale capacità di portare a termine anche gigantesche opere pubbliche in tempi incredibilmente brevi.

L’altra faccia della medaglia è che si portano dietro tutto o quasi dalla Cina, manodopera compresa, cosa questa che fa storcere il naso ai paesi occidentali, ma che obiettivamente per molti paesi in via di sviluppo è l’unico modo di riuscire a ritrovarsi una grande opera chiavi in mano, dato che di loro disporrebbero di ben pochi strumenti di produzione.

Le grandiose opere previste dalla Belt and Road Initiative nascono appunto come grandi opere ma hanno di fatto una ispirazione prettamente politica.

Dietro a tutto c’è la realizzazione del “sogno cinese” enunciato apertamente da Xi Jinping che consiste nel riportare la Cina allo splendore che aveva prima delle guerre dell’oppio e dell’umiliazione inflittale dalle potenze coloniali a partire dalla fine della prima metà dell’800 e fino al riscatto della Rivoluzione Maoista del 1949.

La dirigenza cinese ripete fino alla noia che la Cina non ha e non ha mai avuto ambizioni imperialiste e che la BRI è un opportunità per lei ma anche per i paesi partner che vorranno unirsi a lei senza secondi fini.

L’autore con molto realismo mette in chiaro però che se è verosimile che la dirigenza cinese sia in perfetta buona fede facendo queste affermazioni, è anche vero che la Cina di suo è un pachiderma per territorio, popolazione e peso economico.

Questo fa si che sviluppando scambi economici di dimensioni proporzionate alla sua stazza non possa non mirare a divenire una superpotenza almeno di livello regionale con ciò spingendosi a fare il necessario per difendere anche militarmente le sue vie di comunicazione e di approvvigionamento.

E qui inevitabilmente dal punto di vista geopolitico si va in rotta di collisione con le mire e la situazione di fatto dal dopoguerra messa in atto dalla superpotenza americana che per decenni si è considerata l’unica superpotenza poliziotto del mondo, dotandosi delle famose sette flotte proprio per controllare tutto il mondo Asia compresa.

Gli Usa mal sopportano l’idea che la Cina di fatto li abbia superati diventando negli ultimi decenni la “fabbrica del mondo” per beni a buon mercato ed a basso contenuto tecnologico.

Ed ancora meno digeriscono il fatto di essere sul punto di essere superati anche sul piano della produzione di beni ad alto contenuto tecnologico.

Sul piano della potenza militare è opinione comune che gli Usa sono tuttora di gran lunga il numero uno.

Questo però non significa che possano continuare a pretendere di essere la potenza egemone in casa altrui specialmente in Asia dove ormai il gigante cinese si è svegliato e sta acquistando la consapevolezza della propria forza e conseguentemente dei propri diritti almeno sul piano regionale.

Tom Miller con molto equilibrio e realismo sostiene la tesi che non è affatto inevitabile che Cina e Usa si debbano avviare ad una guerra per stabilire chi comanda in Asia.

E’ invece possibile e ragionevole che trattino come distribuire fra loro ed i loro alleati la gestione dell’area riconoscendo i reciproci interessi.

La parte a mio avviso migliore e più utile di questo lavoro è l’analisi dettagliata che Miller fa delle prima fase della BRI che consiste nella realizzazione diciamo del primo tratto di questa moderna via della seta compiendo le opere progettate fra la Cina ed i paesi immediatamente più vicini e confinanti.

Tanto per dirne una confesso che per esempio del Kazakistan venuto alla ribalta in questi giorni per la “rivolta del gas” non conoscevo quasi nulla prima di aver letto questo libro.

Paesi di questo tipo sono diventati lontanissimi dal fascino esotico fatto di deserti, capre e cammelli che ci forniscono i documentari che parlano di loro.

In questi paesi scorre un fiume di denaro alimentato da risorse naturali formidabili delle quali fino a pochi anno fa nemmeno si conosceva tutta la loro utilità se non indispensabilità per il futuro del mondo moderno come i metalli rari.

Fra i paesi limitrofi alla Cina che dire della situazione etnicamente più che complessa e frastagliata di quel Mianmar che molti di noi associalo alle lotte fra i militari al potere da decenni e l’aristocratica San Suu Kyi, che sono solo una parte, una piccola parte del problema.

Un’altro esempio : personalmente avevo avuto occasione di studiare anche in profondità la situazione del Vietnam all’epoca della guerra con gli Usa, ma non avevo acquisito alcuna conoscenza del viscerale risentimento se non proprio odo che corre da millenni fra Cinesi e Vietnamiti, perché la narrazione di quella guerra prevaleva su una storia che segue una time-line molto più ampia.

E però quella storia di lungo respiro è indispensabile conoscerla per capire come mai il Vietnam che avrebbe un disperato bisogno dei finanziamenti e delle opere della Bri per fare il salto di qualità che ancora non è riuscito a fare, proprio non riesce a sopportare l’idea di accettare la presenza degli odiati Cinesi dei loro soldi, mano d’opera e macchinari.

Ecco questo è un libro sulla Cina ma ancora di più sui paesi della cintura intorno alla Cina.

Difficile capire quale sarà lo sviluppo della Cina se non si conoscono questi paesi.

Inutile concludere dicendo che il “mestiere” di giornalista che il nostro autore ha pure praticato lo ha aiutato enormemente a trattare questi argomenti in modo veramente accattivante.



mercoledì 12 gennaio 2022

Telmo Pievani : Serendipità . L’inatteso nella scienza Editore Raffaello Cortina – recensione


 

Il titolo di questo libro non mi sembra certo troppo azzeccato per il marketing, tanto che se appena di seguito non fosse spiegato come “L’inatteso nella scienza” nessuno fra i lettori comuni ,come mè ci avrebbe capito niente.

Chiaramente l’autore ci tiene a usare questo termine sottolineando accuratamente la sua genesi storia risalente addirittura ad antichi racconti persiani ed in particolare ai :”Tre principi di Serendippo”.

Questi tre principi ci viene raccontato hanno una straordinaria abilità di osservare e trarre anche da piccoli indizi la soluzione di fatti che gli altri non riescono a spiegare.

Temo che l’autore si adonterebbe se mi vedesse banalizzare la sua accuratissima analisi, ma ecco in prima approssimazione per farmi capire mi sembra indispensabile dire francamente al lettore che al di fuori dai riferimenti classici o esotici ci troviamo di fronte a nient’altro che alla tecnica usata dagli innumerevoli investigatori protagonisti degli oggi diffusissimi triller.

A cominciare naturalmente dai padri nobili del genere e cioè da Edgar Allan Poe e dall’ormai iconico Artur Conald Doyle con il suo Sherlock Holmes e perché no dal Guglielmo di Baskerville narrato da Umberto Eco ne “il nome della rosa”.

Un procedimento analogo è quello che ha condotto a gran parte delle più eclatanti scoperte scientifiche.

L’autore lo sappiamo è un efficace divulgatore ma è anche un affermato accademico che tiene a evitare sempre l’approssimazione dei non professionisti.

Il lettore vedrà quindi che il libro tra l’altro tiene a precisare che i casi di scoperta scientifica per “illuminazione” tipo la lampadina che si accende nella testa di Archimede Pitagorico vanno vene per Topolino, ma sono con tutta probabilità delle leggende e non dei fatti storicamente avvenuti.

A cominciare appunto dall’Eureka! che avrebbe esclamato il vero Archimede uscendo sgocciolante e di furia dalla vasca da bagno dopo avere intuito le relazioni fra peso, volume e peso specifico, che in realtà furono scoperti in tempi successivi.

Idem come sopra con il famoso racconto della mela di Newton presunta illuminazione sulla legge di gravità.

E via di seguito.

Non è per pedanteria che l’autore si preoccupa di ristabilire la verità storica nei casi sopra citati, ma perché tiene a far capire bene al lettore una serie di qualità intrinseche al concetto di serendipità.

Prima di tutto Pievani infatti tiene a chiarire che non è esatto pensare al caso come alla componente principale della serendipità.

Nel senso che sopravviene spesso l’evento casuale, ma che questo cadrebbe nel vuoto se a individuarlo e a lavorarci sopra non ci fosse un professionista in grado di usare tutte le sue conoscenze per individuare la fecondità di quell’intuizione.

Che in ogni caso va poi messa alla prova nella maggior parte dei casi in esperimenti e studi destinati a procedere per anni fino a raggiungere le dovute verifiche.

Non a caso Pievani osserva che la premura di trovare applicazioni subito applicabili perché ci si trova magari in situazioni di emergenza o in tempo di guerra non è mai amica della ricerca scientifica, ma nemmeno del progresso tecnologico.

E’ vero però che l’indizio inatteso si presenta come fortuito nel senso che innumerevoli volte l’evento che condurrà a una nuova scoperta scientifica si presenta mentre lo scienziato stava lavorando a tutt’altro.

Gli esempi sono numerosissimi e mi guardo bene dal farne un elenco perché toglierei al lettore il piacere di scoprirli o quand’anche ne fosse già a conoscenza di apprendere come si è veramente arrivati a quella specifica scoperta.

Questo libro è una autentica miniera di dati , di storie e di personaggi della scienza solo in parte conosciuti dai non specialisti.

Ribadisco che Pievani è preciso e accurato, ma non è affatto noioso nella sua esposizione e che quindi il libro è leggibilissimo.




sabato 8 gennaio 2022

Telmo Pievani : Imperfezione Una storia naturale - Editore Raffaello Cortina – recensione

 


Raramente mi sono trovato per le mani un libro così interessante da far chiedere a me stesso come mai non l’avevo letto prima, anche se è uscito solo nel 2019.

Per farla breve mi ha dato l’impressione di essere il necessario complemento dei libri di quell’altra mente geniale che è Yuval Noah Harari, nel senso che Harari per arrivare a quello che lui chiama ’homo deus’ cioè la proiezione del Sapiens nel futuro prossimo comincia inevitabilmente dal principio di tutto 13,8 miliardi di anni fa per descriverci la nascita e il lunghissimo processo di evoluzione della nostra specie preoccupandosi però sopratutto di delineare quello che verosimilmente sarà l’ultra umano del futuro, che potrebbe anche arrivare ad essere una specie diversa, l’uomo del postumanesimo.

Telmo Pievani invece chiarisce meglio il processo evolutivo del cosmo sempre a partire dal Big Bang per descriverci dettagliatamente le tappe dell’evoluzione della nostra specie soffermandosi però alla lucida analisi dell’evoluzione umana così com’è avvenuta senza cercare di immaginare i tratti dell’uomo del futuro.

E ce n’è abbastanza perché riesce a spiegarci alla grande quello che la scienza dell’evoluzione ha acquisito fino ad oggi per dimostrare da dove derivano alcuni dei limiti che pesano sulla nostra specie.

Tanto per dirne una la tendenza al fideismo che è disgraziatamente per noi un impulso atavico a usare in prima battuta questa procedura logica per spiegarci il reale.

Il che andava bene magari ai tempi dei dinosauri, quando non avevamo acquisito ancora nessuna nozione scientifica e quindi non avevamo a disposizione strumenti più performanti, ma oggi è un ostacolo a sviluppare comportamenti razionali.

Ci crediamo razionali, ma lo siamo solo in parte, in piccola parte.

Sarà spiacevole scoprirlo, ma qui sta l’enorme valore educativo di libri come questo, se non abbiamo conoscenza di questi fenomeni ci troviamo in balia di impulsi irrazionali che guarda caso ci propone quella nostra mente che siamo convinti che sia un meraviglioso e potentissimo nostro amico.

In linea di massima è così, ma solo in parte.

Perchè?

Perchè argomenta e dimostra Pievani l’evoluzione della nostra specie non è avvenuta come erroneamente ci ha suggerito per secoli il creazionismo sulla base da una spinta primordiale finalistica diretta appunto a realizzare se pure su tempi lunghi o lunghissimi un progetto compiuto, già scritto e perfetto, più o meno nella mente di un presunto essere superiore.

Non è così l’evoluzione ha un meccanismo del tutto diverso e non compatibile con la visione finalistica proprio perché la base, il meccanismo del tutto non è la realizzazione di un progetto.

Sbagliano in buona fede, ma sbagliano anche i filosofi e i teologi che cercano accanitamente di vedere nell’evoluzione un costante movimento verso la complessità, per salvare capra e cavoli cioè la scienza e la fede religiosa.

Perchè il meccanismo che muove tutto il processo evolutivo è basato sull’imperfezione, sulle mutazioni del tutto casuali, sugli errori ancora del tutto casuali, non su un progetto.

In natura di perfetto non c’è proprio nulla.

C’è invece un continuo e casuale assemblaggio di pezzi nuovi su pezzi vecchi per arrivare a qualcosa che funziona, ma che non è affatto la cosa migliore possibile, proprio perché nell’assemblaggio permangono i pezzi vecchi con i loro limiti, assieme a quelli nuovi costruiti mano in mano dall’evoluzione.

Il nostro occhio è sorprendemente complicato ma non è affatto il non plus ultra, infatti possiamo vedere in natura sistemi visivi molto più funzionali come quelli dei ragno saltatori o dei polipi.

Il nostro stesso corpo è pieno di pezzi incongruenti o ridondanti che non sono affatto perfetti.

Che ce ne facciamo del coccige, rimasuglio della coda che non abbiamo più?

E dell’appendice fonte di infezioni e basta?

E come mai l’uretra va su e giù dalla prostata causando solo problemi, non sarebbe stato più funzionale farla andare dritta alla meta, come se fosse mai esistito avrebbe progettato un presunto ingegnere dell’universo?

E gli ormai inutili muscoli dell’orecchio?

E così via. Conserviamo pezzi vecchi che non servono più.

Ma se fosse solo questo andrebbe ancora tutto bene, quello che è peggio è che conserviamo pezzi vecchi anche nella psiche.

Prendiamo il caso più eclatante a questo proposito e cioè l’impulso cerebrale innato che per farci risolvere un qualunque problema va a pescare nel data base del nostro cervello la risposta più veloce possibile non la più funzionale o appropriata perché?

Perchè al tempo dei mammut i nostri venerati antenati per sopravvivere come specie avevano assolutamente bisogno di percepire la presenza dei predatori nei tempi più brevi possibili e inventarsi la via di fuga più breve sempre nei tempi più veloci possibili, diversamente noi oggi non ci saremmo.

E questo è andato benissimo per la conservazione della specie, ma non va bene che ancora oggi, quando i mammut non ci sono più da un bel pezzo la nostra mente funziona ancora allo stesso modo nel senso che ha messo tutto l’enorme bagaglio di progresso che abbiamo acquisito nei tempi per farci divenire padroni del nostro mondo insieme ai vecchissimi schemi mentali dei tempi ancestrali.

E così succede che di fronte a un problema la prima risposta che la mente ci suggerisce è quasi sempre sbagliata perché ci spinge ad agire d’impulso, mentre dovremmo riflettere prima ed analizzare un momento problemi che al tempo dei mammut non erano nemmeno pensabili.

La spinta intrinseca verso la maggiore complessità e la maggiore perfezione non c’è mai stata come dimostra il fatto che nei lunghissimi tempi dell’evoluzione hanno a lungo anzi a lunghissimo convissuto uomini col cervello che stava evolvendo verso il nostro e quindi che avevano già acquisite capacità per intenderci di livello superiore con uomini dotati di un cervello assimilabile a quello degli scimpanzé.

Pievani ha anche la capacità di rendere più interessante il libro ricorrendo spesso a una fine ironia come quando conclude il suo lavoro notando che la meravigliosa storia della vita ha impiegato l’incredibile tempo di tre miliardi e mezzo di anni per passare dall’ameba a Donald Trump.

Questa riflessione però se usciamo dalla battuta ha anche una sua carica che sferza i nostri abituali modi di pensare.

Mi viene da pensare che dovremmo molto più spesso riflettere su queste coordinate del tempo.

E’ indubbio che la storia del cosmo ma anche la storia della nostra specie sono adagiate su una “time line” in una scala enormemente diversa da quella che ci è abituale pensare.

I manuali scolastici cominciano i corsi di storia da Assiri Babilonesi ed Egizi inculcandoci così la falsa convinzione che la storia comincerebbe 6.000 anni fa cioè all’incirca dal 4.000 avanti Cristo, quando invece la storia dell’evoluzione della nostra specie parte addirittura da 200.000 anni fa.

Cioè l’ordine di grandezza reale è enormemente più ampio di quello che comunemente si crede.

Di conseguenza si relativizzano enormemente per esempio le costruzioni mitiche delle religioni istituzionalizzate, che ci sono state vendute come provenienti dalla notte dei tempi come se fossero sempre esistite, ma non è così.

I duemila anni del cristianesimo per esempio si dipanano su una storia reale cento volte più lunga.

E allora viene da chiedersi e prima? E dopo?

Non mi dilungo ma in argomento il lettore potrà trovare in questo libro l’analisi della basi evolutive che ci inducono alla fidelizzazione per istinto atavico, come si era sopra accennato.

Tra l’altro lo stesso Pievani ha scritto sull’argomento un libro apposta intitolato proprio “nati per credere”.

A questo punto però non esultino i “fedeli” delle religioni istituzionalizzate, perché il senso complessivo dei lavori di Pievani consiste in : nati per credere nei pregiudizi.

Ma i pregiudizi vanno superaticon la conoscenza, l’educazione e la cultura, che inducono a costruirci il pensiero critico.

Mi accorgo adesso di non avere detto ancora nemmeno una parola sull’autore.

Va bene che Pievani è anche un abile e simpatico divulgatore scientifico, tra l’altro presente su Youtube ,ma è anche e sopratutto un accademico che ricopre una cattedra all’Università di Padova dedicata a una materia parecchio innovativa : Filosofia delle scienze biologiche.

Buona lettura.