giovedì 28 marzo 2024

Federico Rampini : Suicidio occidentale. Perché è sbagliato processare la nostra storia e cancellare i nostri valori Ed. Mondadori – recensione

 


Non so come ma quando era uscito questo libro di Federico Rampini nel 2022 mi era sfuggito, peccato, perché oggi che l’ho letto rimediando al ritardo l’ho trovato veramente fondamentale per capire la deriva integralista dei democratici americani.

E’ singolare ma questo fenomeno che condiziona in modo pesante la strategia degli Usa e che impatta quindi in modo altrettanto pesante sulla nostra politica è conosciuto molto poco da noi, forse perché le nostre forze politiche di orientamento progressista semplicemente sono vittime della medesima deriva ideologica che proviene da oltre oceano.

Stranamente, sull’argomento mi aveva suonato la sveglia il libro di Francesco Costa sulla California e poi i suoi interventi successivi su tutti i canali che usa con molta abilità.

Forse proprio l’abilità e la freschezza del modo di comunicare di Costa mi avevano fatto considerare Rampini, validissimo inviato, ma di un altra generazione, come un matusa.

Errore pacchiano, perché leggendo il libro di Rampini ho dovuto constatare che tratta la materia a un livello di approfondimento sensibilmente superiore, cosa che emerge fra l’altro nella citazione dei testi da consultare per approfondire, che comunque rappresentano il punto di appoggio della sua esposizione.

Ma veniamo al dunque, Rampini argomenta questo, che la decadenza dell’America come potenza egemone dell’Occidente che si ergeva a poliziotto del mondo, è ormai un fatto vistoso.

Preso atto di questa realtà ormai incontrovertibile, è fondamentale cercare di capire quali ne siano le cause.

Rampini individua il tarlo che rischia di frantumare la potenza americana, rimasta quasi intatta dalla fine della seconda guerra mondiale, proprio nella deriva radicale dell’ideologia progressista, praticata negli Usa, tutta tesa, come dice il titolo, non a difendere i nostri valori, ma a “processare la nostra storia ed a cancellare i nostri valori”.

Non abbiamo più valori da difendere, ma abbiamo solo da espiare i nostri errori passati. Ecco allora che su questo nuovo dogma, hanno fondato la teoria “no border” che impone non solo il dovere di prendere tutti gli immigrati, ma di sdebitarci con loro dei nostri crimini passati assumendo noi i loro valori, che sarebbero più sani dei nostri, tanto per cominciare dando subito anche ai migranti che formalmente sono entrati illegalmente i benefici del welfare e non ultimo il diritto di voto, e quello di usare la propria lingua, tanto che di fatto si sono obbligati i call center pubblici ad essere bilingui inglese e spagnolo.

Le minoranze etniche e sessuali diventano di conseguenza il punto di riferimento obbligato.

Questa ideologia unita ad una interpretazione pure radicale dell’ambientalismo tesa a demonizzare il progresso economico ed a prevedere una imminente apocalisse.

Se andiamo a vedere l’ispirazione viene dalla poco brillante filosofia ,detta “del buon selvaggio”, di Jean Jacques Rousseau e quindi non è affatto originale.

Interessante la capacità di Rampini di farci capire come questa radicalizzazione ideologica sia cavalcata alla grande dagli ultra- milardari dell’High tech, che la usano cinicamente ,non perché ci credano, ma perché serve loro per oscurare il problema vero che è quello delle diseguaglianze , della crisi sociale e dell’impoverimento del ceto medio.

Qui da noi sono state prese come manifestazione quasi folkloristiche di frange giovanili stravaganti le vere e proprie ricadute nell’oscurantismo medioevale dei giovani americani che spingono per abbattere le statue, anche di coloro che, prima, erano venerati padri della patria ,come lo stesso Lincoln, perché a suo tempo erano incorsi in atti di razzismo, ignorando ogni senso critico o di contestualizzazione storica.

Non parliamo del povero Cristoforo Colombo, ormai completamente demonizzato come portatore di ogni nefandezza a causa del fatto che la “Critical race Teory” è diventata dogma.

Ma se si fossero fermati qui, i seguaci delle teorie “Woke culture ” o della “cancel culture”, andrebbe ancora bene, e invece sono andati ben oltre ogni decenza, additando al pubblico ludibrio anche Platone Aristotele e tutta la famiglia filosofica sulla quale è fondata la nostra civiltà, perché avrebbero la colpa inespiabile di avere tollerato la schiavitù e un ruolo subalterno del genere femminile.

E proprio qui è la giustificazione del termine deriva, per il fatto che quelle evidenti scemenze, sono prese molto sul serio e messe in pratica nelle ,un tempo prestigiose, università americane, al punto che se un docente osasse citare uno dei reprobi sopra indicati, rischierebbe il posto.

Immagino che ai tempi della Santa Inquisizione ci fosse più tolleranza!

Ma l‘elenco delle follie di questo tipo ha veramente dell’incredibile come quando l’autore cita l’episodio di un distretto scolastico americano,ovviamente gestito da famiglie che aderiscono a questo pensiero unico ,definito non a caso dal medesimo Rampini, progressismo illiberale, dopo avere constatato che gli alunni appartenenti alle etnie di colore proprio non riuscivano a raggiungere punteggi nemmeno lontanamente sufficienti in matematica, non hanno deliberato qualcosa di simile ai nostri “corsi di sostegno” ,ma hanno abolito ogni strumento di rilevamento della preparazione.

Prossimamente forse aboliranno la matematica per essere più completamente politically correct.

Non parliamo poi della imposizione delle più assurde invenzioni lessicali ,per non rischiare di offendere le solite minoranze.

Questa America vittimista ,colpevolista , assolutamente acritica , sta distruggendo sé stessa promuovendo l’ignoranza e la dittatura delle minoranze.

Per difendere e risarcire le minoranze etniche e sessuali si sono inventato anche lo slogan del “Defund the police”, preso e applicato molto sul serio con risultati catastrofici finiti nell’impennarsi macroscopico dei reati.

Non ostante queste palesi follie il capitalismo continua a funzionare meglio in America che altrove, sembra dire Rampini, fino a quando però i giovani delle classi di età “formate” da un “sistema educativo” bacato come quello attuale, non saranno costrette a diventare la futura classe dirigente.

Libro di ottimo livello.














martedì 19 marzo 2024

Federico Fubini : L’oro e la patria. Storia di Niccolò Introna eroe dimenticato Ed. Mondadori – recensione

 





Tutti conosciamo Federico Fubini ,come principale firma del giornalismo di economia e finanza del Corriere, e quindi siamo abituati a vederlo, diciamo, più come tecnico, che come giornalista.

Risulta quindi una piacevole sorpresa trovarlo a cimentasi con l’abilità e il rigore, tipici dello storico, nella narrazione della vita professionale di questa molto singolare figura di integerrimo servitore dello stato, nel sofferto periodo del ventennio fascista ed appena dopo, circondato da colleghi altri burocrati e da una classe politica, tutt’altro che integerrimi.

Niccolò Introna per decenni ricoprì ,per intenderci, la posizione di vice Governatore della Banca d’Italia, anche se la figura specifica formalmente non esiste.

Lui alla fine comandava e garantiva la continuità dell’istituzione, semplicemente perché era il più preparato e il più capace per mandare avanti la baracca.

Era integerrimo, lo abbiamo detto, ma dotato di un un caratteraccio , troppo poco incline a quella “flessibilità” che sarebbe stata indispensabile per poter sedere sulla poltrona di vertice ,passando da Giolitti a Mussolini fino a De Gasperi.

Fubini ci dice che è riuscito a scrivere questo libro perché, per circostanze fortuite, ha avuto la ventura di poter consultare l’enorme e ordinata massa di appunti e di documenti, che l’Introna ha redatto e messo insieme con estrema puntigliosità per tutta la sua vita professionale.

La sua narrazione è quindi documentatissima.

Diciamolo subito, il libro è estremamente interessante e si lascia leggere molto bene, ma suscita due sentimenti del tutto contrastanti, e forse non poteva fare diversamente proprio perché è la specificità del personaggio Introna, che incarnava questo contrasto.

Voglio dire, che da una parte, c’è la piacevole scoperta di una figura ingiustamente sconosciuta di eccellenza di servitore dello stato e proprio e addirittura in quei tempi così travagliati.

Dall’altra, però, ci sono gli esponenti di una classe dirigente, che, anche se riuscì a volte a esprimere delle figure che emergevano per preparazione tecnica, nel complesso era composta da dirigenti divenuti tali, perché privilegiavano la cura del conformismo e del piatto servilismo, nei confronti del potere ,di qualsiasi orientamento fosse.

Tipico ed emblematico il caso del diretto superiore di Introna, per più lungo tempo, che ,a quanto risulta dalle carte, che abbiamo sopra accennate ,dava immediata disposizione di eseguire prelievi dal caveau della Banca d’Italia di quanto indicato in semplici bigliettini informali, che non si peritavano di indicare qualsiasi giustificazione,ma erano firmati : Mussolini, e questo bastava.

Introna, guarda caso, invece le pensava letteralmente tutte per cercare di evitare la spoliazione della Banca d’Italia da parte della famelica dirigenza del fascio.

Inutile dirlo, la parte più intrigante del libro e quella che riporta le vicende ,veramente romanzesche e rocambolesche ,che concernono le manovre messe in atto, in più tempi e modi diversi, dall’Introna stesso per evitare che i Nazisti si portassero via le intere riserve d’oro, custodite nei sotterranei di palazzo Koch in Via Nazionale, sede storica romana della Banca d’Italia.

Dal libro viene fuori la figura umana e professionale dell’Introna talmente tutta d’un pezzo, che sembra persino impossibile, che un personaggio del genere sia riuscito a portare avanti il suo lavoro per decenni.

Non stupisce che politici e colleghi lo temessero e non lo amassero, perché la sua stessa esistenza era per loro una condanna morale, sempre incombente.

Pure non stupisce che i dipendenti ,invece, lo amassero, perché erano nella posizione di capire benissimo quanto costasse la coerenza di quel dirigente.

Lascia invece molto l’amaro in bocca ,dover constatare quanto la tanto glorificata classe dirigente politica del dopoguerra non ne venga fuori poi così bene come la vulgata comune ce l’ha descritta costantemente.

La scelta, fatta allora, prima di non operare alcuna vera epurazione e poi addirittura di adottare una amnistia generale, sono state veramente frutto di saggezza?

E’ vero che una classe dirigente politica e sopratutto burocratica non si improvvisano, ma la continuità col fascismo se esaminata nei dettagli risulta veramente scioccante.

Se i lettori volessero approfondire non posso non ricordare i libri di Gianni Oliva e di Antonio Scurati, appena recensiti, l’uno il 23 febbraio sorso l’uno e gli altri due il 20 e 28 gennaio , su questo stesso sito.
























martedì 12 marzo 2024

Antonio Scurati : Il bambino che sognava la fine del mondo -Ed:Bompiani - Recensione

 



Beh , doveva succedere che a un certo momento mi capitasse di leggere un libro di un autore, che stimo molto, ma che proprio mi è piaciuto poco.

Ho conosciuto Scurati non dalle sue prime opere, come è per esempio il libro del quale stiamo parlando, ma dal favoloso “Il figlio del secolo”, il primo libro della trilogia su Mussolini, che mi era piaciuto enormemente per l’estrema abilità dell’autore di delineare non solo la figura del protagonista ma anche quella degli uomini e delle donne che gli giravano attorno e che purtroppo i manuali di storia tutt’al più accennano appena.

Anche se hanno fatto la storia di quel periodo, non meno del Capo.

La storia del fascismo in Italia è stata imbozzolata nel dogma dell’antifascismo, diventato istituzionale e con ciò ,lo studio di quel periodo è diventato politicamente scorretto, impedendo a chi è nato dopo di capire di cosa si sta parlando.

Scurati , “ca va sans dire” ,intellettuale progressista e antifascista, ha avuto il grosso merito di rompere i vecchi tabù riportandoci alla presenza dei personaggi storici e non delle loro figure mitizzate e spesso stravolte dall’ideologia.

Mi son permesso di fare questa premessa perché il libro in esame non c’entra niente col fascismo, ma richiama già alcuni parametri della costruzione letteraria di Scurati, nel senso che parla come di un romanzo di fatti che sono realmente avvenuti.

Autentici fattacci di nera, anzi ancora peggio che di nera, perché concernenti reati o meglio presunti reati ,di carattere sessuale.

Presunti reati di pederastia, che sarebbero stati commessi da maestre, addirittura con la complicità e la copertura di preti.

Sono fatti di cronaca non lontani nel tempo,dei quali all’epoca avevo sentito parlare, come tutti, ma che, confesso ,non ricordavo in modo chiaro, ma sopratutto non ricordavo che avevano sollevato un polverone mediatico enorme ma che ben presto si sono rivelati fondati sul nulla.

Il libro infatti, nelle ultime pagine, fa dire alla protagonista di tutta la storia , in veste di grande accusatrice ,in diretta televisiva, un bello e chiaro : “mi sono inventata tutto”.

Tutta la narrazione si svolge a Bergamo intorno a un fantomatico ente ecclesiastico per preti “disturbati”, anche da turbe sessuali, che si sarebbe trovato nel plurisecolare edificio del seminario vescovile di una delle città tradizionali baluardo (nei tempi andati) del cattolicesimo tradizionale, e che però non risultava raggiungibile.

Insomma ci sono tutti gli ingredienti per una storia che tocchi le corde più sensibili dei sentimenti più nobili e più infami dello spirito umano.

Scurati però, nella vita e nel romanzo, è un accademico esperto di comunicazione, particolarmente televisiva ed è portato a fare riflettere il lettore sulle capacità di manipolazione, se non addirittura di auto- manipolazione, della nostra mente ,proprio quando ci si ritrova di fronte a storie del genere.

Non ne nasce solo il fatto della immediata divisione fra colpevolisti e innocentisti, che si incaponiscono in modo fanatico nelle conclusioni che ritengono di trarre su quel poco o tanto che si riesce a conoscere.

Quando anche le persone più miti in certe circostanze diventano irriconoscibili estremisti bruciati dal fanatismo,

Scurati, in circostanze di questo tipo, spinge a ricercare i moventi dell’esplodere delle emozioni nelle neuroscienze ,anche se non ne fa esplicitamente menzione, così come nella trilogia su Mussolini, fa consciamente o meno riferimento alla psicologia delle folle.

Come è possibile che ci si infiammi per mandare, se fosse possibile, schiere di persone al rogo, se poi viene fuori ,che quello che sembrava una prova inconfutabile era tutta un invenzione .

Ecco ,l’argomento sembra fatto apposta perchè un abile romanziere ci vada a nuotare dentro.

Scurati è abile , ci sa fare e sa scrivere bene.

Ma in questo libro non mi convince se non in piccola parte.

Innanzi tutto, un soggetto di questa delicatezza, sinceramente mi sembra che sarebbe stato metabolizzato dal lettore in modo più consono se tutto si fosse ridotto alla metà o almeno ad un terzo in meno delle pagine usate.

La parte migliore del libro l’ho trovata invece, come si può evincere da quello detto sopra, dal descrivere e constatare quanto ci sia ancora misteriosa la nostra psiche ed il funzionamento di un cervello allo stesso tempo ultra-potente, ma anche responsabile di farci cadere in errori di valutazione catastrofici.




martedì 5 marzo 2024

Gianluca Nicoletti Una notte ho sognato che parlavi – Ed, Mondadori – recensione

 



 Avevo “conosciuto” Nicoletti seguendo Radio 24 e proprio rimanendo fedele alla sua rubrica per un certo tempo, ho trovato rimarchevole il modo di parlare del suo gigantesco problema personale, cioè di essere padre di un figlio autistico, ormai grande, che gli condiziona totalmente la vita.

Mi era da subito piaciuto il suo modo singolare di affrontare, anche con gli ascoltatori ,il problema dell’autismo, che si pone oggi come la prima fonte di handicap e che purtroppo segna dei numeri elevati e con tendenza all’ aumento.

Avevo appena letto e recensito il libro di argomento analogo, scritto dal Prof.Alberto Vanolo : “la città autistica”, e, dato che prima di leggerlo ignoravo totalmente cosa fosse l’autismo, ho trovato lo stimolo ad approfondire l’argomento, leggendo anche il libro di Nicoletti, che essendo un giornalista e conduttore noto,che ha scritto più libri sull’argomento, fra i quali questo di cui parliamo, riuscendo a farlo diventare un best seller.

L’autore è un autentico personaggio.

Riesce a farci capire qual’ è il mondo degli autistici portandoci con mano leggera a ripercorrere la giornata normale di un genitore, che si è posta la missione di accudire un figlio, che praticamente non ha mai parlato se non con pochissimi monosillabi, che non sa scrivere, né fare di conto,che non è in grado di attraversare una strada, che se andasse in giro da solo oltre ad andare sotto alle macchine non saprebbe ritornare a casa, eccetera.

Si dice che l’autismo comporta l’incapacità di comunicare, ma se non si entra nella vita privata di tutti i giorni ,difficilmente si riesce a cogliere cosa vuol dire realmente.

Saltano tutte le convenzioni sociali con conseguenze paradossali.

Prendere un autobus o la metro, andare a un ristorante, a un cinema fare un giro in bicicletta, sembra semplice, ma se si accompagna un figlio autistico in queste occasioni di socializzazione si devono fronteggiare continuamente problemi imprevisti, perché l’autistico è per definizione imprevedibile, proprio nel senso che non si conforma a regole, che non lo toccano.

Fa pensare molto questo libro, perché ci interroga proprio sul senso di moltissime cose.

Casualmente prima di scrivere queste righe avevo letto un articolo di giornale che ricorda il centenario della nascita del più noto psichiatra italiano, Franco Basaglia.

Ebbene uno dei pensieri chiave di Basaglia era proprio questo : non esiste un modello obiettivo al quale l’umanità debba conformarsi e quindi quello che vediamo come imperfezione, diversità eccetera ha piena legittimità di esistenza.

Questo non significa che la malattia mentale non esiste, ma il folle lo si cura curando la società.

Se le regole sociali non sono altro che convenzioni, ebbene possiamo sempre metterle in discussione per far posto anche ai diversi.

Gestire un figlio autistico è estremamente pesante, ci fa capire Nicoletti , che descrivendo come si svolge la giornata nei dettagli, ci fa anche capire che non sempre è materialmente possibile accollarsi questo compito.

E’ antipatico dirlo, ma lo stesso Basaglia, non a caso affermava che la malattia psichica o come diceva lui il disagio psichico è un disagio classista.

Nel caso dell’autismo ancora di più, perché se è vero che un figlio autistico ha bisogno di assistenza o comunque di essere tenuto d’occhio 24 ore su 24, perché se no, tanto per dirne una, potrebbe buttarsi giù dalla finestra, per il semplice fatto che non riesce a distinguere fra la vita reale e la finzione scenica dei cartoni, dove se uno si butta, rimbalza allegramente, il genitore che lo accudisce come fa ad andare a lavorare?

Ricorrere a badanti, terapisti, addetti ai servizi socio-sanitari, non è affatto gratuito, come era gratuito il manicomio, che Basaglia ha chiuso, meritevolmente per certi versi, discutibilmente per certi altri, senza che sia stato rimpiazzato da servizi pubblici più complessi e più costosi.

Se non si hanno i mezzi, né le obiettive condizioni logistiche per dedicare quasi tutta la giornata al figlio autistico, lo stesso Nicoletti riconosce che bisognerebbe ricorrere alle strutture esistenti che riducono tutto a una perenne sedazione per di più immagino , per niente gratuita, oppure la sedazione la si svolge in ambiente casalingo.

O se hanno i mezzi e la possibilità di conciliare alcuni tipi di lavoro con la disponibilità del resto della famiglia e il fegato personale di dedicarvi la vita, lo fanno direttamente.

Tanto di cappello a Nicoletti!

La lettura del suo libro è illuminante e come già accennato fa pensare tra l’altro al senso ed ai limiti delle nostre regole sociali, ma solleva anche serissimi problemi etici e filosofici.

Devo confessare che se da una parte la lettura di questo libro mi ha parecchio interessato perché mi ha aperto alla conoscenza di un mondo prima sconosciuto, che però esiste e tocca molte famiglie, dall’altra mi ha rattristato non poco.

Leggendo non riuscivo a non pormi la domanda più scomoda che è questa : ribadito il tanto di cappello a Nicoletti, è lecito porsi la domanda se ne vale la pena di prodigarsi in tanto sforzo e partecipazione quando la persona autistica alla quale si dedica la vita non dico non è in grado di ricambiare nemmeno una qualche forma obiettiva di riconoscenza, ma allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, non sembra poter trarre dall’assistenza umana o sovra-umana dei vari Nicoletti, che pure ci sono e sono a quanto pare numerosi, alcuna possibilità non dico di guarire, ma nemmeno di costruire qualunque cosa dentro di sé.

Ma ha coscienza di sé una persona autistica ? Questo forse è il più grosso e delicato dei problemi.

E qui sinceramente è meglio fermarsi, perché se no si va a picchiare la testa contro il muro e si rischia di pensare cose che non fa bene nemmeno pensare.

Questo è un libro duro, al di là della grande abilità dell’autore, perché è duro l’argomento.

Ma quando c’è un’occasione di interpellare e condividere la comune umanità, è sempre buona cosa non girare la testa dall’altra parte.