giovedì 26 gennaio 2012

Nella giornata della memoria cerchiamo di non dimenticarci del genocidio armeno

Il Parlamento Italiano ha istituito nel 2000 la giornata della memoria il 27 gennaio di ogni anno.
Questa data corrisponde a quella dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz ed è esplicitamente diretta a ricordare le vittime dei campi di concentramento nazi fascisti e dell’Olocausto (ebraico).
Benissimo e doveroso se si pensa che il nostro paese si era macchiato tra l’altro dell’infamia delle leggi razziali.
La dizione della legge istitutiva è però marcatamente troppo restrittiva e quindi è più che auspicabile che nelle celabrazioni ufficiali e soprattutto nelle scuole chi sa di storia si senta in dovere di ricordare tutte le vittime dei genocidi, che non sono stati solo a danno gli ebrei e degli antifascisti.
Si pensi che, come se non bastasse lo spaventoso elenco delle atrocità alle quali è ricorso il genere umano nella storia, dopo la seconda guerra mondiale e fino ad oggi, a detta di Gregory Stanton, presidente del Genocide Watch, ci sono stati ulteriori 48 genocidi http://www.genocidewatch.org/.
Ma anche se ci limitiamo alla prima metà del ‘900 tutti sappiamo che prima della Soha’ ebraica c’era già stato il genocidio armeno del 1915 col suo carico impressionante di almeno un milione e mezzo di vittime.
I due eventi hanno avuto caratteristice molto diverse è vero, ma è profondamente ingiusto che a quasi un secolo di distanza si parli solo di uno e non dell’altro, se non in questi giorni per la arrischiata legge di Sarkosy che vieta il negazionismo.
Questa legge ha probabili finalità elettoralistiche cioè dirette a guadagnare il voto dell’opinione anti -immigrati turchi.
Ho sempre pensato che non abbia senso imporre per legge che un cretino si trasformi in intelligente e quindi se uno sostiene idee negazioniste anche sul genocidio armeno non diventa colto “ope legis”, rimane quel poveretto che era.
Il genocidio armeno spiazza i commentatori, prima di tutto perché se ne parla troppo poco e quindi la gente non ha informazioni sufficenti sull’argomento, lo ignora perché non ne sa quasi nulla.
E l’ignoranza di fatto non è solo colpa dell’idiosincrasia dei turchi che lo negano, senza avere una ragione sensata per farlo.
E’ un peccato perché la ultra bimillenaria storia del popolo armeno è la storia di un popolo che ha molto da dire per la sua “modernità”, nel senso di apertura mentale, di capacità di vivere con buone relazioni insieme a vicini di etnie e religioni diverse, senza avere avuto uno stato di riferimento indipendente se non per periodi limitati.
Incastrata nel Caucaso, terra di frontiera per definizione,l’Armenia si è ritrovata con vicini troppo potenti : i Persiani, gli Ottomani e l’Impero Russo.
Come capita in queste situazioni la “nazione armena” è stata allora costruita sulla comunanza di cultura e di religione più che con la politica.
Nell’Impero Ottomano gli Armeni, come le altre minoranze religiose e culurali erano riconosciute dalla “Sublime Porta”, come era chiamata l’istituzione imperiale islamica.
Non erano per nulla perseguitati, ma non erano del tutto alla pari nella cittadinanza con gli islamici, tanto che pagavano un tributo particolare in quanto non musulmani, in compenso però conservavano la facoltà di usare i propri riti e in parte le proprie leggi.
Come capiterà anche per l’Olocausto ebraico, il genocidio armeno non venne come un fulmine a ciel sereno, ma aveva avuto diversi e clamorosi episodi premonitori.
Gli Armeni erano un piccolo popolo di due milioni e mezzo di persone, come hanno attestato i censimenti ottomani, dediti soprattutto all’agricoltura, come tutte le altre popolazioni in quei tempi.
Gli Armeni però avevano una classe dirigente colta di elevato livello, educata per lo più all’estero e una classe media che aveva successo nel commercio e nell’artigianato ed avevano componenti della comunità perfino nei livelli medio alti della gerarchia dell’impero, architetti imperiali, vizir, governatori di provincia.
Gli Armeni erano stati spinti dalla loro storia particolare a padroneggiare lingue diverse e si dice che fossero quasi tutti poliglotti.
Avevano tutte le caratterstiche per vivere e prosperare in pace, salvo incappare un una serie di circostanze storiche che non erano ovviamente sotto la loro capacità di controllo.
Nei primi anni del ‘900 l’impero ottomano languiva e si vedeva togliere pezzi in continuazione dalle potenze europee.
Questo è probabilmente il bagno di cultura, che ha predisposto i Turchi a reagire in modo dissennato inventandosi all’interno nemici immaginari che fossero abbastanza deboli da poterli maltrattare, per potere dimostrare a loro stessi di essere forti, quando invece si stavano disfacendo come stato.
Umiliare il nemico sconfitto, la storia ha dimostrato innumerevoli volte che è una politica di corto respiro che ti si ritorcerà contro, esattamente come avverrà alla fine della guerra mondiale umiliando la Germania.
Fare a pezzi l’impero ottomano non era stata probabilmente una idea geniale.
Fatto sta che i Turchi si sono creati il complesso dell’accerhiamento con il corollario delle minoranze, interne integrate da secoli, che improvvisamente venivano viste come quinte colonne delle nemiche potenze europee.
Gli Armeni come i Curdi, come i Greci, come gli Assiri, altre minoranze ancora più piccole di loro, presenti sullo stesso territorio, sono così finite in questo imbuto della storia per essere fatti a pezzi.
Nel caso del genocidio Armeno è risultata ancora più evidente anche la componente abietta di pura rapina, trattandosi come si era detto di una comunità che aveva una classe media relativamente abbiente.
C’erano stati, si è detto, dei minacciosi segni premonitori. Gli Armeni avevano una classe dirigente colta educata in europa, che sull’europa contava per ovvia comunanza di cultura.
Purtroppo però quello non era il momento favorevole per ottenere l’aiuto europeo, perché l’Europa aveva altri guai ai quali pensare.
Alcuni gruppi armeni fecero quindi un clamoroso errore di valutazione e per attirare l’attenzione dell’Europa sulla loro condizione, ritenuta di intollerabile minorità, dati i tempi mutati, inscenarono una azione vistosa attacando con un commando armato la Banca Ottomana a Costantinopoli nel 1896 uccidendo le guardie.
La reazione fu tremenda e assolutamente sproporzionata, costando agli Armeni qualcosa come trecento mila vittime, una enormità su una popolazione di due milioni e mezzo.
Era una decimazione, uno su dieci.
L’aria era completante cambiata per gli Armeni in Turchia, ma come capiterà con le
prime sistematiche persecuzioni degli Ebrei in Europa il segnale fu sottovalutato.
Un’altra strage avvenne nel 1906 in Cilicia, nella parte meridionale della Turchia ed in questa perirono 30.000 Armeni in un momento di confusi contrasti fra il sultano e i Giovani Turchi.
Ancora il segnale era stato pesante ma non era stato raccolto.
Finchè nell’aprile del 1915 cominciò il disastro che si svolse alla chetichella su tutto il territorio turco con modalità analoghe che proprio per questo, non lasciano dubbi sull’esisetenza di una unica pianificazione centralizzata.
La prima mossa consistè nella sparizione di tutta la classe dirigente armena a Costantinopoli, avvenuta nello spazio di una notte.
Ironia della sorte le prime vittime sono stati così gli intellettuali che avevano creduto di poter partecipare alla costruzione della nuova Turchia, che si ispirava alla cultura europea. Non avevano intuito i danni che può fare il verme del nazionalismo esasperato.Pensavano di essere illuministi fra illuministi, ma non calcolavano i danni fatti dall’umiliazione inflitta alla Turchia e dal fanatismo che aveva fatto prevalere.
La seconda mossa fu diretta contro gli armeni che erano arruolati nell’esercito turco, con la scusa di cautelarsi rispetto a una loro possibile simpatia verso i Russi, che premevano alla frontiera orientale Furono fermati e fatti sparire a piccoli gruppi.
Terza mossa micidiale : invito in caserma a tutti gli armeni maschi adulti in età lavorativa per presunti controlli su tutto il territorio nazionale.
Furono fatti sparire e fucilati.
Ultima mossa. Mancavano solo donne bambini ed anziani. Tutti raccolti e deportati con marce forzate verso il deserto Siriaco ( dalla parte opposta dell’Armenia geografica).
Il lavoro sporco non fu eseguito dall’esercito turco ma da una organizzazione tempranea messa in piedi appositamente, formata da curdi e da una massa di galeotti liberati per l’occasione dalle patrie galere.
Non furono necessarie fucilazioni, la gente era lasciata morire di stenti in quel remoto deserto.
Come capiterà con l’Olocausto ebraico i governi europei sapevano, perché informati per via diplomatica delle notizie raccolte sul posto da viaggiatori e commercianti, ma non fecero nulla.
Per salvare la faccia fu solo evitata la deportazione brutale della comunità armena di Costantinopoli, perché troppo sotto gli occhi delle legazioni europee.
Perfino nei trattati di pace a Sèvres e a Losanna l’Europa si di dimentico dell’Armenia, erano troppo occupati a spartirsi l’impero turco.
I Triumviri militari responsabili del genocidio sembrava che avrebbero subito un processo come sarà quello di Norimberga, ma poi le cose andarono per le lunghe e non se ne fece nulla.
A farsi giustizia furono i commando di una associazione di resistenza giovanile armena, il gruppo Nemesis, che riuscì ad assassinare in tempi diversi tutti e tre i figuri del Triumvirato.
Dopo il genocidio e alterne vicende, quasi tutte infauste, oggi l’Armenia esiste come stato indipendente dal 21 settembre 1991, in un territorio molto più piccolo dell’Armenia storica e geografica avendo persi i territori ad ovest rimasti ai Turchi (comprendenti fra l’altro il monte Ararat, quello dell’Arca di Noè, che è considerto il simbolo iconico dell’Armenia culturale e religiosa) e ad est (quelli del Karabak, storicamente armeno, ora regione autonoma dall’incerto destino).
La popolazione è di circa tre milioni e mezzo di persone.
Ha subito, anche dopo il genocidio, vessazioni di ogni tipo come il taglio dei rifornimetni di energia, tutti provenienti dall’Azerbagian, con il quale si è trovata in guerra per quattro anni, ma è sopravvissuta in condizioni pazzesche e ora sta riprendendosi.
Se c’è un popolo che ha dimostrato una caparbia volontà, questo è l’Armeno.
Verrà il tempo che l’Europa se ne accorgerà e riconoscerà e i legami storici, culturali, religiosi che dovrebbero legarla a quella nazione con più senso che non con la Turchia.

sabato 14 gennaio 2012

Il vero spread è il naufragio della nave Concordia

Un paese che dimostra di avere dei meccanismi per la scelta della classe dirigente come quello che ha messo a comandare una nave con cinquemila passeggeri uno pronto ad abbandonarla con migliaia di naufraghi ancora a bordo, dopo averla sbattuta contro gli scogli si giudica da solo.
Questo è il vero spread (distacco, differenza) fra Italia e Germania.
Ora non abbiamo più scuse, dobbiamo assolutamente deciderci a svegliarci e guardare una realtà spiacevole, perché siamo tutti noi che abbiamo ridotto il nostro paese in questo stato, siamo tutti noi quelli che vedevano oscenità a non finire e voltavamo la testa dall’altra parte senza reagire, senza indignarci, senza protestare.
Questo tragico fatto di cronaca è qualcosa di veramente tremendo.
Prima c’era al governo uno che i settimanali di tutto il mondo facevano bersaglio di grandi risate perché regolarmente se le andava a cercare e potevamo dare a lui la colpa di tutti i mali.
Ora non c’è più, ma sono rimasti gli italiani e di questi i tedeschi non si fidano e purtroppo diamo loro delle ragioni per farlo.
Questa settimana apprenderemo dai mezzi di informazione tutti i dettagli di una tragedia nella quale il sistema italia ha messo a nudo tutti i suoi “problemi di sistema” ,come ci dicono i tedeschi.
Quella nave diventerà qualcosa di simbolico, l’icona di un paese nel quale non funziona più niente, o almeno nel quale la gente è messa nelle condizioni di non avere più fiducia in niente e nessuno, istituzioni comprese.
Su quella nave pare che in emergenza nessuno abbia saputo fare quello che doveva fare.
A detta di alcuni naufraghi gli unici che si sono salvati la reputazione sono stati gli stuard filippini,che non sapevano esprimersi né in italiano né in inglese ma hanno saputo darsi da fare per aiutare la gente, che quelli più graduati di loro avevano abbandonata a sé stessa.
La professionalità dell’equipaggio pare sia naufragata con la nave.
La catena di comando idem.
I protocolli da seguire in caso di emergenza idem.
La manutenzione delle scialuppe, giubbotti, segnalatori luminosi idem.
L’addestramento del personale lo stesso.
La capacità di comunicazione fra responsabili e passeggeri pari abbia superato in siattezza ed assenza anche quella già proverbiale delle ferrovie dello stato.
Sorprendente anche la non presenza della compagnia.
Una compagnia di navigazioneche opera in un settore cruciale del turismo con un brand (una marca, un nome) che è il più conosciuto in Italia si è trovata assente nei servizi giornalistici, che sono quelli sui quali la gente si è fatta la propria opinione.
Nemmeno hanno sapiuto a quanto pare fare approdare con un elicottero per salvarsi le spalle e il portafoglio uno stuolo di avvocati che assistendo subito quell’inqualificabile comandante gli avrebbero impedito di sciorinare quella montagna di sciocchezze, che pare abbia ripetuto per ore.
Peggio per loro ne pagheranno il conto, ma lo pagheremo anche noi e la nostra industria turistica.
Da domani italiani e stranieri quando dovranno scegliere una compagnia di crociera guarderanno che si chiami almeno Krup, per dare un minimo di affidabilità.

venerdì 13 gennaio 2012

Non è il caso di stracciarsi le vesti per la conferma del Porcellum

Chi scrive aveva fatto la coda per andare a firmare il referedum anti-Porcellum bocciato dalla Consulta e quindi non è affatto contento.
Purtoppo non solo in Italia è molto problematico trovare un sistema per fare in modo che la così detta corte suprema come è la nostra Corte Costituzionale sia veramente formata da giudici super partes.
Diciamolo pure non c’è ancora riuscito nessuno e quindi figuriamoci se ci siamo riusciti noi.
Però da quando non molto tempo fa due giudici della nostraCorte sono stati ospiti a cena dall’ex premier pochi giorni prima di assumere una decisione importante che lo riguardava, la cosa da noi è obiettivamente degenerata e quindi era difficile pensare che sul referendum sarebbe uscita una decisione presa su basi guridiche e non più politiche che giuridiche.
Unica consolazione pare che questa volta l’imboccata alla Corte non fosse pervenuta dall’ex premier ma dal Quirinale che mirava a tutelare prima di tutto la stabilità dell’esecutivo in una situazione di emergenza.
E va bene, è andata così, ma non è la fine del mondo per una ragione molto semplice : non è possbile per legge frasformare il ladro in un onest’uomo.
Voglio dire che le leggi elettorali sono degli strumetni tecnici per consentire al cittadino di esprimersi ed alle istituzioni di avere governi stabili e quindi devono mirare a salvaguardare esigenze diverse in contrasto fra loro.
Ma per quanto siano efficaci e ben fatte tecnicamente non sono loro che possono trasformare un cittadino addormentato e disinformato in un attore responsabile come lo descrive la Costituzione.
E vero il Porcellum ha l’enorme difetto di lasciare alle segretterie dei partiti la scelta della classe dirigente e quindi in pratica i parlamentari usciti dalle elezioni fatte col Porcellum sono dei nominati e non degli eletti.
Ma fino a che punto il cittadino è capace di fare buon uso delle preferenze, quando può disporre di una legge elettorale che lo consente, come tutte erano tutte quelle precedenti al Porcellum?
Lo dico per esperienza personale. Mi è capitato innumerevoli volte di avere persone che alla vigilia di una votazione mi chiedevano per chi votare e tutte le volte io mi sforzavo di spiegare : non fatevi abbagliare da scelte esclusivamente ideologiche , per prima cosa informatevi su casa ha fatto il candidato che voreste votare, se era già parlamentare andate a veder se a Montecitorio andava a dormire o quali leggi ha proposto e quali leggi a votato.
Ma facevo una fatica enorme a farmi capire, perché il criterio era sempre destra- sinistra, simpatico-antipatico.
Onesto, serio, capace, preparato quasi mai erano i criteri di riferimento.
E infatti siamo arrivati ad un parlamento pieno di pregiudicati, indagati, a libro paga di qualcuno.
Voglio dire se la gente non comncerà a rivendicare la propria degnità di cittadino che si basa prima di tutto sul sovere di informarsi le legge elettorali che siano buone o cattive non cambia nulla.
E quindi non è il Porcellum che fa un parlamento buono o cattivo.
Sono i cittadini che vanno a votare che devono decidere se appropriarsi dei poteri che hanno usando il cervello o se preferiscono lasciarsi guidare dall’imbonitore di turno andando dietro a quello che dice “la pancia”.

venerdì 6 gennaio 2012

Affidare tutto ai tecnici forse è stato ancora un abbaglio

Ci risiamo. Dovevamo uscire dal berlusconismo perché era un’anomalia e ci siamo infilati in un’altra anomalia.
Il berlusconismo era inaccettabile perché era un regime politico condizionato dagli interessi privati di una persona e di una azienda, che sfruttava la così detta antipolitica, cioè faceva finta di non centrare nulla con la politica, anche se l’aveva occupata completamente con le sue consorterie di faccendieri più o meno corrotti e corruttori.
I partiti della prima repubblica erano in crisi nera questo è innegabile, ma sostituire sezioni di partiti storici, magari poco frequentate, ma nelle quali era comunque possibile esercitare il controllo del potere con gli uffici di faccendieri, rigorosamente chiusi a qualsiasi controllo per definizione, non è stata una scelta intelligente.
Caduto il berlusconismo per auto-implosione (mancanza di voti di maggioranza, non ostante le ripetute campagne acquisti) di fronte all’incapacità delle ex minoranze a presentare una qualsiasi linea politica alternativa il Capo dello Stato è stato costretto a inventarsi una forma di surroga di una politica bloccata inventandosi il governo dei tecnici per evitare il fallimento del paese.
Forse è stato un atto di grande saggezza, ciò non toglie però che la strada scelta in un momento di assoluta emergenza è ancora una anomalia, perché la via maestra sarebbe stata quella dello scioglimento di camere screditate e dell’indizione di nuove elezioni.
La saggezza della scelta di emergenza del Capo dello stato, se saggezza è stata, consiste nel fatto che il marchingegno del così detto governo dei tecnici ha evitato il rischio presunto ma verosimile di finire dopo le elezioni in una nuova situazione bloccata, cioè senza una maggioranza definita.
All’inizio tutto bene nel senso che il passaggio dalla volgarità pacchiana della corte berlusconiana alla facce serie ed ai curricula professionali ineccepibili dei così detti tecnici è stato talmente evidente che non è necessario spenderci parole.
Il problema però è che la politica non si può fare senza i politici.
Berlusconi aveva tentato di risolvere il problema nominando in ruoli politici uno stuolo di personaggi che erano in un modo o nell’altro dipendenti delle sue aziende, uno stuolo di avvocati dei quali si serviva per difendersi nella marea dei processi che aveva in corso e un ulteriore stuolo di personaggi femminili di bell’aspetto.
Negli ultimi momenti di vita del berlusconismo un illustre docente di economia della Cattolica, tutt’altro che comunista ha definito questa corte che tentava di occuparsi di problemi economico- finanziari spaventosi :“uno stuolo di cretini irresponsabili”.
La gestione dell’economia da parte di costoro in momenti di crisi sempre più pesante ha portato sull’orlo del baratro.
Arriva il governo dei tecnici ,appunto sull’orlo del baratro, e ci si aspetta che i mercati applaudano, facendo un ragionamento elementare, ma ineccepibile : confronto ai “cretini” di prima la differenza coi tecnici di oggi è talmente evidente che la fiducia dovrebbe tornare subito.
E invece no, i mercati continuano a non fidarsi perché vogliono fatti e numeri subito.
Soprattutto vogliono vedere cambiare subito un numero del quale l’Italia e gli Italiani continuano a infischiarsene sbagliando di grosso perché questo e non altro è il problema dei problemi e quindi richiede la priorità assoluta : non lo spread coi titoli tedeschi, che è solo un indicatore, ma il debito pubblico al 120 % del Pil.
O si presenta ai mercati un piano credibile per fare abbassare quel numero o è il fallimento del debito pubblico italiano, che trascinerebbe con sé al fallimento l’Euro e l’Unione Europea.
Purtroppo i tecnici si sono giustamente preoccupati subito di sopravvivere e far sopravvivere, garantendo con la manovra alle casse dello stato i fondi di poter pagare stipendi e pensioni ancora per qualche mese, ma fatta la manovra per la sopravvivenza temporanea danno l’impressione di non sapere cosa fare per affrontare il vero problema.
E questo i mercati lo puniscono subito perché questo è il loro mestiere.
Aggiungiamo una cosa, i mestieranti berlusconiani nei giorni scorsi, per nascondere la vastità del disastro economico finanziario combinato dalle consorterie del loro capo, hanno continuato a farfugliare sciocchezze sui mercati, descrivendoli come in balia di biechi individui anglosassoni in grado di operare un complotto speculativo ai nostri danni.
Sono state rispolverate quasi alla lettera i termini coniati nel ventennio dalla propaganda fascista contro la perfida Albione e il complotto delle potenze giudeo plutocratiche contro il popolo italiano, ma i mercati non sono niente di diverso dai risparmiatori comuni, al giorno d’oggi, consorziati nei colossi del risparmio gestito e negli ancora più grossi colossi dei fondi comuni americani che gestiscono le pensioni dei lavoratori di quel paese.
I mercati come tutti sanno guardano avanti e le quotazioni dei titoli che danno non sono altro che previsioni sull’andamento delle varie economie.
È quindi più che ovvio che se il governo italiano non è in grado di dire come ridurrà quella cifra 120, i mercati continueranno a bastonare i titoli italiani con tutte le conseguenze del caso.
I tecnici al governo parlano, prendendola alla lontana, di fase due mirata sulla crescita.
Benissimo, perché se 120 è il rapporto fra l’ammontare del debito e il Prodotto nazionale, se si aumenta la cifra del denominatore (quella appunto del prodotto nazionale) automaticamente la cifra al numeratore (quella del debito) diminuisce.
Il problema è il tempo. La crisi è pesante e i mercati vogliono sapere oggi, subito cosa si farà per passare a valutazioni positive.
Allora urgono misure più draconiane come ad esempio l’introduzione di forme di acquisizione forzosa di Bot e Btp. Cioè lo stato si mette a pagare le liquidazioni o gli stipendi e le pensioni o le forniture con una quota di Bot e Btp in modo da ristrutturare il debito, cioè in parole povere per ricomprarsi una parte di quelli già emessi per di più a prezzi di saldo facendo anche un affare (oggi molti titoli a valore nominale 100 si comprano a 70).
Ma i tecnici tergiversano perché temono che adottando misure del genere si darebbe l’impressione sempre ai mercati di essere alla frutta.
Giusta preoccupazione, ma dato che alla frutta ci siamo di già che aspettano?