sabato 29 aprile 2023

Mauro Ceruti Francesco Bellusci Abitare la complessità La sfida di un destino comune Mimesis edizioni – recensione

 



Quando ci vuole ci vuole.

Voglio dire che difficilmente moriamo dalla voglia di concentrarci per leggere un saggio di epistemologia, ma se realizziamo che senza esserci chiarite le idee su quel tale argomento non siamo letteralmente in grado di capire il nostro tempo, nemmeno a livello di minimo sindacale, allora le cose cambiano.

Se poi prendiamo letteralmente in mano il saggio del quale stiamo parlando e vediamo che si tratta di un librettino di 160 pagine per di più formato mezzo A/4 ,tutto diventa più semplice.

Sull’autorevolezza degli autori non c’è molto da discutere, nella seconda di copertina Ceruti ci è presentato come “Ordinario della filosofia della scienza alla UILM, è fra i pionieri dell’elaborazione del pensiero complesso”.

Mentre di Bellusci si dice : saggista e docente di filosofia al liceo classico Morra di Senise scrive su varie riviste ed è autore di monografie su Durkheim, Costariadis e Serres.

Costariadis, confesso la mia penosa ignoranza, non lo conoscevo ma viene fuori dal libro che è forse la figura chiave in questo campo di studi.

Che dire?

Si legge o si ascolta di continuo sui media autoproclamantisi progressisti un mantra di quotidiane deplorazioni sulla diffusione di fenomeni cultural -politici bollati come populismo, sovranismo, eccetera, lasciando intendere che anche gli intellettuali che adottano queste linee di pensiero sarebbero dei poveri ignorantoni ,abituati a vendere al popolo, naturalmente ancora più ignorante,improvvisate soluzioni semplicistiche, inadeguate per la soluzione dei problemi complessi, che pone a tutti il mondo attuale.

Il libro, se mi posso permettere anch’io una semplificazione, mi pare che dica che se è anche lecito partire dalla considerazione che abbiamo riportato sopra, questa deve essere presa molto sul serio e affrontata in modo approfondito, perché non riguarda affatto, come sembrerebbe a prima vista, l’eterna disputa fra progressisti e tradizionalisti, ma il superamento di un modo di pensare che ci è abituale da secoli se non millenni.

Partiamo pure dall’ “ipse dixit” cioè dal riferimento alla filosofia di Aristotele ,che permane più o meno inconsapevolmente nel nostro modo di pensare e arriviamo fino ai sempre vivi ricordi liceali sul “pensiero chiaro e distinto” di Cartesio.

Cosa ne ricaviamo di sostanziale?

Riducendo tutto all’osso, ricaviamo questo : il mondo è razionale e riconoscibile.

Per risolvere i problemi di conoscenza della speculazione scientifica ,o più modestamente il nostro personale accesso alla soluzione dei problemi che la vita ci presenta ,il metodo collaudato nei secoli, consiste proprio nella ricerca della semplificazione, consistente nella decostruzione di un problema complesso nelle sue parti ,affrontandole una per volta. usando la disciplina appropriata.

Benissimo!

No, col cavolo, tutto sbagliato ci si dice in questo saggio.

Eh sì! Perchè i problemi di oggi, qualificabili come complessi ,non si semplificano affatto tagliandoli in pezzettini più piccoli per renderli più semplici, perché se li tagliassimo, ne altereremmo la natura e poi non capiremmo più nulla.

A questo punto risparmio al lettore di trascinarlo fra il secondo principio della termodinamica, la teoria della relatività e l’ ancor maggiore relatività della fisica quantistica ,perché per fare questo affascinante viaggio intellettuale c’è il libro apposta per spiegarlo e se fossi così bravo da sintetizzare questo argomento in poche righe il libro l’avrei scritto io.

Scherzi a parte questo saggio è veramente importante e di grande peso perché, come accennato, ci dice semplicemente addirittura che d’ora in avanti dovremo convincerci ad adottare un nuovo modo di pensare.

Ma non basta ,perché un atteggiamento così rivoluzionario comporterà una rimodulazione di scuole e università dato che i problemi complessi si possono approcciare solo con procedure interdisciplinari e la divisone classica delle materie, sulla quale è ancora costruito il nostro sistema educativo, non è più adeguata allo scopo.

Questo libretto è un autentica bomba, perché qui c’è da cambiare tutto.

Buona lettura.




giovedì 27 aprile 2023

Domino rivista sul mondo che cambia Numero 4 /2023Se brucia Israele. Infuria lo scontro tra laici e religiosi per il futuro dello Stato Ebraico. Con il rischio di giungere allo stallo. Ed esporsi agli attacchi dei nemici - recensione

 





Tanto per cambiare il nuovo numero di Domino è stato predisposto sullo stesso argomento, trattato da Limes, nello stesso mese di uscita : le vicende di Israele.

E, mio parere personale, ancora una volta l’allievo (Dario Fabbri) direttore di Domino, ha superato il maestro (Lucio Caracciolo) direttore di Limes.

I due direttori sono a un tale livello culturale e professionale come analisti di geopolitica, che, consiglierei al lettore ,di non perdersi nessuno dei loro editoriali, compresi quindi questi ultimi due.

Dario Fabbri ,pur essendo abituato ad un eloquio non meno colto e sofisticato di quello da sempre usato da Caracciolo, sfoggia quel quid in più, forse dovuto alla sua giovane età, che lo fa particolarmente apprezzare.

Le tesi di fondo non divergono poi tanto, ma là dove Caracciolo è un po più cauto e coperto, Fabbri sbotta apertamente sulla gravità della situazione.

Israele sarà anche la tanto decantata unica vera democrazia della regione, sarà anche un inarrivato modello di sviluppo economico,tecnologico e culturale, ma affonda con piedi di argilla in una divisione etnico-culturale religiosa e politica ,diciamolo pure, fra opposte fazioni ,che fa temere seriamente per una sua ormai possibile e verosimile implosione.

Non riesce più a stare insieme.

Grosso modo, come recita il sottotitolo scelto da Fabbri, si tratta di una contrapposizione frontale fra l’establishment economico-tecnocratico di formazione laica, che si richiama ai padri fondatori del sionismo e dello stato di Israele, e gli “haredim” i vari gruppi ortodossi e ultra-ortodossi che trovano la loro base socio-politica fra i coloni.

Non oso avventurarmi nell’elencazione dei vari gruppi o sette di matrice religioso-politica ,che sono naturalmente accuratamente elencate e analizzate nel volume.

Sinceramente ,quando vedo (raramente) in giro, o nei serial televisivi, questi ultra ortodossi, rigorosamente in nero. con cappellaccio. lunghi riccioli e, ci potete giurare ,nastrini di ordinanza all’avambraccio, sfornati dalle scuole Yeshivah ,ho la sensazione di imbattermi in gente fuori di testa, ma se vogliamo essere coerenti figli di Voltaire, la tolleranza ci impone di rispettare anche le loro idee ,se pure contorte.

Il problema serio che rende potenzialmente esplosiva l’attuale situazione di Israele è che costoro, praticando per anni l’abitudine di sfornare sette figli per famiglia sono ormai giunti vicini alla maggioranza ed anzi l’hanno superata alleandosi con gruppi dalle medesime vedute o interessi politici.

Semplificando al massimo, per quanto possibile, una situazione molto complessa, non si vede come i due fondamentali schieramenti possano trovare un “patto sociale”, che garantisca la possibilità di Isreale di sopravvivere ,se non c’è modo di definire nemmeno l’essenziale, e cioè cos’è o cosa vuol essere Israele?

Paese piccolo, che trascina da decenni la situazione obiettivamente assurda dell’enclave di Gaza, non riconosciuta come indipendente, ma sotto amministrazione di Hamas (di osservanza sunnita ma foraggiata e armata dall’Iran sciita, ennesima contraddizione di quella regione!) e i “Territori Occupati” della Cisgiordania, dove peraltro sono ormai impiantati in modo stabile una quantità di insediamenti di coloni ebraici a macchia di leopardo in una situazione di convivenza semplicemente impossibile.

Le cartine che corredano il volume bastano da sole a dipingere a quali eccessi possa arrivare la follia umana.

La fantasia artistica di un Kafka è roba da dilettanti in confronto.

Ma tant’è la situazione sul campo è questa.

I vicini sono potenti, ben armati, ben sostenuti dagli aspiranti “egemoni” della regione : Sauditi,Turchi, Iraniani e globali : sempre i soliti : Usa, Russia e Cina.

Solo la valenza demografica degli arabi giocherebbe contro la sopravvivenza di Israele.

Ma non dimentichiamoci che quando tutti gli arabi insieme hanno attaccato Israele non è finita bene per loro : hanno perso non solo la guerra ma anche vari pezzi (Cisgiordania, alture del Golan,Gerusalemme Est,Gaza, Sinai).

Ci potrebbero riprovare se Israele implodesse, anche se non si vede un miglioramento né della loro capacità militare, né una possibilità di strategia politica comune, questo è vero.

Ma se Israele esplodesse in una guerra civile tutto diventerebbe possibile, in un grande caos, del quale il Medio Oriente è maestro assoluto.

Detto questo su Israele ,consiglio ai lettori di non perdersi in questo volume gli aggiornamenti sulla guerra in Ucraina e sopratutto l’articolo di Virgilio Ilari molto diretto e senza veli di politicamente corretto, dei quali del resto, abbiamo ormai piene le tasche.








giovedì 20 aprile 2023

Paolo Cognetti Le otto montagne Ed. Mondadori – recensione

 





Capitano anche queste cose strane, che uno, cioè io ,pur essendo da sempre un grande appassionato di montagna abbia comperato e messo in libreria il vincitore dello Strega del 2017, cioè questo libro , e che lì ce l’abbia praticamente abbandonato, fino a quando mi è venuto in mano mentre ne cercavo un altro, e l’ho subito letto con grandissimo piacere.

Ma, devo dire, anche con grande emozione perché non capita spesso purtroppo di ritrovarsi inaspettatamente in mano un romanzo che capisci subito dopo poche righe che possiede il respiro profondo della grande letteratura.

Dopo aver condotto alcune verifiche sul web si apprende, indirettamente, perché l’autore, come non sorprende affatto, ha fatto la scelta di non essere presente sui “social”,che le vicende umane e familiari che appaiono nella trattazione del romanzo sono in buona parte autobiografiche.

Mi guardo bene dal fare una sinossi della “trama”, per la semplice ragione che se sostengo in partenza che siamo di fronte a un’opera degna della grande letteratura, la trama viene tutt’al più in coda, ma non è certo l’elemento determinante.

Determinanti sono i grandi temi della vita.

Il rapporto con madre e padre.

I rapporti interpersonali e le amicizie.

Gli amori più o meno riusciti.

Le abilità acquisite che si esercitano in una professione.

Ma è ovvio che ,come ci si aspetta dal titolo, il rapporto principale del quale si parla in questo libro è quello con la montagna, con la sacralità della montagna, che tale è anche per chi non crede nelle mitologie religiose, ma ha una frequentazione con la spiritualità o anche solo con la filosofia, col pensare.

Con questa spiritualtà, che nella montagna nasce in modo contro-intuitivo dalla sublimazione della materia nella bellezza assoluta.

La bellezza la si può andare ad ammirare anche al museo.

Però nella montagna e nella natura io ho sempre visto non solo il più bello dei musei, ma il vero tempio, dove si spende della fatica fisica per andare materialmente oltre al sé a contemplare questo “oltre”, cercando in esso il senso della vita.

Queste cose ci sono ed anzi sono proprio la vera trama di questo bellissimo libro di Cognetti.

Grande ammiratore di Rigoni Stern ,e non poteva essere diversamente, Cognetti si ritrova in eventi ,che periodicamente ripete nella sua casa-baita allargata, nella Valle di Ayas, in vista della maestà del Monte Rosa, insieme a quell’altro singolare artista e cantore della magia della montagna che è Mauro Corona, oltre, ovviamente, ai comuni mortali che condividono quei sentimenti.

Se non l’avete ancora letto non perdetevi questo libro e se l’avete già letto vi farà bene rileggerlo.


sabato 15 aprile 2023

History The United States and the rising China : The Trouble with Taiwan . Kerry Brown and Kalley Wu Tsu-Hui - Zed Books Ltd – recensione

 



 

Perchè consiglio ai lettori di dedicare un po del loro tempo alla lettura di questo libro?

Mi pare che il titolo di copertina dica a sufficienza per capirlo.

Avevamo parlato di recente di Ucraina, per ovvie ragioni.

Avevamo parlato anche di Cina, perché è noto che per gli analisti di geopolitica la “proxy war”, la guerra per procura, in Ucraina fra Russia e Stati Uniti, non è che un collegamento accidentale, provocato maldestramente da un Putin che si sta suicidando politicamente, con lo scenario ben più importante del vero scontro fra i due colossi ,che si contendono la leadership mondiale : Stati Uniti e Cina.

In questa prospettiva la pietra d’inciampo vera, piena di incognite e di rischi non è l’Ucraina, ma Taiwan.

Chi ha letto i libri di Giada Messetti sulla Cina che trovate già recensiti (http://gmaldif-pantarei.blogspot.com/2023/04/giada-messetti-la-cina-e-gia-qui-ed.html e

https://gmaldif-pantarei.blogspot.com/2021/09/giada-messetti-nella-testa-del-dragone.html)

avrà notato che la medesima autrice cita come sinologo accademico di riferimento proprio quel Kerry Brown del King’s College di Londra che ha scritto questo libro.

Ma non spaventatevi per i titoli accademici dell’autore, vi assicuro che ci sono anche professoroni che sanno scrivere libri autorevoli senza fare addormentare il lettore e che Kerry Brown è uno di questi.

La co-autrice ,ci viene detto, è una esperta di finanza nativa di Taiwan.

E allora, penserà il lettore , se leggo questo libro mi tornerà assolutamente chiaro perché la Cina si incaponisce a dichiarare e ripetere ad ogni occasione che Taiwan farebbe parte della “madrepatria” cinese e che quindi a quella sarà riunita, prima o poi, con le buone o con le cattive.

Mentre dalla parte opposta gli americani dichiarano che nel caso in cui la Cina osasse prendersi Taiwan con le armi ,conto il suo volere, dovrebbe vedersela con la prima potenza militare del mondo e cioè con loro stessi,auto nominatisi poliziotti del mondo ,da quando hanno vinto (ma non da soli) la seconda guerra mondiale.

Tutto girerebbe allora sul rispetto o meno del principio di autodeterminazione.

Ma non è così semplice la questione Taiwan.

Terry Brown ha scritto questo libro proprio per spiegarci nei dettagli l’estrema complessità della questione Taiwan.

Perchè se ci limitassimo a una lettura “razionale” della storia sarebbe difficile non considerare fondato affermare, come fa la Cina, che a ragione del fatto che l’impero cinese della dinastia Quing ha avuto Taiwan come propria provincia per ben due secoli successivi (XVIIII e XIX) ,Taiwan fa parte della Cina.

Tutto sarebbe indiscutibile se il concetto di “identità” di un popolo, o di una nazione avesse solo fondamenti razionali.

Sappiamo invece che la “narrazione” relativa alla propria identità, che viene metabolizzata nella storia etnico-culturale di un popolo, varia col tempo ed è legata più a fattori emotivo-sentimentali-psicologici che a elementi reali-fattuali.

Complica poi enormemente le cose il fatto che la storia di Taiwan sia complessa e tutt’altro che lineare.

Perchè alla dominazione Quing, tra l’altro abbastanza distante, è seguita la dominazione giapponese a fine ottocento ,durata 50 anni, cioè per un periodo abbastanza lungo da lasciare un segno profondo.

Poi la guerra civile : comunisti contro nazionalisti ,conclusasi con la pesante immigrazione nell’isola, che allora contava 4 milioni di abitanti, di ben 2 milioni di nazionalisti del generalissimo Chiang Kai Shek, riusciti perdenti sul continente.

Finito il regime autoritario di Chang durato quasi 30 anni ,Taiwan si avviò verso un sistema democratico ufficializzato nel 1996.

Brown mette in evidenza il fatto che ,forgiati da una storia così complessa ,oggi per un Taiwanese definire la propria identità è un grosso problema.

Perchè nella sua psiche convivono molte cose diverse.

A cominciare dall’eredità della cultura dei nazionalisti , che si ritenevano cinesi piu ortodossi dei cinesi continentali comunisti, tanto da conservare la scrittura tradizionale e rifiutare le semplificazioni introdotte da Mao.

Ma anche il sistema della democrazia liberale e il libero mercato hanno marcato indelebilmente il fatto di essere Taiwanese.

Il tutto finito nel turbinio dell’ enorme sviluppo economico ,condiviso con la Cina continentale.

Cinesi quindi sì, ma non solo.

I Taiwanesi potrebbero quindi essere addirittura un esempio per la Cina di nuova declinazione del modo di essere cinesi al giorno d’oggi.

Come abbiamo detto sopra se le cose funzionassero solo su criteri razionali, ma non è così.

Dicono infatti gli analisti di geopolitica che se la Cina accettasse l’autonomia di Taiwan non sarebbe più la Cina.

Perchè ha senso un’affermazione apparentemente così inverosimile?

Ecco, questo è il punto, se si capisce questo ci si chiarisce qual’ è il nocciolo del problema.

Per chiarirsi le idee bisogna capire due cose ,ostiche per la nostra cultura, non solo politica.


-) Prima di tutto bisogna capire che la Cina è per sua natura un impero o non è.

Cerchiamo di spogliarci almeno provvisoriamente dai pregiudizi e dai dogmi che abbiamo acquisito ,che ci fanno ritenere non solo negativo ,ma nemmeno più usabile il vocabolo impero.

Fortunatamente l’analisi geopolitica ,che è tutta fondata non su ideologie di sorta ma solo sui “fondamentali” : geografia, demografia, potenza, stabilità nel tempo, usa il termine impero senza le remore del politicamente corretto.

Per la geopolitica è impero uno stato generalmente di grandi dimensioni (per fattori geografici,demografici, politico-economici etc.storici) dotato appunto degli indispensabili attributi fattuali, con una narrazione pedagogica nazionale ,che riferendosi alla propria storia giustifichi l’aspirazione ad esercitare una egemonia regionale o globale.

Attenzione però a non distorcere il senso di questa definizione con giudizi di valore ideologici od etici, perché la definizione stessa è basata solo su elemento fattuali, concreti cioè di realtà valutabili in modo empirico.

In questo senso e in questo ambito la Cina è indiscutibilmente un impero semplicemente perché ne ha gli elementi fattuali.

E ’ talmente essenziale la nozione di impero per la Cina, che contiene questo concetto addirittura nel suo nome.

In cinese Cina si dice e si è sempre detto nella sua storia millenaria Zhongguò , cioè Impero di Mezzo.

Ma l’elemento fondamentale da prendere in considerazione ora è che non potrebbe essere che un impero per il fatto che dispone di un territorio immenso ,abitato da etnie diverse, anche se con una relativa prevalenza dell’etnia Han, che però a sua volta non è del tutto omogenea.

E in queste situazioni il tutto sta insieme solo nell’ambito di una istituzione imperiale.


-) Poi, nel caso specificatamente cinese, bisogna tenere in mente il principio che regge tutta la strategia politica di Xi Ginping e dei suoi predecessori : l’enorme sviluppo che ha avuto la Cina in questi ultimi anni deve essere usato per superare il “secolo dell’umiliazione” ,quando il colonialismo inglese e poi occidentale dalle guerre dell’oppio in poi hanno umiliato la Cina con una occupazione inqualificabile come brutalità.

Basti pensare ai famosi cartelli apposti dagli occupanti all’ingresso dei giardini pubblici che recitavano : “ingresso vietato ai cani e ai Cinesi”.

Ma a scuola questi fatti purtroppo ci vengono insegnati poco o niente del tutto, come il resto della storia dell’Asia, che ,guarda caso ,conta per quasi due terzi dell’universo mondo.

Anche se ,senza queste conoscenze, mi chiedo : come si fa a capire la Cina?

Nella strategia di Xi la Cina nell’anniversario della Rivoluzione che si celebrerà nel 2049 dovrà aver raggiunto il conseguimento di tali parametri di progresso in tutti i campi da cancellare il ricordo del “secolo dell’umiliazione”, recuperando per intero la dignità millenaria dell’Impero di Mezzo, senza voler “esportare” nessun modello ,come fa invece il parallelo e concorrente Impero americano, che il suo modello vuole esportare, se necessario anche con le armi ,come ha già fatto in più occasioni.

In questa prospettiva non c’è posto per l’indipendenza di Taiwan perché rappresenterebbe una forma di Cina “non cinese”.

Questo ragionamento è fondato su un’involuzione culturale e logica?

Si direbbe di sì ,sul piano razionale, ma non su quello emotivo, sentimentale, psicologico, sui quali si regge la narrazione dell’”identità” cinese.

Lasciatemi dire che questa contraddizione va messa a fuoco e tenuta ben presente ,perché è la medesima chiave di lettura ,che giustifica la visione imperiale della Russia con o senza Putin, e quella americana, con o senza Biden o Trump.








 

martedì 4 aprile 2023

Giada Messetti La Cina è già qui Ed. Mondadori – recensione

 


Abbiamo già apprezzato le doti di brillante sinologa di Giada Messetti con la lettura del suo precedente libro : “Nella testa del Dragone” ,che si era recensito su questo blog il 10 settembre 2021.

In quest’altro, la medesima autrice ,che nel frattempo ha preso anche abbastanza confidenza col mezzo televisivo ,apparendo come ospite in diversi talk show ,approfondisce la sua narrazione della Cina, soffermandosi su aspetti che nel libro precedente aveva appena accennato.

Occorre dirlo subito,il compito che un sinologo si impone è decisamente difficile.

Innanzitutto perché la Cina è lontana.

E fosse lontana solo geograficamente, andrebbe ancora, bene, perché oggi con un aereo o usando i media sul web si va facilmente dappertutto.

Il problema vero che la Cina è lontana ,significa che è parecchio “diversa”, cioè ci mette in crisi perché non è assimilabile alle cose delle quali abbiamo esperienza , e questo è un guaio, perché le neuroscienze ci dicono che come ci si presenta una cosa che non conosciamo, la nostra mente è programmata in modo da fornirci un primo approccio di conoscenza. tirando fuori dal “data base” del nostro vissuto qualcosa di analogo.

Va bene, anzi non va bene affatto, perché la Cina è tanto diversa da non essere leggibile usando i parametri occidentali ,che padroneggiamo tutti i giorni, perché se usiamo quelli non siamo in grado di capire nulla di quel paese, se non rappresentarci delle versioni stereotipate e preconcette, che in realtà sono delle favole che non hanno attinenza con la realtà.

OK! Allora cerchiamo di vedere la Cina con gli occhi giusti.

Ottimo proposito, ma che guaio!

Perché per apprendere cose delle quali non abbiamo alcuna esperienza ,occorre dedicare del tempo a una studio particolare ,anche solo per avere una infarinatura, e questa prospettiva difficilmente entusiasma.

Ecco perché non invidio i sinologi, perché sanno che convincere la gente a studiare, non è la cosa più facile del mondo e quindi devono essere molto bravi a trovare argomenti che accendano la lampadina di un interesse particolare nel lettore.

Se seguiamo questo criterio di lettura, a mio parere ,mi sembra che la Messetti sia riuscita in questo scopo in più di una occasione.

Usando un gran coraggio, perché ha preso veramente il toro per le corna ,cominciando il libro con un piccolo ma corposo saggio, tutto dedicato forse alla difficoltà maggiore sulla quale va a sbattere la faccia chi cerca di relazionarsi con la Cina : la lingua.

Se c’è una cosa che descrive bene la formidabile diversità fra noi occidentali e i cinesi, è proprio quella strana lingua e quegli ancora più strani ideogrammi che ci portano in un mondo simbolico, ben diverso dal nostro.

Basta dire ,che è ostico di per sé e quindi è difficile, perfino per i Cinesi, tanto che, come ci spiega bene la Messetti,quel sistema linguistico è stato più volte soggetto a lavori di semplificazione, che hanno a volte addirittura portato ad ipotizzare il suo abbandono, per ricorrere alla translitterazione verso i caratteri alfabetici.

Ma i cinesi sono riusciti incredibilmente a superare anche l’ostacolo ,che sembrava veramente insormontabile, per portare la Cina nel pieno del mondo moderno ,quando cioè, hanno dovuto trovare il modo di inventarsi qualcosa di simile alla nostra tastiera da computer “Qwerti”, usando in qualche modo gli ideogrammi, che sono migliaia e ovviamente non ci stanno in una tastiera che si deve limitare a non più di alcune decine di tasti.

Ma non avrebbero fatto prima ad approfittarne per passare alla translitterazione?

Forse, ma non è solo per amore di rimanere fedeli alle loro tradizioni millenarie, che non lo hanno (ancora) fatto.

Se, come spero, leggerete questo libro, capirete che l’uso dei “pittogrammi” o degli “ideogrammi” è legato in modo fortissimo alla millenaria cultura dell’ “Impero di Mezzo” , come sono abituati a dirsi e a pensarsi i cinesi.

E’ la loro visione del mondo che viene rispecchiata in quei simboli e quindi tenerli in vita ha un suo senso.

Ecco ,siamo arrivati al cuore del problema.

La visione del mondo dei cinesi è parecchio diversa da quella che abbiamo noi occidentali.

Giada Messetti nelle pagine di questo libro ci offre l’occasione di avvicinarci parecchio.

Confucio, Mencio, Lao Tse .

Dovremo proprio cercare di conoscere ,almeno un po, questi grandi pensatori, diversamente sarebbe difficile capire la Cina.

I soloni dei nostri media ,che non sempre sembrano avvezzi a dedicare il tempo dovuto allo studio, a questo punto, ci farebbero la solita predica : ma noi non saremo mai disposti a transigere sui nostri valori “non negoziabili” ,relativi ai diritti umani e alla democrazia, tutt’al più saranno loro a dover avviarsi verso una ulteriore fase di civilizzazione, acquisendoli ,come abbiamo fatto noi in passato.

Ma non puzzerà un po di un già visto “imperialismo culturale” questo modo di ragionare?

Chi si dà come valori non negoziabili solo il pensiero critico e la fedeltà alla logica, cioè al pensiero razionale e non dogmatico, come facciamo noi figli dell’illuminismo, non dovrebbe invece ragionare su : “quali” diritti umani e “quale” democrazia ?

Il problema è tutto qui.

Se vogliamo uscire dalla logica della legge della giungla, cioè del : voi dovete introitare e professare i nostri valori perché noi siamo i più forti , come si è fatto ai tempi della Regina Vittoria, della Compagnia delle Indie e della politica delle cannoniere, sarà inevitabile porsi le domande sopra elencate, magari coniugandole con almeno una spruzzatina di etica, ingrediente divenuto così raro.

Questo è un ottimo libro ,che, come vedete, conduce anche a riflessioni veramente serie, perché ci conducono a spingerci addirittura alla riflessione sul futuro dell’umanità.

Ma non spaventatevi, perché l’autrice ha l’abilità di tenere una linea di pensiero di fondo molto, molto serio, inanellando però diverse messe a punto sugli elementi esotico-folkloristici ,che attirano da sempre la nostra curiosità sulla Cina.

Andiamo dall’uso delle bacchette par mangiare, all’etichetta da usare a tavola; dalle curiosità della famosa cucina cinese, fino agli atteggiamenti da tenere nei rapporti con interlocutori cinesi per non urtare le loro suscettibilità ;fino addirittura al senso del colore delle mutande.