venerdì 25 settembre 2020

Yuval Noah Harari : 21 lezioni per il XXI secolo

 



Ed eccoci all’ultimo lavoro della trilogia di Harari, che è anche il volume di più recente pubblicazione 2018.

Vedremo che questo fatto ha delle conseguenze perché Harari ne approfitta per aggiornarci sulla evoluzione del suo pensiero anche in materie di notevole peso.

Premetto però che è altamente consigliabile per il lettore seguire lo sviluppo del pensiero dei questo autore seguendo la cronologia delle uscite : Sapiens, Homo Deus e Lezioni.

Harari sa scrivere in modo accattivante ma non nascondiamoci che l’ argomento non è dei più semplici da trattare e per di più la linea di pensiero dell’autore richiede nel lettore la necessità di metabolizzare affermazioni spesso contro- intuitive che richiedono un po di tempo per essere analizzate.

Ricordiamoci infine che si tratta purtroppo di una materia che non è ancora nei normali canali dell’”offerta formativa” della nostra scuola e che quindi il lettore si troverà necessariamente ad esplorare campi completamente vergini.

Ma questa è anche la ragione dello straordinario successo che ha avuto la pubblicazione di uno studio di livello accademico anche se scritto a beneficio del pubblico “normale”.

Purtroppo devo confessare che le pagine di questi libro sono 490, ma il lettore si rallegri, vedo dalla pagina che gli dedica Amazon che Sapiens è stato tradotto in un film da Ridley Scott con la direzione di Asif Kapadia.


Forse non poteva fare diversamente, ma Harari comincia come è nel suo stile con l’assestare un bello schiaffone al tranquillo lettore, contento del suo bagaglio di pregiudizi, che però per lui sono quelle che ha maturato come “certezze” che usa per dare senso e sicurezza alla sua vita.

Gli umani si basano su storie piuttosto che su fatti, numeri ed equazioni : questo è l’incipit del libro.

Storie, miti,fascismo, comunismo, liberalismo.

Per chi non avesse letto i libri precedenti ricordo che nell’ottica di Harari le così dette ideologie sono equiparate alle religioni essendo tutte creazioni uscite dalla fantasia creativa dell’uomo nel corso dei millenni per risolvere problemi pratici come dare legittimità ad altre creazioni fantastiche come stati, imperi, nazioni, corporations. banche, monete.

L’ultima di queste storie nelle quali ha creduto l’uomo, il liberalismo ,è piuttosto in crisi a seguito delle più recenti crisi economiche ed al minore appeal del quale soffre la democrazia rappresentativa.

Ma per l’uomo dice Harari, anche quando scopre i limiti delle religioni, ideologie etc, è terrificante trovarsi senza storie che diano senso alla vita.

Questo processo di disillusione verso la religione seguita più di recente è stato reso più rapido e più profondo dall’enorme progresso della tecnologia , si pensi solo alla diffusione di Internet che in fondo esiste solo dagli anni ‘90.

Il potere si è spostato ed anche questo genera sconcerto, non è più la terra o le macchine o le materie prime, si è spostato su cose immateriali come l’informazione.

Noi stiamo imparando addirittura a estendere la vita umana, disegnare la nostra mente, uccidere pensieri a nostra discrezione.

Scenari di enorme miglioramento per certi verso come nella salute, ma con conseguenze terribili e di enorme portata come il fatto dei lavori che perderanno ogni senso, costringendo le masse all’irrilevanza a favore di una ristretta cerchia di super uomini, super istruiti.

Non parliamo del collasso ecologico che prosegue senza che ce ne sia una sufficiente presa di coscienza ed ancor meno reazioni proporzionate.

Ma inesorabilmente i computer stanno progredendo nella abilità dell’analizzare il comportamento umano fino ad acquisire la capacità di predire le decisioni umane.

A questo punto è la fine lavoro per impiegati in genere, di banca in particolare, medici, farmacisti, guidatori di ogni tipo, avvocati e giudici eccetera.

L’intelligenza artificiale ha non soltanto la capacità di superare le nostre facoltà nel calcolare probabilità in un millesimo di secondo, ma ha superiore abilità nelle decisioni basate sull’intuizione ed eccelle nel possesso di connettività e di capacità di aggiornarsi.

Più i lavori sono di routine, più è facile rimpiazzare uomini con macchine, ma più il lavoro richiede un vasto campo di abilità più è difficile sopratutto se comporta di dovere fronteggiare scenari imprevedibili.

Lo stesso discorso si può fare nelle materie nelle quali è implicata la creazione artistica.

Mentre nei volumi precedenti Harari tendeva a ipotizzare tranquillamente la sostituzione dei compositori con assemblatori inanimati, lasciando parecchio sconcertati molti lettori, in questo libro afferma invece che l’arte sia qualcosa di più profondo che non emozioni umane, vibrazioni biochimiche e algoritmi biometrici.

In vista del mondo nuovo occorre quindi al più presto focalizzarsi su nuovi tipi di lavori che in quel mondo abbiano piena utilità come la manutenzione, il controllo da remoto, analisi dei dati e cyber sicurezza.

Il problema più evidente anche a un primo approccio è che tali tipi di lavoro richiedono un livello molto alto di specializzazione.

Occorre tener conto che non solo l’idea di posto fisso verrà ritenuta antidiluviana, ma lo stesso giudizio verrà dato anche all’idea di una medesima professione praticata a vita.

A queste nuove sfide è chiaro che non si può rispondere se non organizzando un sistema di educazione completamente diverso nel senso che sia indirizzato verso l’istruzione permanetene ben oltre l’età scolare perché il tipo di vita che ci aspetta richiederà che ci si reinventi continuamente.

In ogni caso i governi dovranno studiare sistemi di reddito universale di base perché i senza lavoro saranno i più tassando i profitti delle aziende che producono robot e controllano gli algoritmi.

Un altro modo di raggiungere il medesimo scopo è quello di valutare economicamente i servizi che si rendono ad esempio in famiglia accudendo ai figli.

Oppure rendendo gratuiti i servizi essenziali come educazione sanità trasporti e così via.

Raggiungeremo gli scopi quasi utopici che si proponevano i teorici del comunismo ? Si chiede Harari.

E’ chiaro che il nuovo mondo che si delinea costerà carissimo ai paesi in via di sviluppo che rischieranno il collasso.

In scenari così destabilizzanti,Harari invita però a considerare il fatto che ormai c’è una evidenza scientifica sul fatto che la felicità alla quale tutti agogniamo non la si raggiunge col maggior possesso di beni o di ricchezza, ma dedicandosi a qualcosa di appagante relativamente alla nostra domanda di senso.

Harari ,che è un laico a tutta prova ,cita a dimostrazione di questa asserzione lo studio fatto in Israele sul grado di soddisfazione nella vita percepito nelle varie occupazioni dal quale risulta che la categoria di persone più soddisfatta è quella degli ultra-ortodossi,gli Haredim, che non svolgono nessun lavoro e sono esonerati dal servizio militare ma sono stipendiati dallo stato per studiare la Torah e le sue interpretazioni, oltre a seguire alla lettera le prescrizioni del Levitico.

Per capire le basi di questo nuovo mondo Harari invita a prendere coscienza del fatto, appurato dalle neuroscienze, che le nostre sensazioni e anche i nostri sentimenti non sono altro che meccanismi biochimici riducibili ad algoritmi, usati in ultima analisi per calcolare rapidamente le possibilità di sopravvivenza e di riproduzione.

E’ un inganno della mente quello che ci fa credere che i sentimenti sarebbero basati su intuizione, ispirazione o libero arbitrio, essi sono in realtà basati sul calcolo.

Occorre quindi superare l’illusione secondo la quale io sarei in grado di controllare il mio sé.

Bisogna altresì prendere coscienza del fatto che oltre ha non godere di libero arbitrio e di uno spazio tipo anima individuale, il sistema esterno che processa i dati è in grado di hackerare i nostri desideri, le nostre decisioni, le nostre opinioni fino a poter determinare chi e cosa siamo con più precisione di quanto potremmo mai fare noi.

Una preoccupazione- obbiezione che viene di solito mossa a questo nascente enorme potere in mano all’intelligenza artificiale è che le macchine sarebbero del tutto incapaci di sottoporsi a regole etiche.

Questo modo di ragionare è erroneo perché proprio per il fatto che diversamente da noi le macchine non sono state modellate dalla selezione naturale non hanno né emozioni né istinti.

Ma proprio per questo non sono limitate dalla zavorra dei nostri pregiudizi e quindi in momenti di crisi possono seguire guide etiche meglio di noi.

Certo che i moderni sistemi di controllo in mano a un potere dittatoriale sarebbero un arma terribile.

Tutto si basa sul controllo dei dati per anticipare e provocare le nostre decisioni è vero, però non dimentichiamo che il meccanismo della nostra mente è strutturato esattamente nello stesso modo.

Harari nella sua trilogia ripete la scioccante evidenza secondo la quale ben lontani dal godere di libero arbitrio e di possedere una anima singolare e immutabile, siamo in balia di pulsioni che ci inducono a decisioni che avvengono per lo più in automatico e non per nostra scelta, spesso influenzati pesantemente da pregiudizi inculcateci dal lavaggio del cervello operato da chiese culture famiglia e gruppi sociali.

L’intelligenza dice Harari è l’abilità di risolvere problemi mentre la coscienza, la consapevolezza è l’abilità di sentire cose come pena, gioia, amore, odio.

Il problema è che conosciamo a tutt’oggi troppo poco sulla coscienza.

Ci può confortare il fatto che nel futuro più vicino l’uso dell’intelligenza artificiale continuerà a dipendere in una certa misura dalla auto-coscienza umana.


Coloro che posseggono i dati posseggono il futuro, sostiene Harari

I cacciatori -raccoglitori di 70.000 anni fa avevano di proprietà personale ben poche cose, tanto che il concetto di proprietà privata praticamente non esisteva, ma questo era la loro fortuna perché è con l’affermarsi del concetto di proprietà che è nata la disuguaglianza e la gerarchia.

Si è arrivati alla proporzione odierna che vede l’1% della popolazione mondiale possedere metà di tutta la ricchezza della terra e in futuro sarà anche peggio perché le misure per estendere la vita e ridisegnare in meglio corpo e mente saranno operazioni costose che solo una élite sarà in grado di procurarsi.

Ma quali saranno i beni del futuro sul possesso dei quali misurare la ricchezza?

Saranno i dati, concentrati in poche mani.

I famosi giganti del web Google,Facebook Baidu, Tencent, gestiscono un business che la gente ancora non capisce bene in cosa consista e tende a credere che sia concentrato nel vendere pubblicità.

Non è così, perché noi non siamo i loro clienti, noi siamo il loro prodotto.

Mi permetto di ricordare al lettore che se vuole avere un aggiornamento chiaro e ben fatto sull’argomento potrebbe ricorrere all’ottimo documentario sul circuito Netfix “The social Dilemma”.

Come facciamo a fidarci dei pochi o pochissimi che dispongono dei nostri dati?

Nazionalizziamo le corporation che li posseggono dice qualcuno, ma per metterli nelle mani dei politici ,e chi li ritiene più affidabili?

E’ difficile trovare una soluzione anche se l’unica cosa certa che si può dire in proposito è che la soluzione se c’é deve essere necessariamente presa dalla comunità delle nazioni.

Ma nazionalismi religioni e culture dividono l’umanità.

Come i nostri antenati cacciatori raccoglitori riuscirono a vivere grosso modo 58.000 anni fà verosimilmente più felici di quanto siamo noi oggi facendo a meno di religioni e nazionalismi, è possibile che l’umanità possa farlo anche nel 21° secolo.

Una soluzione potrebbe essere incoraggiare la gente ad andare on line solo quando proprio necessario, dedicare più attenzione al loro ambiente circostante ai loro corpi ed ai loro sensi.

Oltretutto è dimostrato che gli umani possono essere fedeli a diversi gruppi contemporaneamente perfino in campo religioso.

La sociologia religiosa ha messo in evidenza che è assolutamente normale che ognuno nell’ambito delle grandi religioni universali si costruisca una sua religione fai da tè, assemblando alcuni dogmi-verità e lasciandone fuori altri, come del resto fanno anche i vertici istituzionali delle medesime aggiornando, contraddicendosi ,arrampicandosi sui vetri con traduzioni e interpretazioni spesso inverosimili per sopravvivere lottando contro la loro irrilevanza.

Del resto il mondo funziona così, le cose mutano, la continuità di fatto non esiste.

Sui tempi lunghi religioni e nazionalismi che spingono per chiudere gli adepti in recinti sono sempre stati sconfitti dalla tendenza umana innata a indirizzarsi verso coalizioni più ampie ,dalla tribù a gruppi sempre più ampi.

I nazionalismi e le religioni che spingono verso le chiusure settarie hanno successo solo praticando il lavaggio del cervello propaganda e disciplina, controllo sociale, contro l’istinto dell’uomo a socializzare con altri.

Nel mondo di domani questi atteggiamenti saranno ancora più evidenti.

Coloro che promuoveranno identità saranno il problema non la soluzione del problema.

Marx ha sicuramente esagerato quando ha bollato le religioni come pure superstizioni perché non ha colto l’enorme potere politico che raccolgono le religioni fabbricando identità di massa.

Ma per risolvere i problemi del 21° secolo esse non sembra abbiano qualcosa di rilevante da dire.

Religioni nazioni e culture chiuse dovremmo riuscire a ridimensionarle nelle loro pretese si essere ognuna migliore e superiore all’altra, dobbiamo insegnare loro l’umiltà.

Il mondo non ha bisogno di loro perché quello che serve ed in particolare moralità, arte, spiritualità e creatività sono abilità umane universali contenute nel nostro DNA.

Per fare un esempio gli Ebrei non sono mai stati di più di una piccola tribù medio orientale che anche tramite i racconti biblici assemblati a tal fine ha mirato a presentarsi come aspirante ad un ruolo molto più grande dipingendosi come superiore a tutti gli altri,ma in realtà il loro contributo alla storia dell’homo sapiens che conta 100.000 anni, diventa insignificante rispetto alla sua storia che non va oltre a poco più di 4.000 anni.

Ci sono codici etici scritti nel DNA umano compresi il non uccidere e il non rubare, senza bisogno di ricorrere ai miti ed alle storie delle religioni universali, che poi nel corso dello sviluppo storico hanno fatto il copia e incolla usando le prescrizioni vigenti degli imperi precedenti.

Sumeri,Egiziani,Assiri e Babilonesi avevano i loro codici che sono entrati nei racconti biblici.

Confucio,Laotze,Buddah e Mahavira stabilirono codici di leggi universali molto prima di Paolo di Tarso e di Gesù.

Da un punto di vista dello sviluppo storico il monoteismo descritto come un progresso è stato invece una delle peggiori idee dell’umanità, perché spinse i popoli che lo accettarono a divenire molto più intolleranti di quelli che li avevano preceduti.

Prova ne siano i decreti di Teodosio del 391 quando fu stabilito che le religioni accettate dall’impero erano solo la cristiana e l’ebraica, mentre chi avesse praticato le altre anche solo fra le mura domestiche sarebbe stato passibile della pena di morte, compresi i fedeli di Giove e di Mitra.

Come nacque il nome di dio? Quando ci accorgemmo delle molte cose che ignoravamo, demmo il nome di dio alla nostra ignoranza.

Molti credono a torto che la moralità non sarebbe più rispettata se non la si fondasse più sul nome di un dio.

Ma la moralità non vuole affatto dire seguire i comandi di un dio.

La moralità in estrema sintesi significa ridurre la sofferenza senza bisogno di credere in nessun mito.

Il secolarismo ci può offrire tutti i valori dei quali abbiamo bisogno, le religioni non sono altro che storie inventate dai nostri antenati per legittimare norme sociali e istituzioni politiche.

Molti dei valori portati dal secolarismo sono condivisi da varie tradizioni religiose.

I secolaristi sono a loro agio con diverse identità ibride.

La loro principale convinzione è che la verità è basata sull’osservazione della realtà e sull’evidenza piuttosto che sulla mera fede.

La seconda principale convinzione è la compassione , una particolare attenzione alla sofferenza propria e degli altri e quindi alla ricerca di vie che possano limitare o evitare questa sofferenza ,basandosi sulla guida di studi scientifici.

Vi è infine la ricerca dell’eguaglianza, della libertà di pensiero di ricerca e di sperimentare.

Richiede una grande quantità di coraggio combattere i pregiudizi e i regimi oppressivi.

Le persone secolariste cercano la responsabilità e si sforzano di esercitare la propria.

Le religioni predicano per lo più amore e misericordia, ma hanno provocato odio e guerre in misure incredibili. Come hanno fatto ad essere state così distorte?

Perché la pretesa di possedere l’unica verità è fonte di disastri per il semplice fatto che è una enorme menzogna.

La base della convivenza civile e della tolleranza è il riconoscimento dell’ignoranza.

La scienza moderna ci ha dato 500 anni di scoperte che hanno cambiato tutto proprio grazie al fatto di essere basata su questo principio di fondo, il riconoscimento dell’ignoranza e non del possesso di presunte verità eterne e immutabili.

Le moderne neuroscienze hanno per di più dimostrato che noi conosciamo parecchio meno di quello che crediamo di conoscere.

Noi conosciamo poco e quel poco lo dobbiamo per lo più non a noi stessi, ma alla nostra naturale tendenza a vivere in gruppo e a condividere.

Nessuno di noi ha le nozioni per costruire una cattedrale o la bomba atomica o un aereo.

Noi sfruttiamo le abilità e le conoscenze di tutti gli altri per pressoché tutti i nostri bisogni.

La conoscenza (dei singoli) è un illusione.

Abbiamo bisogno di sperimentare facendo diversi passi improduttivi, abbiamo bisogno di perdere del tempo girando qui e là intorno alla periferia di un problema, perché il centro è costruito sulla base della conoscenza acquisita e questa si deve scalfire per andare oltre.

Non c’è tanto da temere odio e arroganza, c’è più da temere ignoranza e indifferenza in questo mondo che è diventato troppo complesso e complicato.

I pregiudizi sono oggi ancora molto diffusi e potenti proprio perché danno l’illusione di sfuggire alla frustrante complessità del reale.

Adamo ed Eva non sono mai esistiti, ma la cattedrale di Chartres è ancora lì in tutta la sua magnificenza.

La Bibbia è una storia che non ha alcuna maggiore dignità di altre storie come quelle di Harry Potter, ma questo non significa che tutte le storie siano necessariamente dannose o senza significato , esse possono essere tuttora belle e piene di ispirazione, purché ridotte a quello che sono in realtà e depurate da pretese assurde, che stanno insieme solo perché sostenute da martellante propaganda e da lavaggi del cervello.

Non dimentichiamoci del genio della propaganda hitleriana che era Joseph Goebbels che applicava il principio secondo il quale una menzogna detta una volta è una menzogna, ma se è ripetuta molte volte diventa una verità.

Dobbiamo imparare a uscire fuori dalla macchina del lavaggio del cervello, studiare i fatti e le cose che ci fanno soffrire, smascherare i nostri pregiudizi verificando le nostre fonti di informazione che ci hanno installato quei pregiudizi, leggere letteratura scientifica rilevante perché rivista da “pari”.

Non fidiamoci degli ideali che ci pone il mondo di cartapesta dei flm, non è comprando più cose che diventeremo più felici.

È vero che la tecnologia è oggi usata per manipolare la nostra mente e controllare gli esseri umani,ma teniamo ben presente, come si era già detto che gli umani sono già intrappolati per natura nella scatola della loro mente che è a sua volta ben chiusa in una trappola più grossa che è quella della società umana con le sue innumerevoli storie che ci sono state propinate.

La specie umana è diventata quella dominante proprio grazie alla sua capacità di manipolare le menti.

Aldous Huxley scrisse il suo “Brave New World” nel 1931 con il comunismo e il nazi-fascismo gia ben installati in Russia e in Italia e lì per trionfare in Germania, immagina una società futura senza guerre, carestie e epidemie, che si gode pace ininterrotta prosperità e salute.

La gente diventa consumatrice, dà libero sfogo a sesso, droghe e musica e si pone come supremi valori la felicità ,la scienza può manipolare l’algoritmo umano e il Governo del Mondo usa la tecnologia perché ognuno sia soddisfatto e quindi non avere ragione di ribellarsi.

Secondo Harari la genialità nella visione di Huxley sta nel fatto che è molto più facile controllare la gente attraverso piacere e amore che attraverso violenza e paura. E’ questo che lo rende distopico.

Ebbene il nostro futuro sarà tutto diverso da quello che conosciamo e questa è contemporaneamente fonte di esaltazione di frustrazione.

Non potremo difenderci che giocando tutto sull’educazione permanente, per evitare che la nostra psiche schianti.

La certezza sarà riconosciuta come menzogna e la assoluta discontinuità come la verità.

Occorreranno grande flessibilità e grandi riserve di bilanciamento emozionale.

Dovremo correre più forte dei progressi degli algoritmi,

L’eternità conoscibile consiste nei 13,8 miliardi di anni che ci distanziano dal Big Bang.

Il pianeta Terra data 4,5 miliardi di anni.

Gli umani (non i Sapiens) datano 2 milioni di anni.

Se riflettiamo ai lassi di tempo in queste prospettive ci rendiamo conto di quanto siano limitate e incomplete fino al ridicolo le storie che costituiscono il nostro universo culturale.

L’universo non funziona come una storia mentre la nostra identità personale e le nostre istituzioni collettive sono costruite sulla storie, liturgie e magie.

Tutte le storie sono piene di buchi e di contraddizioni e questa è probabilmente la ragione per la quale la gente fa riferimento e diverse storie e identità contemporaneamente e solo raramente si lascia infinocchiare in storie fanatiche che chiedono assoluta e univoca fede come il nazi fascismo o certe religioni.

Ma come ne usciamo dalla presa di coscienza che non abbiamo il libero arbitrio nel senso di libertà di scegliere cosa desiderare perché legati da vincoli genetici e culturali ?

Dalla consapevolezza che non governiamo nemmeno la nostra mente perché non possiamo dire ai neuroni come muoversi e creare connessioni?

Tutt al più possiamo assistere a pensieri, emozioni e desideri che appaiono e scompaiono di continuo senza una ragione e senza che siano preceduti da un nostro comando.

La prima cosa da conoscere di tè stesso dice Harari è che tu non sei una storia.

Inaspettatamente, ma fino a un certo punto, Harari conclude il suo libro facendo un riferimento diretto al Buddismo che riconosce il fatto che l’universo non ha nessun significato e che il sentire umano non fa parte di una grandiosa storia cosmica.

Le nostre sensazioni sono vibrazioni effimere.

Tutto cambia costantemente, niente ha un’essenza che perduri, nulla è completamente soddisfacente e quindi non si potrà mai incontrare questa essenza che molti chiamano dio perché non c’è.

E quindi la domanda che gli umani si debbono fare non è quale è il significato della vita, ma come possiamo riuscire a uscire dalla sofferenza?

La risposta, dice Harari, non è una storia ma è la meditazione.

Quello che io riesco a cogliere osservando che mi sta attorno, la gente che mi sta attorno, i libri che ho letto alla fin fine sono storie elaborate.

La meditazione Vipassana significa introspezione.

Non cercare di controllare il tuo respiro, solo osserva la realtà del momento presente fino a quando non diventerai cosciente che la tua mente ha cominciato a vagare fuori dal tuo respiro, ti accorgerai che avrai controllo di tè stesso con difficoltà.

Capirai che la sofferenza non è un qualcosa di obiettivo nel mondo esterno, ma che è una reazione mentale generata dalla tua stessa mente.

Acquisire questa consapevolezza è il primo passo per cessare di generare nuova sofferenza.

La meditazione è uno strumento per osservare la mente direttamente, bisogna quindi allenarsi a calmarsi ed a concentrarsi in modo metodico.

Avendo personalmente frequentato per decenni la cultura cattolica non posso non provare soddisfazione a vedere che uno studioso del livello di Harari si pone in un filone di pensiero che è stato visitato e spesso fatto proprio da eminenti esponenti della spiritualità cattolica come Thomas Merton, Raimond Panikkar, Luigi Lombardi Vallauri, e più recentemente Vito Mancuso.

Tutti personaggi che pur sapendo bene che scegliere la libertà di ricerca avrebbe significato per loro la certezza di essere buttati fuori dal recinto della chiesa istituzionale, hanno scelto la libertà di ricerca con determinazione.



venerdì 18 settembre 2020

Yuval Noha Harari : “Homo Deus”

 




In un momento storico afflitto culturalmente da un pensiero unico parecchio appesantito dal pregiudizio del politicamente corretto a tutti i costi, un scrittore come Harari, che per di più è anche accademico, sembra spesso il classico elefante in un negozio di cristalli.

Caspita se le spara grosse.

Per certe categorie di lettori come come preti,rabbini e mullah e seguaci almeno al primo impatto sarà addirittura fonte di sofferenza.

Per chi invece si riconosce in quella che lui chiama la rivoluzione scientifica, invece sarà una costante goduria.

Piano però, le sue affermazioni, anche se assolutamente appoggiate da solide evidenze, sono spesso un pugno nello stomaco, che ci fa brancolare nel buio alla ricerca di una qualche via di uscita meno sgradevole.

Ma confrontarsi con le evidenze scientifiche anche quando i nostri pregiudizi religiosi o culturali tendono a farcele rifiutare, è un lavoro al quale dobbiamo costringerci, sia che gli scenari relativi alle rivoluzioni tecnologiche in arrivo siano una realtà con quale dovranno convivere già i più giovani di noi o invece riguarderanno più avanti nel tempo i nostri figli o i nostri nipoti.

Questo libro è con tutta evidenza il seguito logico di “Sapiens, da animali a dei” , citato infatti fin dalla copertina.


L’incipit non può essere che uno e cioè appunto la rivoluzione scientifica dal ‘500 in avanti.

Le leggi del moto di Isaac Newton,il dialogo sui massimi sistemi di Galileo, Charles Darwin con l’evoluzione, via via fino a Albert Einstein e la relatività, il principio di indeterminazione di Heisemberg e la fisica quantistica, tutti citati nell’opera precedente, che non è male richiamare.

In realtà però questo libro comincia su una chiave positiva mettendo in evidenza il fatto che la rivoluzione scientifica ha consentito all’umanità di ridurre in modo drastico le precedenti carestie, di affrontare le epidemie con una efficenza una volta impensabile, e infine a ridurre le guerre all’insignificanza.

Bella la considerazione che Harari fa sulla guerra quando dice che nel nostro mondo moderno la ricchezza non è più nella terra o nelle risorse naturali,ma ormai è migrata nella conoscenza e questa non può essere acquisita tramite la guerra.


Dopo queste eclatanti vittorie l’uomo, dice Harari, è incamminato ad acquisire l’immortalità, la felicità e la divinità.

Che coraggio! Dice proprio così e in modo diretto.

Il capitolo è intitolato con estrema chiarezza “gli ultimi giorni della morte”.

La vita è sacra come è scritto nella dichiarazione di diritti umani, dice Harari, ma questo non significa che si debba continuare a credere che sarebbe sacra per un decreto di un presunto dio e che quindi la morte sarebbe nelle mani del medesimo dio, come la vita.

La scienza invece ci dice semplicemente che la morte è un problema tecnico, come tanti altri, un malfunzionamento al quale è possibile porre rimedio se solo ci decidessimo a farne parlare non preti e teologi, ma gli ingegneri.

Del resto l’aspettativa di vita è raddoppiata nel corso dell’ultimo secolo e quindi arrivare in una prima tappa a 150 anni è cosa verosimile.

Citando non a caso Epicuro Harari dice che adorare dio è una perdita di tempo, perché noi non siamo qui né per servire un dio, per servire uno stato, bensì per servire noi stessi, cioè per ricercare la nostra felicità.

E a questo punto Harari ripete una riflessione che viene fuori più volte nell’opera precedente e cioè che raccoglitori-cacciatori nel periodo lunghissimo che va da 70.000 (rivoluzione cognitiva) a 12.000 (rivoluzione agraria) anni fa vivevano più felici di noi anche se godevano di enormemente meno risorse.

Harari cita studi che dimostrano per esempio che il livello di benessere degli anni ‘90 non è migliorato rispetto a quello degli anni ‘50 per mettere in evidenza che è dimostrato che il livello di felicità dell’umanità non è legato al semplice disporre di più risorse.

La felicità dipende dalle aspettative piuttosto che da condizioni obiettive.

Come aumenta il progresso le nostre aspettative si moltiplicano, ma le sensazioni piacevoli durano notoriamente poco.

Funzioniamo così per un errore intrinseco del meccanismo dell’evoluzione che ci spinge ad aumentare le possibilità di sopravvivenza e di riproduzione, ma non ad aumentare la felicità.

Come possiamo venirne fuori?

Attenzione perché il tentativo di risposta che fornisce Harari a questa domanda è la chiave di lettura di tutto il libro: rivolgendoci agli ingegneri dice Harari (pensando evidentemente all’ingegneria genetica) che sono in grado di manipolare la biochimica umana, corpo e mente.

Per godere di un godimento duraturo, l’Homo Sapiens deve re-ingegnerizzarsi.

Infatti tutti gli immensi progressi che l’umanità ha fatto sopratutto negli ultimi 500 anni li ha fatti scoprendo e perfezionando strumenti sempre più sofisticati, ma ora è venuto il momento di mettere le mani sul nostro corpo e sopratutto sulla nostra mente per aumentarne le capacità oppure per “mescolare” il nostro corpo con attrezzi tecnologici esterni non organici.

Secondo Harari infatti non c’è ragione di pensare che il Sapiens sia l’ultima stazione, si può andare oltre.


Quando l’intelligenza artificiale supererà le capacità umane, la specie Sapiens verrà sostituita da una altra specie.

Deuteronomio 11: 13-17 : “se obbedirete diligentemente ai comandi che oggi vi do...io darò al vostro paese la pioggia…...il frumento….”

Ma gli scienziati oggi sanno fare molto meglio del dio biblico, dice Harari, basterebbe andare a vedere gli impianti di desalinizzazione dell’acqua di mare in uso proprio nella terra di Israele,che hanno reso quel paese indipendente dalla pioggia; questi umani hanno anche inventati fertilizzanti e antiparassitario che hanno reso indipendente la coltivazione dei cereali dal regime così detto “naturale”.

E’ curioso che il termine “naturale” ,che va tanto di moda e che viene continuamente citato da chi vuole presentarsi come acculturato e moderno, non abbia alcuna base scientifica, anzi per la scienza proprio non ha alcun senso, perché tutto il reale è un flusso in permanente evoluzione, e quindi il riferimento a presunti archetipi fissi definiti naturali è una categoria di pensiero delle religioni, ma non certo della scienza.

Harari dice poi che tentare una definizione di naturale diventa impossibile anche perché ognuno crede in una gruppo diverso di leggi naturali in quanto sarebbero state scoperte e rivelate da gruppi diversi di profeti.

Le chiese non si azzardano a contestare Darwin frontalmente (salvo le sette creazioniste dell’intelligent design) perché sanno che ne uscirebbero perdenti, ma sono ancora fortissime nel far coltivare i loro pregiudizi, come questo del presunto naturale, che dovrebbe uscire non si sa come dalla ineluttabile legge dell’evoluzione.


Harari riconosce che la maggior parte di noi non riesce più a raccapezzarsi di fronte a un mondo che cambia così velocemente ma afferma categoricamente che non c’è alcun modo di tirare il freno quand’anche lo volessimo, perché se ci provassimo ad esempio e fermare l’economia, andrebbe tutto in pezzi.

Questa spinta inarrestabile verso un futuro ultra-umano, secondo Harari sembra sfruttare la capacità della nostra mente, del nostro inconscio a raccontarci le storie proponendocele in modo da rendercele accettabili.

Allora per esempio se ci spaventa la facoltà di intervenire sul nostro corpo e sulla mostra mente per incrementare le nostre facoltà, ci raccontiamo la medesima cosa proponendocela solo come strumento per superare le malattie e le disabilità.

Infatti ci rallegriamo per la possibilità di consentire a un paraplegico di riprendere a camminare con un esoscheletro o con arti artificiali, ma comandati dal pensiero, (cioè tramite impulsi elettrici del nostro cervello come avviene con un arto naturale) ,per non costringerci a parlare direttamente di usare quegli stessi mezzi sui sani per incrementarne le capacità.

Come ci rallegriamo per la scoperta dei mezzi per arrestare la perdita di memoria degli anziani, per non costringerci a parlare direttamente della possibilità di incrementare la memoria di chiunque.

Allo stesso modo ci rallegriamo della possibilità di manipolare i geni per stoppare una malattia genetica per non costringerci a parlare direttamente della possibilità di disegnare a tavolino un Sapiens talmente incrementato da passare a una specie diversa e superiore.

Esultiamo della possibilità di curare la schizofrenia “mescolando” la mente del paziente con dati provenienti da un computer, per non costringerci a dover parlare direttamente di incrementare il nostro cervello con la enorme potenza di calcolo e di data base che può fornirci un computer collegato o addirittura mescolato al nostro corpo.

E’ una forma di furbizia della nostra mente che ci consente di metabolizzare il concetto diversamente scioccante che siamo sulla via di superare la ferrea e inesorabile legge dell’evoluzione, non, raccontandoci le solite narrazioni religiose

Su questo argomento Harari ha scritto nella precedente opera usando un’immagine decisamente forte, quando dice che dovremmo mettendoci noi al tavolo da disegno di dio per superare i limiti biochimici dell’uomo, anche estendendo la vita dall’organico all’inorganico.

In questa prospettiva, Harari, che di professione è storico accademico, afferma che la missione della storia non è quella di predire il futuro, ma quello di aiutarci a liberarci dal passato e di immaginare alternative, ricordandoci sempre che la più grande costante della storia è il constatare che tutto cambia.


Per spaventarci un po’ meno in questa scioccante prospettiva di dare vita anche all’inorganico,Harari cerca di spiegare cos’è un algoritmo, che è un po il concetto chiave in questa prospettiva di una nuova umanità, che prossimamente potrebbe soppiantarci.

Perchè gli algoritmi sono importanti e quindi è importante capire cosa sono?

Perchè sono un pò il punto di possibile saldatura fra l’organico e l’inorganico in quanto vengono usati quotidianamente in tutti e due i campi, dato che gli organismi sono anche loro algoritmi.

Un algoritmo è una metodica serie di passi che si può usare per fare calcoli, risolvere problemi e arrivare a decisioni.

L’algoritmo non è un calcolo particolare, ma il metodo seguito quando si fanno i calcoli.

Per esempio, spiega Harari, se volete calcolare una media fra due numeri dovete sommarli e dividere per due il risultato.

Questa operazione è un algoritmo.

Come un algoritmo è una ricetta di cucina che vi indica i passi da fare in successione per creare una particolare piatto.

Un algoritmo è la macchinetta distributrice di caffè e bibite del nostro ufficio.

Gli umani sono algoritmi che producono non tazzine di caffè, ma copie di loro stessi.

Quelle che noi chiamiamo sensazioni emozioni e desideri , sono nei fatti degli algoritmi che non sono nulla di diverso che processi di calcolo.

Il processo di riproduzione anche umano, afferma brutalmente Harari è basato su un mero calcolo di probabilità che fa in automatico la nostra mente sulla base di sensazioni favorevoli o sfavorevoli in relazione ai nostri potenziali partners.

Povero romanticismo, che brutta fine, ma tant’è ,quello che dice Harari è documentato dalle moderne neuroscienze, non è una sua fantasia e quindi almeno prendiamone atto.


Superare l’idea che ha radicato in noi la tradizione biblica seconda la quale la caratteristica peculiare dell’uomo sarebbe il possesso di un’anima unica ed eterna.

Harari dice che la scienza moderna ha fatto saltare questo dogma prima con le scoperte di Darwin sull’evoluzione e sulla sopravvivenza del più adatto; poi con la teoria della relatività che sostiene chi spazio e tempo si possono torcere, piegare; la meccanica quantistica che sostiene che qualcosa può apparire dal nulla e che un gatto può essere vivo o morto nel medesimo tempo.

Tutte affermazioni che si prendono gioco del nostro senso comune, dice Harari.

Non è possibile possedere un’eterna essenza individuale che rimarrebbe immutabile nella vita per sopravvivere dopo la morte, per la semplice ragione che qualcosa di non divisibile e non mutabile non può sopravvivere al meccanismo della evoluzione.

Non può esistere un’entità olistica che non sia un assemblaggio di più parti, mentre l’anima per definizione non ha parti, mentre l’evoluzione per definizione significa cambiamento, flusso continuo.

Per l’evoluzione la cosa che abbiamo di più simile a un’anima è il DNA, che però è proprio un veicolo di mutazioni.


Superare il terrore verso cose intelligenti ma senza autocoscienza, (come robot e computer)

L’altra storia che la tradizione culturale biblica ha radicato in noi per giustificare la presunta superiorità umana è il fatto che il Sapiens ha una mente cosciente.

L’autocoscienza sarebbe una collezione di esperienze che diverrebbero un flusso di coscienza, di sensibilità.

Robot e computers non hanno coscienza perché non ostante le loro abilità non sentono nulla e non desiderano nulla.

E’ vero ,però non dimentichiamoci il fatto che in noi umani molti circuiti che processano sensazioni ed emozioni nella nostra mente producono azioni completamente inconsce.

Questo è certo, anche se, afferma Harari sappiamo ancora troppo poco sui processi mentali e in particolare nessuno ha realmente un’idea su come una congerie di reazioni biochimiche e correnti elettriche nel cervello producono soggettive sensazioni di pena, rabbia o amore.

O di come il movimento di elettroni da un punto all’altro del cervello ci porta ad una sensazione soggettiva di odio o amore.

L’unica cosa evidente è che si tratta di processi molto complicati.

Perchè il 99% dei processi del nostro corpo inclusi i movimenti dei muscoli e le secrezioni ormonali hanno luogo senza alcun bisogno di sensazioni coscienti.

Si è scoperto che parecchie specie animali sono senzienti.

Hanno coscienza, ma non autocoscienza si dice.

Solo gli uomini hanno la cognizione di un passato e di un futuro, forse perché solo gli uomini dispongono di un linguaggio capace di comunicare concetti astratti o di fantasia.

Usando di questa abilità il Sapiens è divenuta l’unica specie capace di flessibilità nella cooperazione anche fra un enorme numero di persone.

Queste abilità portarono a formare capacità di organizzazione, portando al successo i gruppi più organizzati.

In più gli umani hanno forme di moralità innate che ad esempio portano alla ricerca dell‘uguaglianza che appare quindi come il valore di consenso universale.

Tanto che le società meno egualitarie sono quelle che funzionano peggio.

Harari insiste sul concetto che aveva ampliamene sviluppato nell’opera precedente quando ha parlato della rivoluzione cognitiva che 70.000 anni fa ha consentito al Sapiens di fare un salto di qualità concependo entità inesistenti nella realtà e quindi di pura fantasia, portando il Sapiens medesimo a concepire forme di religione e di arte, sopravanzando così radicalmente le abilità delle altre specie.

Perchè questa capacità di creare entità fittizie ha dato loro la capacità di comunicare anche in numeri elevati di persone e di organizzarsi nel modo più funzionale possibile.


Da allora la storia è diventata per l’uomo un singolare equilibrio fra realtà e finzione, essendosi dimostrata la finzione essenziale e funzionale ad ogni forma di organizzazione sociale.

Le religioni ribadisce Harari sono state con le loro narrazioni mitiche fondamentali per fornire credenze che cementassero comunità di credenti intornio a fantasie condivise.

Le religioni, come da decenni ha documentato l’antropologia religiosa sono state inventate dall’uomo proprio per uno scopo sociale-politico e sono per loro natura distinte dalla spiritualità che è altra cosa.

La religione è un patto, un contratto con presunte divinità.

La spiritualità è invece una ricerca, è un viaggio.

Le religioni mirano a cementare un ordine sociale politico, mentre le spiritualità mirano ad allontanarsene.

Questa è la ragione per la quale la spiritualità per la religione è una pericolosa minaccia.

La scienza è basata sui fatti, le religioni sui dogmi, che non sono solo giudizi etici, ma anche “pretese fattuali”.

Le religioni mescolano tre cose :

-giudizi etici

-affermazioni fattuali

-una mescolanza di giudizi etici e affermazioni fattuali

Un esempio è il divieto di aborto che rende chiaro quanto l’affermazione fattuale sia arbitraria.

Affermazione fattuale è stata la famosa “donazione di Costantino” cioè il documento papale sul quale si era basata per secoli la pretesa del potere temporale del papato sulla parte occidentale dell’impero romano, che faceva risalire la presunta “donazione di Costantino” a una specie di contratto appunto fra Costantino e Silvestro I datato 30 marzo 315.

Fino a quanto il prete linguista Lorenzo Valla nel 1441 ha dimostrato che quel pezzo di carta invece di risalire al quarto secolo era un evidente falso elaborato 400 anni dopo da prelati curiali.

Harari pur denunciando le intrinseche debolezze delle religioni sostiene che è comunque necessario che sopravviva qualcosa dello stesso tipo per mantenere l’ordine sociale.

La stessa democrazia dice Harari funziona solo se i cittadini condividono dei comuni obiettivi e questo ha di fatto spesso significato condividere credi religiosi.

Il lettore tenga presente che Harari non distingue volutamente fra religioni e ideologie e quindi fra i credi religiosi comprende socialismo e liberalismo.

Come avviene che uno sia liberale e l’altro socialista?

Harari come al solito va giù piatto affermando che di fatto le mie visioni politiche non riflettono il mio autentico io.

Sono piuttosto il modo col quale sono stato allevato, le mie frequentazioni sociali e il lavaggio del cervello che ho subito fin dalla nascita.

Il comunismo è stato sconfitto dalla storia a causa del modo come è stato applicato in paesi concreti, ma il liberalismo che ha vinto lo ha fatto perché ha saputo pragmaticamente fare proprie le istituzioni sociali inventate dal socialismo come l’educazione la sanità e il lavoro per tutti con le stesse condizioni di partenza e il welfare.

Le religioni sono diventate insignificanti, ma come farà l’uomo a trovare un equilibrio di fronte alla

destabilizzazione del nostro senso comune provocato dalle scoperte scientifiche ?


Harari dice : La contraddizione fra il libero arbitrio e la scienza contemporanea è l’elefante nel laboratorio

I nostri geni,ormoni e neuroni possono agire in modo deterministico , a caso o con una combinazione dei due, ma non sono mai liberi.

Del resto se gli umani fossero liberi, come avrebbe fatto l’evoluzione a modellarli?

Sembrano liberi come gli scimpanzè nel senso che possono scegliere cosa desiderano, ma la domanda di fondo è se sono in grado di scegliere i loro desideri veramente e non a seguito di un processo biochimico che avviene nel loro cervello.

La realtà è che io non scelgo i miei desideri, io solo li avverto ed agisco di conseguenza.

Ma se gli organismi mancano di libero arbitrio, questo implica che noi possiamo manipolare ed anche controllare i nostri desideri usando farmaci, ingegneria genetica o diretta stimolazione del cervello.

Esperimenti dimostrano che è possibile intervenire anche su complessi sentimenti come amore ed odio tramite stimolazioni nel punto appropriato, per esempio si può paralizzare l’area che provoca la depressione, senza doversi fare infilare elettrodi, ma solo indossando un particolare casco tecnologico.

In conclusione l’anima eterna è reale come Santa Claus, perché in realtà gli umani non sono individui, ma sono dice Harari solo “dividui”.

Per lo meno noi abbiamo due entità in conflitto , il sé che fa esperienza ed il sé che ci compone narrazioni e che non ci narra tutto quello che succede, ma solo una media, fa da censore su momenti di orrore e mette in archivio preferibilmente storie che hanno buon fine, perché abbiamo un disperato bisogno di trovare un significato ai nostri sforzi ed alle nostre sofferenze.

Addirittura il nostro subconscio agendo in modo contro- intuitivo segue un sistema sofisticato per farci preferire la continuazione di sicure sofferenze in futuro, pur di non costringerci ad ammettere che alcune nostre sofferenze passate sono state del tutto inutili.

Nel mondo dell’umanità futura gran parte di essa vedrà persa la propria capacità di essere utile alla società.

Allora il sistema continuerà a trovare valore nell’umanità nel suo complesso ma non nei singoli individui.

Troverà valore solo in in un numero ridotto di super-umani, un a élite di umani che hanno incrementato le proprie abilità e facoltà.


Gli umani sono in pericolo di perdere il loro valore economico perché l’intelligenza si sta separando dalla coscienza

Nuovi tipi di intelligenza non cosciente saranno presto in grado di eseguire i loro compiti meglio degli umani.

Per eserciti e imprese sarà inevitabile riconoscere che l’intelligenza è essenziale,ma la coscienza è opzionale, e non avranno più bisogno di coscienza ed esperienza soggettiva.

Si veda ad esempio l’auto senza guidatore.


Impietosamente Harari cita il corposo elenco di professioni sul viale del tramonto.

Non solo quindi gli autisti di tutti i tipi.

Ma avvocati,giudici, poliziotti, quando si useranno su vasta scala le misurazioni che già esistono per verificare se l’interrogato dice la verità.

Non avrà scampo perché la verità viene processata in un’area del cervello diversa da quella che processa la menzogna, quindi basta mettersi davanti a un monitor adatto, già esistente che riproduca l’attività del cervello nelle varie aree.

E quale medico potrà mai competere con un data base che contenga assolutamente tutti i casi clinici, sintomi, diagnosi e relative terapie?

Idem coi farmacisti, Harari cita già esistenti esempi di farmacie gestite da robot.


Quando algoritmi senza mente saranno capaci di insegnare, diagnosticare e disegnare meglio di noi, noi cosa faremo?

Anche gli organismi sono algoritmi, cioè sono un assemblaggio di algoritmi organici messi insieme dalla selezione naturale.


I calcoli algoritmici non sono influenzati dal materiale col quale il calcolatore è costruito.

Quindi non c’è ragione di pensare che un algoritmo naturale possa fare cose che un algoritmo inorganico non potrà mai fare.

Niente da fare, si creerà una classe non solo di disoccupati, ma di persone non occupabili.

Il problema quindi è quello di creare nuovi lavori che gli umani sappiano portare avanti meglio degli algoritmi.


Per stare al passo l’unica via percorribile dagli umani è allora quella di imparare studiando durante tutta la vita e di reinventarsi più volte.

Gli algoritmi potranno deprivare l’umanità della sua autorità e libertà, perchè la tecnologia del ventunesimo secolo può abilitare algoritmi esterni a “hackerare” l’umanità in modo da conoscere mè stesso meglio di come mi conosco io, lavorando sui dati.

A questo punto gli umani non si sentiranno più autonomi perché il loro sistema biochimico sarà destrutturato e monitorato da un onnipresente sistema di sensori.


La nuova religione sarà il dataismo

L’arma che consentirà ai nuovi umani di conquistarsi la loro parte sarà l’informazione.

Il fatto che le medesime leggi matematiche si applicano sia agli algoritmi biochimici,sia a quelli elettronici, ha fatto cadere la separazione fra organico ed inorganico, animali e macchine.

Giraffe, pomodori ed esseri umani, dice Harari sono solo metodi differenti di processare i dati.

In un mondo così fatto dove è andato a finire il potere? si interroga Harari.

Il potere è di chi riesce a processare i dati più velocemente per usarli ai suoi fini.

Dl resto abbiamo visto che anche durante la rivoluzione cognitiva di 70.000 anni fa il Sapiens seppe assumere nel mondo una posizione dominante proprio usando il suo vantaggio competitivo nel saper processare i dati facendo cooperare larghi gruppi umani.

Bellissimo il ricorso che Harari fa all’antichissima cultura hindù che possiamo trovare nei Veda e nelle Upanishad che suggerisce agli umani di unirsi all’anima universale del cosmo, il proprio Atman si può unire all’Atman universale.

Quando verrà il momento che gli scienziati hanno denominato della “Singularity”, l’umanità sarà sopravanzata dalle macchine.

Bisognerà allora essere collegati con tutto il sistema, perché in questo si troverà la ricerca di senso per l’uomo, essere parte del flusso divenendo così parte di qualcosa superiore a noi stessi.

Ricordate l’Atman indù?

Possiamo tentare di incrementare il sistema umano di processare i dati, ma potrebbe non essere abbastanza.


Conosci tè stesso diceva la filosofia classica.

Quando tu ascolti le tue sensazioni, i tuoi sentimenti, segui un algoritmo che l’evoluzione ha sviluppato per milioni di anni e che ha superato il test della selezione naturale. I tuoi sentimenti, le tue sensazioni sono allora la voce di milioni di antenati.

Ascolta i tuoi algoritmi, essi sanno come tu ti senti.

Si può dubitare che la vita sia riducibile a un flusso di dati.

Come i dati possano produrre coscienza e esperienze soggettive, ad oggi non sappiamo come avvenga, come potremmo anche scoprire che dopo tutto gli organismi non sono algoritmi.

Il conosci tè stesso può voler dire : prendi coscienza di quello che ignori.


Harari ci lascia in eredità tre domande chiave :

1-gli organismi sono algoritmi e la vita è proprio processare dati?

2-cosa ha più valore l’intelligenza o la coscienza?

3-cosa succederà alla società nel momento della singularity quando una intelligenza non cosciente conoscerà noi meglio di noi stessi?

Questa è l’ultima sferzata di Harari, il libro finisce con tre domande, anche se ovviamente l’autore ha cercato di suggerire possibili risposte, in tutte le pagine precedenti, fra le quali richiamerei quella a mio parere più pesante :

sostituire preti rabbini e mullah con ingegneri e re-ingenizzare il nostro corpo e la nostra mente. Osare!





sabato 5 settembre 2020

Yuval Noah Harari : Sapiens breve storia dell’Umanità

 



Chi scrive si è a suo tempo laureato con una tesi di storia economica, che è pur sempre storia, però non ha avuto il piacere di apprendere nemmeno le nozioni più elementari della storia dell’universo e della storia umana antica né nel corso curricolare della scuola italiana, né in seguito.

Casualmente ho avuto la fortuna di essere introdotto a queste nozioni in età adulta da una brillantissima conferenza di Margherita Hack.

Come può succedere una cosa così incongruente?

Dalla lettura di questo libro si deduce che il mio caso personale è estremamente diffuso perché c’è da secoli un pregiudizio che nel migliore dei casi snobba i così detti uomini preistorici con la qualifica di “uomini delle caverne” facendone oggetto di scherno ,in attesa dell’apparizione della presunta civiltà, illuminata dalle religioni universali.

In ogni caso l’uomo della strada non ha la minima nozione dell’arco di tempo nel quale questi nostri antenati sono vissuti, nè di come sono vissuti.

Il problema è che questo lasso di storia è sostanzialmente riportato dai testi di storia sulla falsariga della narrazione che ne danno i testi biblici, condivisi dalle tre religioni abramitiche, legate al mito della creazione dell’universo da parte di un dio personale che avrebbe fatto tutto dal nulla.

La scienza moderna dalla scoperta di Charles Darwin in poi ha dimostrato da un pezzo che non c’è mai stata alcuna creazione da parte di nessun architetto, che avrebbe perseguito un disegno intelligente.

Non fosse per altro, per la semplice ragione, sotto gli occhi di tutti ,che sono tali e tante le storture di questa presunta creazione (oltre ovviamente alle bellezze e grandezze) che se fosse mai esistito questo grande Architetto costui sarebbe stato tutt’altro che intelligente.

Ma il pregiudizio dovuto a migliaia di anni di indottrinamento clericale permane, anche perché fino a non troppo tempo fa chi non dava a vedere di condividere la visione del mondo di quelle chiese era perseguitato per lo più fino alla morte, non dimentichiamocene.

Grande è quindi il merito di Harari di aver saputo scrivere un libro corposo e spesso duro da accademico ben accreditato, in modo leggibile e intrigante, capace di ristabilire lo stato delle cose.

Ho volutamente inserito accanto al titolo anche l’immagine della copertina nella traduzione inglese (l’orginale è uscito in ebraico dato che Harari tiene la cattedra di storia alla Hebrew University di Gerusalemme) perché si vedesse che non stiamo parlando di un opera per addetti ai lavori ma di un libro che ha già venduto milioni di copie.

Cominciamo quindi dando i riferimenti fondamentali che in storia sono le date.


- Secondo la scienza moderna l’universo è nato dal Big Bang 13 miliardi e mezzo di anni fa

- fra i 4 ed i 3 miliardi di anni fa si è verificato il fenomeno della nascita della vita organica da materiale inorganico

- 2,5 milioni di anni fa dai Primati hanno cominciato a staccarsi esseri umani a noi simili

- 300.000 anni fa è comparsa la specie Homo Sapiens, cioè noi

- 150.000 anni fa i Sapiens hanno popolato l’Africa Orientale

- 120.000 anni fa si è verificata la prima migrazione fuori dall’Africa Orientale

- 70.000 anni fa si è verificata la seconda migrazione fuori dall’Africa e per tutte le parti del pianeta


Fermiamoci qui per il momento.

Osservare epoche di tale ampiezza dà un immediato senso di smarrimento, come quando ci si immerge nelle immensità dello spazio per esempio osservando la Via Lattea in una notte d’estate.

Come si passa attraverso queste epoche, difficili perfino da concepire nelle loro dimensioni temporali?

Si passa lentamente passo per passo come è noto per via di evoluzione casuale.

Il Sapiens si è trovato a convivere più che lungamente con specie che gli assomigliavano come il Neanderthal, che l’evoluzione ha bloccato, favorendo la nostra specie, anche se si è appreso che i Neanderthal erano più forti e più intelligenti di noi.

Come mai? Come ha potuto accadere una cosa così contro-intuitiva?

L’estrema utilità di questo lavoro di Harari sta proprio nell’aver saputo fornire le chiavi di lettura a interrogativi fondamentali come questo.


La rivoluzione cognitiva

Eravamo più deboli e meno intelligenti dei Neanderthal, ma circa 70.000 anni fa abbiamo cominciato a fare cose veramente speciali dice Harari.

Cominciammo la seconda migrazione dall’Africa per andare in Europa e in Oriente inventando imbarcazioni,lampade ad olio, archi e frecce, e gli aghi fondamentali per cucirci vestiti atti a farci sopportare il freddo, espressioni artistiche, gioielli, abbiamo inventato la religione, il commercio e la specializzazione sociale.

Quindi nuove abilità, tecnologia, solo questo?

No questo è il risultato di un salto di qualità ben più profondo che Harari definisce la “rivoluzione cognitiva” che il Sapiens ha costruito dentro a sé stesso.

Ecco il campo nel quale il Sapiens ha distanziato tutte le altre specie : la capacità di astrazione che consente sopratutto di usare la fantasia, la creatività,la finzione per arrivare alla creazione artistica ed all’invenzione dei miti religiosi.

Non a caso Harari inserisce in questo capitolo l’immagine della statuetta dell’uomo-leone di Holenstein Stadel,come di assoluto valore iconico.

Si tratta di una scultura in avorio preistorico scoperta in una grotta tedesca negli anni ‘30 datato a circa 32.000 anni fa, riproducente l’immagine di una figura umana, ritenuta dagli studiosi femminile, con la testa di un leone, dimostrazione evidente della capacità di inventare, di immaginarsi cose non esistenti nella realtà.

E’ questo il punto di forza della nostra specie, vedere rappresentare e comunicare quello che non c’è nel mondo reale.

Ma non basta, forse non sarebbe bastato quanto sopra descritto per condurci alla rivoluzione cognitiva se non fosse stato coniugato con la abilità-capacità di comunicare le nostre invenzioni-fantastiche o solo astratte ad una collettività in modo tale che le nostre idee, creazioni e miti divenissero condivisi da una collettività di Sapiens anche molto vasta, consentendo a questa di lavorare appunto a scopi comuni e condivisi.

La psicologia cognitiva indica il così detto “limite del gossip” , cioè la capacità di ciascuno di noi di comunicare una cosa agli altri ad un ambito non superiore ai 150 individui.

Ma questo limite viene superato con la condivisione delle creazioni artistiche e sopratutto dei miti.

I babbuini questo non lo sanno fare e non lo seppero fare nemmeno le specie più vicine a noi come i Neanderthal.

Non a caso Harari cita il potere delle religioni universali e delle ideologie come ad esempio il nazionalismo, oggi declinato come sovranismo di indurre alla cooperazione fornendo un illusione identitaria estremamente potente.

Il linguaggio è un midium fondamentale per diffondere le idee, ma più fondamentale ancora è stata la capacità di immaginarsi e comunicare le fantasie, le cose che non esistono, ma alle quali possiamo fare riferimento con estrema utilità.

Nell’universo dice Harari non esistono, non sono mai esistiti dei,nazioni, denaro, diritti umani, leggi, giustizia, che non siano nell’immaginazione della mente umana.

I così detti primitivi cementavano la loro unione con le loro fantasie animiste danzando intorno al fuoco e immaginandosi fantasmi e spiriti.

Le nostre istituzioni funzionano esattamente sulla stessa base.

Harari per fare assimilare questa concezione storica piuttosto scioccante, racconta quello che chiama “il mito della Peugeot, nata come piccola azienda familiare ,intorno alla figura reale del fondatore.

Che però anche dopo la morte della persona fisica del fondatore andò avanti a prosperare fino a diventare una grande industria, ovviamente non più più riconducibile e identificabile con la persona umana del suo fondatore, né in quella dei suoi operai e dei suoi manager e azionisti.

La Peugeot è un’astrazione, se vogliamo seguire il discorso di Harari una pura invenzione umana consistente nel concetto astratto di società per azioni, che non ha consistenza nel mondo fisico ma in quello del diritto e dell’economia.

La società a responsabilità limitata è concepita in modo che la proprietà diviene indipendente rispetto a persone e famiglie e si riferisce solo a titoli di credito denominate azioni.

Singolarmente questa finzione ha scelto come logo dell’azienda la figura iconica della testa di leone, chi richiama direttamente la statuetta preistorica della quale si è parlato sopra.

Questa società, dice Harari è stata creata col medesimo meccanismo mentale col quale stregoni e sacerdoti hanno creato demoni e dei.

Tutto consiste nel fatto di creare storie e convincere altri a crederci.

Risulta più efficace un abile prete che cento soldati, rileva a un certo punto Harari.

Fra la “fede” religiosa e la “fiducia” nel valore del denaro al fondo non c’è alcuna differenza, il procedimento mentale è identico.

La difficoltà non sta nel raccontare una storia, ma nel convincere gli altri a crederci.

Deve essere percepito un vantaggio reciproco, come è avvenuto per l’appunto con la creazione fantastica del denaro, delle valute, basate oggi su nulla di reale e concreto se non nella fiducia in esse, fiducia legata a uno scambio o un’utilità.

Non a caso nota Harari il commercio basato su uno scambio avviene solo fra i Sapiens.

Così come la religione e l’espressione artistica, si potrebbe aggiungere.

Capacità di fantasticare, ma insieme a capacità di condividere,di cooperare.

Uno dei vantaggi competitivi fondamentali dei Sapiens è stato, rileva Harari, l’applicazione di questa nuova abilità nelle tecniche di caccia.

Per affrontare animali enormi come i Mammut e dalla loro caccia procurarsi altrettanti enormi riserve di carne occorreva saper cooperare, dividendosi in squadre anche numerose, con compiti diversi per spingere, per lo più incendiando erba, animali o branchi di animali in stretti passaggi o in buche per affrontarli da posizioni più favorevoli.

Harari dice: la scienza ci dice che siamo simili in maniera imbarazzante agli scimpanzè, ma le cose cambiano se superiamo la soglia dei 150 individui perché a quel punto per gli scimpanzè si presenterebbe il caos e invece per i Sapiens non è un problema perché hanno saputo inventare i miti usandoli come collante indispensabile per fare cooperare migliaia di persone.

Dalla rivoluzione culturale in poi, cioè da 70.000 anni fa in poi, le capacità fisiche emotive e intellettuali dell’uomo sono rimaste le stesse e ce lo rivela il mondo del subcosciente.

Perchè le neuroscienze hanno rivelato che di fronte a un pericolo imminente il cervello ci dà in automatico una prima risposta basata sulla così detta sindrome del mammut, né più né meno di come succedeva allora.

Perchè oggi in un epoca di enorme abbondanza rispetto a 70.000 anni fa tendiamo per istinto a mangiare oltre alle reali necessità, né più né meno di come si faceva allora?

Perchè il Sapiens evolve molto ma molto lentamente e quindi la distanza fra questi Sapiens e noi è molto più tenue di quello che pensa la vulgata una volta corrente.


Fra la rivoluzione cognitiva 70.000 anni fa e la rivoluzione agricola 12.000 anni fa in quel lunghissimo periodi di 58.000 anni

Focalizziamo allora la nostra attenzione a quel lungo periodo di storia che va dalla rivoluzione cognitiva di 70.000 fa, alla rivoluzione agricola di 12.000 anni fa.

Ecco questo periodo che nella vulgata precedente degli storici quasi neppure esisteva, perché evidentemente lo stato delle discipline di allora non prendeva quasi nemmeno in considerazione

“l’uomo preistorico” è enormemente rivalutato dalla lettura che ne dà Harari ed ovviamente non solo lui.

Citerei sulle stessa medesima linea di pensiero ad esempio il lavoro dal titolo significativo “Against the Grain, a Deep History of The Earlier States” di James C. Scott della Yale University.

Cerchiamo di immaginare la vita dei raccoglitori cacciatori di questo lunghissimo periodo, quando vigeva una forma di più o meno relativo nomadismo, prima dell’avvento della rivoluzione agricola che portò con sé con gli stanziamenti fissi legati appunto alla necessità di coltivare terreni.


- Non c’era se non nella forma limitatissima di pochi oggetti personali ,la proprietà privata, tanto meno della terra.

- Non c’era alcuno stato e tanto meno impero e quindi non c’era proprio nessuno a cui pagare alcun tributo.

- Non c’era alcun esercito che ti imponesse di andare a combattere per interessi molto spesso del tutto diversi dai tuoi.

- Non c’era alcun padrone di terre che ti imponesse di versargli una parte di raccolto più o meno ad libitum, cioè a suo giudizio e non in base a criteri obiettivi.

- Non c’erano sacerdoti di religioni universali che ti imponessero di credere in una sola visione del mondo, potevi credere in quello che ti pareva e quindi nessuno imponeva il ricorso all’autorità di un dio esterno per interpretare il mondo, bastava guardarsi intono e se volevi potevi seguire la spiritualità animista, che tendeva a vedere spiriti animati in ogni cosa reale.

Non è cosa da poco godere della libertà dalla concezione teista che ti impone l’autorità esterna di un presunto dio creatore, con il codazzo dei suoi immancabili sacerdoti e interpreti che sarebbero seguiti in realtà per mettersi a servizio della stabilità del potere civile.

- Non c’erano padroni che ti imponessero alcun orario o modo di lavoro.

Anzi confronto le condizioni di vita di quel periodi con quello dell’epoca successiva della rivoluzione agricola il lavoro era molto più leggero.

Harari dice che per la caccia bastava dedicare un giorno su tre.

Per la raccolta non più di tre sei ore al giorno e la dieta era varia, con notevoli conseguenze positive sullo stato di salute.

- Non c’era l’ossessione della competizione, della rincorsa del successo o della ricchezza.

- C’era generosità, cooperazione e solide amicizie.

- La demografia era al minimo e quindi l’influenza della presenza del Sapiens sull’eco-sistema era estremamente limitata, prima della rivoluzione agricola.


Harari finisce per dichiarare che i raccoglitori cacciatori son stati la specie di uomini più avveduti ed abili di tutti tempi, che godevano di un esistenza più confortevole e grata in misura molto maggiore di chi è venuto dopo di loro.

Perchè la rivoluzione agricola ha comportato alla fin fine la necessità di accollarsi lavoro e preoccupazioni sempre maggiori ai vantaggi ricevuti.

Dalla rivoluzione cognitiva a quella agricola passano grosso modo 50.000 anni, un periodo enorme di storia che ci era praticamente del tutto ignoto.

Oggi apprendiamo che quei nostri progenitori sono vissuti più felici di chi ne è seguito.

E’ veramente un dato sorprendente che sconvolge le nostre cognizioni tradizionali, pesantemente condizionate non da evidenze scientifiche ma dai pregiudizi religiosi installati dalle narrazione biblica imposta per secoli non dalla forza di una visione del mondo, ma dalla spada.

La narrazione biblica è stata messa per iscritto come è noto dallo scriba del re Giosia intorno al 600 a.C. e le tre religioni abramitiche universali che a questi testi si rifanno fanno partire la civiltà umana dalle loro narrazioni.

Prima, nella descrizione storica della bibbia l’uomo era assimilato più meno agli animali, fino a quando non ha stipulato un patto con il dio appunto dei racconti biblici.

Ecco perché è nato il concetto di preistoria.

Quel prefisso pre è in realtà un arbitrario giudizio di valore , come dire che prima di Abramo non ci sarebbe stata alcuna storia.

E invece ai soli 2/3.000 anni di interpretazione della storia della civiltà che sarebbe nata nei tempi della narrazione biblica si contrappongono decine di migliaia di anni della storia come è andata veramente e cioè , sulla base delle evidenze storiche, non nella fantasia degli autori biblici ,assemblati da quello scriba di re Giosia, a sostegno del mito del Regno della Grande Israele, che tra l’altro secondo le evidenze storiche non è mai realmente esistito, dal momento che il regno di Israele non è mai riuscito ad andare oltre a un ridottissimo ambito territoriale.

Entusiasmante quindi recuperare la realtà storica e riscoprire antenati del tutto ignoti che hanno vissuto un periodo lunghissimo a quanto pare più felici di quanto siamo noi moderni.

Facendo un calcolo se pure a spanne 70.000 anni meno i 12.000 dell’inizio della rivoluzione agricola fanno 58.000 anni, un periodo di lunghezza enorme, che l’arroganza delle fedi istituzionali di Ebrei,Cattolici e Musulmani hanno voluto sottrarre dalla nostra stessa conoscenza, evidentemente per non oscurare e ridimensionare drasticamente l’influenza sulla storia umana delle loro mitologie, che rimangono comunque relegate a un ben piccolo periodo, comunque lo si voglia giudicare, anche senza ricorrere all’evidenza della quasi completa irrilevanza raggiunta da quelle fedi.

58 diviso tre fa circa 20 e quindi il mito biblico rappresenta un ventesimo della storia umana, ricordiamocene.


La rivoluzione agricola o la più grande impostura della storia

Detto tutto questo si capisce come mai Harari ha intitolato il capitolo della rivoluzione agricola, venuta dopo la vita felice dei raccoglitori-cacciatori durata ben 58.000 anni esplicitamente :”la più grande impostura della storia”.

Evidentemente perché la vulgata precedente degli storici ci presentava la rivoluzione agricola come la nascita della vera civiltà dopo un oscuro periodo abitato da poveri cavernicoli.

La nascita dell’agricoltura nella famosa mezzaluna fertile della Mesopotamia grosso modo fra Tigri ed Eufrate, vendutaci culturalmente per secoli come l’icona del paradiso terrestre o comunque come luogo di nascita della civiltà moderna da Harari viene bollata come pura fantasia se si intende che da allora le persone sarebbero diventate più intelligenti e tanto meno più felici.

La rivoluzione agricola ha portato con sé

-l’esplosione demografica,

-più lavoro,

-dieta più ristretta se non ridotta al solo frumento,

-condizioni sanitarie peggiori,

-guerre frequenti,

-sottomissione ad èlite arbitrarie ed esose,

-in poche parole qualità della vita peggiore se non molto peggiore.

-Con la rivoluzione agricola è venuto l’inizio della aggressione dell’eco-sistema.

Per gli animali domesticati è stato l’inizio di una vera catastrofe per le loro condizioni di vita.

-L’attaccamento per una casa ha comportato l’inizio della separatezza nei confronti dei vicini con conseguenze anche psicologiche notevolissime, spingendo l’uomo all’individualismo, prima sconosciuto.

I raccoglitori-cacciatori vivevano alla giornata non avevano una vera nozione di futuro perché del futuro non avevano alcuna paura, non come i contadini che se qualcosa faceva andar male il raccolto si trovavano in miseria e perseguitati dalle élites al potere se non avevano quel famoso “surplus” per pagare i tributi.

Dalla pratica della cooperazione fra amici si passò allo sfruttamento ed all’oppressione.

- Con la rivoluzione agricola arriva oltre al concetto di proprietà privata, quello ancor più invasivo di gerarchia e di autorità e con questi la divisione in classi sociali.

- Cominciano le leggi, pensiamo al codice di Hammurabi del 1776 a.C.

Il forte aumento della produzione di frumento derivante dalla rivoluzione agricola porta alla necessità di gestire le scorte sopratutto da parte dei poteri pubblici.

E’ stata quindi la banale necessità di ricorrere alla contabilità che ha indotto i Sumeri nella Mesopotamia a inventarsi prima i numeri e poi un primo alfabeto.

Le prime testimonianze di scrittura che abbiamo sono infatti tavolette sulle quali sono inscritti dati contabili di transazioni o di scorte di magazzino, debiti e crediti.

Intanto però la scoperta della scrittura fa fare un passo avanti incredibile alle capacità di comunicazione e di cooperazione.

Le religioni e i miti fondanti degli imperi vanno di pari passo.

Quelli che noi chiamiamo i valori sono chiaramente variati da epoca ad epoca e spesso di li trovarono in contraddizione fra loro.

Il pio benestante medioevale andava in chiesa a sentire il discorso della montagna e poi da cavaliere si riteneva in dovere di andare a squartare i nemici del suo signore.

Nell’epoca moderna dice Harari si esaltano insieme la libertà e l’uguaglianza che non stanno insieme perché la mia libertà si basa sulla decurtazione della libertà di chi sta meglio di me.

Ma precisa Harari sono proprio queste contraddizioni fra i nostri riferimenti ideali, che sono i motori della cultura, della creatività e del dinamismo della nostra specie, perché le culture umane sono in costante flusso.

Questo flusso è accidentale o la storia ha una direzione?

Harari afferma che c’è una tendenza all’unità perché le culture dialogano e si influenzano.

Di tutte le invenzioni umane quella del denaro ha surclassato quella degli dei in quanto a penetrazione universale e durata nel tempo, l’invenzione del denaro è il sistema di mutua fiducia più efficiente e universale che sia mai esistito a cominciare da una misura d’orzo dei Sumeri, la fiducia condivisa scavalca ogni divario culturale e non fa discriminazioni.

Con la rivoluzione agricola sono sorti gli imperi,che sono stati l’istituzione politica più comune al mondo a cominciare da quello di Sargon il grande formatosi in Mesopotamia nel 2.250 a.C.

L’ideologia imperiale è inclusiva e onnicomprensiva, vede l’umanità come la grande famiglia.

Un’altra formidabile contraddizione fra i riferimenti culturali è il fatto che le guerre contro le potenze coloniali nel secolo scorso sono state combattute prendendo a bandiera gli stessi principi di libertà, uguaglianza propri di che quegli imperi che quei territori avevano occupati.

Bisogna riconoscere che tutte le culture umane sono il retaggio di imperi, semplicemente perché così detta la storia.

Harari sembra voler dire che è sciocco il senso di disgusto col quale si parla oggi degli imperi coloniali perché furono gli imperi

- a unificare mosaici di regni,

- a creare una coscienza nazionale significativa

- a costruire per la prima volta una rete di infrastrutture efficiente

- a creare le basi di sistemi giudiziari e amministrativi efficenti

Agli schifati detrattori a priori degli imperialismi europei probabilmente troppo poco informati dei fatti, Harari cita per esempio il fatto più che significativo che la cultura del thè è stata introdotta in Indi dagli Inglesi, così come lo studio del sanscrito la cui precedente non conoscenza impediva di capire la storia di quel paese,

Il denaro, gli imperi e le religioni sono stati gli elementi unificanti dell’umanità dal primo millennio a.c.


La rivoluzione scientifica

L’analisi di Harari arriva quindi a delineare la terza fondamentale rivoluzione della storia (dopo quella cognitiva e quella agricola), che l’autore indica chiaramente come la più importante di tutte, quella scientifica che avviene intorno al 1.500.

E’ infatti negli ultimi 500 anni che l’umanità ha assistito a uno sviluppo incomparabile della capacità umane.

Qual’è il punto di forza che ha consentito il salto?

Secondo Harari il principio sul quale si basa la scienza, che è la disponibilità ad ammettere l’ignoranza.

E’ un salto culturale enorme rispetto alla soggezione ai pregiudizi religiosi che imponevano di credere in una visione del mondo completa definitiva e veritiera per definizione perché avuta dall’autorità di un presunto dio esterno al mondo.

E quindi il nuovo dogma basato sulla scienza moderna è che non esistono dogmi, non esiste alcuna verità definitiva., le nostre conoscenze sono sempre provvisorie, non esiste la verità, ma la migliore probabilità, fino a prova contraria.

Sembra contro-intuitivo ma la base della rivoluzione scientifica sta nella acquisita consapevolezza che gli umani non conoscevano le risposte alle questioni più importanti, al contrario di quello che indottrinavano le religioni almeno quelle abramitiche.

Se l’uomo ha enormemente espanso le sue capacità di capire il mondo è proprio perché è riuscito a superare quei pregiudizi.

Prima della rivoluzione scientifica le culture umane non credevano nel progresso ed al contrario facevano riferimento ad una mitica età dell’oro da ricercare nel passato.

Si moriva perché così avevano decretato gli dei.

La scienza moderna dice che si muore a causa di volgari deficienze tecniche che almeno in parte si possono quindi aggiustare.

Le conseguenze di questa assunzione aprono all’umanità scenari imprevisti da fantascienza, ma per approfondire l’argomento il lettore dovrà pazientare e trasferirsi sul successivo lavoro di Harari intitolato significativamente Homo Deus.

Sarà politicamente scorretto, ma Harari non nasconde l’evidenza e cioè il fatto che la scienza moderna con tutto quello che ha generato è nata da menti occidentali (Galileo,Newton, Darwin, Einstein etc.).

E probabilmente è per questo che l’imperialismo europeo andrebbe rivisitato in modo più obiettivo e vicino alla realtà.

Rivoluzione scientifica e colonialismo andarono a braccetto, perché senza quel bagaglio di conoscenze sarebbe stato impossibile a pochi europei conquistare il mondo.

Altra cosa forse sgradevole ma obiettiva rivelata da Harari è che la scienza non avrebbe mai fatto gli enormi progressi che ha fatto se non ci fossero stati i capitalisti che ci scommettevano sopra finanziando ricerche e progetti, per guadagnarci, ovviamente.

Fantastica un’altra enorme contraddizione sottolineata da Harari è che la scoperta dell’America è di fatto l’emblema e la sorgente della rivoluzione scientifica, ma Colombo non ha mai riconosciuto di avere commesso un errore di valutazione galattico sostenendo fino alla morte che quella terra che aveva scoperto doveva essere l’India perché non voleva assolutamente ammettere che la Bibbia fosse errata in quanto non aveva conoscenza dell’esistenza del continente americano, quando avrebbe dovuto contenere tutta la verità sul mondo.

Harari in un certo senso sostiene che modernità e rivoluzione scientifica sono andati a braccetto con il capitalismo, definito nel suo meccanismo essenziale da Adam Smith nel 1776 quando “scopre” il fenomeno del “sovrappiù”.

Il sistema capitalista nasce e comincia a girare quando il produttore inizia a produrre qualche bene in sovrappiù rispetto a quello che serve a mantenere la propria famiglia, perché avendo a disposizione questo sovrappiù comincia ad assumere aiutanti per aumentare la produzione e guadagnare sempre di più.

Questa di Adam Smith, dice Harari è stata un’idea rivoluzionaria ,anche da un punto di vista filosofico-morale perché contiene in sé l’ammissione implicita che l’egoismo genera altruismo, in quanto la molla che fa girare il meccanismo capitalista è la ricerca del guadagno personale, che però genera automaticamente ricchezza a favore degli altri.

Purchè però il famoso sovrappiù venga reinvestito, non sperperato.

Cioè tutto funziona se il capitale viene investito non accumulato come ricchezza improduttiva.

Harari insiste sul carattere poco conosciuto dell’imperialismo europeo che nacque per opera di imprese private, come la famosissima Compagnia delle Indie.

Le conquiste coloniali con quello che ne è derivato non lo hanno fatto ,almeno all’inizio imperatori, re e soldati, pagati raccogliendo tasse, ma da imprenditori privati raccogliendo credito, che poi restituirono.

Lo stesso Harari però contemporaneamente afferma che quei ferventi sacerdoti del capitalismo che predicano la necessità di tenere lontana la politica dalla imprese dovrebbero sapere che la fede assoluta nel libero mercato ha lo stesso valore razionale della credenza in Babbo Natale, perchè nella realtà non esiste una forma di mercato del tutto libero dalla politica.

Anzi Harari non nasconde che la rivoluzione capitalista moderna non è detto che si riveli un colossale imbroglio come è stata la rivoluzione agricola nel senso che il mito della crescita continua potrebbe costringere una parte dell’umanità e vivere nella fame e nel bisogno.

La crescita continua sembra oggi fondata su un nuovo tipo di surplus, il consumismo di cose delle quali non abbiamo realmente bisogno. Durerà?

Quelle che Harari definisce “comunità immaginate”, cioè basate sulla nostra immaginazione, ma potentissime come gli imperi e le chiese avevano il compito di mantenere l’ordine sociale.

Oggi le nuove comunità immaginate non sono più statiche, sono un flusso continuo, eppure dopo il 1945 si è verificato il periodo più lungo e duraturo di pace che si sia mai visto nella storia, con la violenza al minimo storico, ma siamo più felici?

Si è arrivati all’eliminazione delle carestie su vasta scala ed all’allungamento della vita, ma siamo sicuri che chi è più ricco e sta meglio è anche più felice?

E l’alienazione e la mancanza di senso della vita, dove li mettiamo?

E’ dimostrato che le persone che godono di forti legami familiari e che vivono in comunità coese sono più felici degli altri.

Ma lo stato degli individui è sempre più solitario e le famiglie sono in crisi.

Gli antichi con la loro filosofia ci hanno dimostrato che è più felice chi si accontenta di quello che ha.

Lo scontento del Terzo Mondo è fomentato più da una reale povertà o dalla semplice esposizione agli standard del primo mondo?

Harari non ci risparmia considerazioni spaventosamente spiacevoli come questa : da un punto di vista strettamente scientifico la vita umana è assolutamente priva di senso perché gli umani sono il risultato di ciechi processi evoluzionistici , senza alcuna finalità e senza scopo.

E allora la felicità risponde solo ad un autoinganno?

Harari, significativamente come non pochi teologi eterodossi guarda con interesse alla spiritualità buddista che constata il fatto che le nostre mutevoli sensazioni sono vibrazioni effimere in continuo cambiamento, e che quindi non ci si può fidare di loto perché non danno mai sollievo a turbamenti.

Ci si libera dalla sofferenza non quando si insiste su questa o quella sensazione, sempre passeggera, ma quando si scopre la natura impermanente delle sensazioni e si smette di cercarle, questo è il fine delle meditazioni buddiste.

Accettare le sensazioni per quelle che sono , cioè vivere nel presente

Torniamo al “nosce te ipsum” o “gnosi sauton” se lo volete nell’originale che era scritto sul frontone del tempio di Apollo a Delfi.

Capire chi realmente siamo non significa rincorrere le sensazioni, pensieri, apprezzamenti e antipatie.


Arriva l’Homo deus

Arrivato a condividere col lettore queste riflessioni, a volte cupamente pessimiste ,Harari comincia a condurre il lettore nei pascoli verdi che contraddistingueranno il suo successivo lavoro sull’Homo Deus e infatti comincia a parlare dell’Homo Sapiens che all’alba del ventunesimo secolo sta per valicare i propri limiti.

Comincia a spezzare i vincoli della selezione naturale, sistituendole con quelle della progettazione intelligente.

Nel 2.000 un bio artista brasiliano ha prodotto con l’ingegneria genetica un coniglio verde fosforescente.


La progettazione intelligente può avvenire

-tramite l’ingegneria genetica

-la cyberingegneria combinando parti organiche con parti non organiche

-l’ingegneria della vita inorganica

Harari dice : perché non risalire al tavolo da disegno di Dio e progettare un Sapiens migliore?

Incidendo anche nelle nostre capacità intellettuali ed emozionali.

Il massimo sembra la possibilità di leggere nel pensiero altrui, si cambierebbe veramente il mondo.

E il cervello che può accedere ad una banca dati collettiva della memoria umana?

Il Sapiens ormai può liberarsi dai ceppi della biologia e riprogettarsi fino ad arrivare alla sostituzione dell’Homo Sapiens con una specie del tutto differente sia per caratteristiche fisiche ma anche di diversi modi cognitivi ed emozionali.

Harari dice che questo è un grosso problema culturale e psicologico, perché l’essere umano ritiene lo spirito intoccabile.

Difficoltà superabile però dal fatto che i primi super umani essendo progettati dai precedenti Sapiens conserverebbero di questi le concezioni culturali.

Cosa è proibito fare dal punto di vista etico?

La domanda è corretto porla, senza dimenticare però che non si può disinventare quello che si è già inventato.

Settanta mila anni fa l’uomo non era altro che un animale insignificante in un angolo dell’Africa, poi coi millenni è divenuto anche troppo il padrone del pianeta fino a portarlo vicino al disastro ecologico.

Oggi è sul punto di diventare un dio dotato dell’eterna giovinezza e della capacità di creare e di distruggere.

Ma abbiamo forse diminuito le sofferenze del mondo? Non sappiamo rispondere,riconosce Harari.