lunedì 26 dicembre 2011

Se ne vanno i giganti, rimangono i nani

Era una vita che leggevo Giorgio Bocca, a cominciare dal Giorno di Italo Pietra per non dire di Enrico Mattei, quando ero ancora al liceo.
Almeno un articolo a settimana e per decenni.
Avevo imparato a conoscerlo come fosse un amico.
Questo Natale una persona cara mi ha regalato la ristampa degli scritti salienti di Don Primo Mazzolari, icona del cattolicesimo sociale e del cattolicesimo antifascista militante.
Questo grande prete, che sapeva di esprimere una opinione e una testimonianza purtroppo fortemente minoritaria ai suoi tempi, ci ha lasciato un messaggio semplice, come era semplice il suo mondo di umile prete di campagna : cercate di essere uomini veri, se ne siete capaci, rifiutate i conformismi e la vita gregaria, pensate con la vostra testa.
Quale lettura migliore per inquadrare la vita di Giorgio Bocca.
Difficile trovare un altro esempio così definito di quello che si dice un uomo di carattere.
Aveva coltivate tutte le caratteristiche tipiche delle sue valli cuneesi : intransigenza fino alla durezza.
In questo paese di voltagabbana e apprifittatori, oggi fascisti, domani comunisti e via di seguito, lui aveva dimostrato che l’anitfascismo se uno lo sceglie a ragion veduta è una filosofia di vita, che quindi va ben oltre le contingenze storiche.
Ho avuto la ventura di trovarmi nella mia professione a stretto contatto con un mio superiore poi devenuto mio collega e amico, anche lui nativo delle stesse valli e coetanteo di Bocca che però invece del fazzoletto rosso di Giustizia e Libertà in quegli anni ancora ragazzo, indossava la divisa nera delle Brigate dello stesso colore.
Così potevo prima leggere le rievocazioni della battaglie partigiane sui libri e articoli di Bocca e poi cercare la controprova nella cronaca fatta del mio collega che si trovava allora dall’altra parte del fucile negli stessi luoghi e negli stessi giorni.
Bocca è diventato un grande del giornalismo anche per la sua capacità di spendersi come “gioralista da strada” cioè nelle inchieste sul campo.
Sono rimasti memorabili i suoi reportages sulle condizioni di vita del Meridione, del quale senza la minima traccia di razzismo ha però sempre dato un giudizio estremamaente pesante.
Per tutto quello che aveva visto e documentato Bocca era praticamente convinto che il Meridione non ce la farà mai perché è rimasto troppo distante, troppo lontano.
Ritornava anche qui la visione dell’antifascimo come filosofia di vita. Quando constatava il perdurare della mentalità dell’ossequio al barone di turno, disperava della possibilità del mondo meridionale di evolversi verso la modernità.
Nel periodo degli anni di piombo, cioè del terrorismo era stato mal giudicato da molti per la durezza con la quale considerava quei governi di gommapiuma, che non solo sembravano non saper reagire a una violenza inaudita, ma lasciavano che si potesssero ritenere verosimili trame scurissime, provenienti anche dai luoghi del potere.
Per dirla in due parole Bocca non ha creduto per anni all’esistenza delle Brigate Rosse come organizzzazione autonoma con una sua testa direzionale e politica perché vedeva con disgusto come i presunti leader Br fossero troppo poca cosa per lo sconquasso che operavano e quindi li vedeva in realtà guidati dai servizi segreti più o meno deviati e più o meno italiani.
Del resto anche se ne siamo per fortuna venuti fuori a tutt’oggi la verità sulle stragi è ancora nel buio più assoluto.
Ma oltre che giornalista di grande qualità, Bocca ragiungeva in molte pagine anche un’ autentico alto livello letterario.
Per esempio mi sono sempre rimaste impresse quelle pagine nelle quali descriveva la cronaca e l’ambiente delle battute di caccia riservate a pochi eletti nella tenuta della Contessa Crespi, occasioni inusuali per lui, uomo schivo lontanissimo da salotti e cose del genere, ma naturalmente e culturalmente vicino alla grande borghesia illuminata milanese.
Sono godibilissime quelle pagine nelle quali descriveva la sua avventura di bastian contrario che come gli vengono imposti itinierari fissati dai guardia caccia, si sente subito la voglia di andare per conto suo ad esplorare quel paradiso naturalistico rimasto incontaminato alla Zelata di Bereguardo.
La contessa di teutonici principi avversava gli ospiti che non accettavano le regole della casa ed era solita punirli con sottile perfidia facendoli seguire da un guardiacaccia, che aveva però disposizione di rendersi invisibile in modo che il malcapitato che immancabilmente si perdeva nella giungla o ancor meglio finiva impantanato in un punto di sabbie mobili in riva a una lanca da sogno arrivasse alla più nera disperazione prima che il guardia caccia salvatore si materializzasse per tirarlo fuori.
La gioia per la salvezza veniva però subito offuscata per l’enorme imbarazzo di dovere comparire alla vista dell’eletta schiera riunita a pranzo, completamtente fuori tempo massimo e infangati fino al collo.
Arrivando agli anni recenti è ben nota la radicale avversione di Bocca per il Berlusconismo, ma ancora una volta a onore della sua apertura mentale va ricordato che il primo Berlusconi del ’94, che cavalcava ancora quel pool di Mani Pulite che voleva voltare l’Italia come un calzino e fondare la seconda repubblica era stato visto con interesse da Bocca, che sperava si fosse trovato uno capace di modernizare il paese.
Sappiamo come è finita, ma allora era ben difficile prevederlo.
Anche nel giudizio di Bocca sul Berlusconismo occorre tornare al concetto dell’antifascismo come filosofia di vita.
Innumerevoli volte Bocca ha scritto e ribadito che non vedeva alcun pericolo di involuzione autoritaria nel berlusconismo, ma aveva anche altrettante infinite volte manifestato il suo disgusto per i tratti del Berlusconismo che si trovavano già nel fascismo : la ricerca e valorizzazione degli atteggiamenti conformisti, gregari se non addirittura servili.
La voglia di vestire una casacca se non una livrea.
Il culto alla persona del capo.
La manipolazione sistematica delle notizie e l’uso spregiudicato dei mezzi di comunicazione di massa.
L’adesione formale alla chiesa per avere l’altare al servizio del potere, praticando poi una morale pagana.
Bocca era duro e intransigente nella denuncia ma non era un pessimista a senso unico.
Al fondo di ogni suo ragionamento emergeva sempre lo stesso messaggio di Mazzolari : siate uomini se ne siete capaci e salverete voi e il vostro paese.

venerdì 23 dicembre 2011

Papa Ratzinger almeno predica bene,ma Scola è troppo ambiguo con la politica

Non sono mai stato entusiasto di un papa come Benedetto XVI , ma non posso non constatare con piacere che spesso e volentieri interviene in materia sociale e politica con dichiarazioni puntuali e in linea con la migliore dottrina sociale della chiesa.
Nell’allocuzione per gli auguri natalizi a cardinali e vescovi ha ancora riproposto temi di buon livello invitando a rinunce e sacrifici in nome “di valori come la solidarietà, l’impegno per gli altri, la responsabilità per i poveri e i sofferenti che sono in gran parte indiscussi, ma non perseguiti con la dovuta volontà”, esortando poi a distinguere fra interesse personale o di gruppo e bene comune.
Nella proclamazione del 2012 come anno della fede poi aveva addirittura privilegiato la citazione della lettera di Giacomo, che è una delle fonti più radicali della dottrina sociale.
“il ricco passa via come un fiore di campo quando si alza il sole il suo calore fa seccare l’erba e il fiore cade.. così anche il ricco cadrà con le sue imprese”
“Dio ha scelto quelle che agli occhi del mondo sono poveri, per farli diventare ricchi nella fede…..Voi invece avete disprezzato i poveri”…..”la fede da sola se non si manifesta nei fatti è morta…..date (al prossimo) quello che gli serve per vivere altrimenti a che valgono le vostre parole?”
Questo non è sicuramente un testo consultato da quella parte di CL che da anni ha scoperto la canzone “capitalismo è bello e la ricchezza non è peccato”.
Nel post del 6 dicembre scorso avevo commentato favorevolmente le prime prese di posizione di Scola in campo sociale se pure sottolineando il fatto che si muoveva rigorosamente sul piano dei principi standosene lontano dalle applicazioni pratiche.
Nell’intervista che pubblica oggi il Corriere vedo riproposto lo stesso atteggiamento di formale adesione alla dottrina sociale della chiesa ma vedo anche delle clamorose cadute sui giudizi concreti, sulle applicazioni pratiche.
Come può pretendere di cavarsela sul Berlusconismo dicendo che è ancora troppo presto per giudicarlo?
Come può un esponente della gerarchia del suo livello ignorare la reazione disgustata di gran parte dei suoi fedeli? Come può fingere di non conoscere le prese di posizione di docenti illustri della facoltà di economia della sua Università Cattolica che hanno definito pubblicamente “irresponsabili cretini” i politici dell’ultimo governo Berlusconi nella conduzione degli affari economici?
E la ribadita apertura di credito al politico ciellino più noto e discusso che è Formigoni dicendo che se lo hanno votato per tante volte deve essere proprio bravo, quando non passa giorno che non saltino fuori frequentazioni più che inquietanti?
E non una parola sul prode Don Verzè non è un po’ pochino?
Come la mettiamo con la lettera di Giacomo e il suo radicale assunto per il quale non esiste fede senza opere, cioè testimonianza coerente?
C’è coerenza fra quei personaggi sopra citati e lo spirito evangelico?
Va bene la prudenza ma scivolare sui giudizi pratici che la gran parte dei cattolici ambrosiani danno già per scontati rischia fortemente di compromettere la credibilità.
Visto che siamo in argomento di dottrina sociale e di crisi economica seria mi ha colpito l’accenno di Scola alla sua età che non gli consentirà di conservare la carica troppo a lungo.
Se poi penso all’età del papa a ragione maggiore mi viene da pensare : ma questi alti prelati che hanno sicuramente dimestichezza quotidiana con le fonti scritturali, non si sono mai soffermati a riflettere sull’abissale differenza fra la loro età e quella di quei primi apostoli là nella valle del Giordana duemila anni fa’?
Eppure quelli li aveva scelti Lui e non certamente a caso.
Magari lasciare i posti operativi ai giovani non sarebbe uno dei modi più ovvi di fare dottrina sociale con le opere come ci ha esortati a fare Giacomo, citato da Benedetto XVI ?

venerdì 16 dicembre 2011

La democrazia che scricchiola

Avevo dedicato più di un post negli ultimi tempi all’argomento che nei titoli avevo un po sbrigativamente nominato come “fascismo morbido”, rischiando di esser preso un po come uno che vaneggia, per il fatto che al momento non sono alle porte in Italia visibili movimenti neofascisti di una qualche consistenza, come quando il prode Berlusca ritira in ballo i comunisti morti e defunti da oltre vent’anni,.
Chi ha letto quei post però sa che parlavo più direttamente d’altro e cioè del fatto che la enorme potenza della tecnica consente oggi delle manipolazioni dei mezzi di comunicazione una volta impensabili e che queste manopolazioni possono mettere in pericolo la democrazia se i mezzi che le producono sono messi in mani sbalgliate.
Per fortuna sono venuti in mio aiuto questa settimana due pezzi da novanta che hanno sostenuto la mia medesima tesi.
L’ 11 scorso sul New York Times il Nobel Krugman ha scritto un articolo dal titolo “Depressione e democrazia” al quale rimando i lettori
(http://www.nytimes.com/2011/12/12/opinion/krugman-depression-and-democracy.html?_r=1&scp=1&sq=Krugman%20%20Depression%20and%20Democray&st=cse)
nel quale elencava puntigliosamente i movimenti neofascisti che stanno prendendo piede in Europa sottolineando il fatto che in un paese europeo l’Ungheria vi è addiruttura da poco in carica un governo di chiara matrice neofascista nell’indifferenza generale.
Krugman evidenziava il fatto che la crisi economica porta con sé anche instabilità e contrasto sociale che possono sboccare a soluzione populiste e autoritarie se non c’è la vigilanza di tutti.
Sul 7 del Corriere della Sera, Severgnini con molta più leggerezza e disinvoltura di discorso in risposta a una lettera di un lettore prendeva il toro per le corna affrontando il problema della democrazia che scricchiola da un altro lato non meno pericoloso.
Il problema è questo. Il mondo di oggi è fortemente più complicato di quello di ieri e di conseguenza presenta problemi sempre più complessi e difficili da risolvere.
Le classi politiche forse per una strana ironia della storia saranno anche peggiori come livello culturale e morale di quelle precedenti, ma comunque l’impressione generale è che non sappiano nemmeno da che parte prendere per afforontare i problemi che si trovano di fronte.
L’elettore da parte sua ha l’onere di consegnare il potere a un gruppo di politici invece che a un altro con l’arma del voto, ma ha le informazioni e la conoscenza dei problemi adeguati alla bisogna?
La risposta è un chiaro no, un po perché come si diceva sopra molti mezzi di comunicazione televisioni in testa sono manipolate a volte in modo talmente scoperto da cadere nel ridicolo, vedi la direzione del TG1 da parte di Minzolini, ora rimosso fuori tempo massimo.
Un po perché i cittadini per una percentuale elevata cadono nella trappola di bersi le notizie abilmente confezionate da intrattenimento che suonano sempre la stessa canzone “tutto va bene” anche quando il Titanic sta offondando per la semplice ragione che per pigrizia amano sentire confermate i propri pregiudizi invece che fare la fatica di documentarsi.
Immaginiamo poi quando i problemi sul tappeto sono tecnicamente complicati come quelli della finanza internazionale a base di derivati, swap, call, short eccetera.
Quasi tutti i commentatori non hanno potuto non osservare che agli ultimi referndum su nucleare ed acqua la maggioranza degli elettori non aveva una idea neanche vaga di quali fossero tecnicamente i problemi sul tappeto.
Al precedente referndum sulla procreazione assistita si sa che l’allora capo dei vescovi italiani aveva cinicamente sfruttato la difficoltà ad informarsi sugli aspetti tecnici del problema per convincere la gente a stare a casa vincendo così di fatto il medesimo referendum per non raggiungimento del quorum.
Il lettore al quale Severgni risponde in quell’articolo sopra citato dopo avere argomentato più o meno queste cose si chiedeva se non è il caso di abolire il suffragio universale visto che non sembra avere senso fare votare un gran numero di persone che materialmente non sono in grado di capire veramente cosa stanno facendo quando vanno a votare.
Per completezza di informazione fornisco un ulteriore elemento di giudizio sull’argomento, ancora più inquietante.
Recenti dati pubblicati ed elaborati dall’Ocse (Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione in Europa) ci dicono addirittura che il 33% degli italiani adulti, che non praticano forme di educazione permanente, sono diventati in pratica analfabeti di ritorno cioè pur essendo in grado di leggere tecnicamente non sono però in grado di capire il significato di un testo anche solo giornalistico.
A questo punto lo scricchiolamento della democrazia diventa del tutto evidente.
A che serve avere il diritto e la facoltà di votare se poi una percentuale enorme di persone non è consapevole di quello che va a fare?
Severgnini elegantemente ribatte che non è nemmeno pensabile tornare indietro restringendo il diritto di voto perché si finirebbe per riaffidarlo solo a chi è più forte per censo e questo privilegio non sarebbe affatto ispirato a un criterio di meritocrazia.
E allora? Risponde Severgni allora occorre che i cittadini siano informati.
Non è una gran risposta visto lo stato e soprattutto il possesso dei mezzi di informazione in Italia, ma probabilmete è l’unica razionale.
E’ verissimo che per esempio il berlusconismo ha prosperato per la semplice ragione che la gente che lo sosteneva non voleva essere informata, ma voleva che fosse eccitata la propira emotività, la famosa pancia. Severgni dice : volevano essere eccitati, aizzati, divertiti, vezzeggiati, rassicurati nei loro pregiudizi.
Tutto vero, ma allora è anche dura stare un po cinicamente ad aspettare che a causa della brillante non politica degli ultimi governi i berlusconiani debbano aspettarsi di vedere le proprie pensioni e salari tagliati del 30% come è capitato in Grecia e come probabilmente capiterà anche da noi questa primavera per capire che non hanno fatto una cosa intelligente a sostenere quella classe politica a causa della loro non volontà di informarsi sul reale stato delle cose.

venerdì 9 dicembre 2011

Fascismo morbido l’eccessiva intrusività delle tecniche di comunicazione

Assistiamo in questi giorni a una situazione surreale.
Il governo del paese per opera tenace del presidente della repubblica è stato assunto da un gruppo di tecnici perché i politici avevano ormai perso la faccia e da due decenni macinavano aria fritta invece che governare.
I più importanti giornali finanziari del continente danno per scontato che l’Italia sia fallita nel senso che in un modo o nell’altro dovrà “ristrutturare” il debito perché in ogno caso non è in grado di onorarlo. I giornali di oltre oceano queste cose le dicevano già dall’anno scorso.
Il precedente governo è uscito formalmente di scena poco più di due settimane fà dopo aver detto e confermato che tutto andava bene, che gli italiani sono ricchi e che quindi non c’era alcuna crisi.
Il nodo della questione è il fatto che il presidente del consiglio precedente era un individuo che nella sua persona sommava il politico e il proprietario o il controllore di quasi tutti i mezzi di comunicazione del paese.
Risultato gli italiani dopo vent’anni di cura (cioè di avere ascoltato pressochè la sola voce del padrone in quanto unica udibile) sono convinti di essere ricchi e che non esista alcuna crisi.
La priorità per il nuovo governo era dunque quella di dire agli italiani la verità che era stata loro taciuta così a lungo e infatti lo ha fatto.
Gli italiani non hanno affatto recepito le cattive anzi pessime nuove.
Siamo in uno scenario nel quale è ritenuto da alcuni probabile da altri inevitabile un complessivo impoverimento di tutti gli italiani dal il ceto medio in giù con all’orozzonte sgradevolissime cose che vanno da abnormi aumenti di tasse se tutto va bene a tagli consistenti di pensioni e salari con periodi di ritardi nei pagamenti per un periodo di tempo difficilmente quantificabile quando cominceranno le procedure di “ristrutturazione” del debito.
In una tale situazione è ovvio che esploderebbe o più probabilmente esploderà la rabbia sociale.
Quella cura di “sobrietà” che la chiesa cattolica italiana con imperdonabile ritardo ha indicato come linea da seguire si realizzerà purtroppo non come comportamento virtuoso scelto dalle coscenze, ma come modo di vita imposto dai fatti.
Ci sono responsabilità politiche e morali ben chiare e individuabili che ci hanno condotto a questo punto e tutti quanti sapremmi indicarle.
Quello però che mi preme approfondire ora è che c’è un meccanismo di fondo nella società moderna che possiede una enorme potenza e il caso italiano, che sopra abbiamo descritto lo dimostra in modo straordianariamente evidente.
Cioè gli italiani non hanno aderito alla favola bella che ha raccontato il berlusconismo perché sono più stupididi o ignoranti degli altri (oddio, in parte un gap, un differenziale di accultramento c’è come hanno evidenziato gli studi di DeMauro ma questo è un altro discorso sul quale torneremo).
Quello che in italia ha colpito più che altrove per una serie di ragioni locali è la enorme potenza delle moderne tecniche di comunicazione e il fatto che la gente, noi, di questa potenza non siamo ancora consapevoli e quindi rimaniamo scoperti, rimaniamo rilassati con la guardia abbassata, nche oggi non ci rendiamo ancora conto che questi mezzi potenti possono e sono usati, perché questa è la loro ragion d’essere, per manipolare non solo il consenso in politica, in economia ecc.,ma anche le coscienze, l’intiero modo di pensare.
Non ci rendiamo conto che dietro al nostro televisore, dietro a quello che dicono i politici, dietro al modo come si vestono, al modo come si presentano eccetera c’è un dr. Frankenstein anzi ci sono molti dr.Frankenstein, occupati a tempo pieno e pagati per farci recepire le cose in modo da agire in un modo invece che in un altro.
E’ per questo che nel titolo ho usato l’espressione di fascimo morbido.
So che è storicamente inappropriata, però credo che il termine fascismo sia quello che nell’immaginario collettivo italiano sia capace di richiamare più immediatamente l’idea di oppressione, di imposizione, di dovere accettare un modo di vita non per scelta, ma perché insitillato quotidianamente da un potentissimo e intrusivo apparato di propaganda, che è riuscito a fare il miracolo di raggiungere almeno per metà del ventennio fascista uno strabocchevole consenso.
Oggi i tempi sono molto diversi, tutto è diverso, ma questo è il punto, quegli apparati di manipolazione della comunciazione, al tempo del fascismo storico erano artigianali, ma oggi nelle mani del progresso della tecnica e delle neuroscienze, sono divenuti ultrapotenti e potrebbero essere utilizzati per gli stessi fini di allora con estrema facilità, se non ci armiamo di antidoti adeguati.
Bastino pochi piccoli esempi piuttosto significativi.
Per quello che avete visto finora, vi pare che il Prof. Monti ,la piangente ministra Prof.Fornero , il super-tecnocrate Dr. Grillo siano gente da comparsata a Porta a Porta, Ballarò e cose di questo genere?
Mi pare che siano adirittura tutto il contrario, eppure a quelle trasmissioni ci sono andati, perché?
La metà abbondante degli italiani ai quali il berlsuconismo è sempre risultato indigesto e che quindi avevano in cuor loro festeggiato l’avvento di Monti, si sono molto irritati a queste sortite che hanno interpretato come un inaccettabile scadere di immagine inspiegabile.
E invece era spiegabile, perché ci è stato chiarito da alcune notizie giornalistiche, il nuovo governo ha affidato la gestione della propria immagine a un super esperto di comunicazione che è stato fatto addirittura sottosegretario e che si chiama Dr. Peluffo.
La scelta quindi non era loro, ma probabilmetne pur riluttanti se non schifati, si sono arresi alle tecniche di comunicazione scommetendo sulla loro potenza ed efficacia.
A livello inferiore è stato interessante scoprire che uno fra i pochi giovani emergenti nel Pd, il sindaco di Firenze Renzi, quando ha deciso di lanciarsi a livello nazionale due mesi fa, ha messo insieme una manifestazione che aveva la forma, ora è di moda dire “il format” diciamo di uno spettacolino nel quele ovviamnete lui era “l’attore” principale dientro al quale ci ha informato la stampa erano state ingaggiate addirittura tre agenzie di comunicazione.
Oggi qualsiasi politico, ma non solo, calciatore, cuoco o personaggio di una certa notorietà sforna il suo pezzo in libreria e la gente si chiede, ma questo, che non mi sembra un grande intellettuale, dove ha imparato a scrivere un libro?
Ovviamente non ha imparato affatto perché non è necessario, lui nella maggioranza dei casi non ha scritto nemmeno una riga perché alla bisogna hanno provveduto quelli che si chiamano “gostwriter”
scrittori fantasma ,fantasma perché per definizione non devono comparire.
Ma come sempre questo è il segreto di Pulcinella se sappiamo addirittura che il loro compeso medio di mercato è di 15.000 euro per libro e senza ricevuta fiscale.
Si dice, anche perché è assolutamente vero, che la politica è sempre più lontanta dalla realtà di tutti i giorni.
Ma allora come mai la politica ricorre più che mai e in modo massiccio a tecniche che la rendono ancora più “artificiale”, artefatta?
Attenzione perché fra l’artefatto, il non sincero e il falso, nel modo di sentire comune la strada è breve.
Se noi ci accorgessimo (e come abbiamo detto, non ne siamo ancora abbastanza consapevoli) che il politico Tizio dice una cosa non perché è vera, non perchè ci crede, non perché la pensa così, ma solo perché un esperto gli ha detto di dirla, allora ci verrebbe da dire : ma questa è tutta una buffonata, questi recitano una commedia, questi ci prendono in giro.
La pervasività nell’uso delle tecnice di comunicazione è arrivato a una tale potenza da mettere a rischio il funzionamento corretto della democrazia, anche perché noi spettatori ci caschiamo, non abbiamo ancora cominciato a contestare l’uso di tutto questi strumenti artificiali.
Abbiamo sempre creduto che un cretino non potrà mai diventare intelligente.
Ora non è più vero, perché ci sono mezzi per venderlo come intelligente e questo è pericoloso

mercoledì 7 dicembre 2011

Catastrofe evitata forse, ma così proprio non va


Che con questa manovra si sia evitata la catastrofe lo si può sperare ma non è affatto sicuro.
Di sicuro ci sono i numeri che almeno loro non possono mentire e i numeri ci dicono che questa è la manovra più iniqua e classista che si sia mai vista.
La Cgia di Mestre, benemerito istituto di ricerca degli artigiani di Mestre, affermatasi come il più attento analista degli indicatori economici riguardanti il ceto medio ha elaborato una proiezione delle misure economiche adottate dal governo Monti che dimostra in modo incontrovertibile quanto questa manovra sia sballata sul piano dell’equità, sballata al punto da avere messo in atto un sistema di prelievo progressivo all’incontrario nel senso che i meno abbienti pagheranno di più dei ricchi.
Le cifre sono queste : la famiglia con un reddito annuo di 30.000 € pagherà per la manovra una cifra corrispondente all’1,6% del suo reddito; la famiglia con reddito di 50.000 € pagherà una cifra corrispondente all’1,58% del suo reddito; la famiglia con un reddito di 150.000 € pagherà un cifra corrispondente allo 0,98% del suo reddito.
Come si vede c’è progressività all’incontrario.
Per l’ennesima vota mi viene da pensare che mai e poi mai i vecchi e a torto deprecati democristiani avrebbero fatto una corbelleria del genere, perché la storia ultracentenaria del cattolicesimo sociale, presente nel loro Dna glielo avrebbe impedito.
Perché Monti e soci l’hanno fatto? Perché sono l’espressione della lobby dei banchieri?
Ma no. L’hanno fatto perché sono stati ricattati dal solito Berlusca che si è messo di traverso per impedire l’aumento dell’Irpef oltre i 70.000 € e altre serie misure contributive a carico dei più abbienti.
Il Berlusconismo meriterà una attenta analisi da parte dei politologi, perché se è vero che non è corretto da un punto di vista strettamente metodologico qualificarlo come fascismo morbido, di certo è riuscito a manipolare le coscienze e le azioni degli italiani in modo sorprendente e questo episodio postumo lo dimostra in modo eclatante.
Il berlusconismo si è dimostrato una forza politica coerente e determinata nel difendere gli interessi di classe dei più ricchi (ivi comprendendo in primis quelli delle sue aziende), cioè di una classe, o se il termine non è più politicamente corretto, di un ceto estremamente minoritario ed è riuscito nei suoi intenti per quasi vent’anni.
La manipolazione delle coscienze che ha operato Berlusconi usando spregiudicatamente i mezzi di comunicazione di massa e le sofisticate tecniche connesse va ricercata nel fatto che è riuscito a convincere chi ricco non è mai stato e mai lo diventerà che lui era il suo uomo, lui era il difensore del ceto medio dal nemico individuato in un fantomatico comunismo, quando invece i suoi quasi vent’anni di governo o di egemonia politica hanno in realtà impoverito gravemente il ceto medio, come è dimostrato cifre alla mano da mille analisi sociologiche.
Per carità, visti i risultati, sia dato onore al merito del finto non – politico, che nei fatti si è dimostrato politico tanto navigato da riuscire a “fregare” per vent’anni tutta la vecchia classe politica, garantendole la sopravvivenza fisica, ma come Mefistofele rubando loro l’anima.
Ma sia anche riconosciuto che “fregare” insieme alla vecchia classe politica anche l’enorme insieme di persone, che si riconosce nel ceto medio, operando sistematicamente contro i suoi interessi, mentre si presentava come il suo referente politico, senza che questi nemmeno se accorgessero è stata una operazione “fascista”.
Mussolini aveva conquistato il potere difendendo in modo deciso e sistematico i grandi agrari (si veda l’opera in merito del Tasca) e quindi una classe sociale estremamente minoritaria, ma riuscendo a presentarsi come il difensore delle classi popolari usando il marchingegno del coinvolgimento personale e totale del popolo in una isteria nazionalista.
Berlusconi è tutto meno che un grande, ma la sua operazione politica è stata una grande operazione politica.
Ci ha portati alla catastrofe.
Certo, ma per lui e per i ristrettissimi ceti che ha tenacemente rappresentato come abbiamo visto, cosa significherebbe questa catastrofe?
Se io ho una industria con stabilimenti in Romania, in Serbia o in giro per il mondo oppure comunque ho la possibilità di trasferirveli con vantaggi immediati cosa me ne importa se domani il governo italiano non fosse in grado di pagare stipendi e pensioni agli statali, andasse in default e uscisse dall’Euro?
Avrei momentaneamente da spingere sulle vendite fuori d’Italia dove del resto sono già da tempo posizionato per la maggioranza.
Per capire che Berlusconi per loro non è il referente politico ma è un alieno, per il ceto medio che lo ha votato e osannato ci vuole proprio il disastro ? Sappiamo benissimo la risposta, non basterebbe nemmeno il disastro perché la adesione al berlusconismo è stata una fede ceca e non una scelta politica razionale.
Questo non è “fascismo”, morbido e aggiornato come si vuole ?
Ci pensate che negli ultimi giorni della sua presidenza, cioè pochi giorni fa aveva detto che la crisi non c’è, che i ristoranti sono pieni, che negli alberghi non c’è un posto libero e via delirando?
E oggi il suo successore ci dice che non ci sarebbero più stati i soldi per pagare gli statali.
Ma il popolo in questa situazione ,se non fosse stato anestetizzato dalle sue televisioni lo aspetterebbe fuori di casa per menarlo e invece non succede nulla di tutto questo.
Detto questo torniamo alla manovra.
L’impressione è che Monti ci abbia messo la faccia, ma che Berlusconi ci abbia messo del suo più di quanto non si veda.
Monti ha tempo per esprimersi meglio se vuole o se può.
Cartina di tornasole sarà l’asta per l’assegnazione delle frequenze televisive lasciate libere dal passaggio al digitale che se non si interviene andrebbero tutte a Finivest e Rai, guarda che caso.
E poi misure vere per lo sviluppo cioè per l’occupazione dei giovani.
E poi misure vere anticorruzione e anti-casta.
Povero Monti, mi ha impressionato il fatto che lui cattolico “liberale” cioè qualificabile non come parte del mondo cattolico, dopo il primo consiglio dei ministri sia andato in chiesa a pregare, come se si fosse proprio all’ultima spiaggia.

martedì 6 dicembre 2011

Il presunto arcivescovo ciellino alla prima occasione si è smarcato alla grande

Aspettavo che Scola parlasse anche perché dall’insediamento come Arcivescovo di Milano non aveva ancora pressoché detto nulla di sostanziale e Scola ha atteso come di rito la ricorrenza di Sant’ Ambrogio per fare un discorso di peso.
Lo stile è particolare, non è più il parlare col cuore in mano alla Tettamanzi, Scola è un intellettuale e questa sua formazione esce evidente nel modo di esprimersi.
L’uomo è prudente e si porta dietro la militanza giovanile ed oltre in quella CL che in questi ultimi anni non si è proprio coperta di gloria nel denunciare coraggiosamente la volgarità del berlusconismo imperante, ma al contrario ha lasciato che fosse addirittura percepita come una forza collaterale al berlusconismo.
Per queste ragioni temevo che imbarazzato dalla posizione per esempio dei due esponenti politici lombardi più in vista, riconosciuti come esponenti di CL Formigoni e Lupi, oggi divenuti indifendibili , si sarebbe tolto d’imbarazzo rifugiandosi in qualche fervorino legato al culto dei santi o mariano.
Fortunatamente non è stato così.
Il discorso viene preso da lontano e soprattutto non va a parare in impegni concreti o nell’individuazione di scelte sul campo, ma pure rimanendo nel campo dei principi non elude i problemi del momento in campo politico e sociale.
La sostanza sta nel declinare quello che era già stata la linea delineata dal Card. Bagnasco all’assemblea della conferenza episcopale, che molti e non a torto hanno allora interpretato come la pronuncia della fine del berlusconismo.
Bagnasco aveva parlato esortato a riacquistare il senso della sobrietà.
Scola non nomina la sobrietà ma ne delinea il significato con ancora maggiore chiarezza. : capacità di attendere per la realizzazione di un desiderio; limitazione dei propri bisogni; cura delle cose invece che sostituirle; allargare lo sguardo al complesso della propria vita; solidale condivisione dei bisogni degli altri e soprattutto degli ultimi.
Abbastanza sorprendentemente conclude dicendo che non sono non si tornerà ai modi di vita di prima della crisi, ma che non è nemmeno auspicabile che ci si torni e che quindi occorre un radicale cambiamento degli stili di vita.
Non voglio buttare in politica un discorso alto,ma stili di vita a me. ,ma credo più o meno a tutti richiama con forza quella medesima espressione usata e ripetuta dal precedente Presidente del Consiglio per dire e ribadire che non aveva alcuna intenzione di cambiarli, per deplorevoli e scandalosi che fossero.
C’è la deplorazione del consumismo spinto fino alla tendenza ad indebitarsi pur di non farsi mancare nulla.
C’è e non poteva mancare la condanna del mettere l’operare per l’aumento della ricchezza come fine delle proprie azioni.
C’è chiaro il riconoscimento del fatto che il mondo cattolico per ingenuità o scarsa attenzione ha finito per essere corresponsabile di questo stato di cose.
Non credo di tirare per i capelli le intenzioni del Cardinale, se provo a tradurre in italiano questa ultima affermazione ricordando che la componente più ,se non anche troppo visibile del mondo cattolico in questi ultimi anni è stata proprio CL e quindi mi sembra che non si possa non vedere questa affermazione , che non è affatto un elogio, come diretta proprio a CL.
CL in questi ultimi decenni aveva dato una sua interpretazione alla dottrina sociale della chiesa in questi termini che riassumo in modo un po’ brusco ma senza forzature : essere ricchi è bello e sopratutto non è peccato.
Il richiamo del personaggio della gerarchia cattolica più alto in grado di provenienza ciellina mi sembra ora più che opportuno e sopratutto non equivocabile.
Come si diceva all’inizio non ci sono indicazioni incarnate nella dura realtà del presente : l’aumento sempre più preoccupante della povertà in strati sociali che non la avevano ami conosciuta, il disagio dei giovani senza occupazione, il modo poco commendevole col quale spesso sono accolti gli immigrati , senza avere in considerazione i pericoli che hanno affrontato per arrivare in Italia e le spesso spaventose situazioni di vita nei paesi di origine, il loro attuale diritto a praticare i loro culti; i problemi enormi legati al non rispetto dell’ambiente; il rischio di scontro sociale al quale ha portato l’incapacità di governare di questa classe politica ecc.
Tutte queste situazioni sono appena accennate.
Scola ha scelto la strada a lui congegnale di partire dai principi.
Tutto sommato si tratta di una scelta corretta ed onesta.
Speriamo che prosegua sulla medesima strada andando però via via più nel concreto

venerdì 2 dicembre 2011

L’arroganza del potere

Da Don Verzè mi sarei aspettato questo commiato : ho riletto con emozione il Riccardo III di Shakespeare e ho capito che l’esercizio del potere mi ha divorato, ho commmesso errori imperdonabili, vi chiedo scusa, per dimostrare la mia buona fede metto a disposizione tutti i miei beni personali ai creditori del San Raffaele e mi ritiro in un chiostro mettendo la mia veste, che temo di non avere onorata a disposizione della chiesa, ora dimenticatemi.
Purtroppo il copione è stato di tutt’altro tenore se non addirittura opposto.
La reazione di Don Verzè è stata assurdamente ispirata alla filosofia del “dopo di me il diluvio”, assurda e contro natura per un uomo di 92 anni.
Sorprendente, veramente sorprendente la reazione o meglio la non reazione assoluta della chiesa.
Quando capita un prete, anche intellettuale di notevole livello (e ce ne sono stati parecchi) che ritene di non poter più amministrasi la sessualità distorta che predicano le sue gerarchie e si lega con una compagna, viene immediatamente buttato fuori in malo modo e perseguitato in ogni modo,bollandolo e impedendogli di trovare un lavoro.
In questi casi la gererchia applica alla lettera la radicale reazione evangelica allo scandalo che qualsiasi fedele ha sentito leggere e rileggere dai vangeli festivi.
Ma nel caso di questo prete di grande potere che ha avuto la inusuale capacità di mettere insieme un buco, un debito, di un importo ,che servirebbe da solo a sfamare un paese africano di piccole dimensioni, non una parola di rimprovero e la conservazione della veste.
Con queste stridenti contraddizioni e infedeltà la gerarchia cattolica sta minando alla radice la credibilità della chiesa italiana.
A che servono gli spot a favore dell’8 per mille che presentano preti che spendono la loro vita a favore degli altri se poi allo stesso livello viene messo uno che sperpera un patrimonio immenso in lussi indecenti, mala amministrazione e, la magistratura lo sta vagliando, probabile corruzione per acquisire favori dai pubblici poteri ?
Eppure c’era stato un alto anzi altissimo esponente della gerearchia cattolica ed era l’allora arcivescovo di Milano Montini che al giovane pretino Don Verzè dopo essersi sentito illustrare il progetto di fare un nuovo grande ospedale a Milano gli aveva detto con parole di puro buon senso che non vedeva la necessità di un altro ospedale a Milano e che in ogni caso non vedeva perché avrebbe dovuto costruirlo un prete e quindi che si occupasse d’altro, più consono alla sua veste.
Si vede che non era stato convincente.
La caduta di Don Verzè avventa negli stessi giorni della caduta di Berlusconi non può non fare comparare i due personaggi. Eppure Don Verzè non è Berlusconi.
Don Verzè è stato drogato dall’uso smodato del potere del denaro, come Belrusconi, ma è stato anche qualcosa di molto diverso.
Don Verzè come Berlusconi ha perseguito in modo spesso fanatico e da megalomane la realizzazione dei suoi sogni personali e diciamo azienedali, però aveva in sé anche una visione che Berlusconi non ha mai avuto. Ha perseguito anche progetti culturali di alto livello e di lungo respiro che Berlusconi non ha mai avuto né l’intelligenza né la cultura per poterli elaborare.
Cosa lascia Berlusconi all’Italia? Meglio evitare di rispondere, ognuno sa bene cosa rispondere.
Don Verzè cosa lascia all’Italia, lascia il San Raffaele in fallimento è vero, ma lascia anche le istituzioni culturali e di ricerca di primissimo livello dell’Università Vita e Salute che hanno consentito di mettere insieme intelligenze di assoluta eccellenza che hanno prodotto attività scientifica di assoluta eccellenza.
Che Berlusconi stia affogando nel marsma di vilgarità che ha creato non me ne importa sinceramente un fico secco, ma che don Verzè stia facendo la stessa fine mi dispiace parecchio perché Don Verzè aveva l’intelligenza e la cultura per riscattarsi con un colpo di reni che non ha sputo produrre.Peccato.