giovedì 24 aprile 2014

Fare santo Woytila è un atto di politica ecclesiastica populista, che si poteva anche evitare



Papa Francesco sta orientando il suo pontificato  sempre più chiaramente verso un ritorno all’originario spirito evangelico, consono, tra l’altro, al nome simbolico, estremamente impegnativo, che si è scelto al momento dell’elezione agli inizi del marzo 2013.
E’ passato poco più di un anno e la differenza rispetto a prima si vede non tanto e non solo da nuove encicliche, brevi o altri atti ufficiali, ma da fatti, moltissimi fatti, coerenti fra di loro, che inequivocabilmente annunciano tempi nuovi.
A caso, scelgo quello che compare sui giornali di stamattina : il vecchio segretario di stato , Card. Bertone, giubilato da Papa Francesco si sarebbe scelto a Roma, come dimora da pensionato, un appartamento principesco di 700 metri quadrati, mentre il segretario di stato subentrante, Card. Pietro Parolin vive in un monolocale.
Serve più un fatto come questo che dieci dotte encicliche sociali, che comunque pochissimi leggerebbero.
Comunicare coi fatti,  invece che con pronunce autoritarie o con manifestazioni teatrali – trionfalistiche, sembra essere la linea di papa Francesco.
Nel vocabolario cristiano, la parola  “fatti” si traduce col termine “testimonianza”.
Va da sé che la gente questo lo capisce benissimo e senza bisogno di mediazioni e così Francesco diventa sempre più seguito ed amato.
Su questo blog ci si era soffermati più volte a parlare delle difficoltà e delle strategie di questo papa.
Più volte avevo osservato, che, a mio parere, il ritardo accumulato dalla chiesa nel rapportarsi al mondo contemporaneo ed e alla modernità è talmente grande, che l’impresa di Francesco per cercare di rendere credibile il cristianesimo oggi  è quasi impossibile, come testimoniano le chiese che progressivamente si svuotano.
Però avevo anche scritto che se c’era una possibilità questa era seguire coerentemente la strategia iniziale : quella dei fatti evitando come la peste il ricorso alla teologia ed alle teorizzazioni.
Il popolo cristiano in Italia, ma non solo, non sa sostanzialmente nulla di teologia dogmatica e di storia della chiesa e forse è meglio così, perché il giorno che se ne occupasse troverebbe che gran parte di quello che aulicamente viene definito il “depositum fidei”, cioè la plurisecolare immane costruzione ideologica costruita per definire i dogmi cattolici, non sta in piedi perché non è mai stata in piedi.
E quindi in parole molto povere difficilmente perdonerebbe al clero di averli indottrinati da bambini in dogmi così assurdi e così poco fondati su qualsiasi verosimiglianza e coerenza razionale.
Inutile quindi imbarcarsi in battaglie perse in partenza.
Inutile cioè cercare di spiegare perché, ad esempio, il dogma del peccato originale o quello della resurrezione dei morti andrebbero aboliti, per manifesta inconsistenza.
Meglio lasciar perdere.
Del resto le analisi di sociologia religiosa hanno concordemente appurato che non esiste una ben definita religione cattolica, come è astrattamente definita dalla dogmatica, ma nella realtà esiste solo una enorme e informe galassia di  religione fai da te, che ognuno nel corso della sua vita si auto-costruisce, senza  avere sostanzialmente mai sentito la necessità di andare a chiede un imprimatur in curia, ben consapevole del fatto che nessuno glielo darebbe.
Come hanno affermato  gli studiosi della materia, esiste da tempo un gigantesco “scisma sommerso”, del quale la chiesa istituzione è consapevole, ma che non riesce a controllare in nessun modo.
E quindi meglio andare sul pratico, sulla testimonianza data coi fatti, purché questi siano coerenti a un disegno, come del resto sono stati in questo primo anno di pontificato.
La strategia quindi è buona, ma Papa Francesco si trova davanti delle difficoltà enormi.
Una fondamentale è data dal fatto che in occidente la maggioranza della gente ha sperimentato che si può benissimo vivere volendo anche nella più alta moralità e consapevolezza spirituale  “come se dio non fosse”.
Mentre fra le popolazioni meno scolarizzate del terzo mondo si verifica un ritorno di interesse a seguire il cristianesimo tradizionale, di stampo magico- miracolistico.
E’ un bel dilemma per chi dirige l’istituzione, perché è troppo forte la tentazione di non fare troppo gli schizzinosi e di prendere per buoni i numeri impressionanti di nuovi battezzati che possono produrre ad esempio i movimenti tipo i neo- catecumenali, anche se è molto facile verificare che quei numeri hanno un significato molto dubbio.
Cioè a quanto pare, se si guarda ai numeri l’unico cristianesimo che terrebbe sarebbe quello elementare- infantile - miracolistico dei paesi del terzo mondo.
Estremamente difficile trovare un punto di equilibrio fra l’occidente più scolarizzato che chiede alla chiesa di parlare con la modernità e la scienza per essere credibile, e  un terzo mondo poco scolarizzato che si accontenta di presunti miracoli e chiede di offrire grandi emozioni.
Sono due punti di vista lontanissimi.
Ecco perché papa Francesco si appresta a fare il prossimo 27 una cosa del tutto incoerente con la strategia del suo pontificato santificando papa Woytila insieme a Papa Giovanni.
Perché ritiene di dover parlare anche a quella fetta  di cattolicesimo, oggi maggioritaria nel terzo mondo, ma anche in occidente, che si riconosce in quel cristianesimo dei miracoli , delle emozioni forti e delle formulazioni autoritarie, tradizionali e sostanzialmente infantili.
Proclamare dei santi rientra di per sé in questo filone di cristianesimo e infatti papa Woytila aveva perfino vistosamente abusato nelle proclamazioni.
Papa Francesco si sta orientando a quanto pare nel mantenere viva questa prerogativa, orientando però in modo decisamente diverso la scelta dei presunti santi su personaggi provenienti dalla vita di tutti i giorni e quindi scegliendoli fra la gente comune e non fra ecclesiastici.
Nella tradizione cattolica la proclamazione dei santi e l’uso di icone che parlino di loro, è sempre stata giustificata, come se fosse uno strumento potente per proporre alla gente modelli di vita, atti a  testimoniare  la bontà del messaggio.
Che questa pratica abbia mai avuto un senso è tutto da dimostrare, basterebbe infatti riferirsi alle obiezioni in materia avanzate da Lutero e dalla Riforma, alle quali la chiesa non ha ancora risposto in modo appena appena convincente , nemmeno oggi cinque secoli dopo.
Che abbia un senso nella realtà di oggi, credo sia ancora più difficile da dimostrare.
Senza contare la palese difficoltà di non commettere errori grossolani nelle proclamazioni, come si è fatto a profusione innumerevoli volte.
Si sono fatti santi personaggi dei quali non si è in grado nemmeno di dimostrare che siano mai esistiti storicamente.
Si sono fatti santi personaggi che oggi sarebbero incriminati per crimini contro l’umanità.
Si sono soprattutto fatti santi personaggi seguendo calcoli politici e di potere ecclesiastico del momento.
Papa Francesco viene dall’America Latina e la “domanda di cristianesimo” che può venire da quelle masse sterminate della stessa America Latina, dall’Africa e da parte dell’Asia la conosce per esperienza diretta e non perché l’ha studiata sui libri.
Sa benissimo che non si può andare avanti a fornire a queste masse un cristianesimo magico che non responsabilizza nessuno e che per questa ragione non è in grado di fornire a costoro né un mezzo di elevazione né uno strumento di crescita.
Occorre educare a qualcosa di più elevato ma ci vorrà del tempo e si è in concorrenza con le sette protestanti evangeliche più fondamentaliste che investono grosse somme di denaro giocando proprio sullo stato culturale bambinesco di quelle masse per indurle a riti più superstiziosi che religiosi, squadernando poi  successi strepitosi di conversioni, tutte da verificare, superficiali fin che si vuole, ma reali quanto a presenze e adesioni.
Quando non si è in concorrenza con gli islamici, che di soldi ne possono spendere ancora di più per fare proseliti,  anche investendo in elementari strumenti di welfare (scuole, ospedali ecc.) che in certe parti del mondo gli stati non sono ancora in grado di fornire.
Per tutte queste ragioni penso che Papa Francesco si sia rassegnato a portare avanti una pratica iniziata e spinta avanti con molta premura da altri prima di lui, che non la pensano come lui.
Papa Woytila è stata una personalità più che ragguardevole che nella storia, compresa quella della chiesa  c’è già entrata per forza sua, non c’è bisogno di farlo santo per conservarne viva la memoria, cosa che per altro corrisponde  in pratica alla ragione molto terrena per la quale si proclamano i  santi.
Farlo santo invece è una forzatura della storia vera, perché corrisponde a obbligare la gente a credere che Woytila fosse una creatura senza macchia, o almeno mediamente con  poche macchie e questo semplicemente non è vero.
Woytila come papa ha commesso una serie di errori gravi che avrebbero dovuto consigliare di lasciare perdere il processo di canonizzazione.
- è stato un papa tutto orientato alla celebrazione trionfalistica della chiesa, sulla linea di Pio XII e questo è stato un errore grave, perché era un atto tutto politico volto a manovrare le coscienze, nel senso di nascondere la vera realtà delle chiese che si stavano  miseramente svuotando.
Piazze piene e chiese vuote, questa è stata l’era Woytila.
Ho già scritto in post precedenti che dalle sue biografie risulta che questo personaggio aveva il genio del teatro, che aveva praticato da giovane con successo e che era talmente dotato da essere quasi costretto a recitare sempre.
Da qui quell’atteggiamento narcisistico, che non è mai simpatico.
Quando si definisce un personaggio un grande comunicatore, si dice anche un grande manovratore di coscienze, soprattutto se si tratta di un leader religioso ed ancor più se si tratta di un papa, che gestisce una istituzione  a tutt’oggi assolutamente totalitaria;
- il prestigio e l’innegabile grande successo mediatico hanno portato papa Woytila a fare una altra serie di errori gravi lasciandosi andare a fare nomine sempre, salvo pochissime eccezioni, di persone di scarsa taratura, ma ideologicamente orientati tutti dalla stessa parte, quella più accentuatamente tradizionalista e di comprovata fedeltà alla sua persona.
Ne è venuta fiori così una curia, corte di adulatori, per di più fastidiosamente riconoscibile negli ultimi anni come manovrata dalla prevalente lobby dei polacchi.
Quando la sua fobia anticomunista è stata soddisfatta dalla causalità della storia e non certo per merito suo con la caduta del comunismo, ha invaso l’Est di vescovi per di più sproporzionatamente polacchi e questa non è stata certo una mossa politica intelligente.
- nella gestione ordinaria della chiesa la sua tendenza teatral – trionfalista  e la sua cultura teologica tutta del passato gli hanno fatto fare errori di valutazioni gravi, quando ha  dato carta bianca ai così detti movimenti :Neo  Catecumenali; C.L. ; Opus Dei; Legionari di Cristo eccetera, perché questi gli riempivano le piazze con adunate oceaniche di , adepti messi insieme con metodi da setta.
Spesso organizzati in modi contrari all’osservanza dei più elementari diritti umani, come il rispetto della persona, la libertà di espressione, la libertà di dissentire e soprattutto di uscire liberamente dall’organizzazione senza subire ricatti, e quasi tutti orientati non solo in senso autoritario-totalitario,  ma anche volti al culto sfacciato del capo carismatico.
Tutti dotati di apparati organizzativi di controllo degli adepti, che in certi movimenti arrivano al controllo ed all’interferenza anche nelle scelte più minute personali e familiari.
Ma fanno numero, anzi fanno numeri grossi e questo a Woytila è bastato, gli scandali finanziari e sessuali endemici in alcuni di questi movimenti sono venuti alla luce solo dopo il pontificato di Woytila, mentre durante quel pontificato quegli stessi  personaggi avevano accesso senza formalità addirittura all’appartamento pontificio, a dimostrazione della familiarità con quel papa, e non andavano mai ad incontrarlo a mani vuote.
Tutto questo con gravi ripercussioni a livello locale, immiserendo il ruolo dei vescovi e dei parroci, nei confronti dei capetti dei movimenti.
- ma l’errore più ingiustificabile Woytila l’ha fatto santificando Pio IX, scelta questa che da sola rivela la profonda inadeguatezza della sua cultura teologica, che non gli poteva consentire di guidare efficacemente la chiesa nell’epoca moderna.
Il popolo dei fedeli, forse per fortuna, non conosce la storia della chiesa, ma Pio IX è stato il peggio del peggio.
Ha costruito barricate fra la chiesa e la modernità, definendo democrazia libertà di espressione e diritti umani, sciocchezze ispirate dal maligno.
Se in occidente la chiesa ha quasi chiuso, Pio IX è la prima personalità da ringraziare, farlo santo è stata quindi una follia, perchè ha mostrato indirettamente considerazione  e condiscendenza per le sue impresentabili idee.
- altro errore grave di Woytila è stato il suo rapporto col denaro.
La sua fobia anti- comunista, umanamente comprensibile per chi ha vissuto in un paese dell’Est, ma non giustificabile in un papa, lo ha portato ad una autentica frenesia di procurarsi denari da mandare a valigiate in Polonia a Solidarnosh,  per far cadere il regime comunista in quel paese il più presto possibile.
Di conseguenza anche la famosissima invettiva pronunciata da papa Woytila contro i mafiosi con piglio ed efficacia da grande attore teatrale è crollata quando si è appreso dalla pubblicazione delle carte, intestate con lo stemma del Vaticano, relative alla gestione dello IOR, che in quei locali  si facevano anche operazioni di “lavaggio” dei soldi della mafia.
- la famosa foto al balcone a fianco del  dittatore Pinochet,  rimane pure una indelebile testimonianza di arretratezza culturale, ideologica e politica.
Molto più grave se si tiene conto del fatto che nello stesso tempo nel quale Woytila omaggiava un dittatore, copertosi di crimini immondi e di massa, cassava la “teologia della liberazione” ,seguita da gran parte dell’America Latina e non muoveva un dito a favore di Oscar Romero, vescovo  salvadoregno, assassinato mentre celebrava la messa nel 1980 da un sicario fascista, per le sue idee e attività a favore della povera gente, rendendogli omaggio solo tre anni dopo, quando la sua gente lo venerava già come martire e santo.
La sua causa di canonizzazione è rimasta ferma ingiustificabilmente per anni ed è stata messa su di una corsia preferenziale solo ora da Papa Francesco.
- l’eccessiva propensione al cattolicesimo magico – miracolistico.
Tutti i papi hanno dimostrato devozione mariana, ma solo papa Woytila ha attribuito direttamente alla madonna la sua sopravvivenza all’attentato di Akja , portando a Fatima il proiettile estratto dal suo addome.
Non parliamo della sua considerazione e devozione per Padre Pio.
Non è certo un cristianesimo adulto quello che spinge i fedeli ad accentuare questi atteggiamenti e credenze.
- l’adesione intransigente alla parte peggiore della morale sessuale, rendendo quello che sopra si è riferito come lo “scisma sommerso” ancora più largo.
E’ orribile constatare che mentre questo papa sosteneva la linea più dura e intransigente di morale sessuale con la quale vessava la qualità della vita del popolo cristiano, è sotto il suo pontificato che si sono verificati migliaia e migliaia di abusi sessuali su minori da parte del clero sotto lo sguardo indifferente di vescovi cardinali e papa.
Basterebbe questo per non considerare papa Woytila degno della canonizzazione.
Ma non basta, questo papa ha compiuto un gesto ancora più inverosimile chiamando in Vaticano e mettendo a capo di una delle cinque basiliche romane, addirittura quella super-mariana di Santa Maria Maggiore, quel cardinale Bernard Francis Law, letteralmente cacciato a calci nel sedere dal suo popolo della  diocesi di Boston, esattamente per il suo comportamento giudicato compiacente verso gli abusi sessuali in quel territorio.
- non si può infine tacere sulla voluta e consapevole ostentazione della sua sofferenza.
Molti hanno giudicato commovente e coraggiosa questa vicenda.
A mio avviso occorrerebbe invece riflettere su questo punto rilevando quanto sia stato negativo il messaggio inviato alla gente nell’invitare all’accettazione del dolore fisico.
La scienza moderna considera una follia l’accettazione del dolore, perché oggi la scienza medesima ha fornito gli strumenti per debellare il dolore fisico.
Le moderne neuroscienze ci dimostrano che il dolore non serve  a nulla e rappresenta una negatività assoluta sul piano psicologico.
Purtroppo la dottrina cattolica tradizionale sul dolore come mezzo di salvezza, sottende la convinzione che il dolore e la sofferenza siano la giusta pena per i peccati commessi.
Questa teoria tradizionale è una solenne stupidaggine, ma come sempre, la chiesa ha una difficoltà enorme a cassare le vecchie formulazioni, che non stanno più in piedi, per paura che togliendo un tassello, caschi tutta la costruzione.
Ma questa teoria del dolore che sarebbe utile per cooperare alla salvezza è quanto di più inumano e anti evangelico si possa immaginare.

Per concludere, il lettore non equivoci, nella storia della chiesa, papa Woytila verrà ricordato anche per atti estremamente positivi.
- Innanzi tutto la attenzione alle altre religioni, superando secolari pregiudizi e dando vasta eco mediatica a questa  politica con atti simbolici di grandissimo peso (la visita alla moschea di Damasco, il bacio del Corano, nuovi rapporti con gli ebrei, eccetera.
- Poi l’atto di grandissimo peso, in quanto primo nella storia, del riconoscimento di alcuni degli errori storici della chiesa e relativa richiesta di perdono nel 2000.
- Infine la sua inclinazione a fare dei viaggi un elemento permanente del suo pontificato, rendendo così visibile la vocazione universale della chiesa.
- Ed ancora, ultima, ma non piccola cosa, la sua sincera vicinanza col mondo del lavoro, la sua difesa dei lavoratori e dei loro diritti e il suo sincero disprezzo per l’aspetto ultra-liberista e individualista del capitalismo, svincolato da ogni considerazione morale.

Un grande uomo e un grande papa, quindi, ma santo è un altro discorso.
Se papa Woytila ha fatto più danni che bene alla chiesa sono legittimati a dirlo solo gli storici e non gli agiografi e i propagandisti,  ma che non abbia i titoli per essere canonizzato lo dice il buon senso e un minimo di informazione.









giovedì 17 aprile 2014

Potete farcela, ma solo se uccidete il gattopardo



Fra i tanti teatrini televisivi e altrettante chiacchiere vuote, finalmente un buon libro.
E’ quello che ha scritto Alan Friedman sulla situazione italiana, giunto in libreria  due mesi fa.
Friedman è un giornalista, esperto di economia, doppiamente  interessante, prima di tutto perché è realmente un esperto, nel senso che ha un curriculum professionale- accademico del livello dovuto, dalla laurea alla London Scool of Economics, e studi proseguiti alla NY University ed alla John Opkins, e poi un’ attività professionale che può elencare quindici anni al Financial Times, e successivamente all’Herald Tribune , radio e televisioni anglosassoni e italiane.
Interessante, poi, perché è un americano, che da anni ha scelto di vivere in Italia, cioè è uno che l’Italia la conosce veramente, perché ci vive da tempo e non la vede solo da una camera d’albergo, come fanno molti corrispondenti esteri, che per superficialità non fanno altro che ripetere i soliti luoghi comuni.
Leggendo il suo libro, si apprende che i nostri protagonisti della politica e dell’economia li frequenta  e li intervista da decenni.
Ne viene fuori  un ritratto del nostro paese, visto dal di dentro, ma con gli occhi di un americano, cioè di uno uno, che ci capisce bene, perché ci conosce bene, ma che è stato educato in un universo culturale diverso, e  che, quindi ,certe cose, che sono poi i vizi nazionali, che rischiano di farci affondare, proprio non le digerisce.
Centratissimo il titolo - slogan del libro sul “gattopardo”, cioè l’icona di quei vizi ai quali si è appena accennato :” fare finta di cambiare per lasciare le cose come sono”.
La cosa sorprendente, è che, dopo  trecento pagine di analisi della recente storia politico- economica italiana,  il lettore capisce che Friedman ha individuato il nome e cognome di colui, che ritiene essere  il “gattopardo” della prima e della seconda repubblica.
Che non è ovviamente il Principe di Salina, ma non è nemmeno quello, che tutti si aspetterebbero che venisse indicato, come l’artefice di tutte le malefatte, cioè il solito Silvio Berlusconi.
Il vero gattopardo, la vera anima nera, che ha fatto più danni di tutti negli ultimi decenni di stagnazione, per Friedman, è invece “baffetto”, proprio lui, Massimo D’Alema, esponente e personaggio emblematico dell’Italia, che non vuole cambiare mai nulla.
Alleato di ferro, da sempre, di Silvio Berlusconi, ma ancora più dannoso dell’ex Cavaliere.
Capisco che non va bene rivelare il nome del colpevole a chi viene invitato e leggere un giallo, ma ho rivelato quel nome, perché questo fa capire qual è la chiave di lettura del libro, che chiaramente non è conformistica, è diversa da quelle che abbiamo visto in mille altre analisi sullo stesso tema.
Detto questo, invito  il lettore ad andare a leggersi, in un momento di calma, quello che ritengo la chicca, anche dal punto di vista letterario, di tutto il libro, cioè  il capitolo dedicato
proprio all’intervista a Massimo D’Alema, che avviene, non nello studio della sua Fondazione romana ,non  al PD o a casa sua, ma, la scelta è felicissima, avviene nel non modesto podere, che l’ex segretario nazionale della Federazione Giovanile Comunista a metà anni 70, quando segretario nazionale del partito era Enrico Berlinguer, si è comprato in Umbria, per produrvi champagne rosè, della qualità più rara e pregiata, servendosi degli stessi enologi, che hanno reso servizi analoghi al finto nemico Silvio.
Altro che il buon “cachemir” Bertinotti, questo baffetto li batte tutti per incoerenza verso un presunto credo di sinistra.
D’Alema, per la verità, anche prima che questo libro di Friedman fosse scritto, è sempre stato indicato, sotto traccia o apertamente, come l’esponente politico italiano, che riporta quasi unanimemente l’oscar della antipatia, per certi suoi tratti caratteriali inconfondibili : sicumera, arroganza, narcisismo nemmeno camuffato, convinzione di essere per definizione il migliore, non confrontabile col resto del mondo per  superiorità antropologica.
La descrizione di Friedman sulla sua visita al casale umbro di questo personaggio, pur essendo condotta con toni molto educati e rispettosi, non risparmia però pennellate, che fanno temere la presenza di tratti francamente inquietanti, come quando descrive l’ingresso per il quale devono passare tutti, padroni, collaboratori ed ospiti.
Non c’è una doppia fila gentile di fiori o di piante ornamentali, ma viene descritta una doppia fila di gabbie, che ricoverano cani corsi da guardia, dei quali il padrone mette in evidenza la dentatura e la postura aggressiva.
Francamente, leggendo queste pagine, sono subito andato ai richiamo letterari, che portano al  famoso castello dell’Innominato manzoniano.
Non è un complimento.
Non parliamo dei soffusi commenti, che l’autore lascia trasparire sul senso dell’intervista, tra l’altro non breve.
Aria fritta nella sostanza,  monologhi di fatto, volti solo a esaltare l’ego dell’autore , apparentemente incapace di sfuggire al delirio dell’autoincensamento, pur trattandosi, inconfutabilmente, una persona colta e di grande intelligenza.
Friedman, questo, riesce a evidenziarlo bene e infatti D’Alema non ne esce per niente come un teatrante buffoncello,  non dico come chi, ma piuttosto, come una figura tendenzialmente tragica, un uomo dotato probabilmente e  reamente di numeri non comuni, ma incapace di liberarsi da un narcisismo, che lo umilia.
Fatto sta, che il risultato fattuale è quello che è.
Beninteso, nel libro di Friedman c’è anche molto altro di interessante.
Una lucida analisi della situazione, dalla quale seguono altrettanto lucide diagnosi e prognosi.
Per farla breve questo è il succo : “o vi decidete a uccidere il gattopardo o per l’Italia è finita”.
Perché  l’Italia non è la Grecia, e quindi se cade l’Italia si tira dietro se non l’economia mondiale, quasi.
E non sarebbe solo un problema di soldi, che finirebbero per tutti, ma sarebbe anche un gravissimo problema di isolamento, rancore e odio, che ci tireremmo addosso per il disastro provocato.
Quindi, saremmo in tempo, ma appena appena e se ci diamo una mossa subito, ma subito, non domani.
Friedman ha anche il raro coraggio di azzardare un dettagliato e coerente elenco di misure da prendere.
Le famose riforme, alcune delle quali rientranti fra quelle annunciate e promesse da Renzi, altre, come le proposte misure per ridurre il debito ,vero problema dei problemi, del quale però in politica non si parla mai, originali, coerenti e per niente strampalate.
Come sempre, manca in Italia una cosa sola, che però è fondamentale e distingue uno statista vero da un gattopardo : la volontà politica, supportata da una visione a lungo periodo.
Friedman sembra dare a Renzi parecchio credito e a Grillo quasi nessuno.
In questo mi permetto di dissentire in modo deciso, perché la penso esattamente al contrario.
Poi nel libro ci sono anche tutti gli altri personaggi salienti della vita italiana, che però Friedman sembra considerare, in questa situazione, più comparse che protagonisti o comprimari e su questo sono d’accordo con lui.

Insomma sono trecento pagine spese bene, alcune delle quali godibilissime, anche per chi non bazzica volentieri in terreno economico. 

venerdì 11 aprile 2014

Questo  Matteo  Renzi   sembra benedetto dagli dei, con lui non c'è competizione





Si è parlato più volte in questo blog di Renzi, cercando di mantenersi nell'ambito del discorso razionale e quindi analizzando i suoi punti di forza e  quelli di debolezza, per poi trarne una conclusione, che era questa : così stando le cose Renzi non sembra avere praticamente nessuna probabilità di riuscita, tutto finirà in bluff.
La realtà però si delinea ormai in tutt'altro modo.
Quando ho letto gli interventi dei  capo economisti dei principali gruppi finanziari del mondo al Workshop Ambrosetti a Villa d'Este, la settimana scorsa, ho dovuto arguire che per Renzi è praticamente fatta.
Quando si sentono i cervelloni di JP Morgan, di Nomura, di Goldman Sachs ,che parlano di Renzi, come dell'apparizione della madonna, quanto meno si è costretti a riflettere.
Per il mondo che conta Renzi è il cavallo sul quale stanno puntando, e questa non è gente abituata a perdere il proprio tempo o a lasciarsi affascinare dalla parlantina sciolta del brillante ex sindaco di Firenze.
Per Renzi probabilmente è fatta perché non c'è a suo favore solo la benedizione dei ,pure potentissimi uomini della finanza mondiale, che giudicano in base a complicati algoritmi ed alle analisi più raffinate disponibili, ma c'è anche il combinato disposto di una serie di elementi emotivi, che convergono per attribuirgli il favore di gran parte degli italiani e questo è decisivo.
In politica come in economia l'analisi razionale non basta, occorre ricorrere alla psicologia ed alle neuroscienze per capire gran parte delle azioni umane, singole o collettive.
Da tempo suscita giustamente grande interesse ad esempio il discorso sull'”economia emotiva”.
Faccio un esempio attualissimo.
Dai primi giorni di questa settimana le borse mondiali si sono messe per traverso, il che di per sé non sarebbe strano, perché la volatilità è la norma e non la patologia delle borse.
Quello che è strano è che la discesa generalizzata arrivi nel momento in cui i “fondamentali” delle economie stanno andando meglio che nel passato, e che le decisioni recentissime della Fed e della Bce sono state dirette proprio nel senso voluto dagli operatori, e quindi questo andamento tutto in negativo è del tutto irrazionale.
E infatt, gli ineffabili commentatori finanziari se la sono cavata usando un termine esoterico o beffardo per chi non è avvezzo al loro linguaggio, dicendo che il “sentiment” degli operatori era negativo, come dire, che si erano svegliati male alla mattina, cosa che è chiaramente una non- spiegazione in termini razionali.
Però  incredibilmente gli studi di psicologia applicata all'economia hanno dimostrato che gran parte delle decisioni nel campo della finanza vengono attuate sulla base di “sensazioni”,  piuttosto che essere il risultato di analisi.
Nel campo della politica le cose vanno nello stesso modo, cioè ci sono periodi storici e situazioni nelle quali è facile riscontrare la pressoché totale mancanza di razionalità nei movimenti collettivi.
La gente agisce sulla base di “sentiment”, sensazioni e non di analisi razionale.
Va chiarito però che il livello di non razionalità di questi movimenti di opinione collettivi è  relativo,  nel senso che l'orientarsi sulla base non di analisi ma di sensazioni è un modo di affidarsi a delle “intuizioni”, più o meno fondate.
In altre parole, se uno non ha una conoscenza nemmeno di base su certe situazioni, ma deve comunque agire,  si affida al “data base” che il suo cervello contiene ,come se fosse un qualsiasi computer, e questo archivio gli fornisce una  risposta immediata, della quale ha bisogno per agire ,ma  che purtroppo non può venire qualificata diversamente che come “pregiudizio”.
Ma è inevitabile ricorrere ai “pregiudizi”, se uno non dispone di informazioni e dati da analizzare, per farsi un giudizio decente e la mente lo aiuta a trovare una risposta comunque.
Per semplificare le cose al massimo, se una persona si trova in uno stato di assoluto disagio e non sa che pesci pigliare  in una situazione politica, sociale o collettiva, che fa?
Si rivolge  al suo istinto animale primordiale e va dietro al “maschio alfa”, che così riconosce come capo- branco.
Sarà antipatico ammetterlo, ma molte decisioni in politica vengono in pratica prese sulla base di questo meccanismo primitivo.
Nella psicologia delle masse questa è la base di tutte le dittature e  di tutte le leadership personalistiche.
Con Matteo Renzi si verifica una situazione simile a questa, che guarda caso, sembra la fotocopia di quanto accaduto vent'anni fa con Silvio Berlusconi.
Una new entry della politica, che sa rendersi credibile, perché buon comunicatore, dice delle cose che sul piano razionale non stanno né in cielo né in terra, cioè che non hanno elementi concreti per essere prese sul serio, invece che come  promesse demagogiche, con poco fondamento.
Alcune sono molto poco verosimili, altre sono chiaramente specchietti per allodole, ma la gente le prende sul serio per una serie di ragioni.
Perchè non ne può più di come è stata gestita la politica negli ultimi decenni.
Perchè non ne può più dell'intera classe politica e dirigente.
Perchè c'è una crisi economica, che i predecessori di Renzi non hanno saputo bloccare.
Ed allor,a l'uomo nuovo, presentatosi come “il rottamatore”, che è credibile perché in parte è riuscito  a sostituire nella gestione del potere una parte dei vecchi politici, con gente nuova,  viene preso molto sul serio e come il cavallo su cui puntare.
Renzi è' riuscito in uno dei giochi più antichi della politica, cioè nel far credere che lui è il nuovo che avanza e che chiunque è contro di lui rappresenta il vecchio che resiste.
E dunque, se i suoi molti nemici interni o esterni lo mettessero in minoranza, quasi gli farebbero un favore, perché gli consentirebbero di andare a elezioni quasi immediate che probabilmente vincerebbe a man bassa, come  rappresentante riconosciuto del nuovo contro il vecchi, che la stragrande maggioranza aborre.
I suoi competitori, sono in ben cattive acque.
Berlusconi politicamente è alla disperazione, se è costretto a ricorrere all'animalismo ed alla promessa di dentiere gratuite, per tirare a campare.
Il suo vero e unico competitore è Grillo, che avrebbe probabilmente fatto saltare il banco se la politica fosse ancora in mano ai D'Alema, Bersani Berlusconi eccetera.
Ma ora c'è Renzi e per Grillo è dura, perché la gente non va a vedere quello che fanno tutti i giorni i parlamentari a 5 stelle ,i consiglieri regionali ecc. che smascherano   gli inciuci dei vecchi politici che vanno avanti come prima.
Non vanno a vedere il programma dei 5Stelle.
La gente vede Renzi su tutte le televisioni a tutte le ore del giorno e della notte, esattamente come succedeva prima con Berlusconi ed a Renzi si affida semplicisticamente.
Tutto potrebbe crollare in un gigantesco bluff, ma se la maggioranza degli italiani si è sorbita Berlusconi per vent'anni, senza andare a chiedergli di vedere le carte, è probabile che la stessa cosa succederà con Renzi.
Possiamo solo sperare che questo giovin signore   oltre alle doti teatral- comunicative e la spregiudicatezza di Berlusconi ,abbia anche qualche idea sua e qualche strategia, che Berlusconi proprio non ha mai avuto.
Molto preferibile sarebbe che Renzi si potesse presentare quanto prima al giudizio delle urne, e che la gente fosse messa nella possibilità di giudicare chi è più credibile come innovatore fra lui e Grillo.
Ma all’inquilino del colle, che certo non rappresenta il nuovo questo non sta bene.
Fra poco più di un mese ci sono le europee e su questo piano Grillo ha più carte e argomenti di Renzi.
Se il giovin signore vincesse queste elezioni, la competizione sarebbe finita, si aprirebbe un ventennio renziano.

Sarà dura anche per Grillo, ma il fatto che il duello appare con evidenza come decisivo, da a  noi elettori  l’opportunità di valutare lo spessore dei due contendenti.

mercoledì 2 aprile 2014

Filadelfia


Ieri sera, martedì 1 aprile su la7 è andato in onda un film classico, di quelli che fanno la storia del cinema.
Filadelfia è un film del 1993, che ha vinto due Oscar e una sequela di altri Award l'anno successivo.
Quando si parla di un film, viene spontaneo, per prima cosa, indicare la trama, anche se per opere di questo livello la trama è solo  un pretesto per andare oltre, cioè arrivare a  una vera e propria creazione artistica.
Benedetto Croce, nella sua estetica, diceva che si arriva a creare un'opera d'arte quado si è capaci di raggiungere gli  universali.
Ebbene questo film ci riesce.
La storia è presto detta : un giovane brillantissimo avvocato viene associato al board del più importante studio legale di Filadelfia, proprio in ragione della sua bravura e  della sua dedizione.
Ma a un certo punto i soci ,gli avvocatoni  più anziani, intuiscono che quel ragazzo probabilmente ha l'Aids, e, peggio ancora, deducono che se ha l'Aids è perché, ancora probabilmente, ha contratto la peste del secolo perché è omosessuale e presi dal panico lo licenziano con una scusa.
Il giovane avvocato sa che quel male era allora del tutto incurabile ed essere sicuri di averlo significava avere non più di pochi mesi di vita, e di vita grama.
Ma la sua passione per la giustizia lo spinge a cercare di fare causa alla sua ex ditta, per far condannare comportamenti discriminatori sul lavoro e ristabilire così un principio sacrosanto.
Da questa vicenda viene fuori come sia contraddittoria, ma allo stesso tempo veramente grande l'America, inarrivabile per noi.
Un paese nel quale era, ed in gran parte è ancora, diffusissimo il pregiudizio e il fondamentalismo religioso evangelico e cattolico tradizionalista, che induce a leggere la bibbia prendendo alla lettera le sue affermazioni, comprese quelle sui costumi di una società pastorale di tremila anni fa, quale è quella descritta nella bibbia.
Ma questo fondamentalismo deve lottare  e confrontarsi tutti i giorni con l'abitudine altrettanto salda e incarnata nella storia di quel paese, al pensiero critico, alla tolleranza ed alla laicità.
Questo processo viene bene portato avanti dall' avvocato,  che dopo molte perplessità, decide di fare causa al grande studio  legale per conto  del giovane licenziato.
Costui è un americano medio di quegli anni, perfettamente omofobo, cioè consapevole di portarsi dietro un fortissimo pregiudizio anti-gay, che si manifesta in disgusto istintivo, dovuto a un'educazione basata su pregiudizi e sulla non conoscenza della situazione gay, e che quindi, per sostenere in giudizio il suo cliente, deve passare per tutto un percorso personale di autoistruzione e di conoscenza, che prima non aveva.
Ma Filadelfia non è, se non in piccola parte, un film di costume o di lotta per l'affermazione di più completi diritti civili.
La parte più alta del film è la narrazione dell'esperienza di una persona, che sa di stare per morire e che lotta strenuamente in una posizione di evidente debolezza psichica e fisica, per la giustizia, non solo e non tanto perché ha la passione dell'uomo di legge, che ha sempre creduto nella bellezza della sua professione.
Ma soprattutto è un uomo, che nel momento della massima debolezza ha la cultura per trovare da laico e da solo la via per affrontare il problema dei problemi.
Non cerca conforto nei miti delle religioni, così a portata di mano in quella società americana, prevalentemente evangelica fondamentalista e miracolista.
Non  ha bisogno del conforto nelle fedi religiose, perché la sua cultura laica gli da conoscenze ed esperienze interiori, più elevate, più salde e più verificabili di quelle.
Quei formidabili minuti di estasi- delirio, quando il protagonista, interpretato da un Tom Hanks, qui a livelli di recitazione shakespeariana, ascolta o meglio rivive, come se fosse la sua ,l'esibizione ,anche questa inarrivabile, di una Callas nell'aria :” io sono dio, io sono l'amore”,  nell'Andrea Chenier di Umberto Giordano.
Lo spettatore viene portato almeno ad intuire, che esiste un'esperienza dell' ”oltre”, dove tutto si spiega e dove l'uomo ritrova la sua dimensione più alta ed appagante.
E' la dimensione ricercata dai mistici di tutti i tempi, così  come dai pensatori e dagli artisti, quando raggiungono la fase della creazione.
E' raro che un film raggiunga ,o almeno proponga, esperienze così ambiziose e così elevate.
Se la cosa è riuscita, è merito di Tom Hanks, che ha saputo essere credibile in momenti di recitazione di grande intensità, ma anche della geniale trovata dell'autore e del regista di appoggiarsi  in quei momenti ad una musica ed a una cantante formidabili, capaci far fare una grande esperienza spirituale.
Ed allo spettatore passa il messaggio che il protagonista lotta fino all'ultimo perché non ha più paura della morte, per il fatto che ha già dentro di sé l'esperienza dell' “oltre”.
Altro che film d'evasione.
Questo è senza dubbio un film impegnativo, che uno non guarda perché non sa come passare il tempo diversamente, ma sono questi i film che arricchiscono, non la massa abituale, che passa come l'acqua, senza lasciare nulla.