giovedì 29 febbraio 2024

Alberto Vanolo La città autistica - Einaudi Editore – recensione

 



Dal suo curriculum presso l’Università di Torino apprendiamo che l’autore è professore di geografia politica ed economica ,nonché presidente di un centro studi di materie urbanistiche sempre presso quella Università.

Persona qualificata quindi ,ma non è né medico né psichiatra, però è padre di un bimbo che soffre di autismo, e questo lo rende più che legittimato a scrivere un libro sui problemi che suscita l’autismo e su come dovrebbe essere strutturata una città per tenere conto della presenza di cittadini autistici.

Era tempo che mi ero proposto di individuare un libro per cercare di capire in cosa consiste l’autismo e quando ho visto segnalato questo breve saggio me lo sono procurato e l’ho letto.

Da semplice lettore devo dire che cercando titoli sull’argomento mi sono subito accorto che risultava abbastanza sconcertante il fatto che quasi non si trovano saggi scritti da neuroscienziati, mentre abbondano libri come questo elaborati da parenti o comunque da chi si deve occupare di persone autistiche.

Entrando un po nell’argomento si scopre subito il perché, che consiste semplicemente nel fatto che la scienza ha fatto passi avanti, ma ha a tutt’oggi ben poco da dire sull’autismo.

Aggiungete poi che esistono forme molto diverse e variegate di autismo e che il numero di bambini autistici si scopre essere molto più grosso del previsto con trend in aumento, e si comincia a capire perché di fronte a queste obiettive oscurità si sono scatenate le teorie complottiste, che pur senza disporre di seri riscontri elencavano l’autismo come danno collaterale dei vaccini anti-Covid.

Ma restiamo coi piedi per terra.

I genitori di bambini autistici sanno benissimo quali sono i problemi legati all’autismo e quindi attualmente la migliore fonte di conoscenza sono proprio loro.

Apprendiamo da questo libro che come sopra detto esistono forme molto diverse di autismo e che non tutte portano a condizione di disabilità, anche se la maggioranza probabilmente lo fanno.

C’è un deficit di apprendimento e quindi di sviluppo intellettivo rispetto alla media per età in gran parte dei casi.

C’è un vistoso problema di comunicazione, inteso nel senso di mancanza di empatia sempre in gran parte dei casi.

Alcuni di questi bambini dimostrano interesse più per gli oggetti che per le persone.

Molti parlano poco o niente e questo porta a serie difficoltà di comunicazione.

Nei rapporti sociali creano seri problemi nel senso che per loro le convenzioni sociali alle quali siamo abituati esistono solo in parte.

Ma il problema più spinoso è forse quello delle crisi, che inducono raramente ad atteggiamenti violenti, più spesso in urla, crisi di pianto , buttarsi per terra, come durante attacchi epilettici.

Alcuni si rendono conto che sta per sopravvenire la crisi e se sanno comunicarlo a chi li assiste si possono prendere contromisure, altri invece vengono colti all’improvviso.

Queste crisi sembrano legate a situazioni di colori troppo chiari, rumori o musiche a volume troppo alto, luci troppo forti.

Essendo esperto di materie urbanistiche l’autore propone di ascoltare le esigenze degli autistici che sono cittadini che hanno gli stessi diritti di tutti gli altri e che vivono meglio in ambienti che almeno tengano conto della loro ipersensibilità per colori, suoni rumori e affollamento.

L’autore pone il quesito se sia giusto o meno trattare l’autismo come una malattia.

O se non sia più corretto avvicinarla all’universo che in inglese di definisce come “queer “,traducibile come bizzarro, strano, che ha per sinonimo “weird” ma che storicamente e culturalmente ha connotati diversi tipo “hippy” per intenderci.

L’autore argomenta, se la società evolvendo è arrivata ad accogliere minoranze sessuali come gli LGBT, che in un tempo non lontana subivano l’ostracismo, perché non pensare di abituarsi a includere comportamenti non allineati alle convenzioni sociali come quelli degli autistici, purché ovviamente non siano violenti?

E perché non immaginare società urbane che studino spazi adatti alla convivenza con gli autistici?

L’argomento non è facile ed è delicato, ma è formulato in modo assolutamente logico.




venerdì 23 febbraio 2024

Gianni Oliva 45 milioni di antifascisti . Il voltafaccia di di una nazione che non ha fatto i conti con il ventennio – Le scie Mondadori – recensione


 

Il titolo del libro è tratto da una delle celebri battute di Winston Churchill ,sarcastica e piuttosto feroce nei nostri confronti : “In Italia sino al 25 luglio c’erano 45 milioni di fascisti; dal giorno

dopo, 45 milioni di antifascisti. Ma non mi risulta che l’Italia abbia 90 milioni di abitanti”.

L’autore, che ,non per nulla, è docente di storia delle istituzioni militari, con questo libro si è assunto l’ ingrato compito di far intendere agli italiani ,che, se vogliono capire il presente, non possono permettersi di ignorare la storia, quella vera degli storici, non le narrazioni alterne della politica.

Questo significa che ,diversamente da quello che, dalla fine della guerra ,l’anno prossimo saranno 80 anni, recita la narrazione corrente, la guerra medesima l’abbiamo persa, con delle conseguenze che hanno pesato su quegli 80 anni passati in modo massiccio.

Certo, possiamo fare finta di non sapere che in Italia, un paese straniero ,anche se alleato ,cioè gli Stati Uniti, egemone fra i vincitori della guerra, occupa sul nostro territorio nazionale qualcosa come 111/120 basi militari conosciute ,essendo quelle segrete sconosciute per definizione, con circa 13.000 soldati americani e relativi mezzi e armamenti.

E questo basterebbe per indurci a una certa riflessione.

Ma forse è ancora più strano che non si rifletta sul fatto, assolutamente basilare, che non si è mai visto nella storia un paese dalla parte dei vincitori, al quale alla fine viene strappata una parte consistente del suo territorio nazionale (Istria e isole dell’Adriatico etc.) costringendo centinaia di migliaia di italiani a lasciare le proprie case perdendo tutto, per rifugiarsi come esuli in altre parti del paese come è successo finita la guerra.

Perfino i testi scolastici sono reticenti su questo argomento, per non parlare dei connessi fattacci delle foibe.

Memoria oscurata perché così faceva comodo.

Basterebbero i fatti sopra citati a far capire a chiunque, che la guerra non l’avevamo affatto vinta e che quindi occorreva realisticamente elaborare quella sconfitta e non inventarsi narrazioni di comodo, per cercare di convincerci di un inverosimile contrario.

In perfetta buona fede, ed anzi dimostrando alta capacità politica, Alcide De Gasperi alla Conferenza di Parigi , fece un celebre discorso :”Sento che tutto tranne la vostra personale cortesia è contro di mè: è sopratutto la mia qualifica di ex- nemico che mi fa ritenere un imputato…...sento la responsabilità e il diritto di parlare come italiano democratico antifascista…”

Tra l’altro De Gasperi ebbe il coraggio in quello stesso discorso di criticare aspramente la cessione dell’80% della Venezia Giulia alla Jugolavia.

Ma purtroppo quel nobilissimo discorso venne preso a prestito per costruire una narrazione di comodo per tutte le forze politiche della nuova Italia.

Quello che era un brillante artificio dialettico usato dal più grande statista che l’Italia post fascista abbia avuto per cercare di ricostruire l’onorabilità del nostro paese ,cioè proprio la rivendicazione di essere lui un Presidente che era stato incontrovertibilmente antifascista e democratico per aggiungere che il popolo italiano non fu mai ex-nemico degli Alleati vincitori.

Inattaccabile la proclamazione dell’essere democratico e antifascista, tirata invece oltre al limite del verosimile, anche se di indubbia utilità politica in quella sede ,la successiva affermazione con la quale De Gasperi usò la propria onorabilità per coprire l’ intero popolo italiano, che secondo la storiografia ,non si era comportato proprio in modo così onorevole durante il venennio.

Nacque così la vulgata che dura tutt’ora : il popolo italiano non ha alcuna responsabilità per il ventennio, che sarebbe invece tutta ascrivibile a quel pazzo di Mussolini ed a quel mollaccione del Re.

Il popolo italiano è stato vittima di una dittatura violenta ,che gli impediva di ribellarsi.

Ma si riscattò comunque partecipando alla lotta di Resistenza.

Non furono i partigiani a “liberare “ le grandi città il 25 aprile?

Questa narrazione ha fatto comodo nel dopoguerra sia alle forze politiche di maggioranza, sia a quelle di opposizione e infatti è durata e sostanzialmente dura tutt’ora, peccato però che sul piano storico si rivela del tutto insostenibile per una serie di ragioni che il libro analizza con precisione e freddezza.

Inutile che dica che per ragionare su queste cose occorre preliminarmente acquisire un punto di partenza che dovrebbe essere ovvio : la storia non è né di destra né di sinistra, ma è quello che gli storici riescono a mettere insieme dall’analisi di documenti consultabili da tutti. Punto.

Su questa base ecco alcuni punti fermi :

Mentre in altri paesi (Francia e Paesi nordici il nazifascismo è stato imposto con l’occupazione militare, l’Italia il fascismo lo ha inventato ed ha cercato di esportarlo a volte con successo.

L’analisi storica ha appurato che almeno per il primo ventennio il fascismo non è stato imposto a tutti con la forza, ma ha goduto di un consenso di popolo vastissimo, anche se usava la forza degli squadristi e degli arditi, che si ispiravano a una filosofia aberrante, ma questa è una ulteriore aggravante della responsabilità del popolo di allora.

Non è quindi sostenibile la tesi comune del popolo “vittima” della violenza fascista e quindi senza alcuna responsabilità.

E’ vero che la Resistenza limitata geograficamente al Nord, ha salvato la nostra dignità da un punto di vista morale, ma da un punto di vista militare ,non ha rappresentato niente di più di un classico moto di guerriglia, diretto a creare difficoltà alla logistica dell’esercito tedesco.

I limiti numerici del resto sono impietosi.

Il popolo era da un’altra parte.

Questo non significa affatto che quasi tutti fossero fascisti, no questa non è per niente la lettura accreditata dalla storia, beninteso però riferendoci agli anni della guerra e sopratutto dal 43 al 45.

Il popolo era in gran parte identificabile con l’enorme plotone della zona grigia, tutta dedita al proprio privato, che aveva una priorità assoluta : il desiderio della fine della guerra il più presto possibile, evitando di spingersi in scelte di qua o di là.

Finita la guerra, la narrazione vittimistica che esentava dall’assunzione di responsabilità è stata aiutata da più fattori:

Faceva comodo sostanzialmente a tutte le forze politiche;

Era favorita dagli alleati ,che davano la priorità al raggiungimento della massima stabilità possibile e quindi tendenzialmente favorivano il riferimento alla classe amministrativa e dirigente esistente;

Il clima sopra descritto ha portato alla scelta scellerata o saggia è tutto da vedere, di evitare di fatto di fare epurazioni e di dichiarare invece la famosa amnistia di Togliatti, ministro della giustizia, diversamente da quello che avvenne allora nella vicina Francia e nei paesi nordici ,che realizzarono una epurazione abbastanza drastica.

Uno dei capitoli più interessanti del libro metto in evidenza una lista di incredibili, obiettive assurdità derivanti dalla mancata epurazione che favori un indecente trasformismo: dal presidente della Tribunale della Razza, che diventa presidente della Corte Costituzionale : al direttore del carcere ,dove erano rinchiusi alcuni dei principali leader antifascisti ,che diventa questore di Milano, al tempo del presunto suicidio di Pinelli, eccetera.

Forse Togliatti aveva un poco esagerato.

Perchè aprire gli occhi sulla realtà storica e superare la poco verosimile vulgata basata sul vittimismo ?

Non certo per volontà di sottoporsi a inutili fustigazioni masochistiche, alle quali siamo del resto avvezzi in altri settori.

Ma perché come oggi fortunatamente spingono le opere di autori che trovano sempre più diffusione e favore ,da Antonio Scurati, a Lucio Caracciolo ad Alessandro Barbero, prendere atto della realtà storica, facendo così “ i conti col passato fascismo” ,ci consentirebbe di analizzare i fatti per cercare di capire perché i nostri nonni e non i marziani, hanno inventato il fascismo e poi l’hanno praticato volenterosamente in massa per lungo tempo.

Questo serve per individuare vizi atavici pericolosi, per poterli curare come una malattia.


venerdì 16 febbraio 2024

Francesco Billari : Domani è oggi – Costruire il futuro con le lenti della demografia Ed. Egea – recensione

 



Che il rettore della Bocconi si impegni a scrivere un breve e leggibilissimo saggio sulla sua materia è già solo questo un ottimo segno.

Voglio dire che l’accademia per antonomasia si apra cerando di spiegarsi e di riassumere il succo delle proprie competenze non è cosa poi così comune per l’università italiana.

Ben venga allora questo saggio di estrema utilità per chi tiene ad informarsi da fonti sicure e non si accontenta dei soli media o dei social.

Dopo averlo letto questo libro immagino che l’autore, come tutti gli autori si augura di essere letto da quante più persone possibili, ma amerebbe particolarmente che se lo leggessero ,o meglio studiassero i politici e sopratutto quelli al governo.

Perchè la demografia, che per il nostro paese significa andamento demografico negativo, è un problema dei più seri e se non affrontato è destinato a peggiorare.

Per ragioni non facili da spiegarsi, questo problema è affrontato in modo marginale e occasionale, anche perchè non è sostanzialmente compreso nella sua gravità a livello di opinione pubblica.

Le abitudini mentali consolidate sono difficili da scuotere.

Eravamo abituati a goderci decenni di pace e di prosperità e ci eravamo illusi che quella situazione fosse destinata ad essere eterna.

Poi, dalle strampalate guerre americane ,tutte regolarmente perse, anche se ben vendute con le giustificazioni più nobili,ha cominciato a manifestarsi l’incapacità della potenza egemone di fare il poliziotto del mondo,quando la medesima non è è più riuscita a contenere instabilità, rancori, paure e guerre, nate come limitate e regionali, ma poi divenute di estrema pericolosità.

La guerra mondiale a rate, lo slogan buttato là da Papa Francesco ,riassume bene la situazione.

In questa situazione ogni paese è costretto a chiedersi : ma noi come stiamo? Cosa contiamo nel mondo e cosa dobbiamo fare per garantirci un minimo di sicurezza?

Come sappiamo ,proprio a causa di questa situazione di palese cambiamento degli equilibri precedenti e di instabilità, mai vista prima, per cercare di capirci qualcosa di serio, la gente ha cominciato ad accostarsi all’analisi della geopolitica.

Eccoci allora al dunque.

La geopolitica rimanda ai fondamentali dei tempi lunghi ed in particolare alla demografia, come punto di forza o di debolezza di una nazione.

Ecco perché prendere sul serio la situazione demografica e le sue tendenze di lungo periodo è diventato di primaria importanza.

Il Prof. Billari ,cita nelle prime righe della sua esposizione, la metafora di Alfred Sauvy, demografo francese ,che invitava a pensare alla demografia ,fissando l’attenzione a un orologio analogico con le tre lancette di rigore : quella veloce dei secondi; quella più lenta dei minuti e quella ancora più lenta delle ore.

Ebbene, diceva Sauvy, la politica si muove come la lancetta dei secondi, troppo veloce per cogliere i movimenti di fondo; l’economia invece si muove come la lancetta dei minuti, coglie periodi più lunghi; mentre la demografia si muove come la lancetta delle ore, scandisce movimenti di lungo periodo, che avranno l’influenza maggiore sulle vite delle persone.

L’analisi del libro è molto penetrante e puntuale anche nella scelta delle rappresentazioni grafiche più opportune per rendere i concetti esposti immediatamente comprensivi.

La rivoluzione demografica che è partita dagli anni dell’Unità d’Italia ha visto periodi di grande espansione, anche se caratterizzati da flussi di emigranti italiani molto pesanti nei primi anni del 900, per non parlare delle spaventose perdite, patite a causa delle due guerre mondiali.

Poi la ripresa con gli anni del boom economico e poi l’avvio a un lento declino.

Ecco allora il passaggio da un grafico a piramide a uno a forma di nave.

Il Prof. Billari ha il pregio di saper evidenziare bene la situazione di fatto, ma nel contempo l’abilità di saper proporre le famose riforme di struttura, che ritiene sarebbero efficaci e comunque non rinviabili in due settori fondamentali : anzitutto la scuola con un l’introduzione di una scuola superiore, con una struttura unica, per dare una formazione di base universale ,pur riconoscendo la necessità di conciliare le diverse attitudini e interessi degli studenti.

Poi un sostanziale superamento della normativa esistente per l’immigrazione legale e programmata che si avvicini alle cifre che uniche garantirebbe un equilibrio demografico.

L’aritmetica non è né di destra né di sinistra, è quella per tutti.


sabato 10 febbraio 2024

Pierantonio Gallu OBIETTIVO CINA: La guida per entrare, fare business e crescere nel più grande mercato del mondo. Editore Chanell Marketing – recensione


 

Mi sono avvicinato a questo libro senza avere alcuna intenzione di andare a piantare una attività in Cina, dal momento che non gestisco alcuna attività commerciale.

Questo è un libro esplicitamente dedicato a chi opera sul mercato, con finalità molto pratiche, nel senso che è scritto da un manager ,divenuto consulente, che ha sviluppato una sua lunga esperienza sul campo, e che ha ritenuto utile utile rivolgersi sopratutto a gestori di piccole e medie imprese italiane, che hanno in programma di sbarcare in Cina, per evitare loro di commettere errori pacchiani ,che sarebbero destinati a fare perdere, invece che guadagnare soldi.

Il mio personale campo di interesse ,come sa chi ha la bontà di seguire questo blog ,è prevalentemente la geopolitica, e quindi mi sono interessato a questo libro con il solo scopo di cercare notizie di prima mano sulla Cina da chi ha maturato una seria esperienza sul campo.

Seguendo questa chiave di lettura ,ho trovato diverse dritte di primario interesse.

Anzitutto, ho molto apprezzato il consiglio base elargito da Gallu : se volete portare in Cina la vostra attività, avvicinatevi facendo subito un esercizio di umiltà ,che significa spendere il tempo dovuto,cioè molto di più di quello che pensate, per farvi un’idea seria di cosa sia un mondo di valori ,cultura e usi, ben diversi da quelli che ci sono abituali in Occidente.

Partiti col piede giusto, mettete in pratica quello che avete appreso, tenendo sempre in mente che quelli che volete raggiungere come clienti del vostro business ,ragionano da cinesi e non da occidentali.

Un analista di geopoltica direbbe esattamente la stessa cosa : se volete capire i cinesi cercate di ragionare da cinesi, perché se se aveste l’arroganza di giudicare quell’immenso paese ,con i parametri nostri ,sarete destinati a non capire niente ad a cadere da un equivoco a un altro.

Gli esempi che porta Gallu sono moltissimi.

I cinesi ,a differenza di noi occidentali, tendono a tenere molto più vicine e intrecciate attività di business e vita privata e quindi tengono in conto in modo primario la conoscenza personale e diretta, abbastanza sviluppata, tanto da consentire loro di acquisire o meno un senso di fiducia personale, prima ancora che professionale.

Rimando al libro i consigli praticissimi su come approcciarsi alle lunghe cene di lavoro, di prammatica in quel paese.

Dall’etichetta che impone di seguire criteri gerarchici nel salutare i commensali, all’atteggiamento di ascolto (molto apprezzato) al dimostrare di avere le idee chiare sull’attività ,che si vuole portare in Cina, non solo a parole, ma presentando un business plan, scritto nel modo dovuto.

A differenza di quello che comunemente pensiamo,ci viene detto che la lingua inglese è diffusa solo ai livelli alti e quindi il materiale di presentazione e accompagnamento va redatto in cinese corretto.

Anche a questo proposito, Gallu ripete l’esortazione a non improvvisare mai ed a servirsi per ogni cosa di professionisti cinesi in loco, perché è indispensabile prestare molta attenzione a tutto quello che significa tradurre in cinese, che richiedendo traslitterazione ,va ben ponderato con professionisti locali ,per non incorrere in disastrosi equivoci dovuti a fonetiche con significati per loro negativi o ridicoli.

Un’altra dritta importante ,dovuta a diversità culturali ,è il valore dato ai contratti.

Per noi il contratto è tutto, con valore sacrale, per loro, è solo una dichiarazione di orientamento, in fieri ,e quindi soggetto a cambiamenti, in relazione alle mutanti condizioni di mercato.

Attenzione anche ai colori : per loro il rosso va sempre bene come il blu, mentre il bianco non va bene affatto, essendo accostato alla morte.

Stesso discorso per i numeri : attenti al 4, da evitare per la stessa ragione del bianco.

Gallu ,ovviamente, non da queste indicazioni per rendere interessante la narrazione con spunti esotici, ma perché sono elementi assolutamente basilari ad esempio per la scelta del brand, del logo aziendale eccetera.

Ma non mi dilungo e rimando alla lettura del libro, che molto opportunamente riporta anche un accurato riassunto, capitolo per capitolo.

In conclusione ribadisco che anche per chi ha interessi non strettamente legati ad aprire una attività in Cina , la lettura di questo libro è utile, perché costituisce una buona occasione per arricchire la nostra conoscenza della mentalità cinese.







sabato 3 febbraio 2024

Domino Rivista sul mondo che cambia : Taiwan l’isola che non c’è. Ufficialmente inesistente Taipei è contesa fra Washington e Pechino. Possibile scintilla della guerra mondiale n.1 20024 – recensione

 


Se c’era un modo per poter rendere comprensibile, nei suoi fondamentali, una delle situazioni geopolitiche , mi si passi il termine, più incasinate del mondo, come è Taiwan , si direbbe, che questo numero di Domino c’è riuscito brillantemente.

Fabbri, come è nel suo stile asciutto e diretto, ha scelto l’unica via possibile.

Descrivere le cose come stanno, per spiacevoli , contro-intuitive e politicamente scorrette, possano essere.

Se qualche lettore vuole ascoltare il mio consiglio, cioè di uno che da quando è uscito Domino non si è mai perso un numero e tutti li ha recensiti, si fotocopi l’ultima e la penultima pagina dell’editoriale di Fabbri e, non dico se le metta in quadro, (anche se lo meriterebbe) ma se le tenga a portata di mano ,perchè è un formidabile sunto, lui che parla difficile ,per vocazione, direbbe sinossi, di geopolitica da tenersi a mente prima di avventurarsi nell’analisi di qualunque situazione o regione geografica.

Il titolo del volume è azzeccato perché riassume la commedia dell’assurdo che si è impossessata di questa area del mondo.

Taiwan, l’isola che non c’è.

Fa bene Fabbri a mettere in chiaro che se è vero che il vero oggetto del contendere strategico fra le due superpotenze, Usa e Cina è proprio Taiwan e che purtroppo nessuno può dire che mai la contesa potrebbe spingersi a fare scoppiare la terza guerra mondiale, né all’uno né all’ altro interessa veramente mettere le mani sulla terra o sulle cose di Taiwan, industria dei preziosissimi microcip compresi.

In realtà a nessuno dei due interessa alcunchè dei taiwanesi.

E allora? Cosa vogliono?

Se, prima di cercare una risposta, il lettore pensa con la logica della geopolitica, ci arriva facilmente.

L’unica loro preoccupazione è controllare lo stretto, il collo di bottiglia, abbastanza ampio 160 km.

Ma non abbastanza per le capacità delle flotte moderne.

Il problema quindi è avere il controllo o comunque impedire che l’altro egemone o aspirante egemone ci metta le mani o più realisticamente la flotta.

Nel modo come siamo abituati a ragionare oggi ,con mentalità economicista e per di più di nazioni terragne e non talassocratiche, riesce difficile assegnare il massimo di valutazione al controllo di uno stretto, ma non dimentichiamoci che questo era ad esempio la visione del mondo della Regina Vittoria, dalla quale gli Usa non a caso hanno ereditato l’impero.

Altro elemento della commedia dell’assurdo al quale si stenta a credere è che gli interessati diretti, cioè i Taiwanesi, sono forse quelli che hanno le idee più confuse.

E se hanno le idee confuse i diretti interessati, figuriamoci noi.

Disabituati a studiare storia e geografia con la serietà che le due materie richiederebbero, per quanto riguarda il nostro mondo europeo o occidentale, figuriamoci quando dobbiamo rivolgerci all’Asia, andiamo subito nel panico.

Comunque ,ragionando a spanna,siamo portati a credere che da sempre su quell’isola siano vissuti dei cinesi.

Errore, apprendiamo da questo volume, c’erano dei nativi che non erano affatto cinesi , i cinesi veri erano stati portati lì relativamente da poco e precisamente dalla compagnia delle indie orientali dagli Olandesi, come mano d’opera a bassissimo prezzo.

Poi nel seicento l’impero cinese occupò l’isola.

Successivamente nell’ottocento (il secolo delle umiliazioni per i cinesi) arrivarono i giapponesi.

Persa la guerra quest’ultimi ,gli alleati favorirono l’occupazione dell’isola da pare delle truppe del Kuomintang, sconfitte dalla rivoluzione comunista cinese di Mao e sempre i medesimi alleati, guidati dagli Usa riconobbero come unico legittimo regime cinese proprio quello isolano di Chiang Kai Shek ,capo del Kuomintag, che instaurò un regime ultra nazionalista e tutt’altro che democratico.

Infine arrivò la sottile mossa di Kissinger che convinse Nixon a mettersi d’accordo con la Cina per isolare la Russia, che era ancora URSS, nel pieno della guerra fredda.

Venne di conseguenza la fine dell’appoggio a Taiwan ,anzi addirittura la fine del riconoscimento di Taiwan ,perché questo era il prezzo da pagare ai Cinesi.

Ma Kissinger ,erede delle sottigliezze machiavelliche dei Richelieu e dei Talleirand aveva giocato la solita carta della doppiezza.

Infatti gli Usa riconoscevano (acknoweledge), ma non accettavano esplicitamente in Pechino una sola Cina.

E la commedia va avanti così fino ad oggi.

La partita è talmente scivolosa e assurda che i taiwandesi si sono saggiamente del tutto assuefatti a considerare l’equivoco in atto il minore dei mali e di fatto si predispongono a fare durare il più a lungo possibile la situazione così com’è.

Naturalmente Fabbri dà il palinsesto, ma poi l’analisi è sviluppata in modo dettagliato da una serie di saggi che esaminano non solo la situazione di Taiwan, ma come le altre nazioni della regione hanno reagito a quella situazione.