giovedì 23 febbraio 2012

Ma facciamola finita col tormentone dell’art 18, mentre le fabbriche stanno chiudendo i battenti

Meglio i tecnici dei governi buffonata di Berlusconi, ma è certo che non sempre l’azzeccano.
L’approccio alla riforma delle regole sul lavoro per esempio è stato finora una sequela di errori.
La comunicazione non è certo il forte della ministra Fornero, ma di tutti i membri del governo, costei sembra essere proprio quella che più evidenzia il distacco dei “tecnici” accademici dai problemi reali della gente.
Insistere sull’art 18 nel momento in cui ogni giorno chiudono aziende e si allunga la fila dei neo-disoccupati sembra una insensatezza assoluta.
Innanzi tutto cerchiamo di capire di cosa si sta parlando.
L'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori afferma che il licenziamento è valido se avviene per giusta causa o giustificato motivo.
In assenza di questi presupposti, il giudice dichiara l'illegittimità dell'atto e ordina la reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro.
In alternativa, il dipendente può accettare un'indennità pari a 15 mensilità dell'ultimo stipendio, o un'indennità crescente con l'anzianità di servizio.
Il lavoratore può presentare ricorso d'urgenza e ottenere la sospensione del provvedimento del datore fino alla conclusione del procedimento, della durata media di 3 anni.
Nelle aziende che hanno fino a 15 dipendenti, se il giudice dichiara illegittimo il licenziamento, il datore può scegliere se riassumere il dipendente o pagargli un risarcimento.
Può quindi rifiutare l'ordine di riassunzione conseguente alla nullità del licenziamento.
La differenza fra riassunzione e reintegrazione è che il dipendente perde l'anzianità di servizio e i diritti acquisiti col precedente contratto (tutela obbligatoria).
Questo è il riassunto della norma.
Nella pratica però le cose però vanno un po’ diversamente ed è in questi meandri delle applicazioni pratiche che sorgono i problemi pratici per le aziende.
Innanzi tutto i tempi biblici dei processi. Nel mondo di oggi se io azienda ho in ballo una causa ex art 18 oggi e mi vedo imporre o la riassunzione o il risarcimento di un dipendente dopo cinque o sei anni, magari quando è in corso una crisi, mi devo accollare un problema che in tempi normali sarebbe superabile, ma che in quel momento viene amplificato dieci volte, e mi fa sballare i conti.
Questo è l’aspetto delle conseguenze dell’art 18 che dà dei problemi veri alle aziende.
Il discorso a ruota libera e nel momento sbagliato della Mercegaglia sui presunti fannulloni e addirittura ladri protetti dall’art 18 è una esasperazione polemica di basso livello che chiude male il suo periodo di presidenza, che era stato dignitoso.
Una trattativa accorta portata avanti in tempi meno incandescenti non sarebbe affatto impossibile da concludere con un accordo probabilmente sulla base di un sistema di risarcimento rapido a seguito o di accordo fra le parti o di conciliazione per saltare le forche caudine di una causa infinita.
I problemi veri del lavoro oggi sono :

-Prima di tutto quello delle fabbriche che chiudono e che di conseguenza mettono sulla strada migliaia di lavoratori con le relative famiglie. Molte imprese oggi sono allettate dalla sirena dei 200/400 euro al mese che si pagano in Serbia, dove la gente è ancora talmente malmessa che tace e lavora e anzi ringrazia sentitamente, altro che sindacati e art 18. Per di più la Serbia è dietro l’angolo, non è la Cina.
Su questo però c’è parecchio da dire e da riflettere. Che senso avrebbe in questa situazione allargare la UE alla Serbia ? Bisognerebbe essere veramente minchioni per formalizzare i vantaggi competitivi che i paesi come la Serbia porterebbero con sé a nostro svantaggio.
E’ ora che l’Italia torni a fare una qualunque politica estera che abbia un capo ed una coda che si riferiscano agli interessi nazionali il che vuol dire in primis gli interessi dei nostri lavoratori e delle nostre imprese;

-secondariamente arriva subito il problema della disoccupazione giovanile oggi a livelli mai visti prima.
In casi analoghi gli esperti di politica economica vedono una possibile soluzione in una forma di salario minimo garantito, che restituisca dignità a una generazione di giovani che arriva in cerca di lavoro in momenti estremamente infelici.
I politici o i “tecnici” dovrebbero solo vergognarsi di affrontare questo annoso problema blaterando di fannulloni all’inseguimento del posto fisso sotto casa.
Il salario minimo garantito legato a forme analoghe al servizio civile è chiaramente difficile da finanziare in un momento di crisi e di recessione, ma va indicato come una priorità sulla quale dirottare le entrate che bisogna assolutamente far saltar fuori prima di tutto dalla lotta alla evasione fiscale ed alla corruzione;

-poi viene il problema del lavoro precario generalizzato e del lavoro in nero.
In linea teorica va bene il discorso che si sta avviando su forme di apprendistato che caratterizzino il primo ingresso nel mondo del lavoro, anche se per ragioni misteriose questa forma di lavoro diffusissima in Germania fin dal primo dopoguerra dove è sostenuta da un sistema scolastico su misura costruito per favorire l’occupazione addirittura già negli ultimi anni di corso, in Italia non ha mai attecchito;

-poi c’è il problema degli “ammortizzatori sociali” che vanno cambiati in modo che proteggano la persona del lavoratore e non il singolo posto di lavoro se questo non è più richiesto dal mercato.
C’è consenso in linea di principio, ma all’atto pratico sia i sindacati che Confindustria hanno paura di innovare e questo ovviamente non va bene.

-l’articolo 18 può benissimo aspettare di essere discusso quando i problemi prioritari saranno stati almeno parzialmente aggrediti.

martedì 14 febbraio 2012

Greci ribellatevi, la Troika vi sta infinocchiando

La crisi economico finanziaria della Grecia ha raggiunto aspetti ormai da tragedia.
La cosa dura da un paio di anni e questo tempo è stato caratterizzato da una serie di stangate pesantissime per quel paese, che orami si trova ad avere parzialemente perso la propria indipenendenza.
Perché è vero che le misure di austerità dettate dalla Troika formata da Commissione Europea, Fondo Monetario internazionale, Banca Europea, sono state di volta in volta approvate dal parlamento ellenico, ma ciò non toglie che si tratti di una forma di tutela, di un commissariamento di un paese ormai non più completamtente sovrano.
Accettabile se l’Unione Europea fosse un unico stato federale con un esecutivo centrale democraticamente eletto col potere di governare alcuni settori degli stati federati che le appartengono, ma le cose non stanno affatto così.
Al momento l’Unione europea è una tecnocrazia affianacata e indirizzata da una guida politica pletorica e di caratura politica più che mediocre, orientata in pratica e per ora dal duo Germania-Francia ondivago e che vive alla giornata guardando alle esigenze politiche di casa propria e che quindi interviene in modo contradditorio, spesso completamtene sbagliato e comunque sempre in ritardo.
La Grecia ha dei numeri da brivido.
Il debito pubblico al 160% del Pil e un interesse sui bond arrivato al 35%.
Con questi numeri la Grecia è fallita e lo sanno tutti, ma questa è proprio la parte più irritante e inaccettabile della commedia in corso.
La commedia in corso è infatti una tragedia per il popolo greco, che ha digerito noccioline di questo tenore :
-salario minimo ridotto del 20%
-taglio del 10% dei dipendenti statali e abolizione della tredicesima
-tagli alla sanità che già da ora incidono pesantemente sul normale funzionamento degli ospedali
-privatizzazioni massicce, cioè svendita delle utility, le aziende erogatrici di servizi di energia trasporto ecc
Per il popolo è una tragedia ma per qualcuno è una pacchia e questa è la ragione per la quale la commedia viene messa in scena e portata avanti.
Gli interessi da usura che sono ora connessi al debito greco vengono riscossi da qualcuno (i Greci più ricchi, le banche e quanti hanno speculato sulla rovina del paese) e questi qualcuno hanno interesse a che la commedia continui il più a lungo possibile e se poi il paese fallisce ufficialmente e di conseguenza il capitale finirà tagliato, chi se ne frega se nel frattempo riescono a riscuotere interessi ben superiori al capitale.
Magari, anzi senza magari, gli stessi gruppi che partecipano al giochino sopra descritto cautelano il proprio investimento “assicurandolo” con appropriti strumenti derivati e con questo traggono ulteriore profitto.
Alla fine della fiera con il paese stremato e fallito gli stessi gruppi arricchiti ulteriormente dalle manovre medesime che faranno? Si compreranno i gioielli di famiglia della Grecia a prezzi da saldo.
Fine della storia.
Storia triste perché non si può non condividere la sofferenza di un popolo al quale ci legano indissolubilemente la storia la cultura e la geografia.
Per i Greci andrà male comunque, sia che il poco pulito gioco della Troika vada avanti, sia che il paese si ribelli, dichiari di non pagare più il debito ed esca dall’Euro.
La seconda via però salverebbe almeno la dignità di un popolo e la credibilità della democrazia e dei valori che anche noi dovremmo condividere.
Ci sarebbe anche una terza via, come sempre infatti le alternative sono molto di più del bianco e del nero, ci vogliono però cervelli adeguati per elaborarla e una classe politica pure adeguata e non sembra che la Grecia disponga almeno dei secondi.
Dei politici adeguati metterebbero alla porta la Troica, dichiarerebbero la impossibilità del paese di pagare il suo debito, uscirebbero dall’Euro e ristamperebbero la Dracma e poi però dovrebbero cominciare a fare, e anche in fratta, quello che non sono stati capaci di fare prima.
Prima di tutto fare pagare le tasse.
Abolire quasi completamente le spese militari (attualmente la Grecia spende il 7% del Pil ,la spesa più elevata d’Europa, per comprare armamenti prevalentemente dalla Germania, guardate che caso.
Usare questi soldi tanto per cominciare per ristrutturare una industria turistica all’altezza dei tempi.
Mandare a casa le cricche politiche corrotte e gerontocratiche che hanno sgovernato finora e costruire una politica economica che favorisca le attività produttive.
Mandare a casa sé stessi è evidentemente chiedere troppo e quindi questa è la perte più difficile della storia. Quasta ipotesi è percorribile se i Greci sapranno uscire dalla pigrizia dell’impiego statale e del patto di fedeltà con una consorteria politica di riferimento per cercarsi politici nuovi col criterio del merito.
Tutte le rivoluzioni culturali sono estremamente difficili, ma è noto che le crisi possono indurre la gente a darsi una scrollata.
E’ sperabile che questo avvenga anche perché la loro storia portebbe disgraziatamente essere ripetuta da noi.
Almeno finiamola di far finta di non capire che non solo si è imposto da anni in Occidente un pensero unico liberista o ultraliberista che sta provocando danni sempre maggiori impoverendo i ceti medi, arricchendo in modo indecente piccole minoranze e impoverendo le grandi maggioranze col rischio ormai prossimo di fare saltare il patto sociale.
Ma chi è riuscito a imporre senza suscitare reazioni apprezzabili questo gioco ora addirittura esce allo scoperto mettendo o imponendo elementi della casta finanziaria-bancaria al governo o in posizioni chiave di governo in un gran numero di paesi.
Siamo sicuri che i popoli continueranno come pecoroni a stare al gioco finanziando coi loro sacrifici il tenore di vita da nababbi dei pochi beneficiari?
A un certo momento bisognerà pure rendersi conto che le disparità sociali che si stanno affermando qui in occidente hanno precedenti solo negli ex paesi del terzo mondo India, Africa ecc.
Ci va bene fare andare la storia al contrario?

giovedì 9 febbraio 2012

Vent’anni di guardie e ladri. Hanno vinto i ladri

Si celebra in questi giorni il ventennale di mani pulite e a detta dei medesimi magistrati del famoso pool di Milano la partita è stata persa dallo stato.
Alla distanza hanno vinto i ladri.
Questa è probabilmente la causa vera del famoso “spread” fra noi e la Germania, la Francia,l’Inghilterra, la Svizzera, i paesi nordici ecc.
Lo spread nel senso etimologicio di distacco è molto di più che la differenza fra indicatori finanziari, è un indicatore di civiltà, di cultura prima ancora che di economia.
Siamo culturalmente indietro e questo significa che colmare il distacco richiederà una rivoluzione culturale alla quale non siamo preparati anche perché non siamo ancora ben consapevoli dei guai nei quali ci siamo cacciati con vent’anni di pigrizia nei quali ci simo fatti governare dai dei dilettanti allo sbaraglio che non hanno fatto praticamente nulla di quello che era necessario fare ed ora il resto d’Europa ci chiede di fare i compiti a casa che prima abbiamo ignorato.
Prova ne è che il primo problema italiano oggi è la lotta ad una corruzione diffusissima, e che invece questo problema non è affatto nell’agenda politica né al primo, né al secondo , né al terzo posto, per la semplice ragione che i corrotti sono al governo o meglio sono la maggoranza politica che sostiene il governo.
L’articolo di fondo del “fatto quotidiano” di questa mattina parla del Senato della Repubblica in questi termini : “stiamo parlando di un edificio popolato da ladri, pregiudicati,inquisiti, imputati, prescritti, alcuni addirittura inseguiti da mandati di cattura” senza tema di essere querelato, perché la querela non avrebbe senso trattandosi di affermazioni gravisssime ma documentabili.
In Inghilterra la settimana scorsa Chris Huhne, ministro dell’Ambiente si è dimesso per essere stato beccato dall’autovelox in lieve eccesso di velocità ed aver cercato di cavarsela dicendo che a guidare era la moglie.
In Italia stando al medesimo editoriale del “fatto quotidiano” il presidente del Senato è “un signore indagato per mafia”, ma nessuno se ne preoccupa.
Altro che spread, qui il divario culturale e civile è eclatante.
Monti ci ha salvato la faccia in extremis, per nostra fortuna, ma il paese è in cancrena.
C’è una convenzione europea anticorruzione che l’Italia berlusconiana non ha mai firmato.
Ora sarebbe bene il momento di metterci mano cominciando a cassare tutta la serie di leggi che hanno stravolto i codici penali per dare l’impunità all’ex premier : falso in bilancio, falso ideologico, termini di prescrizione ridotti in modo ridicolo ecc, ecc.
Occorre una diversa disciplina degli appalti pubblici che abolisca la foglia di fico.
Chi conosce questa materia sa che tutto il sistema è basato sulla tipica furbata all’italiana : il principio dell’aggiudicazione al massimo ribasso. In apparenza quanto di più equo, in realtà la strada maestra per consentire ai politici disonesti di giocarsi gli appalti a piacere lasciando al cittadino contribuente la beffa di fruire di opere pubbliche o di servizi con un livello infimo di qualità, che è direttamente legata al massimo ribasso come criterio unico di giudizio.
La relazione che giustifichi l’aggiudicazione di un appalto (non al massimo ribasso) dovrebbe essere affidata ad autorità tecniche indipendenti che diano appunto un giudizio non solo economico ma anche e soprattutto tecnico ispirato al principio del rapporto prezzo – qualità dell’opera o del servizio.
Il perdurante consenso del quale gode il “governo tecnico” dovrebbe essere sfruttato per vere riforme di struttura che incidano veramente nella cancrena della così diffusa corruzione italiana.
I politici si devono limitare alle indicazioni, a formulare priorità, a controllare, ma la gestione deve spettare a manager giudicati dai risultati raggiunti nel perseguimento dei processi dei quali sono responsabili.
Facile no? Tutt’altro, si tratta di un impresa titanica perché consiste nel cambiare in modo radicale abitudini consolidate che si perdono negli aspetti meno felici della storia d’Italia.
Significa strappare il potere a consorterie, camarille, P2,P3, faccendieri e via di seguito.
Significa strappare il potere alle corporazioni medioevali che da sempre traggono un vantaggio competitivo che non ha più alcuna giustificazione nel mondo moderno.
Significa cacciare una intera classe politica che farà pazzie pur di rimanere attaccata al potere che come ben sappiamo significa soldi, una montagna di soldi pubblici, cioè usciti anche dalle nostre tasche.
Dipende da noi, non da loro, che ovviamente non saranno mai d’accordo.
Quando ci renderemo conto che siamo noi a mantenere i vizietti dei corrotti, saremo a buon punto, ma ora non ci siamo affatto.
E che possiamo fare noi? Prima di tutto essere cittadini e non sudditi.
Informarci, “studiare le carte”, perché se le lasciamo studiare, si fa per dire, solo a lor signori ci fregheranno in secula seculorum.
E quando saremo in grado di capire di cosa di sta parlando reagire, non subire.
Non è solo il problema di votare in modo consapevole, anche se questo non è per niente secondario, anzi questo risolverebbe non poco.
Al giorno d’oggi, ma anche al giorno di ieri è fondamentale “fare opinione”.
Ognuno di noi non vive su un’isola, ha contatti con diverse persone, parla, telefona, naviga in internet ecc e con chi ha contatti esprime il proprio parere.
Quando questo parere sarà diverso dai propri pregiudizi, dalle proprie pigrizie , dall’adesione alla squadra del cuore, ma sarà almeno un po’ documentato la battaglia sarà quasi vinta.

mercoledì 1 febbraio 2012

E se i tecnici si stessero ispirando a una dottrina economica radicalmente sbagliata?

E’ appena uscito un film abbastanza apologetico che ripercorre la biografia di Margareth Thatcher, Primo Ministro inglese nel periodo 1979-1990.
Primo Ministro conservatore dopo anni di governo laburista che si era assunto il compito di fare quello che poi è stato chiamato “il lavoro sporco” , cioè attuare una serie di riforme di sistema in senso fortemente liberista privatizzando quasi tutto salvo la sanità.
Nel trailer del film (anteprima pubblicitaria) viene presentato il brano di un famoso discorso nel quale la Tatcher dice “è una medicina amara, ma va somministrata per il bene del paziente”.
Richiama molto il coro che ha accompagnato le dure misure fiscali del nostro Governo Monti.
Il problemino è che riguardando la storia di quella esperienza politica inglese non si può non rilevare che quelle riforme sono costate quella che crudamente oggi si direbbe con termine inelegante ma efficace una grande “macelleria sociale”.
Senza contare che risulta ben difficile dire ad esempio che le ferrovie inglesi oggi siano migliori per gli utenti di quelle precedenti gestite dallo stato.
E la deindustrializzazione dell’Inghilterra a favore dei servizi finanziari è stata una cosa intelligente e lungimirante? Sembra proprio di no. Non c’è più un marchio da tutti riconosciuto come classico inglese che sia rimasto di proprietà inglese dalle automobili al thè.
Se poi per vedere le meraviglie delle dottrine economiche liberiste attraversiamo l’Atlanantico e sbarchiamo in America, finiremo per impattare in un paese che rimane leader mondiale negli armamenti ma che convive con un sistema di infrastrutture allo sfascio, autostrade, ferrovie ecc senza manutenzione adeguata da anni.
Sanità carissima e privata. Stati, città scuole vicine al fallimento.
Certo riamane l’argentreria di famiglia che non è di poco conto : le università private di eccellenza, le cliniche di eccellenza con relativo altissimo livello di ricerca. Ma quanti americani possono usufruire di questi servizi che sono rigidamente elitari ?
Per loro pare che vada bene così, perché continuano a credere alla favola della meravigliosa “american way of life” dove il lustrascarpe può diventare paperone, ma temo che oggi questa non sia niente di più di una favola.
Privato è bello per definizione, pubblico è orribile per definizione.
Questo è la dottrina economica basata sull’economia classica, che dalla Business Scool di Harvard, alla London Scool of Economic, alla Bocconi è divenuto il pensero unico che i governi europei e la commissione europea, il Fondo Monetario Internazionale hanno adottato e impongono a tutti in modo dogmatico.
Il centro sinistra europeo socialdemocratico o social cattolico purtroppo non è riuscito finora ad elaborare un bel nulla da contrappore allo strapotere del pensiero unico liberista.
Ovunque si osservano leader politici deboli e balbuzienti in politica economica.
Pare che queste dottrine economiche liberiste non abbiano fatto ancora abbastanza disastri per convincere la politica che le soluzioni andrebbero ricercate altrove.
Sono sobbalzato sulla sedia quando l’altro ieri ho sentito nella rubrica economica di
Sky 24 Giulio Sapelli ,professore di storia economica presso la statale di Milano, affermare in modo inequivocabile : bisogna decidersi a cacciare gli economisti bocconiani.
Non ce l’aveva con Monti in particolare, ma contestava in modo frontale le politiche economiche liberiste, che ispirano la politica da decenni.
Finalmente una voce controcorrente.
Privatizziamo tutto, vendiamo caserme ed edifici pubblici ma per darli a chi?
Ai palazzinari, faccendieri o peggio alle mafie? Chi dispone di grande liquidità oggi in Italia? O finirebbe tutto alle banche? E chi controlla le banche?
Siamo sicuri che sia un’idea brillante?
Sabelli mi è simpatico perché fra le tante idee controcorrente che sostiene c’è anche questa, tenetevi bene : disfare l’Iri in Italia è stata una castronata.
Ce n’è quindi anche per Prodi, che si era assunto il non simpatico compito di fare il becchino dell’Iri.
Fino ad arrivare la colpo finale : occorrerebbe tornare al Keynes del defincit spending, perché il problema economico fondamentale di oggi non è il debito, ma lo svilluppo che non c’è.
Sinceramente occorre riconoscere che oggi nessuno è tanto stupido da giurare sull’efficacia assolu ta della sua ricetta, ma che per lo meno si esca dal dogmatismo fondamentalista che dura tutt’ora e si cominci a ragionare su opzioni diverse e contrapposte.
Le politiche economiche seguite finora (Monti Merkel Sarkosy Draghi e Commissione Europea compresi) sono destinate a portare a recessioni sempre più nere, occorre aprirsi almeno alla discussione di politiche alternative.
Da quasi tutte le parti politiche si comincia a recepire con preoccuazione crescente il fatto, rilevato dagli istituti di ricerca e quindi ben documentato che è in atto da anni una divaricazione sociale molto pericolosa : i ricchi diventano sempre più ricchi e il plotone dei poveri o quasi poveri sta diventando un esercito.
Se si va avanti così la società implode, una volta si diceva : sarebbe un quarant’otto.
Non abbiamo molto tempo per prevenirlo.