venerdì 28 febbraio 2014

Osservazioni sul discorso della Commissione Teologica Internazionale a proposito del politeismo




Sia consentita una critica di fondo sul metodo.
La Commissione Teologica Internazionale stila un documento abbastanza ponderoso ,elaborato in cinque anni di lavoro, (del quale abbiamo già parlato ampiamente in tre post precedenti 14  febbraio; 13 febbraio 2014 e 31 gennaio 2013),  incentrato apparentemente su un argomento di nicchia, in quanto tutto dedicato espressamente alla confutazione di una tesi della cultura laica, in base alla quale il politeismo  sarebbe più tollerante del monoteismo, che invece sarebbe portatore dell'idea della violenza in nome della religione.
Succede invece che quel documento, incredibilmente , svolge le sue argomentazioni , senza parlare affatto del politeismo, cioè accennando solamente in due righe alla tesi da confutare, ma senza esporla.
In un qualunque lavoro di un qualche livello, la prassi logica vorrebbe, che, per lo meno, si enunciasse la tesi che  si vuole criticare, diversamente il lettore capisce poco e il lavoro risulta di ben poca  utilità.
Ora, l’argomento da trattare, se lo  sono scelti i teologi della commissione, e quindi sembra lecito chiedersi perché non abbiano fatto lo sforzo di leggersi almeno le decine di libri, che il maggiore studioso italiano della materia, il filosofo prof. Salvatore Natoli (citato nei post precedenti) ha dedicato all’argomento e farne quanto meno un riassuntino a corredo del lettore, consentendogli di capire compiutamente di che cosa si parlava.
Era tanta la paura della forza delle argomentazioni del Prof. Natoli, considerate avverse alle loro e pericolose per la saldezza della fede, che questi teologi hanno ritenuto meglio non rischiare di divulgarle e di non nominare nemmeno lo stesso professore?
Sarebbe ridicolo pensare una cosa del genere, più probabilmente questi teologi sono talmente abituati a giocare  esclusivamente in casa, cioè a non confrontarsi mai direttamente con quello che pensa il resto del mondo, da avere acquisito una forma di arroganza intellettuale, che li chiude in un guscio dannosissimo per il loro lavoro e per la credibilità della chiesa, limitando la loro professione a  un vuoto  ribadire all'infinito e con poche variazioni, della pura propaganda religiosa.
La loro professione può progredire invece, solo se e quando  sarà loro consentito di cambiare radicalmente metodo  facendo  finalmente  una libera ricerca scientifica, come si fa in qualsiasi università del mondo, tranne quelle vaticane, o quelle, che, in quanto cattoliche, sono formalmente sottomesse alla gabbia delle prescrizioni del diritto canonico vigente, che questa libertà di ricerca impedisce.
Ma al di là di questo, la metodologia del lavoro in esame, è veramente incomprensibile , se si pensa che il documento è redatto da persone al massimo livello, in quanto teologi cattolici.
Dalla lettura complessiva del documento si evince che la critica al politeismo è stata assunta come pretesto per ribadire le solite ben note critiche al pensiero moderno, accusato di relativismo, nichilismo, deriva verso la immoralità, eccetera, eccetera.
Ma la scelta del politeismo come bersaglio è stata quanto di più infelice quei teologi potessero trovare, perché questo è un argomento delicato per la chiesa, nel senso che le tesi tradizionalmente usate dalla saggistica cattolica in passato su questo argomento, non sono più  proponibili oggi.
La commissione , avendo fatto l'errore di non esporre nulla della tesi che vorrebbe confutare, indebolisce ulteriormente la caratura delle sue argomentazioni , ripetendo l'argomento trito , che il cattolicesimo si sarebbe imposto storicamente a scapito del politeismo classico per la forza della sua assoluta novità.
Questa tesi storicamente non sta in piedi per una serie di ragioni.
Prima di tutto la tesi tradizionale, secondo la quale il cattolicesimo si sarebbe imposto a causa della sua evidente superiorità culturale ed etica, è contraddetta dalla critica storica che evidenzia il fatto che il cattolicesimo primitivo si è imposto innanzitutto con la forza della spada.
Prima con l' alleanza costantiniana fra potere civile e altare, ma pochi anni dopo con la sistematica persecuzione dei culti non cattolici a cominciare da  Teodosio.
I templi non cattolici sono stati distrutti e se qualcuno avesse continuato a rendere culto agli dei del politeismo classico sarebbe stato perseguito dal potere civile come autore di un delitto.
La propaganda religiosa cattolica, che fa parte dell'indottrinamento, che abbiamo ricevuto da bambini, aveva come argomento di notevole forza simbolica la persecuzione subita dai cristiani, prima dell'editto di Costantino.
Non si diceva però una sola parola sul fatto che coloro, che avevano subito la persecuzione ( se pure in forme e numero assai meno pesanti da come si è raccontato per secoli) ,poi divennero i persecutori di chi la pensava diversamente nel senso che avrebbe voluto mantenere i culti precedenti o altri culti, diversi da quello cristiano.
E non si diceva nemmeno ,che coloro che contavano nelle loro file persone che erano state martirizzate, per non avere riconosciuta l'autorità imperiale, sarebbero poi divenuti loro i più fedeli supporter del potere degli imperatori romani successivi.
Che molti dei primi cristiano da Teodosio in poi si sarebbero trasformati in fanatici carnefici di chi osava dissentire dalla religione di stato o ancora peggio che in quell'ambito cioè pure professandosi cristiano, esprimeva opinioni diverse da quelle imposte come ortodosse dalle, per altro volubili, gerarchie cattoliche del tempo.
E' sempre un errore grave falsificare o adattare la storia ai propri interessi .
E oggi è impossibile non riconoscere che questo è stato fatto per secoli e secoli.
E la chiesa stessa lo riconosce perché, ormai, non può fare diversamente.
Lo ha fatto col  Vaticano II e lo ha fatto, se pure in modo parziale e senza trarne le conseguenze, ma sempre pure in modo significativo, con le richieste di perdono di Giovanni Paolo II.
E lo hanno fatto anche questi teologi della commissione internazionale, ma, disgraziatamente, solo con tre sbrigative parole, dove invece sarebbe stata indispensabile una adeguata riflessione di critica storica, come si era accennato nei post precedenti.
E sopratutto avrebbero dovuto usare con molta cautela l'argomento tradizionale della novità del messaggio portato dal cattolicesimo, perché questo non esce affatto bene da una analisi critica storica, come si è appena detta sopra.
Pure usando spesso un linguaggio involuto e volutamente tradizionalista , la commissione individua questa “novità” che vuole ribadire, nel fondamento del messaggio evangelico “non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te” , coniugato in questo modo, o in versione positiva :”fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te”.
Benissimo,l'individuazione del cuore del messaggio evangelico in questa famosissima frase è ovviamente corretta.
Non è però né corretto, né sensato derivare il senso di questa frase dal dogma della trinità, che è, se non il più debole di tutta la dogmatica cattolica, certo uno dei più ardui da sostenere, perché praticamente costruito sul vuoto.
Difficile se non impossibile da ancorare saldamente sulla Scrittura, che non ne parla.
Praticamente impossibile, poi, da ancorare sulla logica o su argomentazioni razionali di una qualche sensatezza e consistenza.
Quando l'esposizione dei dogmi si trova in queste situazioni, regolarmente la teologia dogmatica si rifugia nell'idea piuttosto puerile del mistero, che non spiega e non dimostra un bel nulla.
Ridursi ad ancorare un dogma ritenuto fondamentale sul concetto di “mistero” è un'operazione al giorno d'oggi in pura perdita.
Ma al di là della scelta infelice degli argomenti sui quali appoggiare le proprie deduzioni, la commissione non può permettersi di tacere ai lettori ,ai quali si rivolge, che la moderna critica storica ha dimostrato che quella famosissima frase, sopra citata, che è da sempre riportata come il cuore del messaggio evangelico è di incontestabile validità, ma non può proprio essere definita come la prova della “novità” del messaggio cristiano.
Per il fatto che la stessa frase è presente in documenti di precedenti di secoli al cristianesimo, dal Codice di Hammurabi, fino e sopratutto, al “Libro dei Morti” egiziano, dove esiste già nella medesima e precisa formulazione riportata dai Vangeli.
Difficile quindi sostenere che il cristianesimo si sia presentato nella storia come una “novità” assoluta per i contenuti del suo messaggio.
Ma ancora più difficile nascondere di quanto il cristianesimo sia debitore a quella cultura classica, politeistica, che la commissione vorrebbe vedere oscurata con quattro parole.
Sostituire i significati simbolici e le liturgie rivolte ad Apollo o Mitra, con quelli rivolti al Cristo, o quelli di Cibele con quelli di Maria, richiederebbe un minimo di approfondimento per rilevare che la cultura simbolica del politeismo ,descritto sbrigativamente per secoli dai polemisti cattolici, come una cultura quasi infantile e quindi soppiantata facilmente dalla presunta superiorità culturale del cristianesimo, è stata invece letteralmente saccheggiata dal cristianesimo stesso, che ha battezzato e riadattato miti, riti e credenze, che sue non erano proprio.
Come si era detto sopra, Teodosio aveva iniziato a fare tabula rasa dei templi “pagani”, ma qualcuno si è salvato.
A Roma, un monumento (raro, ma non il solo) ,che plasticamente visualizza il processo storico in esame   è la chiesa di San Clemente all' Esquilino, chiesa originariamente romana, rimaneggiata nei secoli, ma che conserva sia una parte risalente appunto al cristianesimo dei primi secoli, e, cosa ancora più interessante, conserva un sotterraneo nel quale si trova ,incredibilmente integra, la parte principale di un  tempio di Mitra, completo di altare, con la raffigurazione del toro, che contraddistingueva quel culto.
E' ben noto che dal culto di Mitra si sono trasferite al cristianesimo una serie dei  suoi elementi più significativi.
Ne  accenno alcuni : Mitra è descritto come nato da una vergine e si celebra la sua nascita appena dopo al solstizio d'inverno cioè a Natale, festa del “sol invictus” al tempo dei Romani.
Alla sua nascita erano presenti pastori e personaggi ragguardevoli che portarono doni preziosi
(atti documentati da reperti archeologici di templi di Mitra).
E' descritto come onnipotente e deputato dalla divinità celeste  (nobile padre per Mitra) per stare sulla terra a combattere il male e promuovere la giustizia fra gli uomini.
Aveva la capacità di far ruotare tutto l'universo.
E' portatore di luce, è uomo, ma è fatto della stessa materia degli astri celesti.
A sua madre, la vergine Anahita è dedicato un tempio a Kangavar nell'Iran Occidentale fino dal 200 a.C.
Ad Anahita, nel mito romano vengono sovrapposte Iside e Afrodite.
Divinità di origine orientale, Mitra è citata nei testi indù fin da tempi antichissimi, ed è poi stata venerata particolarmente in Persia e poi nello Zoroastrismo, prima di finire nei miti e nei culti greci e poi romani.
A Roma questo culto si diffuse nel I secolo a.C. iniziando e anche questo è significativo, dall'area di Tarso.
Nella diffusione popolare ,fu prima un forte concorrente del cattolicesimo, che poi però gli si sovrappose senza difficoltà, stanti le evidenti affinità.
Tra l'altro nei templi mitrei gli adepti celebravano una mensa con pane e vino, con un rituale che si sovrappone alla celebrazione eucaristica cattolica.
Altro elemento curioso di sovrapposizione è la presenza di personaggi assimilabili ai Magi  riportati alla  nascita di Mitra che comparvero in epoca cristiana, a riprova del fatto che i due miti in quel periodo giravano insieme fino a confondersi.
Un forte polemista del primo secolo, contrario al cattolicesimo, Celso evidenziò alcune di queste cose, accusando i cristiani di avere copiato di sana pianta il culto di Mitra, ma purtroppo di Celso sappiamo solo quello che si è riusciti a ricostruire dalle argomentazioni contro di lui formulate dai  suoi oppositori ed in particolare da Origene.
E' evidente che le opere degli oppositori e dei presunti eretici, i copisti medioevali ,negli scriptoria dei conventi, non erano certo autorizzati a copiarli per farli pervenire ai posteri e così se ne sono perse le tracce.
Di questo peccato, non lieve, di “lesa cultura” ,dopo quello di distruzione dei templi “pagani”, si parla poco o niente ma occorrerebbe ricordarsene ,non certo a gloria della chiesa cattolica.
Mitra non muore ma diviene lui stesso “sol invictus”.
Quei pochi mitrei rimasti, come quello citato sotto la chiesa di San  Clemente, non sono certo inseriti nei circuiti turistici o religiosi, dal momento che il cattolicesimo, invece che affrontare la realtà  storica delle cose, continua a giraci intorno, come da ultimo hanno fatto i teologi della commissione internazionale.
Sul politeismo classico, avversato, perseguitato e deriso, ma saccheggiato, c'è ancora molto altro da dire o almeno da accennare.
Da un punto di vista ideologico-filosofico per esempio c'è tutto il discorso dell'etica stoica, che non per caso circolava al tempo del primo cristianesimo alla quale lo stesso cristianesimo deve parecchio.
Ma i nostri teologi della commissione si sono impiantati a sostenere la tesi della assoluta “novità” del cristianesimo fondandola nientemeno, come si è detto sul dogma della trinità.
Il cattolicesimo non ha ancora trovato l'umiltà di riconoscere quello che deve alla cultura classica, all'umanesimo e poi all'illuminismo, ed alla modernità, che invece ha sempre visto come nemici incompatibili col suo patrimonio dogmatico.
In parte un'incompatibilità dal punto di vista logico c'è ed è innegabile.
Ed allora se la chiesa vuole sopravvivere deve trovare altre strade.
Una strada possibile è il superamento di alcuni dei dogmi ,che hanno le fondamenta più deboli direttamente, creando una netta discontinuità con la tradizione.
Ma questo processo sarebbe difficile e indigeribile per molti , come abbiamo detto e ripetuto nei post precedenti su questo argomento.
O si produce una discontinuità col passato, semplicemente, lasciando decadere questi dogmi per desuetudine, come si fa negli ordinamenti di diritto positivo, operazione questa più sottile e forse più praticabile con successo.
Oppure ancora, come sembra orientarsi Papa Francesco con la sua predicazione, proclamando la priorità del “Vangelo nudo”, cioè del messaggio evangelico originario, liberato dal peso della camicia di forza della dogmatica elaborata nei secoli.
Ai tempi del Vaticano II si diceva che la chiesa aveva adottato “l'opzione dei poveri”.
Non sarebbe quindi impossibile adottare l'”opzione del vangelo nudo”, tornando alla filosofia di San Francesco.
Peccato che di tutte queste opzioni la Commissione Teologica Internazionale non sembra essere stata informata o interessata per parlarne nemmeno a livello di discussione accademica.




mercoledì 19 febbraio 2014

Renzi è giusto giudicarlo dai fatti, quando ci saranno. Certo che le premesse sono orribili




Ne abbiamo viste di tutti i colori, ma al peggio non c'è mai fine e questa politica non cessa mai di stupirci, nel senso, che continua a fare scelte fuori da ogni buon senso e dalle regole costituzionali più elementari.
Tutti i sondaggi hanno certificato, che la stragrande maggioranza degli italiani è contraria ai così detti governi delle larghe intese, ma  questa classe politica  continua a imporci  governi basati su coalizioni innaturali e ad impedirci di andare a votare per fare le nostre scelte, come avremmo diritto di fare.
Con Renzi si andati ancora più in là, in quanto, si è fatto un patto basato su una riforma elettorale e, addirittura, una riforma costituzionale di rilievo (abolizione del senato), patto, che ha per controparte un esponete politico, che è più noto, in Italia, per essere un  pregiudicato, e all'estero, per essersi comportato, in vent’anni di potere, più come  un clown, che come un politico o uno statista.
L'etica più elementare, il senso dello stato e della dignità delle istituzioni avrebbero dovuto impedire nel modo più assoluto questa mossa, che Renzi ha fatto, come se fosse stato ispirato dallo Spirito Santo.
In fondo il governo Letta, almeno formalmente, aveva rispettato i sacri principi, sopra elencati, perché   aveva fatto alleanza con un Alfano, che, formalmente, rappresentava una destra, divenuta presentabile, solo dopo essersi staccata dall'impresentabile capo che  aveva.
Ma Renzi ha avuto la faccia di passare sopra a tutti i principi ed il suo partito lo ha seguito senza crearsi troppe preoccupazioni.
La sua base, quindi, è stata tradita per l'ennesima volta e i capi vecchi e nuovi si guarderanno bene dal consentirci di andare a votare, perché sanno bene, che se lo facessero sarebbero puniti.
Ma il circo mediatico incensa Renzi, come se fosse il salvatore della patria, e non è dato di capire perché.
Dall'incidente della falsa telefonata di Vendola a Barca, abbiamo appreso quello che sapevamo già, ma che ora è divenuto di dominio pubblico : i mezzi di informazione in Italia sono tutti in mano a tre manovratori : Berlusconi, De Benedetti e le banche, uno peggio dell'altro.
Così, il nascente governo Renzi finirà per realizzare il programma punto per punto, che i governi di destra di Berlusconi avevano elencato, ma che non sono stati capaci di mettere in pratica in vent'anni di potere.
Il Pd, come ex partito di sinistra, erede di quello, che per decenni è stato inteso , come il partito dei lavoratori, e che poi è divenuto un sempre più annacquato centro- sinistra, può andare fiero di come si sta consumando, annientandosi e lasciando senza rappresentanza politica milioni di elettori e militanti, che ci avevano creduto.
La politica vera la fanno solo loro, i tre burattinai, gli  altri recitano il teatrino ad uso del  popolo, considerato bue e quindi incapace di esercitare i suoi diritti, senza la loro tutela.
Se poi vogliamo approfondire, vediamo, che la situazione è ancora più nera, perché chi fa ballare veramente le marionette non sono nemmeno le tre forze sopra elencate : Berlusconi, De Benedetti e le banche, ma il vero “dominus”, occulto solo a chi non vuole vederlo, è la dirigenza, solo in parte tecnocratica, delle istituzioni europee.
Perchè  nel giro di tre decenni i nostri politici hanno firmato a raffica impegni gravosissimi con le istituzioni europee , che hanno trasferito poteri fondamentali da Roma a Bruxelles , senza che noi, il popolo, fossimo mai stati informati adeguatamente e senza che fosse previsto alcun meccanismo di controllo o almeno di ratifica popolare.
Ora scopriamo, che l'insensatezza dei trattati europei è talmente elevata, che non è nemmeno prevista la possibilità di una marcia indietro, quando qualsiasi contratto, in qualsiasi sistema giuridico al mondo, prevede una clausola di rescissione del contratto stesso.
Ma quel che da più fastidio è il fatto che di questo, (gli impegni europei da rinegoziare in modo radicale prima di qualsiasi altra cosa) non si parla e non si accenna nemmeno.
Berlusconi, è stato detto mille volte, è stato portato al potere per vent'anni da decisioni non razionali, ma “di pancia” da  parte di un elettorato, più portato a seguire emozioni e pregiudizi, che ragionamenti.
Renzi, sarebbe stato catapultato al potere, non a ragione della bontà dei suoi punti programmatici, che non sono noti nei dettagli nemmeno oggi, ma perché sarebbe avvertito come un giovane decisionista, uno che va velocissimo.
Senza nessuna considerazione, quindi, né per il suo programma, né per le ragioni etiche, che , come detto sopra, avrebbero dovuto impedirgli di trattare con un pregiudicato.
Se la filosofia, che ispira le scelte politiche degli italiani è questa cosa tutt’altro che seria e ponderata, come pare che sia, allora dobbiamo dedurre, che, se non è ancora arrivato al potere un nuovo Duce, , è solo perché sul mercato non ce n'è nessuno all'altezza di Mussolini.
E' triste doverlo dire, ma è sempre meglio aprirsi gli occhi, fino a quando c'è tempo.
I contrappesi di bilanciamento dei poteri  istituzionali sono saltati, vedi la posizione del Quirinale, incomprensibile e non condivisa dalla grande maggioranza degli italiani, che vorrebbe andare a votare, come è suo diritto.
Le  istituzioni, che avevano ed hanno la pretesa di avere il monopolio della morale, come la chiesa, o nicchiano timidamente (Osservatore Romano, Avvenire) o benedicono apertamente (Famiglia Cristiana) in modo incomprensibile emettendo giudizi  impropri e inaccurati, perché ben oltre le loro competenze e l’ambito religioso.
Lo ripeto, come ho fatto in tutti i post precedenti sullo stesso argomento, la strada percorsa da Renzi è sbagliata, perché deraglia ad quella, che dovrebbe essere la via maestra in tempi di crisi politica, che è solo quella delle elezioni, da ripetersi fino a quando non compare una maggioranza parlamentare chiara.
Lo dicono  anche delle forze politiche consistenti : Grillo, la Lega, Vendola e Berlusconi, quest'ultimo mentendo, come il suo solito, perché dice di volere le elezioni, ma lavora apertamente solo per sdoganarsi e rimanere fuori di galera.
I giornali dei burattinai dicono e ripetono che l'Italia avrebbe da sempre una maggioranza di destra, e che quindi bisogna rassegnarsi a questi osceni pateracchi.
Questo è  falso, assolutamente falso, perché esiste, c'è, ed è documentato dai sondaggi e dalle statistiche dell’Istat, che c’è ,un blocco sociale largamente maggioritario, formato da chi ha perso il lavoro, da chi non lo trova e dalla classe media impoverita, compresa la vastissima schiera delle partite IVA, che ha riempito ieri,  a Roma, piazza del Popolo.
E’ un blocco sociale, che comprende le categorie, che sono tradizionale elettorato della sinistra e del centro- sinistra, unite trasversalmente ad altre (le partite IVA) ,che non lo sono state quasi mai, ma che si trovano oggi all’opposizione netta del sistema al potere, che  ha rovinato loro e le loro attività.
A costoro Renzi non dice nulla, come non hanno detto nulla, prima di lui, Berlusconi, Monti e Letta.
A questo blocco sociale parla solo il Movimento 5 Stelle, certo con tutti i suoi limiti.
Salario minimo a chi non ha e non trova lavoro, lavori pubblici per rimettere in sesto infrastrutture e territorio, lotta vera alla corruzione, togliendo drasticamente soldi alla politica , ridiscussione dei trattati europei, semplificazione delle procedure per la piccola impresa, apertura dei rubinetti del credito ecc.
Ma questa è la ragione per la quale il blocco contrapposto al potere non vorrà farci andare a votare, perché c'è il rischio per loro, che i 5Stelle e soprattutto il   blocco sociale che i 5 Stelle rappresentano politicamente , le elezioni le vincano.
Se  succedesse : Berlusconi andrebbe in galera, Napolitano andrebbe sotto impeachment e gli altri andrebbero a casa.
Troppo bello per essere vero, le inventeranno tutte per impedirlo.
Ma che la si pianti, almeno, di venire a storcere il naso sulla classe politica impreparata dei 5Stelle, quando contemporaneamente si fa finta di non vedere i grandi ministri schierati da Letta e Napolitano : dalla Cancellieri, scivolata sull’affare Ligresti, ma che è sempre sulla stessa poltrona a fare disastri aprendo le carceri con insensata generosità; a  Zanonato, ed alla alla Kienge, dei quali non si ricorda una azione di rilievo; ad Angelino Alfano, Ministro dell’Interno dell’arresto e deportazione della Serabaieva; alla Beatrice Lorenzin alla Sanità, ancora alle prese ,senza sapere che pesci pigliare, con un caso stamina, con il quale stiamo facendo ridere di noi il mondo intero e la comunità scientifica internazionale; al pio Ciellino Mauro alla difesa, che difende coi denti l’acquisto degli F 35, che il Pentagono ridicolizza, pur essendo di produzione della  americanissima Lockheed; all’altro pio ciellino Lupi, che sta progettando la  cementificazione del paese, e fermiamoci qui per carità di patria, non parliamo nemmeno di Saccomanni all’economia; ignoriamo la Bonino e i due Marò in galera in India senza processo.
Gli eventuali 5Stelle al governo sarebbero peggio di costoro?
Mi sembra veramente difficile.



  

venerdì 14 febbraio 2014

Commento conclusivo al Cap.I dello studio della Commissione Teologica Internazionale su monoteismo e violenza




Come si era accennato nel commento passo, passo del testo nel post del 13-2-14, la commissione , rifiutando di fare una seria critica storica, sembra voler ignorare la connessione cruciale violenza – potere – gerarchia, che invece è storicamente evidente.
Perché non è certo il popolo cristiano, che si è macchiato della violenza in nome di dio, ma è sempre stato il potere gerarchico della chiesa a  suscitare, istigare e gestire la violenza in nome di dio, per ragioni di potere, che, a loro volta, spesso erano motivate da sete di guadagno (si faccia riferimento a titolo di esempio alla storiografia, che ha analizzato le cause e le motivazioni delle crociate, che non sono state certo di natura spirituale).
La commissione, forse, non ha fatto alcuno sforzo di critica storica, perché se lo avesse fatto, avrebbe dovuto spiegare e cercare di spiegarsi, come mai nella storia la violenza in nome di dio è  stata suscitata e gestita per secoli dalla gerarchia cattolica, ovviamente ricorrendo e appoggiandosi alla teologia dogmatica, che è sempre stata usata come la stampella principale del potere.
Saltare lo sforzo di analisi servendosi dello strumento della critica storica è un errore metodologico grave, che inficia la validità   dei risultati di qualsiasi lavoro di questo genere.
Certo che sarebbe gravoso per dei teologi cattolici trovarsi a dover dare una serie di risposte su situazioni più che imbarazzanti per loro, ma questo sarebbe stato nient’altro che esercitare il loro mestiere.
Non limitarsi, come hanno fatto, a ripetere fino alla noia le medesime argomentazioni, già scritte e riscritte in mille documenti, che non che non acquistano credibilità per effetto della riscrittura, senza  affrontare, invece, almeno qualcuno dei nodi, che rendono la cultura cattolica in dialettica polemica col mondo moderno.
Uno di questi nodi più cruciali è quello per cui il potere si sostiene sulla teologia dogmatica tradizionale , basata sul ricorso all' autorità della rivelazione cristiana, da leggersi nella sola accezione della interpretazione dettata dalla gerarchia ecclesiastica.
Questo snodo si può risolvere ad esempio rimeditando finalmente la validità e la sensatezza della risposta data dalla chiesa alle tesi della riforma protestante, con la contro- riforma del concilio di Trento.
O si mette mano a quella teologia o si continua a girare a vuoto.
Il problema dell'antinomia fra autorità – tradizione, che sono assimilabili, e coscienza individuale,  oppure, formulando il medesimo problema in altro modo ,fra l’autorità di una presunta verità già tutta scritta, nota nella sue interezza e definitiva, da una parte, e conoscenza tramite ragione, dall’altra parte, è rimasto ancora lì, cinque secoli dopo la riforma, tutt'altro che risolto.
Ci aveva provato a metterci mano, se pure in modo parziale, il Vaticano II,  formulando, in modo trasparente, il discorso della priorità della  coscienza individuale, muovendosi fra Scilla e Cariddi, per non dovere andare a sbattere contro quel dogma non scritto, ma considerato superiore a tutti gli altri dogmi, secondo il quale la chiesa non si sarebbe mai contraddetta nel corso della storia in materia dottrinale una sola volta, perché e non può contraddirsi, in ragione  della presunta assistenza  costante dello spirito.
Ora, se si usa l'analisi e la critica storica, si vede tutta la pochezza di questa affermazione, contraddetta da mille esempi.
Ne cito uno solo, ma eclatante : la posizione della chiesa sui diritti umani e la libertà di coscienza nel Sillabo di Pio IX e le dichiarazioni, nella medesime materie, del Vaticano II, come si era anche accennato nel post precedente.
Continuare a sostenere il mito della  continuità con la tradizione, e la conseguente impossibilità assoluta di posizioni di discontinuità , come ha fatto più volte da ultimo Benedetto XVI è un modo per rendere impossibile qualsiasi colloquio della chiesa col mondo contemporaneo e soprattutto è un modo scorretto e inaccettabile di mistificare la realtà della storia.
C'è un modo intellettualmente brillante per passare fra Scilla e Cariddi, nel senso sopra esposto, se pure qualificato da molti studiosi, e forse non a torto, un po’ troppo gesuitico o farisaico, ed è quello di saltare a piè pari la teologia dogmatica.
Non a caso, si tratta dell’artificio dialettico e metodologico, che nella storia della chiesa hanno adottato i più grandi innovatori.
Francesco d'Assisi e Antonio da Padova per esempio.
Francesco d'Assisi aveva un pensiero riassumibile nel motto : tornare al Vangelo nudo “sine glossa”.
Per capire chi è stato Francesco occorre spogliare la figura di questo grande personaggio dalla melassa agiografica con la quale è stato seppellito e tradito con i racconti infantili, fatti di leggende edificanti, ma storicamente inattendibili, anche di alcuni  suoi biografi , racconti buoni a stupire e commuovere il pubblico medioevale, ma non certo quello moderno.
Francesco è stato certamente anche un personaggio che ha praticato in modo intransigente la virtù dell'umiltà, ma la storiografia seria ce lo restituisce come una personalità dotata di un carattere estremamente determinato, che non aveva alcuna paura di andare completamente controcorrente, atteggiamento questo per il quale occorre esercitare un grande coraggio.
Andare re a testa bassa contro la gerarchia  nel medio evo voleva dire mettere a repentaglio l'osso del collo, ma Francesco non ha esitato, muovendosi però con molta maggiore accortezza e sottigliezza di pensiero di come lo descrive la leggenda.
Francesco non amava per carattere le elucubrazioni teologiche e con tutta probabilità aveva anche capito che la teologia dogmatica veniva gestita da sempre dalla gerarchia ,come formidabile arma di potere.
Alla come oggi erano visibili nel collegio cardinalizio le cordate di pot ere nascoste dietro a particolari formulazioni teologiche e Francesco sapeva bene di non potere andare a competere con quelle.
Capì però che era possibile aggirare la teologia facendo ricorso al Vangelo nudo  e senza glossa, come diceva lui nel suo linguaggio immaginifico.
Fare questo tipo di ragionamento era già di per sé una sfida di fatto al potere ecclesiastico ed era pur sempre, di fatto, come sostenere una posizione teologica in contrasto con quella ufficiale, sia pure in modo indiretto.
Ma presentando le sue posizioni in modo indiretto e trasversale la cosa poteva riuscire e infatti riuscì, pur avendo dovuto Francesco  fare comunque concessioni, e non da poco alla curia vaticana, come l'accettazione  della regola.
Vangelo nudo significa tante cose, che sono tutte indigeste alla gerarchia ecclesiastica anche di oggi, perché se si sfronda il Vangelo dal peso snaturante della teologia dogmatica, significa che si privilegia la lettura privata o più realisticamente nel periodo medioevale, nel quale il popolo era illetterato, la assimilazione del messaggio evangelico nella  propria coscienza.
L'idea del primato della coscienza comporta inevitabilmente un  ridimensionamento del ruolo del prete  ( non  è casuale che Francesco abbia sempre rifiutato di farsi prete) che è per definizione un  punto intoccabile per le gerarchia cattolica.
Se poi andiamo ad Antonio da Padova , personalità diversissima da Francesco del quale era contemporaneo e seguace ,ma che era anche docente di teologia, la sostanza non cambia di molto.
Anche  Antonio va tirato fuori preliminarmente dal bagno di melassa e miracolismo nel quale secoli i racconti popolari lo hanno cacciato, nascondendone il vero volto storico.
Nella sua figura storica, Antonio, va visto come un singolarissimo dottore della chiesa, che non ha scritto una riga di teologia, ancora, certo, non per caso.
La sua ponderosa opera intitolata “Sermoni” ha avuto la ventura di essere fra le meno lette e meno citate di  tutto l'universo culturale cattolico.
La sua impostazione non è infatti mai stata amata né condivisa dalla gerarchia, perché Antonio, come Francesco, aveva capito che non sarebbe stato di alcuna utilità lanciarsi in dispute teologico dogmatiche, e. come Francesco. ha basato tutto il suo lavoro sul riferimento prioritario alla Bibbia.
La chiesa lo avrebbe seguito su quella strada, se pure molto parzialmente, solo con Vaticano II ben sette secoli dopo,  ma prima di allora, questo approccio non è stato affatto condiviso, per paura che, ragionando sulla bibbia, si diffondessero letture e interpretazioni difformi da quelle, spesso di comodo, formulate dalle gerarchie.
Anche, Antonio quindi, ha contraddetto la teologia imperante, ma operando un accurato  by-pass, e cioè senza avventurarsi  in contestazioni dirette di dogmi.
Nella storia, fra i così detti eretici ( ce ne sono stati in tutte le  epoche) che  erano quelli che la pensavano diversamente dalla vulgata corrente, ma ritenendo di essere sempre nell'ambito del cristianesimo, colui che ha osato affrontare più di altri lo scontro frontale con la gerarchia, proprio sul piano della contestazione di alcuni dogmi (primato del Papa e conseguente gerarchia, priorità della Scrittura e sua lettura personale) è stato Martin Lutero.
Era un intellettuale e forse proprio questa caratteristica ,che fa ritenere di poter sempre vincere le partite facendo ricorso alla superiorità della ragione, cioè alla validità logica del proprio ragionamento, lo ha danneggiato e quasi perduto.
La teologia dogmatica è sempre stata la corazza del potere, e quindi la gerarchia non se ne spoglia per nessuna ragione, perché tiene troppo al potere.
Lutero era nel giusto, ma aveva sottovalutato il peso del potere papale – gerarchico ed il suo radicamento territoriale, e per non lasciarci l'osso del collo e salvare almeno una parte della riforma alla fine ha fatto quello che probabilmente gli ripugnava di più, cioè sottomettersi al potere civile dei signori regionali tedeschi, interessati a contrastare il papato per motivazioni, che di spirituale non avevano nulla, come è capitato di continuo nella storia.
Lutero è la dimostrazione storica, che contendere la gerarchia sul piano dell'abolizione di alcuni dogmi, difficilmente porta da qualche parte, perché il legame teologia dogmatica – potere è sempre stato troppo forte.
Abbiamo però visto, che alcune delle figure più significative, che nella  storia della chiesa più hanno inciso per attuare riforme radicali, sono coloro che hanno basato tutta la loro opera sul  prendere le distanze dalla teologia dogmatica vigente, ma praticando un approccio indiretto, non essendo stati né degli sciocchi, né degli ingenui.
Per prendere le distanze dalla teologia dogmatica tradizionale bisogna per prima cosa individuarne la estrema debolezza concettuale, compiendo una analisi storica critica della storia della chiesa, questo è un passaggio inevitabile per introdurre una qualsiasi autentica innovazione.
Ma la commissione, nel documento in esame, ha completamente evitato l'analisi storica e questa è la ragione per la quale il documento medesimo è risultato così poco convincente ed al limite di pressoché  nessuna utilità.
Si è limitata, come abbiamo detto a ripetere tesi dogmatiche, già illustrate in migliaia di documenti, che non avevano nessuna necessità di essere ripetuti, dal momento, che hanno dimostrato da tempo di non avere nessuna presa sul mondo di oggi.
Papa Francesco, per fortuna della chiesa, sembra invece essere su tutt'altra lunghezza d'onda.
Ripeto quello che ho già detto più volte nei post precedenti, la  mia impressione è che questo papa ,come Francesco e Antonio , sia piuttosto allergico alle dispute ed alle reiterazioni della teologia dogmatica tradizionale.
Sembra che si sia reso conto benissimo di quanto sia pericoloso sfidare il potere di chi non vuole cambiare nulla, perché sulla conservazione del potere ci campa.
Si possono contraddire i dogmi anche non parlandone affatto.
Questa è la strada che probabilmente finirà per intraprendere ed è quella con più probabilità di successo e con meno pericoli.

Ma questo lo sanno anche i suoi agguerriti avversari ed episodi come quelli costituiti da questo documento della commissione teologica, che predica idee in contrasto con le sue non mancheranno di ripetersi.

giovedì 13 febbraio 2014

Analisi del documento della commissione teologica internazionale al Capitolo I





Nel post  precedente (del 31-1-14 ) si era dato un giudizio critico sul documento della commissione teologica internazionale, rimandando la sua analisi a un posto successivo.
E' quindi venuto il momento di parlarne ora in modo analitico.
Lo scopo del  documento è dichiarato in una nota preliminare ed è questo : controbattere la tesi secondo la quale esisterebbe un rapporto necessario fra monoteismo e la violenza.
La medesima nota informa il lettore che il documento stesso è stato materialmente redatto da una sottocommissione, composta da dieci membri, compreso l'italiano Sequeri, che vi hanno lavorato per cinque anni.
Chiarisce quindi che  “l'intento del discorso è stato quello di vedere in quale modo la teologia cattolica può  confrontarsi criticamente con l'opinione culturale che stabilisce un intrinseco rapporto fra monoteismo e violenza” e conseguentemente vedere “in quale modo la fede nell'unico dio può essere riconosciuta come principio e fonte dell'amore fra gli uomini”.
Dice quindi che il filo conduttore del lavoro non è affatto di natura apologetica.
E che la fede cristiana riconosce l'eccitamento alla violenza in nome di dio come la massima corruzione della religione e che il cristiano è tenuto a praticare un atteggiamento di conversione permanente che implica anche la “parresia” ossia la coraggiosa franchezza nella necessaria autocritica.
Passa quindi a indicare capitolo per capitolo quali erano gli intenti in ognuno.
Relativamente al capitolo primo si dice che l'odierna filosofia politica tratterebbe il monoteismo con una serie di diverse posizioni teoriche, che andrebbero dall'ateismo umanistico  all'agnosticismo religioso , al laicismo politico.
La commissione si proporrebbe quindi di confutare la tesi secondo la quale “l'alternativa sarebbe fra un monoteismo necessariamente violento e e un politeismo presuntivamente tollerante”.
Chiarito lo scopo dichiarato del documento, sia consentito chiedersi come mai la commissione abbia ritenuto di dedicare cinque anni di lavoro a una argomento così “di nicchia”, come la presunta tendenza del monoteismo a favorire della violenza in nome di dio ,ed invece la tendenza del politeismo a favorire la tolleranza.
Non credo di sbagliarmi di molto se dico che la quasi totalità del “popolo cristiano”, inclusi i fedeli più colti, non ha mai sentito parlare dell'esistenza di un problema del genere o di un dibattito a livello culturale su questo argomento.
Sul piano della elaborazione filosofica, questo argomento è stato studiato ed esposto in molteplici volumi dal filosofo italiano Salvatore Natoli (Università Milano-Bicocca) che rivaluta il paganesimo dell'età classica come fonte di un ethos che ritiene non certo inferiore a quello poi elaborato dal cristianesimo.
Ora se i teologi della commissione avessero individuato nell'opera di Natoli un pericoloso attacco al cristianesimo, avrebbero fatto bene a dirlo con trasparenza,ma dal momento che non lo dicono affatto è difficile individuare il loro reale o i loro reali bersagli.
Più probabilmente,  dovendoci muovere disgraziatamente nel campo delle ipotesi, la commissione voleva tentare una difesa apologetica del cattolicesimo di fronte al turbamento che suscitano i continui episodi di terrorismo islamico, dopo il fattaccio delle torri gemelle di New York, esplicitamente ispirati da profonde convinzioni religiose, e dal timore che la gente tenda a ipotizzare un parallelismo fra  forme diverse di fondamentalismo religioso, assimilando il cattolicesimo al rischio di cadere in forme più o meno aperte di violenza in nome di dio, portati avanti dagli altri monoteismi.
Non si può certo trascurare il fatto che  il fatto che il “libro nero del cristianesimo” è zeppo di eventi storici di questo tipo, e quindi  il rischio, sul piano della pura logica, di assimilazione fra fondamentalismi monoteistici, non è certo infondato.
Se così fosse, però, come è probabile, perché questi teologi non l'hanno detto chiaramente e si sono rifugiati dietro a una disputa filosofica ,che seguono pochi o pochissimi addetti ai lavori?
La trasparenza, la sincerità e l'apertura d'animo non sono certo la migliore qualità di questo lavoro.
Quando poi scrivono che il loro intento non sarebbe apologetico, cadono nel classico tranello dell'  “excusatio non petita, accusatio manifesta”.
Proseguendo nell'analisi del testo, la riflessione della commissione sarebbe quindi confortata dalla certezza che “moltissimi contemporanei credenti e non, condividono la  convinzione che le guerre di religione siano semplicemente insensate”.
Va bene, quest'affermazione è condivisa da tutti , probabilmente compresi anche gli ultra- tradizionalisti del movimento di Lefevre, ma qui si riscontra una delle pecche più gravi e ingiustificabili di questo documento.
Questi teologi, che dovrebbero rappresentano il meglio della teologia cattolica, pensano di cavarsela di fronte a bimellenarie tragedie storiche con tre righe?
Anticipo infatti che nel prosieguo del discorso non si troverà alcuna trattazione, nemmeno elementare ,sull'analisi storica degli eventi tragici causati dall'uso della violenza in nome del dio cristiano.
Anzichè rimandare a quanto accennato nel post precedente, per ragioni di chiarezza riporto quanto ivi detto in proposito:
- dal peccato originale ,che nella storia della chiesa costituisce l'alleanza dell'altare col potere e con la spada da Costantino in poi;
- all'uso appunto della spada, cioè del potere secolare per convertire e per difendere poteri e privilegi   a cominciare dal successore di Costantino, Teodosio, che ha fatto diventare il cristianesimo da religione tollerata fra le altre  a  religione di stato, con conseguente distruzione dei templi pagani e persecuzione dei cittadini che avessero continuato a praticare culti pagani;
- alla diffusione ed al mantenimento per secoli delle false accuse di deicidio contro il popolo ebraico contribuendo non poco a fornire la base ideologica delle teorie razziste finite come tutti sanno;
- al lancio delle crociate contro i musulmani, invocando apertamente l'uso della violenza nel nome del dio cristiano;
- all'uso del potere spirituale sulle coscienze e cioè l'uso dei sacramenti come strumento di controllo sociale e politico;
- al mantenimento della schiavitù per secoli  e secoli, ed anzi al suo ampliamento, appoggiando il colonialismo, con annessi genocidi dei nativi nelle Americhe;
- all'uso sistematico della tortura, con la Santa Inquisizione;
- alle guerre di religione causa di innumerevoli vittime;
- alla lotta frontale contro la modernità, la libertà della scienza e della ricerca scientifica;
- all'accoglimento tardivo e solo parziale dei diritti umani e della democrazia;
- al contrasto della laicità dello stato
I semi di violenza usciti dal monoteismo cristiano sono fatti storici inoppugnabili e non sono liquidabili con tre parole.
Per esorcizzare il pericolo di ricadere nella stessa violenza, bisogna trattare l'argomento con un minimo di rigore e serietà, cominciando per lo meno con l'elencarli questi eventi.
Questo documento non minimizza, ma addirittura ritiene di poter passarci sopra e questo è veramente troppo.
A questo punto  della trattazione, la commissione fa un'affermazione importante, là dove espone in modo  questa volta trasparente quale sia la filosofia alla quale ha ispirato tutto il documento : “come teologi cattolici abbiamo cercato di illustrare il rapporto fra rivelazione di dio e umanesimo non violento a partire dalla verità di Cristo”.
Questa è l'architrave sulla quale è costruito il documento : la “dottrina della verità di Cristo”,
cioè ,tradotto in italiano, tutto l'insieme delle argomentazioni addotte  per confutare l'accusa al monoteismo di provocare la violenza in nome di dio è basato sull' “autorità della rivelazione”.
E qui viene l' osservazione, che già avevo anticipato nel post precedente : se c'è un modo per non dialogare con nessuno, cioè se c'è un modo per fare pura apologia o in termini più espliciti pura propaganda religiosa cattolica, questo è quello di basare tutte le proprie argomentazioni sulla presunta verità della propria rivelazione.
Perché questo ricorso all'autorità della propria rivelazione tronca all'origine qualsiasi possibilità di dialogare con il resto del  mondo che cattolico non è.
Perchè la commissione teologica esplicitando che la sua base ispiratrice è stata l'autorità della rivelazione cattolica è caduta in un errore logico macroscopico.
Infatti non è necessario che i migliori teologi cattolici ci vengano a dire che il messaggio originale di Gesù di Nazaret è intrinsecamente contro la violenza , questo lo sappiamo tutti ,se solo abbiamo anche solo leggiucchiato qualche volta i Vangeli.
Non è certo questo il problema.
Il problema è che nella prassi la chiesa nella storia ha giustificato e usato la violenza in nome di dio, perché alcune parti della dogmatica cattolica sono state costruite come base logica all'uso della violenza.
Per potere agire per secoli conformemente a quella prassi storica distorta, la chiesa ha formulato un universo dogmatico per lo meno non in contrasto con la prassi in uso
Difficile ignorare o far finta di ignorar  il fatto,che alcuni esponenti di primo piano della dottrina cattolica, che rientrano fra gli scrittori dei primi secoli e fra i dottori della chiesa, come il tanto celebrato Sant'Agostino ,hanno scritto pagine conturbanti, in evidente contrasto con il messaggio evangelico sull'uso della violenza contro quelli che definivano eretici.
Di conseguenza, per confutare la tesi della violenza alimentata dalla religione ,sarebbe stato necessario sviluppare due discorsi su due piani diversi :
- uno di analisi storica
- e uno, volto alla individuazione degli elementi teorici , ancora presenti nella dogmatica cattolica (non certo nei Vangeli),  che possono condurre alla giustificazione della violenza in nome di dio  e su tutti e due i piani fare un lavoro di purificazione.
Parlare di dottrina cattolica tradizionale come un tutt'uno col messaggio evangelico significa essere scorretti sul piano teorico e storico, inducendo i lettori meno preparati a cadere in una vera e propria falsificazione della realtà.
Gesù di Nazareth e Gesù il Cristo non sono affatto la stessa cosa e questa elementare distinzione la conoscono bene i teologi.
Figuriamoci poi le elaborazioni teologico -  filosofiche, che costituiscono la dogmatica cattolica.
In questo documento ,invece, non si è né impostato, né sviluppato né un discorso di critica storica, né un discorso critico sulle pecche di diverse formulazioni dogmatiche, ma anzi si è seminata confusione e approssimazione sui diversi piani di lettura.
Come mai  personalità di grande livello e preparazione culturale hanno elaborato un documento così debole e deludente sul piano dell'elaborazione teorica?
Perché con quella premessa ,volta a fondare tutto il discorso “sulla verità di Cristo”, in realtà la commissione non si è accorta di essere partita talmente col piede sbagliato , da avere inconsapevolmente impostato le quasi 150 pagine del documento in modo da  avvalorare la tesi che quegli stessi teologi volevano confutare.
Infatti ,non c'è argomentazione logica che tenga : se si proclama di possedere, tramite rivelazione divina tutta la verità definitiva, si esclude dal godimento dei benefici di quella stessa presunta verità tutto il resto del mondo, che sarebbe ammesso a goderne ,solo in caso di conversione.
Cioè di accettazione piena di tutta quella presunta verità, con annessa ulteriore accettazione piena del fatto che quella verità sarebbe pervenuta all'umanità per via di rivelazione divina, e che è esprimibile e accettabile solo nell' interpretazione formulata dalla gerarchia cattolica.
Quello che questi ,per altro stimati teologi,si guardano bene dal dire in tutte le loro argomentazioni, è il fatto che il concetto di “rivelazione divina” non è affatto di natura universale, ma è strettamente e indissolubilmente legato al corrispondente concetto di “popolo eletto”  tramite una volizione unilaterale di dio ,che si sarebbe concretata nella scelta di un popolo eletto “particolare”, che la bibbia indica nel popolo ebraico.
E qui che c'è il seme della violenza.
Nella presunta scelta unilaterale di dio  per individuare e benedire il suo popolo eletto,(scelta che la chiesa ha “scippato “ agli ebrei ,con l'artificio  teorico, che la teologia cattolica ha elaborato con la teoria di Cristo come nuovo Adamo) c'è la radice dogmatico – teologica dell'uso della violenza in nome del proprio dio, in contrapposizione a quello degli altri.
Qualsiasi analisi storica, anche elementare, avrebbe portato i teologi della commissione ad arrivare a questa conclusione.
Ma l'analisi storica l'hanno saltata a piè pari.
La commissione invece ha pensato di superare un ostacolo storico- teorico formidabile riproponendo la formulazione della teologia cattolica tradizionale relativa a “deus caritas est”, che tutti conosciamo, ma che poco c'entra con le cantonate prese dalla chiesa, quando ha compilando le pagine nere della sua storia.
Certo che la storia della chiesa non è costituita affatto solo dalle pagine nere, ma non si superano quelle Pagine nere dicendo che Gesù di Nazaret aveva insegnato tutt'altro, perché anche questo lo sappiamo tutti.
La gente non diffida della credibilità della chiesa a causa della pur interessante costruzione filosofica del Prof. Salvatore Natoli.
Ma tutti ,anche se non hanno troppe nozioni di teologia, capiscono che se si proclama con l'autorità della presunta parola di dio, che lo stesso dio avrebbe scelto come popolo eletto un popolo particolare, piuttosto che un altro, questa  è una operazione foriera di violenza e non di fraternità.
E così il capitolo primo del documento è tutto dedicato alla esposizione di questa teoria tradizionale, esposta oltretutto spesso con un linguaggio piuttosto oscuro, che confonde i piani del messaggio evangelico e quelli della successiva elaborazione teologico- dogmatica, che non sono affatto la stessa cosa.
Si Parte dall'affermazione che l'uomo è in grado di riconoscere dio come creatore del mondo e interlocutore dell'uomo.
Questa corrisponde all'affermazione tradizionale secondo la quale l'uomo ha la capacità di conoscere dio con la pura ragione.
A corroborare questa affermazione la commissione cita il fatto che dalla filosofia classica a Confucio le culture umane hanno sempre trattato di dio.
Chissà perchè si cita solo Confucio come rappresentante dei “pensatori dell'Oriente”, e Budda, gli scrittori induisti, Zoroastro, eccetera?
Questa dimenticanza è solo la prima di una serie, la commissione cita una volta sola la globalizzazione, ma probabilmente i suoi componenti ,che pure  sono persone provenienti da  tutti i continenti ,non sembra avere affatto chiaro il concetto che l'Asia nel mondo conta per 2/3 e il resto del mondo conta per il rimanente terzo.
Poi viene un'affermazione che da sola affossa ogni possibilità di dialogo fra cattolici e resto del mondo ed è questa : “noi come persone che si sforzano di vivere ...lo spirito e la pratica dell'autentica religione, ci sentiamo profondamente uniti a tutti coloro che custodiscono questo senso del divino”.
Se si parte a dialogare con gli altri (religioni, culture e filosofie) proclamandosi rappresentanti della “autentica religione” è finita, con questa premessa  si può parlare solo ed esclusivamente al proprio interno e solo ai cattolici ,che condividono questa affermazione.
Si tratta infatti di una espressione ferma al Concilio di Trento e a Pio IX.
Lo stesso Papa Benedetto XVI, che ha  nominato questi teologi sarebbe stato molto più accorto nella scelta delle parole.
Segue poi lo sviluppo del concetto teologico tradizionale della conoscibilità di dio da parte dalla ragione naturale, affermando che i miti, le credenze, le devozioni attestano l'esperienza di dio.
L'unicità di dio è stata individuata dalla filosofia come principio della ragione naturale.
La filosofia ha sviluppato il concetto di un' unico dio in modo autonomo rispetto alla rivelazione cristiana.
Questo ,almeno ,la commissione lo riconosce, ma non sembra rallegrarsene né attaccarvisi per sviluppare il discorso.
Anzi a questo punto cominciano le staffilate contro la filosofia moderna, colpevole a quanto pare, di ragionare sulla base del pensiero critico, fondato sulla  libertà di ricerca, invece che sottomettersi all'autorità della rivelazione cristiana, da accettarsi col principio del “prendere o lasciare”, senza se   senza ma.
Si dice infatti che  “la cultura occidentale contemporanea …..tende a privilegiare la pluralità del bene e del giusto ...teorizzando un principio relativistico”.
“La coscienza e il rispetto delle differenze...rappresenta un vantaggio...per la convivenza umana”,...ma lascia emergere una contraddizione, ossia l'incomunicabilità dei mondi umani, così indotti alla sfiducia se non all'indifferenza verso l'impegno”.
“Il relativismo  non costituisce affatto una migliore assicurazione per la pacificazione e la cooperazione dell'umana convivenza....perchè si trasforma in indifferenza  e diffidenza reciproca....perdita di fiducia e di motivazioni....(e conduce) …..al disegno totalitario del pensiero unico”.
E la filippica contro il relativismo prosegue in toni ancora più contro-riformistici :
“la verità, non viene pensata come principio di unità e di unione, che li sottrae  alle loro chiusure egoistiche, indifferenti alla giustizia”.
Anzi,(questa verità) viene indicata come una minaccia radicale
per l'autonomia del soggetto....viene associata  a una pretesa di possesso esclusivo da parte di un soggetto o gruppo umano...essa giustificherebbe così....il dominio e la volontà di potenza (dell'uomo sull'uomo)”.
In poche parole la proclamazione di questa verità (da  parte delle religioni monoteiste)  porterebbe al fondamentalismo religioso.
Sono stato costretto a introdurre parole esplicative  fra parentesi, perché oltre a riproporre concetti triti , antiquati e preconciliari, la commissione lo fa usando un linguaggio spesso confuso e poco comprensibile.
Secondo la commissione la cultura moderna proporrebbe in modo inaspettato il politeismo come un sistema di pensiero “creativo e tollerante”, mentre il monoteismo sarebbe proposto come arcaico.
Il pensiero moderno proporrebbe il monoteismo delle tre grandi religioni ,ebraica cristiana e islamica come “pericolo per la stabilità e il progresso umanistico della società civile”.
Si lamenta quindi il fatto che parte della cultura moderna prenda come bersaglio sopratutto il cristianesimo, quel cristianesimo ,che invece risulta secondo la commissione, come la religione più impegnata nel dialogo di pace “con le grandi tradizioni religiose e con le culture laiche dell'umanesimo”.
Costituisce scandalo per i fedeli ,secondo la commissione, presentare dio come seme di violenza, quando nel sentire del popolo la “coscienza cristiana odierna appare molto lontana dalla predicazione della violenza.....violenza contro i fedeli di altre religioni”.
Poi, la commissione accenna a ricordare  dello “smarrimento dei nostri colpevoli e ripetuti passaggi attraverso la violenza religiosa.....violenza in nome di dio”.
Ma fatto questo brevissimo e limitatissimo cenno di autocritica in non più di due righe, si proclama l'intenzione di dimostrare che il cristianesimo esige “la conversione del nostro spirito e della nostra mente” ….per esplicitare “la ragione della speranza che è in noi”.  E arrivare alla “riconversione della ragione occidentale allo spirito di un umanesimo migliore”.
La commissione passa quindi a criticare la presunta propensione della cultura moderna a rivalutare il politeismo, ritenendolo superiore al monoteismo in base alla convinzione che il monoteismo porti alla violenza, mentre il politeismo sarebbe per natura aperto alla tolleranza.
Critica quindi “l'applicazione metaforica del politeismo religioso alla democrazia civile come antidoto alla violenza, giudicando stravagante un tale modo di pensare sopratutto dal punto di vista storico ,perchè il politeismo non sarebbe stato affatto immune dall'uso della violenza in nome di dio e cita ad appoggio il racconto biblico della persecuzione dell'imperialismo ellenico nei confronti degli ebrei e la persecuzione dell'impero romano contro i cristiani, impero romano che pure era multietnico  e multireligioso.
Critica poi la moderna civiltà secolarizzata che sarebbe vittima di stili di vita ispirati alla violenza.
Dal che la commissione trae la convinzione che se questa società individua nel monoteismo una delle cause della violenza è perché la stessa sarebbe vittima del “pregiudizio  tipico del moderno razionalismo, secondo il quale …..c'è un solo modo per affermare la verità : negare la libertà o eliminare l'antagonista”.
Questo pregiudizio opererebbe in modo diverso verso i tre monoteismi, cioè avrebbe un occhio di riguardo per salvaguardare dalla critica il giudaismo a causa del rimorso per la shoà e quanto all'Islam, la critica che gli viene rivolta  sarebbe il frutto di una “interpretazione in chiave geo-politica , più che teologica”.
La vera vittima dell'accusa del pregiudizio  anti- monoteismo perché portatore di violenza, sarebbe quindi particolarmente il cristianesimo.
“In tale prospettiva, le qualità del cristianesimo che hanno ispirato anche la migliore cultura umanistica  occidentale sono oscurate dalla generale interpretazione della fede come rinuncia alla libertà di pensiero e fanatismo dell'identità”.
L'argomentazione della commissione è veramente poverissima e si riduce al solito ragionamento.
O si accetta la verità assoluta e definitiva proclamata dal cristianesimo, posseduta dalla chiesa, come erede del popolo eletto nella bibbia, nell'interpretazione eccetera ,eccetera, oppure si cadrebbe nel relativismo.
In questa formulazione ,comunissima nelle argomentazioni dei teologi tradizionalisti, si assimila scorrettamente il termine “pluralismo” con il termine “relativismo”, che non sono affatto la stessa cosa.
Negli anni del Concilio si è parlato continuamente di pluralismo, intendendo la possibilità di arricchire il messaggio evangelico con diversi modi e ipotesi per attualizzarlo nel mondo moderno.
Sono talmente improponibili gran parte delle formulazioni tradizionali della dogmatica cattolica, che il cattolicesimo stesso avrebbe molto da guadagnare se potessero circolare diverse formulazioni.
Ma la parte tradizionalista della gerarchia difende coi denti le formulazioni tradizionali , che considera immutabili e di conseguenza combatte sia la libertà di ricerca teologica, sia ogni idea di pluralismo.
O si scioglie questo nodo o ci si avvita in un gorgo nel quale non è in realtà possibile guardare al mondo esterno, preso in considerazione ,solo se questo decide di diventare anche lui interno alla chiesa e il messaggio fondamentale della fratellanza perde qualsiasi consistenza pratica.
Dopo la polemica la commissione avanza la sua “pars construens” indicando quelle che sarebbero gli elementi che dovrebbero far pensare al cristianesimo come a un antidoto alla violenza, che consisterebbe precipuamente “nell'originale ,inedita congiunzione dell'amore di dio e dell'amore del prossimo, ancorata nel dogma dell'incarnazione del figlio di dio per il riscatto e la riconciliazione degli uomini.
Questo dogma sarebbe rimasto nel tempo fisso in “miracolosa continuità” non ostante le pratiche difformi.
E qui siamo ai tipici contorcimenti della teologia cattolica, che prende il nudo e semplice messaggio di fratellanza del vangelo e lo carica della dogmatica cristologica (divinità di Gesù e suo sacrificio per la salvezza dal peccato, resurrezione  che lo farebbe il nuovo Adamo), con la pretesa di averla dedotta dal vangelo, dove in realtà non c'è o non c'è nel senso preteso.
La dogmatica cristologica è fatta da idee inventate da Paolo di Tarso che tutto quello che sa di Gesù di Nazaret lo ha sentito da altri e su queste idee hanno ulteriormente costruito la Patristica, Agostino eccetera.
La commissione poi dice che  “dalla singolarità (di questo dogma) la stessa modernità occidentale si è largamente nutrita e avvantaggiata, quando ha percorso le vie  inedite della dignità personale di ogni singolo e dell'uguaglianza fra gli esseri umani.
Secondo la commissione questa polemica della cultura moderna nei confronti del cristianesimo sul tema della violenza sarebbe sorprendente, proprio quando nella medesima si verifica un “indebolimento nel costume occidentale stesso, del  rispetto per la vita , dell'intimità della coscienza, della tutela dell'uguaglianza, della passione per un impegno etico,...degrado dei valori condivisi, salutato come prezzo della libertà individuale”.
In definitiva vi sarebbe “un indebolimento dell'ethos civile che traeva alimento dalla saldezza della fede cristiana nell'ideale della prossimità.
Viene cioè ripetuta la solita tesi tradizionalista secondo la quale al di fuori del cristianesimo non sarebbe possibile fondare una morale, il che è in palese contraddizione con l'esperienza di ognuno di noi.
Oggi le società occidentali moderne sono laiche e secolarizzate, vivono “come se dio non ci fosse”, ma il rispetto dei diritti umani e la cura dei più sfavoriti sono tutelati come non erano mai stati tutelati e favoriti nelle epoche storiche precedenti, quando il cristianesimo era ben più seguito.
Per di più è storicamente incontrovertibile il fatto che i diritti umani e l'idea di tolleranza sono stati introdotti nei sistemi giuridici per opera delle idee laiche dell'illuminismo e sono invece stati avversati a lungo dalla chiesa del sillabo di Pio IX e successori fino al Concilio Vaticano II.
La commissione poi, dimostrando veramente poco equilibrio di giudizio e di lasciarsi prendere la mano da un palese fastidio per tutto quello che non è chiesa e cristianesimo, afferma che la denuncia contro il monoteismo sarebbe più convincente quando è proclamata nell'ambito dell'ateismo  professato “in difesa della concezione immanentistica e naturalistica dell'umano”.
L'esperienza dell' ateismo di stato avrebbe dimostrato che, se non esiste dio, dinanzi al quale tutti sono uguali, si arriverebbe necessariamente  al delirio dell'onnipotenza dell'uomo, perché “qualcuno o qualcosa...prenderà il posto lasciato vuoto da dio”.
L'uomo che nega dio diverrebbe “un dio perverso” e prevaricatore nei confronti dei suoi simili e questo dio perverso proverrebbe dal peccato fin dall'origine.
Con un secondo accenno di autocritica i teologi della commissione dicono di essere consapevoli del fatto di avere dovuto compiere “un lungo cammino storico di ascolto della parola e dello spirito per purificare la fede cristiana da ogni ambigua contaminazione con le potenze del conflitto e dell'assoggettamento....consci del pericolo sempre ricorrente del degrado nello spirito di dominio e ...(quindi della necessità permanente della ) conversione....(come) stile di vita”.
Attestano quindi che “l'ammonimento nei confronti di un uso dispotico e violento della religione appartiene in modo unico al nucleo originario della rivelazione di Gesù Cristo”.
L'unico dio si fa conoscere nel comandamento dell'amore.
L'autentica fede nel dio unico predica l'unità del genere umano , in vista del riscatto  e del compimento offerti da dio.
E' compito del cristianesimo rendere rigorosa e credibile  la sua testimonianza.....della suprema unità del comandamento (sopra enunciato).
“L'opposizione della rivelazione di Gesù al profilo di una religione che induce separazione e avvilimento fra gli esseri umani  (distingue) l'originalità della fede cristiana “.
“L'unità indissolubile del comandamento evangelico dell'amore di dio e del prossimo stabilisce il grado di autenticità della religione”.
“Nella tradizione della chiesa il principio di questa verità cristologica di dio non si è mai perso”...nonostante il doloroso passaggio attraverso lo scandalo di pratiche difformi”.
“Riteniamo, affermano i teologi della commissione, che la chiesa nell'epoca attuale abbia compiuto un salto irreversibile di qualità nella dottrina e nella prassi ..(nel riconoscimento della contraddizione fra prassi storica e autentica ispirazione”.
Questa (purificazione) rappresenta una utile opportunità di ripensamento della religione  sia per culture secolari tentate dal nichilismo, sia per le altre religioni del mondo tentate dalla chiusura in sé stesse.
Che la chiesa odierna venga percepita come una istituzione che ha superato definitivamente le tentazioni e la prassi del passato di esercitare la violenza in nome di dio, qualsiasi persona ragionevole non avrebbe nessuna difficoltà a riconoscerlo.
Ma la commissione commette due errori imperdonabili :
- non fa alcuna critica storica e quindi sottovaluta in modo inaccettabile il peso per la credibilità attuale della chiesa della prassi storica durata secoli e secoli di uso della violenza in nome di dio;
- sembra di non voler capire che di essere prigioniera di un insolubile errore logico che è questo.
Se la chiesa continua ad arroccarsi sull’affermazione assurda che tutta la teologia dogmatica appartenete alla tradizione sarebbe rimasta in assoluta continuità nella storia e che di conseguenza non essendosi la chiesa mai contraddetta non è, né oggi né mai, possibile cambiare alcun dogma, vogliono spiegare come mai la chiesa nei secoli ha appoggiato tutte le nefandezze contenute nel libro nero della storia della chiesa a postulati dogmatici , che in base al principio di continuità e di non contraddizione sono gli stessi sostenuti oggi?
E’ infantile trincerarsi dietro al ragionamento che la chiesa avrebbe da sempre avuto una dottrina che aborre l’uso della violenza in nome dio, e se lo ha fatto in passato, come lo ha fatto, questa è stata una prassi erronea e contraria a quella dottrina cristallina.
E’ infantile perché questa è una tesi storicamente del tutto insostenibile.
Faccio solo un esempio ovvio : o Pio IX nel sillabo ha scritto un elenco di sciocchezze, fortunatamente superate dalle dichiarazioni sulle stesse materie dal Vaticano II, o è il Vaticano II che  è incorso in errori dottrinali gravi.
Stiamo parlando di formulazioni dottrinali, non di prassi storica.
Non sarebbe più onesto e sensato che i teologi facessero una analisi storica decente e  su questa base individuassero  la insostenibilità delle formulazioni dogmatiche che per esempio avevano ispirato le crociate?
O vogliamo continuare a sostenere il principio della continuità storica e della non contraddizione del patrimonio dogmatico della tradizione?

Ma se così fosse l’argomento che la chiesa oggi è percepita come una istituzione che ha superato l’idea della liceità dell’uso della violenza in nome di dio non avrebbe il minimo valore, perché se il patrimonio dogmatico è sempre quello che aveva supportato teoricamente e ideologicamente le crociate, la chiesa sarebbe nelle condizioni di ricadere negli errori della vecchia prassi.