domenica 27 gennaio 2019

Andreotti un uomo un’epoca,un paese.






La biografia di Andreotti scritta da Massimo Franco, penna storica del Corriere merita di essere letta per molte ragioni e innanzi tutto ovviamente per la serietà della ricerca documentale che rivela ,ma poi proprio perché induce il lettore a spostare lo sguardo da un uomo particolarmente ingombrante a un’epoca e ad un paese che erano intimamente di quel personaggio , che sono ormai storia se pure vicina ma sono irrimediabilmente passati e quindi irripetibili.
E’ un altro mondo con i suoi pregi e difetti nel quale molti di noi sono passati, ma che non ci appartiene più nel senso che forse lo rimpiangiamo in alcuni tratti, ma che contemporaneamente quand’anche fosse possibile abbiamo superato e preferiremmo non tornarci.

Cimentarsi su un personaggione come Andreotti è un impresa un po spericolata.
Perchè l’uomo nella sua figura umana e storica è complesso e contradditorio.
E come se ciò non bastasse quello che la gente pensava di quell’uomo in base a quello che appariva aveva da sempre diviso i contemporanei in opposte schiere di tifoserie anche quando dei famosi processi non era apparsa nemmeno l’ombra, figuriamoci dopo!
Massimo Franco ha scritto un bel libro, leggibile anche da chi non è tifoso del personaggio nè in un senso né nell’altro e cosa particolarmente notevole oltre ad essere ben documentato, lascia l’impressione che l’autore abbia cercato di dare una narrazione il più possibile obiettiva, senza farsi prendere la mano dalle sue opinioni personali.
Non nascondiamoci dietro a un dito, tutti abbiamo opinioni personali e le hanno anche i giornalisti.
Massimo Franco rappresenta quell’opinione moderata che molti rimproverano, ma altri apprezzano nel Corriere della Sera, non a caso primo quotidiano italiano quasi da sempre.

Dopo aver letto il libro presumo che Franco ritenga che esaminando vita morte e miracoli di Andreotti prevalgano gli aspetti positivi sui negativi, ma abbastanza di misura e senza nascondere le incongruenze, le contraddizioni se non le ambiguità di quel personaggio.
Al lettore Franco lascia abbastanza chiaramente questa sua interpretazione e cosa singolare, sembra essersi introdotto per fini di ricerca tanto addentro alla vita di quel personaggio da comportarsi nella costruzione della sua narrazione con sottile abilità democristiana-andreottiana.
Mi ha ha dato questa impressione la scelta dell’autore tutt’altro che casuale di fare consistere la parte finale del saggio nella narrazione della vicenda processuale che ha funestato gli ultimi anni di Andreotti vista non tanto e non solo dalla parte dell’imputato, ma dando una parte ben più larga al punto di vista dei familiari e ancora di più da quell’altro singolare e notevole personaggio che è la allora giovanissima avvocata Bongiorno.
Familiari presentati come esponenti una qualunque famiglia del ceto medio, che per tutta la vita di quel familare ingombrante aveva optato per mantenere sempre una posizione di riservatezza e di non visibilità,che in quel mondo mediaticamente sovraesposto, crea necessariamente una reazione di simpatia nei loro confronti.
Non parliamo della narrazione che Franco fa del contributo più che consistente che al buon esito dei processi (con l’accusa di collusioni con la mafia l’uno e addirittura di mandante nell’assasinio del giornalista Pecorelli l’altro) ha dato la giovane ed estroversa avvocata palermitana Buongiorno, che nel corso come sempre su tempi esasperatamente lunghi dei processi italiani, ha saputo trasformare il rapporto cliente- avvocato in un ben più intrigante rapporto nipote - nonno, tanto le loro frequentazioni avevano costruito un rapporto umano più profondo.

Dicevo sopra che Franco ha usato nella sua narrazione un astuzia andreottian-democristiana, perché facendo consistere l’ultima parte del libro nella descrizione abbastanza ampia dell’esperienza dei familiari di Andreotti e dei rapporti del Senatore a vita con la sua avvocata-nipote, ha costretto il lettore a convivere con personaggi che risultano umanamente vicini e spesso chiaramente portatori di atteggiamenti che li rendono simpatici , e quindi ha fatto sì che il lettore medesimo fosse portato a “umanizzare” il personaggio storico Andreotti, che di suo aveva un carattere complesso, ma indiscutibilmente distaccato.
Non era certo un estroverso il personaggio Andreotti e Franco non si sottrae certo a descrivere anche queste sue particolarità, che poi hanno contribuito a creare l’unicità di quel personaggio, al limite della caricatura.
Ho trovato di particolare interesse il modo come Franco presenta i rapporti del tutto singolari che Andreotti fin da giovanissimo ha avuto con Pio XII.

Se Andreotti aveva un carattere distaccato e tutt’altro che estroverso, con Papa Pacelli che volutamente aveva sottolineato le sua tendenze caratteriali di distacco regale proprio per indurre la gente a costruirgli addosso una sacralità particolare,faceva una bella copia.
Ma Franco ci svela l’esistenza di un rapporto giovane Andreotti-Papa Pio XII arrivato alla familiarità, che è noto che quel papa non aveva concesso praticamente a nessuno se non forse alla famosa Suor Pascalina (la sua leggendaria perpetua).
Per capire la personalità umana e politica di Andreotti, così complessa e contradditoria, Franco ha fatto bene a citare il rapporto stretto , ma molto poco conosciuto che il giovane Andreotti aveva con i singolari personaggi che comporranno la pattuglia degli intellettuali catto-comunisti da Adriano Ossicini a Franco Rodano, poi approdati nel PCI, ma nati in campo saldamente cattolico, che Andreotti ha a lungo difeso, garantendo sulla loro “cattolicità” nei confronti di Pio XII in persona fino a dover scontrarsi in più occasioni con le perplessità di quel papa che poi sono divenute aperta condanna.
Questo “mattone” aggiunto da Franco alla conoscenza della figura storico-politica di Andreotti è di notevole peso perché è veramente singolare che l’uomo che più di altri ha per anni rappresentato l’icona della “destra” nello schieramento della politica cattolica, con tutta l’autorevolezza che gli derivava dall’essere il figlioccio politico addirittura del fondatore del partito e cioè di DeGasperi, fosse in un rapporto di forte amicizia con i più a sinistra dei cattolici sociali e che avesse addirittura speso la sua credibilità per cercare di mantenere la presenza di quella pattuglia di intellettuali di grande spessore nel recinto del cattolicesimo politico.
E’ singolare Ma è anche di grande significato perché è un elemento a prova della caratteristica probabilmente principale della posizione politica di Andreotti.

Andreotti, il lavoro di Massimo Franco lo conferma , aborriva schierarsi dietro a un’ideologia, qualunque fosse e tendeva a vedere come a rischio di fanatismo fondamentalista gli “amici” che invece si costruivano addosso una ideologia come ad esempio il gruppo Fanfani,Dossetti,LaPira,Lazzati e all’inizio lo stesso Aldo Moro.
Questa è una caratterisitica che fa da punto fermo nella pur complessa visione politica di Andreotti e che viene riassunta qualificando il politico Andreotti prima di tutto come un “pragmatico”.

Un pragmatico al limite a volte del cinismo.
La ragion di stato prima di tutto.
Non c’è grande della storia che non abbia praticato questa ispirazione.
Come conciliare pragmatismo quasi cinico con le priorità del cattolicesimo con la sua sensibilità umana e sociale?
Quasi impossibile.
Ad Andreotti è riuscito però per il fatto che la sua stella polare non era tanto il “cattolicesimo” quanto la “cristianità”, cioè il cattolicesimo imperante e con aspirazione ,è una brutta parola ma va detta se no non si capisce il senso, totalitaria.

Franco non trascura di citare alcuni dei mille aneddoti che presentano Andreotti come “cardinale laico”, perché è assolutamente certo che il grado di affidabilità del personaggio Andreotti fosse percepito dalle più alte gerarchie vaticane in misura talmente elevata da raggiungere li grado di familiarità anche di carica.
Franco cita l’episodio altamente significativo del Cardinale Felici, ciociaro come Andreotti e suo amico d’infanzia,che alla sua morte lascia per testamento allo stesso Andreotti le sue “insegne cardinalizie”.
Quando Andreotti andava in Vaticano, compresi i Sacri Palazzi, andava a casa sua e quindi era uno dei pochissimi che non avevano bisogno di preannunci di sorta.
Fra i Cardinali era uno di loro.
Ovviamente nel bene e nel male, vedi Marcincus, Ior eccetera.
Però e qui ci risiamo con le incredibili complessità e contraddizioni del personaggio, Andreotti aveva anche una marcata sensibilità sociale in senso umano e questo è testimoniato dal fatto poco noto, citato da Franco che il Senatore tenesse nel suo studio un intero locale attrezzato a dispensa, che usava per dare sempre personalmente e per decenni un giorno alla settimana pacchi a “poveracci” che si presentavano regolarmente.

L’Avv.Bongiorno quantifica il costo della “carità” andreottiana addirittura in 20.000 € al mese.
A confronto il cappotto dato ai poveri da Giorgio LaPira sindaco di Firenze, impallidisce non ostante la fama acquisita di “sindaco santo”.
Andreotti era tante cose contemporaneamente, su questo non c’è dubbio.
Era prima di tutto uomo di potere, che gestiva il potere con tale considerazione del potere stesso da considerarsi quasi il suo sacerdote, come erano state in questa tipologia certe figure iconiche come Mazzarino e Richelieu.
Richeleu però non risulta che tenesse una grossa dispensa per i poveri.
L’altra faccia della medaglia era la veramente incredibile frequentazione o anche semplicemente il fatto che questo pur grande personaggio avesse incrociato figure impresentabili.
Tutti si chiedevano, ma come è possibile che uno come Andreotti conoscesse quel tale?
Poi si sa la voce popolare dei bar sport di tutta Italia, si abbevera abbondantemente e gioiosamente di questo tipo di notizie e le amplifica tessendoci sopra di tutto.

Quindi le esagerazioni di questi aspetti anomali ci saranno sicuramente stati, ma non si può negare che fosse inaccettabile che l’uomo che viveva come sacerdote del potere non avvertisse la necessità di essere più prudente nelle frequentazioni.
Va detto anche che l’uomo Andreotti ha pagato più che duramente questi indubbi errori di comportamento finito negli ultimi suoi anni stritolato dal meccanismo di due processi che gli hanno minato una fibra pure fortissima, mettendo alla prova la famiglia, che fino ad allora era riuscita a rimanere di sua volontà rigorosamente nell’ombra.
Franco giustamente descrive come riesce ad essere crudele il sistema giudiziario nostrano.
Le accuse erano orribili.
Fortunatamente per lui ed i suoi familiari i due processi condotti per i dovuti gradi durati sei anni sono finiti nel famoso abbraccio che l’Avv.Bongiorno ha fatto d’istinto nei confronti del vecchio senatore alla lettura della sentenza di assoluzione.
Ma siamo in Italia e stiamo parlando addirittura di Andreotti e cioè di colui che per le diverse tifoserie era per gli uni il cardinale laico che garantiva la stabilità del potere moderato e per altri il Belzebù presunto autore di tutti i mali del paese.
E quindi incredibilmente pare sia lecito discutere sul fatto se quella era una vera assoluzione o no,visto che il Pm di Palermo di allora, quel peraltro gran galantuomo del giudice Caselli ha sempre sostenuto che non è assoluzione vera, ma riconoscimento di colpevolezza per un certo periodo, anche se senza conseguenze giudiziarie per sopravvenuta prescrizione.
Al di fuori dai tecnicismi giuridici, ho apprezzato la conclusione di questo enigma che sembra sposare Franco e cioè che la lettura se pure sommaria degli atti di quei processi porta a concludere che i pm di allora commisero l’errore di puntare tutto sul raccogliere un mucchio di dichiarazioni di pentiti, pensando che il numero molto elevato potesse sopperire alla qualità.
Qualità che evidentemente non è stata giudicata adeguata dalla magistratura giudicante.
Sulla base di questa considerazione,

Franco sembra voler dire che sarebbe stato più saggio da parte degli inquirenti rilevare che le prove non erano sufficenti per imbastirci sopra un processo penale, ma che la responsabilità politica dell’indagato c’era almeno nel senso che prudenza avrebbe voluto che un uomo del suo livello provvedesse meglio a filtrare le sue frequentazioni.
Un’ultima nota più leggera.
Il libro è pieno di citazioni della proverbiale vena ironica del Senatore.
Fra le molte descrizioni gustose riportate da Franco ho trovato interessante la narrazione dei problemi che quell’Andreotti che ha avuto per lunghi anni fra le sue competenze ministeriali quella del cinema e che ha contribuito in gran parte alla sua rinascita era anche spesso e volentieri crocifisso sulla stampa per gli interventi della allora potente commissione di censura.
Tutti generalmente gli sparavano contro, ora Franco giustamente cerca la verità storica mettendosi dalla parte di Andreotti che doveva ogni volta lottare con incredibili Monsignori che vedevano lussuria e licenziosità ovunque e che fosse stato per loro avrebbero fatto produrre solo vite di papi e di pie suore