venerdì 13 dicembre 2019

Vito Mancuso : la forza di essere migliori






Straordinaria l’avventura intellettuale di Vito Mancuso.
Ex prete, con un rapporto privilegiato con quel gigante di Carlo Maria Martini, poi laico aspirante teologo del tutto contro corrente ha avuto la fortuna di essere riconosciuto nel suo geniaccio da quel genio bizzarro che fu il fondatore del San Raffaele che lo ha chiamato a tenere una cattedra dell’Università Vita e Salute nella medesima facoltà di filosofia nella quale insegnavano Roberta DeMonticelli e Massimo Cacciari.
Teniamo conto che siamo uno e due papi fa, con un Ratzingher prima al Sant’Uffizio e poi sul Soglio.
Acqua passata, ma rimane il fatto che la allora la vita di un teologo del tutto contro corrente che per di più aveva vestito la veste nera non poteva essere certo delle più liete, perché sappiamo bene quanto sia vendicativo l’atteggiamento della chiesa istituzionale verso chi quella veste la lascia.
L’allora presidente della Società Italiana di Teologia, in quel tempo, ma forse ancora oggi, sotto lo stretto controllo del medesimo Sant’Uffizio aveva provvisto a bollare pesantemente e sprezzantemente il lavoro di Mancuso come affetto di eresia gnostica.
Da un punto di vista accademico accusa risibile e completamente campata in aria, ma più che sufficiente per chiudere all’interessato tutte le porte istituzionali di quella chiesa.
Fatto sta che il giovane teologo si direbbe non turbato più di tanto ,nel corso degli anni ha sfornato ponderose opere l’una dopo l’altra con titoli apparentemente neutri e accattivanti, per ovvie ragioni editoriali, ma che di fatto erano trattati di teologia sistematica.
Mancuso facendo finta di niente prima ha elegantemente riscritta tutta la teologia cattolica e poi col passare degli anni e dei papi è pervenuto non solo a chiudere il cerchio degli argomenti della teologia sistematica, ma ha inevitabilmente avuto il coraggio di fare il salto al di là e al di sopra del cattolicesimo istituzionale.
Infatti con questa ultima opera della quale stiamo parlando, Mancuso tratta sì come sempre in modo sistematico i medesimi argomenti che riporterebbe nell’indice un trattato di teologia morale, però con una differenza di impostazione più che notevole, perché nella maturazione acquisita in decenni di lavoro, il nostro autore arriva a superare totalmente il disastroso limite-pregiudizio dogmatico al quale era inchiodato San Tommaso che si può riassumere nella formula della “Philosophia ancilla Theologiae”.
Ora il pensiero di Mancuso rovescia completamente quell’assioma ispirandosi al principio che la teologia è accettabile solo e unicamente fino a quando è sottomessa alla ragione critica ed all’obbligo insuperabile di sottostare alla verifica di una prova almeno logica.
In altre parole prima la ragione poi la filosofia e poi la teologia, punto.
Le cose stanno così, ma se uno si aspettasse argomentazioni polemiche verso il cattolicesimo tradizionale e istituzionale da uno che pure di sassolini nella scarpa da levarsi ne avrebbe un sacco,vuol dire che non conosce Mancuso e i suo lavoro.
L’argomentare di Mancuso fluisce come acqua limpida e pura.
E’ l’acqua purissima che proviene da Platone, dalla filosofia stoica e da Kant.
Mancuso non lo dice mai, ma finito il libro io mi sono chiesto, pensando di essere coerente con la logica argomentativa che ne scaturiva : ma che bisogno c’è stato o c’è di ricorrere alla narrazione della mitologia narrata dalla Bibbia , comune nella sostanza alle tre religioni abramatiche e di quella cattolica in particolare, che per di più è stata appesantita dalle interpretazioni spesso tutt’altro che consequenziali della montagna dogmatica inventata e costruitaci sopra se quella grandissima filosofia aveva già fornito all’uomo moderno tutto quanto ha bisogno per soddisfare il suo bisogno di conoscenza e di ricerca di senso?
Mancuso rifiuta esplicitamente l’idea di fondare la morale su una presunta rivelazione e su una dottrina dogmatica da essa derivata per di più solo secondo l’interpretazione della chiesa istituzionale.
Il cielo stellato fuori di mè e la legge morale dentro di mè.
La celeberrima frasi di Immanuel Kant nella Critica della Ragion Pratica viene riproposta da Mancuso in tutto il suo splendore intellettuale e umano.


La legge morale va cercata in interiore homini e non fuori nelle presunte esternazioni dello spesso inumano e arbitrario dio di Abramo.
La moralità dell’agire umano non va ricercata nella sottomissione cieca alle tavole del Sinai arricchite dall’universo dei richiami etici contenuti nei libri biblici.
Va invece ricercata con forza e fatica nel discernimento che interroga la coscienza iscritta nella nostra interiorità.
Chi segue la sottomissione a una legge rivelata che presume di tutto sapere e che tutto sia già scritto
ha solo appunto da seguire il codicillo di un codice.
Chi decide invece di essere diventato adulto si accolla la fatica di fare appello alla propria ricerca ed alla propria responsabilità.
Non vado oltre perché mi sembrerebbe irrispettoso produrre un riassuntino di un’opera di questo livello e profondità.
Ci sono letture che non sono passatempi di intrattenimento per nostra fortuna.


giovedì 15 agosto 2019

Il Dittatore di Gianpaolo Pansa






Ho appena finito di leggere l’ultima fatica editoriale di Gian Paolo Pansa, un libro minuto ,160 pagine sul personaggio del giorno Matteo Salvini, da lui temuto come il futuro dittatore di questo paese.
L’accusa ,diciamo così, è talmente seria che ho ritenuto doveroso “vedere le carte”, dato che appunto il futuro di questo paese, mi preme non poco, come a noi tutti del resto.
L’autore ha fatto il giornalista di cronaca (e commento) della politica italiana per ben 60 anni e quindi è assolutamente qualificato per prendere in seria considerazione quello che scrive, anche se la sua tesi è scioccante e oggidì in controtendenza.
Credo che Pansa nella sua lunga carriera si sia sempre ritenuto attratto sopratutto dalla casa socialista, tanto che, pur avendo cambiato testata un numero elevato di volte, quelle nelle quali è rimasto più a lungo sono state l’Espresso e Repubblica.
A un certo punto ha deciso di sobbarcarsi l’ingrato compito di riscrivere la storia della Resistenza, che lui ha sempre definito col termine di “guerra civile”, non certo mettendosi dalla parte dei fascisti, ma volutamente andando a raccontare il purtroppo lungo elenco dei casi in cui a sporcarsi le mani di sangue sono stati i Partigiani.
Si sapeva che la storia era così, ha sempre ripetuto il mantra dell’Antifascismo ufficiale e quindi l’opera di Pansa sarebbe risultata superflua.
Ma Pansa ribatte con qualche ragione, ma se è vero che quegli episodi non onorevoli commessi dai Partigiani ai quali nessuno contesta i merito storici, perché mai i miei libri a cominciare dal “Sangue dei vinti” hanno venduto a man bassa? Forse perché la gente voleva sapere quello che era stato tenuto nascosto al grande pubblico per decenni.
Pansa da quando ha scritto quei libri è stato battezzato dalla sinistra ufficiale, ma anche dal centro sinistra, come uomo di destra.
Sia come sia, se anche fosse un socialista spostatosi a destra, cosa che probabilmente non è, la cosa è ancora più interessante ai fini della individuazione della verosimiglianza della sua tesi.
Perchè se fosse un notissimo intellettuale di destra a dire agli italiani :state attenti perché quel pifferaio magico del Salvini vuole soggiogarvi sotto la sua dittatura, la sua accusa sarebbe ancora più pesante.
Inutile dire che Giampaolo Pansa possiede tutto il mestiere per scrivere un libro scorrevole che si legge in un paio di giorni con interesse.
Arrivato alla fine però devo stringere le fila.
Onestamente la “prova”, la “pistola fumante” che giustifichi un’accusa a Salvini così pesante non c’è.
C’è però una fila di indizi a cominciare dal maledetto “partito personale”, che giustamente Pansa addebita ,come nuova struttura politica, alla tutto sommata maldestra parabola politica di Silvio Berlusconi, che se ha lasciato qualcosa di peso alla storia d’Italia è probabilmente solo questo stiracchiamento della democrazia oltre ai confini previsti appunto dalla democrazia liberale rappresentativa.
Poi se ne è servito l’arrogante e non meno inconsistente fiorentino, senza rendersi conto di quanto fosse pericoloso armeggiare con quei congegni.
Pansa dice, ma chi ha mai visto nella Lega di Salvini un qualunque dissenso organizzato?
Si questa è la cartina di tornasole per individuare la democraticità o meno di una struttura politica.
Pansa non ne parla ma fior di politologi da tempo hanno individuato anche nella “governance” dei 5Stelle una assoluta carenza delle più elementari strutture democratiche.
E’ vero nella Lega non appare la presenza di un dissenso organizzato.
Ma dubito che le cose stiano così nella sostanza, cioè che Salvini non debba rendere conto a nessuno.
Per esempio, quando c’era in discussione a livello giallo-verde il provvedimento per l’autonomia di Lombardia e Veneto ho avuto e non credo di essere stato solo la netta impressione che Fontana e Zaia abbiano detto a Salvini che quella era la linea del Rubicone, o passava o saltava Salvini, che infatti è stato costretto a provocare una crisi di governo che non voleva.
Il ragazzo non sarà pure riuscito a laurearsi, ma due più due lo sa fare e che i numeri al Senato non c’erano per la Lega era di assoluta evidenza anche senza andare a contarsi, come poi è avvenuto.
Sono andato volutamente ad assistere dal vivo ad uno dei comizi di Salvini alle europee e quindi non posso che condividere quanto Pansa rileva in proposito.
C’era una organizzazione curata nei più sottili dettagli, cose mai viste in altri tempi, e tutte cose che costano molti soldi e molto tempo da parte di professionisti e volontari.
Luci, suoni con nulla lasciato al caso.
Uno “script” da professionisti messo in pratica da un conduttore pure professionista.
L’uso dei più sottili ricorsi ai miti, ai simboli per suscitare l’emotività delle folle, che regolarmente abboccavano.
Attivisti che esercitavano il ruolo di “claque” sapientemente organizzata distribuiti in una riga centrale ma non solo, osannanti al “nostro capitano”.
Un penoso gruppetto di Antifascisti urlanti che non si rendevano conto di fare la parte di comparse, che la volpe sul palco avrebbe pagato pur di avere la loro presenza se non ci fossero stati, per potere additarli al ludibrio della folla come “i violenti dei centri sociali” che disturbano i comizi democratici e che quindi loro insidiano la democrazia.
E’ vero quell’eccesso di perfetta organizzazione mi ha messo su “chi va là” più volte.
C’era, è innegabile un evento che ruotava intorno al capo.
C’era però anche a contorno una passerella con un vistoso numero di sindaci ed altri personaggi ben noti all’uditorio, alla quale è stato dato un tempo forse anche più abbondante del necessario e questo non quadra tanto colla teoria del “partito personale”.
Quand’anche fossero stati i “federali” del caso, hanno dimostrato di essere molto popolari e presenti sul territorio a macchia d’olio.
Pansa insiste senza pietà nell’evidenziare lo stile sbrigativo del “truce” nell’ambito del governo giallo-verde
E qui forse Pansa ha prodotto i capitoli più convincenti, perché tutti gli italiani hanno capito chi ha comandato e chi ha subito in questo ambito.
Viene poi il capitolo degli “indizi” a carico del presunto Salvini dittatore nell’ambito dei rapporti coi media e con la carta stampata in particolare.
C’è poco da ribattere, Salvini chiaramente non ama essere contraddetto sulla stampa e non solo non lo nasconde, ma spesso va oltre di molto alle buone maniere anche contro il suo interesse.
Ulteriore “indizio” il modo che va dal deciso al feroce col quale il Capitano difende i suoi quando incappano in comunicazioni giudiziarie.
Pansa ha dato alle stampe il libro del quale stiamo parlando ai primi di giugno e quindi non fa cenno al cosidetto “Russia gate”.
Peccato che sia così perché l’affare che ha visto andare sotto i riflettori quel Savoini (presunto mediatore di un affare petrolifero con la Russia si è detto sempre presuntivamente per finanziare la Lega) che un precedente libro inchiesta del quale abbiamo parlato su questo blog descriveva non come fascista ma addirittura come di idee naziste, avrebbe portato molta acqua al mulino di Pansa.
Perchè Salvini ha difeso strenuamente i suoi anche quando i magistrati avevano in mano indizi parecchio consistenti, non mi ha mai quadrato.
E perché non ha preso le distanze da un Savoini, che per la gente era il signor nessuno, è ancora più difficile capirlo.
Quando questo succede in politica è perché gli interessati sono in grado di ricattare, la politica non è ambiente da educande, lo sappiamo, ma c’è modo e modo.
Ecco questo modus operandi temo sia uno degli “indizi” più di peso.
Come posso concludere?
Come i lettori avranno capito ritengo che l’accusa avanzata da Pansa sia verosimile ma ritengo anche che Salvini si salvi almeno per ora per insufficienza di prove.
Pansa però è arci-convinto se arriva a dire due cose terribili che non ho ancora accennato.
1-invoca l’intervento di Mattarella perché metta insieme un governo di tecnici al massimo livello che non rispondano alle camere ma che siano sostenuti da militari fidati e fedeli al Presidente.
E se un giornalista di lungo corso arriva a tanto, la cosa fa parecchia impressione.
2-probabilmente non c’è possibilità di contrastare il disegno dittatoriale di Salvini perché il paese è già fascista fino al midollo
E questa botta è ancora più dura della prima.
Che devo dire, pensiamoci sopra.


lunedì 12 agosto 2019

Area di contagio,la vera storia del virus Ebola






Questo libro ,scritto da un noto giornalista e divulgatore scientifico è apparso per la prima volta nel 1994.
Fortunatamente l’editore italiano lo ha ristampato nel 2015 ed ora è disponibile sia in italiano sia in inglese su Amazon e non solo ovviamente.
Richard Preston, appunto l’autore, chiarisce subito che non si tratta di un lavoro di fiction, cioè non si tratta di un romanzo ma della puntuale ricostruzione di un fatto storico attraverso quello che i protagonisti di quei fatti hanno riportato all’autore o hanno a suo tempo e successivamente reso pubblico autonomamente.
E’ però scritto da un abile divulgatore che induce il lettore a rimanere attaccato alla lettura come se si trattasse di un romanzo e questo rende più agevole affrontare le oltre quattrocento pagine del libro, che chiaramente a causa dell’argomento è altamente drammatico.
C’è poco da divertirsi, diciamolo subito.
In questi giorni ci arrivano notizie (poche purtroppo dai nostri media che sembrano non considerare politicamente corretto parlare di cose serie) preoccupanti su focolai di Ebola riapparsi in Centro Africa e della febbre Dengue apparsa nelle Filippine.
Sono proprio questi fatti di assoluta attualità che mi hanno indotto a prendere in mano questo libro che avevo comprato quando è uscito, ma che poi avevo trascurato di leggere.
E’ invece estremamente interessante dedicargli il tempo che merita, perché convivere coi virus fa parte della nostra vita e quindi non è male apprendere con sufficiente precisione di cosa si tratta.
Oggi che un approssimativo pensiero unico, ben foraggiato da una massa di venditori di “prodotti naturali” fa a gara nel voler nascondere il fatto elementare che la natura è la maggiore fonte di assassini coi quali siamo destinati a convivere, non guasta il realismo a volte perfino brutale di libri come questo.
Si arriva perfino a leggere che le epidemie di HIV ,di Ebola eccetera potrebbero non essere altro che la reazione evolutiva del nostro pianeta che individuando la nostra specie come una forma di parassiti, reagisce al fatto che ci siamo moltiplicati al di là di ogni ragionevolezza depredando le risorse e mettendo a rischio gli equilibri, che tengono il sistema in equilibrio e che quindi produce forme di contrasto alla nostra specie.
E’ un po duro il discorso ma non è certo senza basi.
Al di là di questo è di estremo interesse vedere come la storia di uno dei più micidiali virus se non del peggiore conosciuto, si sia sviluppata.
Come specie siamo stati abili a individuarne la pericolosità, a riconoscerla, a circoscriverne i focolai ed a superare le epidemie.
Ma ricordiamoci dei limiti.
Oggi è in uso un vaccino sperimentale contro Ebola, ritenuto altamente efficace anche se per l’appunto è ancora in fase sperimentale.
Ma il decorso della malattia è forse il più orribile mai visto prima sulla faccia della terra.
Terribili mal di testa, febbre altissima, perdita di liquidi e sanguinamento generalizzato, i soggetti affetti raggiungono fasi assimilabili alla demenza e tutto si conclude in un paio di settimane.
Bene, ora c’è il vaccino ma il virus è fra i più altamente infettivi e quindi per contrastarlo occorrono misure sanitarie di isolamento drastiche, spesso difficili da mettere in atto in paesi poco scolarizzati e presso popolazioni spesso vittime di usi e pregiudizi ancestrali non ancora toccati a sufficienza dalla modernità, che se anteposti a tutto possono essere letali per chi non riesce a superarli.
La fama di peggiore dei virus Ebola se la è meritata perché la percentuale di decessi fra gli ammalati era del 90%.
Peggio di così non so cosa ci possa essere.
Gli operatori sanitari devono usare delle specie di scafandri non certo agevoli, tanto più in paesi caldi.
Mettendo insieme il vaccino abbiamo evitato la paura di finire vittime della “peste nera” dei tempi moderni, ma non sottovalutiamo le potentissime armi delle quali si avvalgono queste “creature naturali”, enormemente più “vecchie” e longeve di noi, come presenza sulla terra.
I virus sono formidabili nel cambiare continuamente per sopravvivere in situazioni mutate.
Sono dei mutanti per definizione e questo rende ovviamente ancora più difficile combatterli.
Un’altro problema è che a tuttoggi non siamo riusciti a scoprire con certezza da dove Ebola è comparsa e da quale essere vivente è stata trasmessa all’uomo.
Come vi sarete accorti è lo stesso discorso che si è fatto e che si potrebbe rifare a proposito dell’HIV.
E come l’HIV è difficile capire perché a contatto col virus certe persone si ammalano e certe altre non contraggono la malattia anche se diventano portatori sani.
Tutta la storia si svolge in Africa dove il virus pare sia sorto, ma la cosa non è sicurissima perché è presente anche in Asia, e nei laboratori delle forze armate statunitensi.
Il fatto che le epidemie più eclatanti di Ebola che si sono verificate abbiano costretto a mettere in atto l’intervento delle forze armate la dice lunga sulla pericolosità di questo virus.
C’è stato è chiaro allora e in occasione di tutti i focolai venuti alla luce un deciso intervento da parte delle istituzioni a tutti i livelli per evitare il dilagare del panico fra le popolazioni interessate.
Questo è un fatto altamente positivo e responsabile.
Ma ciò non toglie che è pure indispensabile fare aprire gli occhi alla gente perché ognuno sviluppi un certo livello di educazione sanitaria e di prudenza nel recarsi in paesi dove le condizioni sanitarie non sono al massimo, diciamo così.
Idem come sopra nell’accogliere persone provenienti da zone potenzialmente pericolose, con tutto il rispetto, ma usando la testa e la prudenza.
Siamo molto bravi a difenderci, prova ne è che siamo sopravvissuti, quando altre specie non ce l’hanno fatta.
Venire a sapere da libri come questo che non siamo affatto i signori e padroni dell’universo, ma che invece nell’immensità dell’universo contiamo come piccole formichine, è una doccia fredda che occorre ammetterlo, doccia fredda che però può farci bene.





venerdì 2 agosto 2019

Silicon Valley,La valle dei geni




L’autore ha dedicato alcuni anni della sua vita per completare una ricerca sui principali personaggi che hanno fatto diventare Silicon Valley l’icona della ricerca sulle tecnologie informatiche più avanzate.
L’autore aveva vissuto molto vicino al giro dei giovani leoni ,essendo stato redattore di Wired ,ma non credo che avrà avuto vita facile a contattare, intervistare, farsi rilasciare documenti da personaggi del tutto particolari e qualcuno anche al limite dell’eccentricità .

Fatto sta che mettendo insieme materiali di prima mano è venuto fuori un libro di 460 pagine e quindi piuttosto impegnativo per il lettore, anche se essendo i protagonisti, personaggi ,per definizione, tutt’altro che convenzionali, non risulta affatto noioso o pesante.
In ogni caso è un documento che rimarrà a disposizione degli storici.
Uno dei motivi di maggiore interesse nel leggere un libro del genere sta nel fatto che ormai anche chi non è anagraficamente “nativo digitale”, come si dice delle generazioni più recenti, di fatto è come se lo fosse, tanto siamo diventati tutti dipendenti da queste nuove tecnologie.
E quindi avendo ormai metabolizzato questi nuovi strumenti come parti irrinunciabili di noi stessi siamo portati a credere che si tratti di cose che sono sempre esistite.

Diventa allora di grandissimo interesse vedere documentato il fatto che al contrario si viveva senza nemmeno avere conoscenza di tutto questo nuovo mondo fino a pochissimo tempo fa.
E i giovanissimi uomini che lo hanno costruito, appunto i geni di Silicon Valley, hanno lavorato come dei dannati mettendo insieme un pezzo dopo l’altro, spesso sbagliando e ricominciando con caparbietà.
Non è affatto esagerato qualificarli come geni, perché risulta assolutamente evidente che lo sono e giustamente l’autore fa spesso riferimento all’Italia ed all’Europa del Rinascimento, perché questa Silicon Valley richiama terribilmente le botteghe dove trafficavano i geni del Rinascimento.
L’autore non ha difficoltà a documentare il fatto che la storiella dei giovani smanettoni che costruivano quasi a tempo perso computer e annessi in qualche garage non è altro che una leggenda metropolitana, che non ha mai avuto il minimo fondamento nella realtà.
I geni dei quali parliamo erano si culturalmente degli hippies che non disdegnavano esperienze con l’Lsd e affini, ma guarda caso, venivano quasi tutti da Standford, una delle università eccellenti e di super èlite dell’Eavy League, dove avevano conseguito tutti i gradi previsti e in tempi da record.
Il libro documenta che l’esperienza Silicon Valley è stato un unicum, un clima culturale irripetibile e all’americana, una esperienza di business pure irripetibile, e sì, perché questi geni-ragazzi sono diventati milionari e poi miliardari in tempi assolutamente mai visti prima.
Bene ha fatto l’autore a far dire a protagonisti nel capitolo conclusivo che la scoperta e l’uso dei computer hanno cambiato la storia e l’umanità più di qualsiasi altro evento avvenuto prima.
Se i lettori di questo blog hanno avuto la bontà di leggere qualcuna delle recensioni precedenti sull’argomento di intelligenza artificiale e futuro si meraviglieranno un po meno degli scenari da brivido che propongono per un futuro ormai prossimo gran parte dei personaggi dei quali stiamo parlando.
Molti danno per scontato che in materia di “machine learning” sviluppo di intelligenza artificiale e di bionica l’uomo del futuro sarà una specie diversa dall’attuale con un problemino però da risolvere e cioè che se i robot animati da intelligenza artificiale arriveranno non solo ad auto migliorarsi ma raggiungeranno il punto di svolta dell’auto coscienza, l’uomo potrebbe ridursi al ruolo di fedele cagnolino nella casa dei nuovi padroni, per una ragione forse spiacevole, ma forse no, che il nostro cervello è destinato a divenire spaventosamente inferiore alle capacità di un umanoide animato da intelligenza artificiale che si auto migliora anche solo al ritmo della legge di Moor.
Siamo culturalmente molto lontani dal prendere coscienza delle incredibili potenzialità che il futuro anche prossimo ci presenterà, ma proprio per questo, libri come questo e documentati come questo, sono veramente basilari.
Detto questo spero di non avere spaventato il lettore con anticipazioni scioccanti.
Il libro è di grandissimo interesse anche solo per farsi un’idea sui personaggi di Silicon Valley, e va bene a cominciare pure dal mitico Steve Jobs, ma non c’era affatto solo lui.
Qualcuno ci rimarrà male qualdo troverà detto e scritto da alcuni dei suoi compagni ai avventura che Steve non ci capiva praticamente niente di computer, la sua genialità risiedeva in una idea e adorazione del bello al limite del fanatismo.
Gran parte dei suoi compagni di avventura erano pure loro geni ma probabilmente più equilibrati.
Jobs era una personalità personalissima e contradditoria.
Geniale nel campo dello sviluppo delle tecnologie informatiche, ma anche prigioniero di preconcetti al limite della superstizione ideologica.
Aveva probabilmente lasciato il segno il viaggio giovanile in India alla ricerca di un guru per avere chissà quale rivelazione.
Nel libro si insinua che se si fosse operato in tempo dal serio male del quale era affetto invece di preferivi una agopuntura che non si vede che senso potesse avere in quel contesto probabilmente si sarebbe salvato.
Incredibile ma succede, mi viene in mente un’altra grande figura geniale ma contradditoria, lo scrittore Michael Crichton , quello di Jurassic Park per intenderci, ma non solo, che concepiva le sue narrazioni partendo da intuizioni scientifiche al limite della fantascienza, ma verosimili e serie, che nella vita privata si dice non abbia disdegnato la consultazione di astrologi cartomanti e ciarlatani vari, spinto dall’ansia della ricerca del senso della vita e dalla paura della fine.
Se vogliamo trovare un difetto, dovremmo dire che questo libro ha però il limite geografico che si è imposto (Silycon Valley, California).
Peccato che Redmond, sede della Microsoft, grande avversario di Apple e Mcintosh sia nell’hardware che sopratutto nel software, si trovi molto più a nord ,nello stato di Washington e che quindi nel libro non si parla praticamente mai dell’altro genio assoluto dell’informatica Bill Gates, ma sarebbe stato chiedere troppo.


mercoledì 5 giugno 2019

Sui presunti demoni di Salvini




Il governo giallo-verde piace incontestabilmente a una larga maggioranza di italiani, che ha gratificato alle recenti europee in particolare la sua gamba leghista con consensi impensabili poco tempo prima.
Ma a qualcuno non piace proprio e fra questi qualcuno ci sono chiaramente coloro che lo avversano con una violenta reazione di pancia uguale e contraria al radicalismo del giovane leader della Lega, “il capitano” osannato da autentiche folle nelle principali piazze d’Italia.
Il libro che vi propongo di leggere non nasconde certo le sue tesi, dopo avere lanciato il sasso con un titolo più che scioccante.
Assicuro però che non si tratta di un frettoloso libello di propaganda anti-Lega, ma di un libro di giornalismo di inchiesta costruito su un numero notevole di interviste a quelli che l’autore ritiene siano i personaggi chiave, interviste e ricerche che presumo gli siano costati mesi e mesi di lavoro.
Claudio Gatti apprendiamo da Wikipedia è un giornalista non certo di fascia bassa visto che è indicato come inviato del Sole 24 ore e collaboratore del New York Time.

Il libro da un punto di vista professionale è quindi del tutto rispettabile, anche se come si vedrà, personalmente non condivido affatto le tesi di fondo del suo autore.
Nel senso che la documentazione è buona e quasi sempre acquisita di prima mano, ma che questa documentazione sia sufficiente per avvalorare la tesi di fondo del libro ce ne corre.
Tutti sappiamo che il fondatore della Lega, Umberto Bossi è uno che si è sempre proclamato antifascista convinto.
Tutti però sappiamo anche che nella Lega ha sempre trovato casa un personaggio della destra radicale come Mario Borghezio, Europarlamentare della Lega addirittura per ben vent’anni, quindi sia nel periodi nel quale il capo era Bossi, sia più recentemente quando il bastone del comando è passato a Matteo Salvini.

Evidentemente c’è una contraddizione, perché o si è fascisti o si è antifascisti, almeno nel giudizio storico
L’autore risolve questa evidente contraddizione sostenendo due tesi.
La prima si riferisce alle presunte caratteristiche delle due personalità politiche sopra citate, che condividerebbero una caratteristica caratteriale di primo piano in politica : sarebbero cioè anzitutto dei cinici, che non fanno riferimento ad alcuna ideologia o visione del mondo particolare e che quindi spinti solamente dalla ricerca del potere seguirebbero con estrema abilità e particolari doti personali le tematiche che in un dato momento “fiutano” come sentite in modo particolare dalla gente.
Non avendo vincoli ideologici sarebbero quindi esposti a passare indifferentemente da da una visione politica ad un’altra quasi con indifferenza.
A sostegno di questa tesi porta non senza ragione la svolta con la quale Bossi ha abbandonato la stella polare della autonomia padana fino alla secessione, che era stata il motivo fondante della Lega, ritornando all’alleanza con Berlusconi.
La seconda tesi è sottile ma risulta essere il “leitmotiv” di fondo di tutto il libro ed è questa.
Tutti i personaggi della destra radicale citati e intervistati nel libro, anche quelli che sostengono le tesi più estreme e indigeste hanno tutti la singolare caratteristica o furbizia di dire più o meno: io non sono fascista perché il fascismo ed il nazismo sono regimi storici ben definiti che oggi non potrebbero in nessun modo rinascere in un ambiente circostante così diverso.
Io sono un sostenitore dei valori della tradizione, dello spirito dei singoli popoli e delle singole patrie, che la modernità e il globalismo o mondialismo hanno imposto di combattere volendo sostituire alla giusta autorità nazionale un qualcosa di sovranazionale astratto.
Questi poteri sovranazionali sono imposti da un complotto della grande finanza massonica, che vuole governare il mondo.

Questa è la tesi che sostiene tutto il libro, costruito per mostrare e secondo l’autore dimostrare che quella presentazione di sé che fanno praticamente tutti gli intervistati sarebbe la foglia di fico che nasconde la volontà di riproporre in forme nuove quella che era ed è l’ideologia del nazional -socialismo nazista.
Il lavoro di scavo che l’autore fa nel retrobottega ideologico di Borghezio è solido.
Il gruppo di intellettuali post nazisti di Saluzzo.
Le riviste ideologiche di quei gruppi.
Il collegamento addirittura con Franco Freda che Wilkipedia qualifica come politico ex terrorista ed editore appartenente all’area del neofascismo ed esponente del Movimento di Ordine Nuovo.
I riferimenti internazionali.
La figura chiave di Gianluca Savoini,prima mentore di Bossi e poi di Salvini, presenza fondamentale nei media leghisti, in Via Bellerio e per un certo periodo anche al Pirellone.
Sarebbe la mente, il vero ideologo della fede nell’ultra destra.
Personaggio che avrebbe adottato nella Lega la strategia di Antonio Gramsci di acquisire il controllo della cultura per conquistare il potere nel modo più efficace e completo, la strategia del prete si dice nel libro.
Il primo chiodo fisso nel Savoini pensiero è come detto sopra l’ideologia delle ultradestre, il secondo è l’identificazione nella Russia e specificamente nel Presidente Putin come riferimento politico.
Putin si batterebbe per fare vincere nella geopolitica mondiale l’ideologia dell’ultra-destra.
Difesa della tradizione, della famiglia tradizionale, patria e autorità.
L’autore documenta con mille particolari amicizie e legami di Savoini con la Russia di Putin, che sarebbero state recepite in toto dalla Lega.
Questo in estrema sintesi il contenuto del libro.
A questo punto mi permetto di avanzare alcune osservazioni.
Sarà anche vero che Matteo Salvini (del quale nel libro si cerca di delineare la personalità e la sua genesi andando a intervistare tra l’altro compagni di scuola , professori del liceo e giro di amicizie)
non ha mai manifestato fedeltà a ideologie definite e che quella di una sua presunta adesione giovanile all’ultra sinistra dei Leocavallini è una bufala senza fondamento.

Ma da qui a dire che il Salvini pensiero sia stato clonato dal Savoini pensiero è un passaggio logico scorretto e insostenibile.
Prima di tutto il fatto che la carriera all’Europarlamento di Mario Borghezio sia stata stoppata dal vertice della Lega e cioè da Salvini, evitando di ricandidarlo è un fatto eclatante che significa una aperta ed evidente presa di distanza.
Se questo è vero allora cade la tesi principale del libro secondo la quale Salvini sarebbe un politico pericolosissimo perché nasconderebbe in sé un pensiero ideologicamente post-nazista.

Andare a giustificare questo fatto (il siluramento di Borghezio) dicendo come fa l’autore del libro che il medesimo significherebbe solamente che Salvini sarebbe non altro che un cinico indifferente alle ideologie, non è affatto convincente.
Perchè se utilizziamo l’ampio materiale che l’autore ci dà per cercare di delineare la personalità politica di Salvini fin dal suo nascere negli anni del liceo, non possiamo che dedurne che questo personaggio, divenuto oggi capopopolo, è sempre stato assolutamente coerente con sé stesso e con una sua ideologia di fondo tipica della destra tradizionale.
Tra l’altro è singolare che l’autore finisca per rendere un buon servizio a Salvini quando per onestà intellettuale che occorre riconoscergli, non sottace affatto che amici e conoscenti di sempre sottolineino unanimemente il fatto che si tratta di una personalità forte, aperto ad apprendere quello che non conosce, con una capacità di lavoro incredibile e la tendenza a spendersi per andare a conoscere anche le più piccole comunità territoriali.
Di intelligenza sopra la media e con una memoria molto superiore alla media.
Uno che quello che pensa il popolo l’ha appreso direttamente ascoltando per anni e anni quello la gente chiedeva a Radio Padania, della quale era l’anima.
Quello che viene fuori dal libro non è certo il bulletto da bar sport, che vogliono farci credere che sia i media anti -Lega.
Visto che il libro stesso è tutto impostato per suscitare orrore nel pubblico dei lettori verso le teorie politiche dell’ultra-destra , trovo veramente singolare che l’autore citi molti personaggi, che si sono costruiti come ideologi e gran sacerdoti di quel pensiero, personaggi, mi si scusi ,non certo di grande risonanza, e come loro ispiratori citi alcuni pensatori di riferimento ovvi come Ezra Pound e Julius Evola, ma non nomini nemmeno una volta l’unico pensatore di questa tendenza che si trova nei testi di dottrine politiche e cioè Joseph DeMaistre, che è il padre riconosciuto di questo pensiero in campo accademico.
Personaggio che tra l’altro, ciliegina sulla torta è stato ambasciatore presso la corte dello Zar e che nei primi anni dell’800 aveva gia fatta l’equazione :Santa Russia = difesa delle tradizioni, della controrivoluzione e punta di diamante della reazione alla modernità illuminista.
Ben prima e con ben altra autorità culturale di Savoini, Borghezio e compagni o camerati che siano.

Personalmente giudico semplicemente orripilanti le tesi che questo libro riferisce a Savoini e soci.
Sempre personalmente però non mi sento spaventato della loro esistenza, che il libro questo sì ha il pregio di documentare in modo difficilmente confutabile.
Non mi spaventano perché sono più che convinto che il popolo della Lega, amerà spesso un lessico un po’ più sbracato del necessario e qualche idea per i miei gusti un po’ troppo retrò, ma ritenerlo infiltrato con successo da una ideologia post-nazista è assolutamente troppo lontano dalla realtà elementare che chiunque di noi può verificare nei rapporti quotidiani con la gente.

Quanto alla Russia, mettiamo i piedi per terra e chiediamoci se sia nell’interesse nazionale italiano ritenere avere piena libertà di commercio con la Russia medesima o essere gravemente penalizzati dalle sanzioni che l’America per calcolo geopolitico suo le ha imposto?
Sbaglia la Lega a sostenere che sarebbe nel nostro interesse by passare quelle sanzioni?
Penso proprio di no.

giovedì 30 maggio 2019

Spiacevoli coincidenze fra 5Stelle e Lega





Ecco due libri che consiglio caldamente di leggere ai lettori di questo blog, perché la loro lettura consente di prendere due piccioni con una fava.

Prima di tutto aiuteranno a capire cos’è veramente una delle due gambe del governo giallo-verde e per capire intendo veramente fare l’operazione di seguire una analisi fortemente documentata per entrare nei meccanismi di una forza politica radicalmente nuova.
Ebbene sì ci siamo abituati a seguire la politica con atteggiamenti “di pancia”, questo mi fa paura, quell’altro mi è simpatico, poi questo dice proprio quello che penso io o meglio conferma in pieno i miei pregiudizi e quindi mi da sicurezza.
Di quell’altro ne parla bene il prete, il mio capo e il mio amico del cuore e il mio nipotino ed è importante cosa ne pensano i giovani.
E via di questo passo.
Non siamo più abituati a lasciare perdere veloci sensazioni di pancia per dedicare invece il tempo dovuto per studiare.
Cosa noiosa, faticosa che richiede tempo ed impegno.
Lo capisco benissimo che i magri risultati che da questa classe politica ci inducano a chiederci se vale veramente la pena di dedicare o “perdere” tempo per studiare le loro malefatte.
Ma nel caso specifico sarebbe il caso di pensarci sopra, perché questo tipo di studio consentirebbe a chi decide di perderci un po di tempo, come si diceva sopra, di prendere appunto due piccioni con una fava, nel senso che se si studia cosa è il Movimento 5 Stelle con i due libri di Icoboni,

si porta contemporaneamente a casa una conoscenza non superficiale di un mondo nuovo e sconosciuto a quasi tutti, il modo delle dell’ e-commerce, applicato alla politica con tecniche raffinatissime e di non facilissima comprensione.
Molti di noi usando da tempo più o meno abbondantemente i “social” e quindi hanno intuito la forza tremenda di questi mezzi per manipolare i sentimenti e le azioni altrui.
Pochi però, probabilmente molto pochi hanno dedicato tempo per cercare di capire veramente di cosa si tratta, anche perché il contenuto tecnico dei questi apparati informatici non è proprio di comprensione elementare.
Ecco allora il vantaggio di questi due libri di buon giornalismo d’inchiesta che consentono a chi non si sarebbe mai messo a leggere un barboso ed esoterico libro di tecniche informatiche, di acquisire le nozioni di base senza nemmeno accorgersene.

Perché ho fatto questa lunga premessa? perché la tesi fondamentale dei due libri è sconcertante e scioccante, ridotta all’osso è questa : il Mov. 5 Stelle è appunto come dice il titolo del primo libro un esperimento fatto da un informatico ,Casaleggio padre, al quale la politica non importava nulla, ma voleva sperimentare a freddo l’uso delle tecniche informatiche della rete per analizzare e poi incanalare il consenso, verso obiettivi politici.
Iacoboni impietosamente dice e ribadisce che l’interesse del fondatore era la forma, la struttura, il mezzo e non il contenuto.

Riflettiamoci un momento perché questo assunto è fondamentale ed ha conseguenze dirompenti, perché, detto in poche parole, se le cose stanno così, ed assicuro che il libro è ben documentato (anche perché l’autore si è tutelato così per evitare querele) il parto che ha generato la forza politica che è tuttora il maggior partito in Parlamento, con la democrazia rappresentativa e la sua storia ha poco o nulla da spartire.
A questo punto viene da ridere a pensare che nel dibattito politico corrente il presunto fascistone di turno, che viene additato al pubblico ludibrio sarebbe Matteo Salvini, mentre il mite e composto DiMaio viene indicato dai politologi dei maggiori giornali italiani come il vero erede degli ideali della sinistra.
Se si verifica un tale ribaltamento di idee , rispetto a quello che in base ai due libri dei quali stiamo parlando sarebbe la realtà , ribaltamento portato avanti da commentatori spesso accreditati da titoli accademici , significa come minimo, che una cosa è parlare di “social” per fare vedere che si è aggiornati e acculturati e tutta un’altra cosa è aver studiato le nuove tecnologie di rete abbastanza da comprendere in che mondo veramente viviamo e come vanno le cose in politica oggi.

Personalmente avevo sentito parlare di “profilazione” anni fa leggendo gli avvincenti trillers di Michael Connelly che descrivono le avventure del detective Bosh, che appunto si distingueva dai colleghi poliziotti del Los Angeles Police Dipartment ,per il fatto di essere un “profiler”, cioè uno che tentava di risolvere i casi impossibili, quelli nei quali non si trovavano né il colpevole né le prove, usando la tecnica della profilazione psicologica ,attraverso la quale si studia attentamente la personalità di chi ha commesso il fatto nei suoi vari aspetti, per poi indirizzare le indagini su persone che abbiano quelle caratteristiche specifiche.
Ebbene, apprendiamo anche dai libri di Iacoboni che la profilazione oggi è una tecnica entrata nell’uso quotidiano dell’e-commerce, cioè per farla breve, chi di noi non compra su Amazon ? e per farlo fa prima ricerche su quel sito per vedere come sono fatti e cosa costano i nostri oggetti del desiderio?
Ecco fatto, compiendo quelle azioni apparentemente innocenti, non solo ci facciamo schedare, ma nei moderi schedari che sono server in California o chissà dove, non solo ci sono i nostri dati anagrafici, rilevabili dal nostro indirizzo internet ,ma c’è tutto quello che si può ricavare dalla nostra attività su quel sito ,che rivela interessi, tendenze eccetera.
Ma non è finita perché poi la quasi totalità di noi si muove anche su Facebook o social analoghi dove ha il suo profilo che già ha molto da dire, racconta le sue cose, elenca i propri amici, parla delle proprie vicende e dei propri interessi, consente di far conoscere chi sono i propri contatti.

Ancora per farla breve, i tecnici informatici sono in grado di assemblare i dati che compaiono nei nostri vari social in modo da costruire intorno a noi un profilo più dettagliato di quello che conosce nostra moglie o marito o addirittura conosciamo noi stessi.
Sulla base di questo profilo dettagliatissimo ci vengono inviate proposte commerciali continue mirate sui nostri interessi.
Sappiamo tutti che questo tipo di tecnica è arrivata a una tale raffinatezza da consentire alle ditte produttrici di solleticare le nostre preferenze, che conoscono bene, in modo da proporci o imporci con tecniche psicologiche subliminali di comprare cose la cui utilità semplicemente non esiste.
Non è bello, ma è così.
Immaginiamoci se a qualcuno viene in mente, come è successo ed è l’argomento di cui stiamo parlando, di applicare queste tecniche alla scelte politiche.
Si può fare ed a quanto pare si è fatto in modo senza scrupoli, mirando in modo asettico e senza alcuna partecipazione emotiva o ideologica tirando fuori, secondo Iacoboni, il Movimento 5 Stelle.

Per passare dall’ e-commerce alla politica occorre aggiungere nel calderone di Mago Merlino altri ingredienti a volte molto più piccanti.
La profilazione rimane, affiancata dal “big data analitical” ,cioè per quanto interessa qui, dalla capacità di mettere insieme elenchi di elettori, divisi oltre che per le tradizionali tipologie statistiche (sesso, età, professione, luogo di residenza) per preferenze politiche in base alle sensibilità ai vari problemi (immigrati, tasse, grandi opere, ambiente ecc.).
Mettere le mani su elenchi divisi in modo sempre più raffinato, consente di fare proposte politiche assolutamente mirate e quindi estremamente appetibili.
Cioè se io sono una forza politica e voglio mettermi in contatto con tè per indurti a seguirmi che faccio?
Prima di tutto ti solletico la pancia, cioè ti dico esattamente le cose che so sulla base della miniera di dati che mi sono procurato, che tu ami di sentirti dire, cioè calco la mano sui tuoi pregiudizi, anzi in base a quelli ti anticipo e tendo un po a sbragare, facendoti apparire realizzabile quello che tu avresti desiderato, ma non osavi proporti.
Tanto a me di ideologie , di valori o di storie passate non me ne importa un cavolo, io ti uso come si fa sui social e quindi l’unica cosa che mi interessa di tè è che tu mi dia un like e meglio ancora se clicchi su un video.
Sgradevoli e lontanissime queste cose da quello che il buon Toqueville intendeva come democrazia liberale , ma ancora più sgradevole è l’aspetto che non si dice o perché semplicemente non si conosce, o perché si pensa che non stia bene dirlo ed è

il fatto che queste pure elementari operazioni (clic, like, play su un video sono cose monetizzabili e monetizzate, nel senso elementare della parola, cioè che chi li usa ci campa e ci lucra sopra alla nostra ignara salute.
Molti ingenuamente si scandalizzano o fanno finta di scandalizzarsi del fatto che esponenti di forze politiche di questo tipo si contraddicono spesso e volentieri.
Ma in base a quanto abbiamo detto sopra la logica di questi movimenti consistenti in scheletri di tecniche digitali quel che conta è il mezzo e la sua sopravvivenza , perché fra l’altro consente di fare soldi, e non il fine (che non c’è) e quindi dire oggi bianco e domani nero, non è una contraddizione, perché non esistono principi da contraddire.

Quindi profilatura, mani su enormi data base e loro analisi, visualizzazione costante e schedatura di tutte le nostre mosse sui social , e poi ,come dicevamo, nel calderone di Mago Merlino occorre aggiungere un bel po’ di spezie molto piccanti, perché la brodaglia diventi sempre più appetibile ed allora ecco arrivare strumenti adatti alla lotta politica : meme; trolls; bot; fake.
Non vi spiego cosa sono se no non sareste spronati a leggere i libri che vi indico.
Sono sistemi per tentare di distruggere gli avversari con notizie inventate, ma appena verosimili, come quando nel corso delle elezioni americane sono comparse insistenti notizie su un giro di bar che avrebbero fatto capo alla Clinton, dove sarebbe successo di tutto da droga sesso eccetera.
Iacoboni cita in Italia una violentissima campagna che ha colpito Renzi e i renziani durante la campagna per il referendum costituzionale.
Sono solo esempi, ma sono purtroppo il pane quotidiano sui social da diverso tempo, dato che da noi siamo sempre in campagna elettorale.

Iacoboni però va oltre e picchia veramente duro quando descrive e documenta il ruolo di personaggi della destra o ultra destra americana e inglese che starebbero dietro a campagne organizzate di odio, che sarebbero dietro all’attività sul web sia dei 5Stelle che della Lega.
Idem come sopra relativamente alla presunta presenza di organizzazioni riconducibili alla Russia di Putin.
I due libri sono molto dettagliati su questi assunti.
Non mi dilungo, ma voglio solo sottolineare un’altra tesi che Iacoboni vuole dimostrare che è questa : dietro i 5Stelle e alla Lega ci sarebbero fin dal sorgere del Movimento medesimi personaggi, organizzazioni e finanziatori che fanno capo senza ombra di dubbio alla destra ,spesso estrema e quindi pensare ai 5Stelle come a una costola nascosta della sinistra non avrebbe il minimo fondamento.
Tutto qui, questi libri non dicono niente di simpatico, ma costituiscono una lettura estremamente istruttiva.
Come sempre personalmente sono convinto che nulla vada preso come oro colato, ma che tutto invece vada sottoposto a una lettura critica e quindi anche le tesi di Iacoboni pur documentate e in parte difficilmente contestabili, potrebbero fuorviare se non si tiene conto che qui ormai tutto va velocissimo e che quindi altri e nuovi fattori possono cambiare la realtà di 5Stelle e di Lega.
Ma la sostanza rimane ,anche se non è piacevole.
E sopratutto rimangono le tecniche informatiche sulle reti e qui bisogna che la gente sia messa maggiormente al corrente di quanto conta quello che fanno sui social e sia finalmente tutelata per quanto possibile.
Indipendentemente da come la si pensa in campo politico su questi argomenti i due libri di Iacoboni sono una lettura di grande utilità.





martedì 12 marzo 2019





Mentre in Italia impazza il dibattito tutto ideologico su o meglio contro il “reddito di cittadinanza”, ho avuto la fortuna di leggere un libro acquisibile sono come e-book che in veramente poche pagine e molte tabelle di dati descrive in modo essenziale, ma sufficiente il mercato del lavoro tedesco.
Il saggio non è recentissimo, ma fornisce gli elementi essenziali, tuttora fondamentali.
Conoscevo nella sostanza le linee di fondo di quel mercato, ma dato l’attuale clima politico, sono stato incredibilmente sorpreso di dover verificare con mano le solite incongruenze politiche italiane, amplificate da un sistema di media tutt’altro che obiettivo e praticamente tutto schierato contro il governo giallo-verde.

Mi ha infatti scioccato vedere che di fatto la filosofia (ma anche la prassi) del reddito di cittadinanza, portato a bandiera dal movimento grillino ,nato quantomeno euroscettico, se non proprio anti Euro, è la copia del sistema in vigore in Germania da 10/15 anni.
E permettetemi, sciocca un po vedere che un movimento parecchio euro-scettico copia il paese guida, mente e braccio dell’Unione Europea.
D’accordo i tedeschi sono precisi e ordinati e quindi il loro sistema è meno incasinato di quello costruito per ora sulla carta dai grillini, ma i difetti che si sono evidenziati negli anni in quello reale e collaudato della Germania ,sono gli stessi che quei marpioni degli editorialisti dei giornaloni italiani ripetono da settimane per demolire la riforma grillina.
Chissà che non abbiano copiato dalla stampa tedesca.
Solo che il sistema tedesco è più che lecito che venga criticato ,perché ha già dispiegato i suoi effetti per oltre dieci anni.
Mentre in Italia si critica un sistema che non è ancora nato, quindi lavorando su pure ipotesi e speculazioni.
Incredibile ma vero, lo stato confusionale nel quale versa la chiesa ha portato il suo vertice italiano a criticare duramente in sede istituzionale e cioè in una audizione parlamentare il reddito di cittadinanza, con le stesse argomentazioni di Confindustria! Complimenti l’ispirazione evangelica della gerarchia ecclesiastica così diventa sempre più credibile.
Facciamola breve, l’ultimo governo a guida socialdemocratica della Germania ha adottato il così detto sistema Hartz.

Il libro opportunamente inizia elencando i dati che fanno capire perché la Germania è il paese a cui guardare se non proprio da copiare.
Tanto per cominciare ,il livello della disoccupazione dei Laendern che tirano di più : Baviera 3,6%, Baden Wuertenberg 3,9%, quando in economia si ritiene che il livello di disoccupazione ritenuto fisiologico si aggira sul 5% (dati 2012) mentre lo stato che su questo settore sta peggio, la Spagna ha in Andalusia un livello di disoccupazione addirittura del 30% , da noi la disoccupazione giovanile è a livelli abnormi sopratutto al Sud.
Per di più in Germania non solo c’è lavoro, ma gli stipendi sono nettamente più alti.

I Tedeschi hanno fatto per tempo le riforme che gli altri non hanno fatto (tasse, lavoro,pensioni).
Virtuosi, ma fino a un certo punto, se si pensa che nel 2012 avevano ancora un debito pubblico all’80%, e quindi sforavano parecchio il tetto stabilito dai trattati nel 60%, ma proprio questo è il punto : loro la spesa in deficit l’hanno usata per fare le riforme di struttura, gli altri tanto per tirare avanti alla giornata.
Come è noto il punto di forza dell’economia tedesca sta nella straordinaria forza del suo sistema manifatturiero proiettato verso le esportazioni, negli anni recenti particolarmente verso i mercati asiatici.
Il problema è che la Germania esporta “troppo” nel senso che esporta troppo di più degli altri paesi partner dell’UE che nel frattempo invece importano molto dall’estero, contribuendo così a mantenere bassa la quotazione dell’Euro, perché importando dall’estero comprano dollari e vendono euro.
Così la Germania si ritrova con un forte surplus della sua bilancia commerciale.

Il libro della Lucchini chiarisce che se la Germania fosse rimasta al marco oggi i prodotti tedeschi all’estero costerebbero di più del 20/30% e quindi per la Germania l’entrata nell’Euro è stato un grosso affare.
Diciamolo sommessamente anche a scapito e a spese di chi invece di esportare come lei ,importa molto di più mantenendo basso il valore dell’Euro.
In altre parole il successo della Germania dipende anche dall’insuccesso degli altri paesi .
La Lucchini afferma senza mezzi termini che l’Euro così com’è una follia perché non si possono mettere sullo stesso piano sistemi come quello tedesco che campa sull’esportazione di macchine ad alta tecnologia con una Grecia che campa su porti e turismo.
Cioè un tasso di interesse uguale per paesi così diversi avvantaggia gli uni e schiaccia gli altri.
Con tutto questo la Germania quando ha lasciato il marco per l’euro ha fatto un grosso favore agli altri, perché è come se avesse garantito per loro.
Sono gli altri che invece di approfittare della stabilità della moneta per ridurre il debito non ne hanno fatto nulla.

Facciamo mente locale, è proprio quando l’Italia girava a vuoto nel ventennio berlusconiano, che in Germania i socialdemocratici di Gerhard Schroeder hanno fatto delle riforme radicali, che hanno fatto perdere loro definitivamente il potere nel 2005, ma che sono state fondamentali per ammodernare l’economia tedesca.
Sono state abbassate le tasse dal 20% al 16% e dal 48,8 al 45%.
Sopratutto la Germania allora ha rivoluzionato il mondo del lavoro con la commissione Hartz e i Job Center.

Hanno fatto scalpore i mini Jobs da 450 € al mese, con i pro e contro annessi e connessi a questo strumento che comunque lo si guardi ha dato comunque una dignità a tutti.
Giustamente la Lucchini sottolinea il fatto che la misura non ha senso che sia vista come uno strumento diretto sopratutto a ridurre il costo del lavoro, perché il tipo di esportazioni tedesche, essendo di alta fascia tecnologica ,vedono l’incidenza del costo del lavoro ridotta a un mero 6/7%.
I mini contratti piuttosto hanno fatto emergere i lavori in nero, hanno fatto uscire dalla disoccupazione chiunque ed hanno anche aumentata la domanda interna.
Ricordo il dibattito feroce in Italia quando è stata istituita la scuola media unica perché si diceva che non era possibile lasciare la scelta del tipo di studi e quindi l’età di entrata nel mondo del lavoro
a 11 anni, ma in Germania di fatto gran parte dei giovani comincia ad andare in azienda a 12 anni
mentre frequenta la scuola e nessuno si scandalizza.

La riforma Hartz era basata sulla ristrutturazione degli uffici di collocamento.
Guarda caso l’assegno sociale di disoccupazione (Arbeitlosengeld II) era calcolato in 380€ + 370 per l’affitto per un single.
Cioè siamo sul medesimo livello del nostro tanto disprezzato reddito di cittadinanza.
Con maggiore chiarezza rispetto a noi chi non può lavorare e quindi ha bisogno di pura assistenza riceve un assegno definito Sozialgeld.
Chi riceve il primo tipo di assegno deve dimostrare di essere in costante ricerca di una occupazione.
Il Job Center offre anche corsi di formazione a chi dimostri di poterne fare buon uso.
Le cifre sono impressionanti se si pensa che la platea dei mini jobber è di oltre 7 milioni di tedeschi.
E quindi anche nella ricca Germania c’è un grosso problema di disuguaglianza : il 10% più ricco controlla il 55% delle proprietà (era il 40% nel 1993).
A consultivo è considerato indiscutibile che la riforma abbia funzionato nel senso di diminuire i disoccupati, ma l’altra faccia della medaglia si è rivelata essere il fatto che le persone che necessitano del sussidio dello stato non sono diminuite.

Va poi bene sottolineato che in Germania vige un diverso costume politico-sociale in base al quale il sindacato segue una politica di collaborazione ,che non gli ha affatto tolto credibilità, ma ha consentito di seguire la filosofia del” lavorare meno per lavorare tutti” almeno nei periodi di stagnazione.
Sia chiaro però ,sottolineano gli autori, che i mini job hanno ridato dignità a chi era fuori dal circuito lavorativo, ma che se parliamo dei metalmeccanici della Volkswagen o della BMV siamo nel campo dei contratti strappati duramente con tutele all’italiana.
Stando ai numeri la Lucchini giustamente non omette di citare il livello siderale di esportazioni che la Germania è riuscita a piazzare in Cina con addirittura 65 miliardi nel 2011, proprio quando l’Italia di Berlusconi stava rischiando il fallimento.
E qui ovviamente i mini job non c’entrano nulla, non è merito loro.

I sindacati tedeschi hanno tra l’altro fatto la scelta saggia di distinguere bene fra Est e Ovest con salari diversi essendo diverso il costo della vita.
Vogliamo copiare?




lunedì 4 marzo 2019







Prima di tutto i miei più sinceri complimenti al “gost Writer” che presumibilmente l’ha scritto materialmente questo libro.
Si tratta di un ottimo lavoro fatto da un eccellente professionista.
Non solo il libro è scritto bene, ma è ben costruito e riporta parecchie citazioni abbastanza ben scelte fra alcune delle icone della intellighentia della sinistra.

Se non fosse che non ho mai stimato Renzi come un politico dotato delle delle qualità necessarie per fare il leader (visione, preparazione, capacità di fare squadra,ecc.) mi sarei addirittura entusiasmato leggendolo tutti quei riferimenti alla cultura liberal.
Dopo avere finito di leggerlo però mi chiedevo proprio questo : come è possibile che se l’ avesse scritto un’altro considererei questo libro una discreta sintesi di alcune delle cose da farsi in questa circostanza storica, ed invece sapendo chi è l’autore in copertina, la sua lettura mi lascia l’amaro in bocca, come se avessi visto un dipinto celebre, sapendo però che si trattava di un falso, ben copiato, ma falso.
Mi ha fatto venire in mente il ricordo di un avvenimento analogo, quando avevo ascoltato dal vivo un appassionato comizio della campagna elettorale di Veltroni anni fa e ne ero rimasto semplicemente entusiasta per la grande capacità di “visione” che esprimeva, citando l’educazione e l’istruzione come la priorità assoluta per il suo futuro governo.
Peccato però che poi al governo invece che lui era stato eletto Berlusconi, che l’elettorato evidentemente aveva giudicato credibile pur essendo culturalmente inconsistente.
Quella cocente delusione mi aveva insegnato che la capacità di visione in politica è essenziale, ma che deve andare di pari passo con la credibilità politica di chi ne fa la narrativa.
Anche nel libro di Renzi le idee ci sono e sono di quelle buone,ma non posso scordarmi del fatto che avevo sempre criticato il suo modo di fare politica concreta proprio perché mi è sempre sembrato privo di una visione organica a lungo periodo e interessato solo a vivere alla giornata.
E allora?

Allora non credo alla sua sincerità, non credo che creda veramente in quello che dice di credere, perché il suo modo di fare politica non è stato quello.
Il libro bello se fosse vero e sincero conferma però la sostanza di quello che sto dicendo perché da Renzi in 140 pagine non viene neanche lontanamente nemmeno il tentativo di chiedersi perché ha perso pesantemente sperperando due gloriose tradizioni politiche, quella degli ex comunisti e quella dei cattolici sociali.
Non basta citare La Pira mostrandone grande ammirazione per accreditarsi come un politico che ne abbia raccolto la fiaccola.
Il libro è tutto un su e giù per le montagne russe perché alterna in continuazione la visione tipica dei liberal anglosassoni e la rancorosa polemicuccia sulla politica da bar sport.
Non solo non tenta nemmeno di fare una autocritica che sarebbe stata più che doverosa, vista la batosta che si era presa, ma con la solita insopportabile arroganza tenta di girare la frittata cercando di dimostrare che non ha mai perso perché il PD avrebbe sempre veleggiato fra il 20 e il 30 per cento mentre lui lo aveva fatto salire al 40%, impresa da premio Nobel, che fortunatamente non c’è per la politica.

Anzi questo Renzi è ancora più insopportabile quando continua a inveire contro il “fuoco amico”, costituito dagli arcinemici Bersani e C. che mai nemmeno si degna di chiamare per nome, che sarebbero loro la vera causa di tutti i mali, compresa ovviamente la sua caduta politica per mancanza di consensi.
Oddio,può anche darsi che se uno è falso, gli altri lo siano altrettanto, ma mi ricordo chiaramente di avere sentito più volte il medesimo Bersani dire che come si usa in un partito democratico avrebbe gradito esprimere vis a vis le sue opinioni a Renzi,ma che non c’era verso.
La cosa del resto mi pare sia largamente condivisa dai commentatori politici, Renzi è uno che si rinchiudeva fra le mura del “giglio magico” e del parere degli altri sembrava non avere il minimo interesse, a maggior ragione se erano suoi oppositori interni.
Ma di questo ovviamente non c’è traccia nel libro.

C’è invece un non sempre gradevole peana ripetuto a favore di Obama, dei Clinton e di Tony Blair, chiaramente i suoi super eroi, i suoi idoli-modelli.
Contento lui….., ma se almeno si aggiornasse!
E invece non lo fa a ragion veduta proprio perché ripete la sua assoluta convinzione perdente che la sinistra per vincere deve andare al centro cioè a destra e quindi disprezza ad esempio la nuova leva dei giovani deputati democratici americani alla Alexandra Cortes, ovviamente da lui ritenuti pericolosi radicali.
C’è e forse non poteva non esserci visto come stanno andando le cose una parte, forse troppo ampia dedicata alla difesa dei suoi genitori, comprensibile, comprensibilissima, ma che sarebbe stata molto più efficace se contenesse almeno la constatazione che come imprenditori erano quanto meno una frana, non avrebbe guastato, anzi al contrario.
C’è invece delineata in modo poco chiaro e generico una accusa rivolta a un presunto complotto ordito contro di lui da parte sembra di “poteri forti” che ce l’avrebbero avuta con lui a causa del suo rifiuto di omologarsi a quell’establishment romano dove la regola è che quelli che formalmente sulla scena politica sono nemici giurati si siedano insieme a tavola e nei salotti sapendo di essere tutti di fatto alla stessa mensa.
Il mondo della politica romana è probabilmente descritto in modo corretto nel suo cinismo di fondo, ma l’oscuro complotto?
Si poteva forse anche risparmiarselo.
C’è poi ed è la colonna portante del libro una puntuale e corrosiva critica, spesso anche efficace condotta ai provvedimenti bandiera del governo giallo-verde : reddito di cittadinanza, pensione quota 100, decreto dignità, decreto anti corruzione, blocco dell’immigrazione.
Non è che ci voglia una verve polemica particolarmente puntuta per mettere in difficoltà, se non addirittura in ridicolo, provvedimenti e referenti politici impreparati e pasticcioni, ma va detto che questo libro ne fa una bella sintesi.
Il tentativo di sgretolare l’efficacia dei provvedimento governativi,servono al libro per consentire a Renzi di ricordare che lui avrebbe fatto le stesse cose e naturalmente meglio.
Se il governo giallo-verde rimarrà in piedi e i suoi provvedimenti avranno la possibilità materiale di dimostrare se sono fumo o se hanno consistenza, lo vedremo.
E’ chiaro a tutti noi che praticamene tutti i provvedimenti bandiera sono stati mal preparati, altrettanto male tradotti in termini giuridici e che hanno molte probabilità di concludersi in un grn pasticcio, anche perché i mezzi di comunicazione sono stati pressoché unanimi nel predicarci i loro difetti.
Un po di buon senso vorrebbe però che si giudicassero le cose per quello che sono e questi poveri provvedimenti ancora non sono in attuazione e quindi di cosa si blatera in continuazione?
Attenzione però a sparare a palle incatenate contro il reddito di cittadinanza, attenzione perché su questo specifico provvedimento è mia ferma convinzione che il PD si gioca l’anima oltre che la credibilità e la sua sopravvivenza politica.
Una politica contro la povertà chi l’ha mai fatta nell’Italia recente?
Berlusconi e Brunetta con quella card per disperati da usare per comprarsi quattro cose quattro?
Renzi con il ripetutissimo ed esaltatissimo RID, reddito di inclusione? 200 € medi che la ex ministra Boschi ha la sfacciataggine di alzare a 500 in televisione citando la quota calcolata per famiglia con 6 figli a carico, che rappresenta ovviamente la tipologia media italiana?
Il reddito di cittadinanza nasce pasticciato e quindi difficile da realizzare, ma vogliamo proprio cancellarci dalla testa per ragioni ideologiche e per partito preso il milione e oltre di persone che hanno dovuto restituire gli 80€ di Renzi.
Renzi, torniamo a lui, è talmente accecato da rancori ed odi che in questo libro arriva a dire che la storia dei 5 milioni di poveri è una gran balla perché conta anche evasori fiscali e lavoratori in nero.
Renzi infatti si produce in una critica puntuale spesso feroce e rancorosa contro questi provvedimenti e i loro autori, e questo poco si accorda con il continuo appello a superare il clima di odio che i giallo-verdi avrebbero diffuso, ammorbando il clima politico precedente.
Se questo discorso, forse fatto da un altro potrebbe anche avere un qualche senso, ma se si va alle pagine che Renzi dedica al fuoco amico della “vecchia sinistra” non viene fuori certo un condensato di buoni sentimenti ai quali ispirare la dialettica politica.
Se vogliamo usare questo libro per ricavarci una puntuale elencazione dei provvedimenti che Renzi ritiene sia riuscito a mettere a segno coi suoi governi per fare quello che lui ritiene un grosso e riuscito tentativo di riformismo, ebbene questa parte è ben costruita esponendo il punto di vista dell’autore.
Però sarà magari che mi sono distratto, ma mi pare proprio di non avere letto neanche un accenno alla riforma della pubblica amministrazione allora strombazzata come epocale, ci sarà una ragione.
Ma dove questo libro cade con il suo autore di copertina è sulla vicenda, questa si epocale, del rovinoso risultato del referendum costituzionale al quale il libro medesimo dedica solo pochissime e confuse parole.
Tralasciamo l’astio verso i costituzionalisti del fuoco amico, ma possibile che Renzi non ritenga di dovere al suo elettorato uno straccio di giustificazione ,un minimo di analisi, un accenno di autocritica?
Ma possibile che questo personaggio sia tanto arrogante e narciso da non aver ancora capito che quei costituzionalisti del fuoco amico erano gli esponenti più insigni della sua cultura e delle sue radici e che se a qualcuno avesse dovuto affidare una riforma costituzionale questi sarebbero stati proprio loro, che non avrebbero certo messo insieme quella indegna paccottiglia in sostituzione del Senato?
L’autore materiale di questo libro cioè probabilmente e come è d’uso il gost writer professionista, è stato abile nel cercare di mantenere coerente l’impostazione di fondo ispirata ,come avevamo detto all’inizio, a una visione tipica dei liberal anglosassoni ai quali chiaramente il Renzi vero si ispira apertamente, anche se come abbiamo visto il libro è un libro di contumelie, rancori e vero odio.
E infatti quando uno però arriva alla fine si dice : ma che c’entra l’alto pensiero liberal con tutte queste polemicucce?
I migliori e sinceri auguri a Renzi che è un giovane comunque brillante, ma dato che non ha saputo né fare autocritica né essere veramente sincero, che si dedichi ad altro, non alla politica, dove possiamo anche fare a meno di lui.