mercoledì 28 dicembre 2022

Kwaidan ,storie spaventose dal Giappone di yokai ,fantasmi e demoni. Lafcadio Hearn - Editore Libreria Pienogiorno - recensione

 





Che questo sia un libro “strano” non ci vuole molto per capirlo, ma direi che il lettore vi si accosta proprio per quello, anche perchè   il titolo e relativo sottotitolo non lasciano molti dubbi su quelli che saranno i contenuti.

Se poi passiamo alla figura dell’autore la “stranezza” nel senso di fuori norma aumenta ancora al limite del paradossale perchè ,come recita la relativa voce di Wikipedia, Lafcadio Hearn è un irlandese nato in un isola Greca da padre irlandese e madre greca. 

Cresce a Dublino, a 18 anni va da solo negli Stati Uniti dove vive in povertà fino a quando un amico lo introduce al giornalismo.

Portando avanti questa professione manifesta subito un particolare talento di scrittore descrivendo la vita degli emarginati.

Mandato in Giappone come corrispondente vi trova quello che individua come la sua vera patria,sposò una giapponese e coltivò un particolare interesse per le “storie tradizionali giapponesi” divenendone un divulgatore molto appezzato in quel paese ma anche in Occidente dove la conoscenza di quel paese asiatico non era certo particolarmente diffusa.


  • Il libro è una raccolta , mettiamola così per semplificare, di storie di fantasmi della tradizione giapponese.

Il Giappone visse gran parte della sua parabola storica del tutto isolato dall’Occidente fino al famoso approdo dell’Ammiraglio americano Perry a metà  ‘800, che tolse quel paese dall’isolamento ed alla così detta rivoluzione Meiji negli ultimi anni dell’800 ,che “occidentalizzarono” quel paese desideroso di modernizzarsi recuperando il tempo perduto il più in fretta possibile.

Come è facile immaginare questo improvviso salto nella modernità non è stato colto con entusiasmo da tutti e paradossalmente nemmeno proprio dal nostro autore che nei racconti della tradizione giapponese guarda a quelle credenze ed ai tempi passati che esse  ripropongono con un atteggiamento “romantico”.


  • Interessantissima la loro lettura non solo e non tanto per il carattere “esotico” di quei racconti ma anche ,almeno questo è il mio parere, perchè ci porta a riflettere sulle evidenti assonanze fra  quelle “storie” e quelle che ci vengono dal nostro altrettanto fascinoso medioevo.

Un tempo al medioevo veniva rifilata la solita sbrigativa qualifica di “anni bui” , mentre oggi gli storici tendono invece a ricercare in quegli anni le “radici” tutt’altro che buie della modernità che era in essi in gestazione.

Ci potremmo infatti chiedere quanto delle moderne neuroscienze è presente nell’immaginario dei “racconti di fantasmi” medievali.

In questa prospettiva non c’è proprio niente di “infantile” in quel mondo e in quelle credenze che se è vero che tendevano a “vedere spiriti dappertutto” non facevano altro che dare una veste metaforica al vaso di Pandora che secoli dopo avrebbe rovesciato il  Dr. Freud e le discipline scientifiche che da quelle intuizioni hanno avuto origine.

Quei demoni e quei fantasmi proiettati nella natura dagli antichi  racconti sono assolutamente reali nella nostra psiche e con loro combattiamo ogni giorno.


  • Non posso non sottolineare che se lo sguardo “romantico” con il quale Hearan guarda a quelle storie è del tutto evidente, quando lascia trapelare  abbastanza spesso un atteggiamento nostalgico , la filosofia che l’Autore sottende alla sua opera viene da lui palesemente enunciata nell’appendice denominata “storie di insetti” ed in particolare in quella dedicata alle formiche, dove esplicita il fatto che segue come filosofo di riferimento Herbert Spencer ,teorico del “darwinismo sociale”.

Con una certa dose di ingenuità Hearn descrive con non celato entusiasmo la “perfezione sociale” della complessa e raffinata struttura sociale nella quale vivono le formiche che non conoscono il male per il semplice fatto che sono programmate solo ed esclusivamente per eseguire compiti “socialmente utili”.

Non esiste l’individuo fra le formiche esiste solo il bene comune della società.

Come non esiste nulla di simile alla proprietà privata.

La società essendo tutta programmata per relizzare il suo bene comune ha di fatto abolito il sesso dato che le formiche sono nella quasi totalità di sesso femminile e i pochi maschi sono una classe inferiore  con l’ingrato destino di eseguire le proprie funzioni e poi scomparire.

Abolite quindi le pulsioni sessuali e quelle dirette alla promozione del proprio ego nascerebbe quindi un modello di società perfetta anche dal punto di vista etico.


  • Singolare fascinazione questa di Hearn con due evidentissimi difetti.

Prima di tutto non è lecito guardare al mondo animale con una lettura antropomorfa perchè gli animali e tanto meno gli insetti non hanno alcuna delle proprietà che fanno dell’uomo un uomo (intelligenza astratta, autocoscienza ecc.).

Secondariamente se l’uomo fosse spinto per evoluzione naturale a privilegiare le pulsioni altruistiche e a soffocare quelle egoistiche, sarebbe ingabbiato nella necessità.

Realisticamente occorre quindi riconoscere quello che la filosofia ha da sempre appurato e cioè che la contropartita delle antinomie intrinseche alla natura umana nella dialettica male-bene sono il prezzo da pagare per godere della libertà, presupposto supremo per fondarvi qualunque forma di etica.


giovedì 22 dicembre 2022

Telmo Pievani : Homo sapiens ed altre catastrofi Per una archeologia della globalizzazione - Meltemi Editore - recensione







* Non voglio spaventare il lettore ma solo correttamente mettere a punto le cose.
 Questo libro potrebbe tranquillamente essere adottato come un testo universitario di paleoantropologia e quindi come tale va preso.

* Perchè allora mi sono sobbarcato la lettura o meglio lo studio di un libro del genere? Perchè si tratta di una materia nuova nel senso che è perennemente “in progress” in quanto nuovi scavi nuove scoperte possono sempre scompaginare le precedenti acquisizioni. Perchè la trattazione curricolare della storia nelle scuole comincia come tutti sappiamo con la mezzaluna fertile fra Tigri ed Eufrate e dà solo qualche cenno del tutto marginale ed insufficiente sul “tempo profondo” della così detta preistoria e quindi di fatto ignora la materia.
 In altre parole si è sempre seguito il criterio estremamente restrittivo di fare partire lo studio della storia dalle civiltà che hanno lasciato le prime testimonianze scritte. 

 * Ma non ha senso conservare e diffondere una dimensione del tempo di derivazione medioevale che è appunto coerente ed al servizio della visione del mondo basata sull’idea omni-comprensiva della cristianità che riduceva la storia di fatto alla “storia sacra” che gira intorno ai 2.000 anni della chiesa cattolica.
La storia vera è ben altro e ben oltre.

 = Occorre allora fissare e conservare nella memoria alcuni paletti fondamentali :

 -big bang e nascita dell’universo un po meno di 14 miliardi di anni fa 
 -formazione della Terra 4,5 miliardi di anni fa
 -nascita della vita 4 miliardi di anni fa
 -apparizione dei primati 55 milioni di anni fa 
 -apparizione degli ominini 4,5 milioni di anni fa
 -apparizione dell’homo sapiens 200.000 anni fa 
 -rivoluzione cognitiva (acquisizione dell’intelligenza astratta etc.) 60.000 anni fa 
 -rivoluzione agricola 11.500 anni fa 

 * Dallo studio di queste date appare del tutto evidente che i 2.000 anni di storia che di fatto finiamo per intendere come tutta la storia del genere umano, se pure con l’appendice dei 3.000 anni di storia prima di Cristo che si studiano a scuola sono in realtà solo una piccolissima parte della storia reale della nostra specie

 * Fissato il concetto di tempo profondo questo pregevole testo di Telmo Pievani, scienziato e divulgatore ben noto, ripropone i concetti fondamentali della evoluzione “inventata” da Charles Darwin, ai quali ha dedicato tutta la sua attività scientifica. 

 * In breve Pievani ribadisce che l’evoluzione non è un processo che va inesorabilmente verso un progresso continuo e necessitato ,ma è il risultato di mutazioni contingenti che avrebbero potuto quindi portare anche ad altri esiti. 
Ma questo non significa che il mondo sia in balia del caso perchè esistono come costanti le leggi fisiche, che ci rendono il mondo conoscibile e anche nel processo evolutivo esistono dei “patterns” che si ripetono.

 * Fondamentale a mio avviso il pensiero che non a caso Pievani ha espresso a conclusione del libro spiegando che il fatto che l'evoluzione proceda per contingenza e non per necessità verso un fine predeterminato da forze esterne è la base della nostra libertà e conseguente responsabilità.

giovedì 15 dicembre 2022

Alba Donati : la libreria sulla collina -Editore Einaudi - recensione

 




Avevo quasi perso il piacere di affrontare libri di narrativa, abituato come sono a leggere prevalentemente saggistica.

Mi ci sono avventurato e non mi sono pentito perchè questo è un libro molto particolare, provenendo da un personaggio veramente singolare.

Da Wikipedia apprendiamo che Alba Donati è lo pseudonimo di Alba Franceschini, poetessa e critica letteraria italiana,ha lavorato per la Rai ha pubblicato diverse raccolte ,presidente del Gabinetto Vieusseux, a un certo momento ha lasciato Firenze per vivere a Lucignana di Lucca,paesino abitato da 170 persona dove apre una libreria/cottage con giardino.

Ma usciamo da Wikipedia e andiamo direttamente al libro.

Lo dico subito, il primo impatto può lasciare perplessi perchè va bene la sperimentazione ma il lettore  medio non c'è abituato e si aspetterebbe un racconto con un capo e una coda.

Ebbene questo non è il caso.

Ma dopo qualche istante nel quale si boccheggia si sale ben presto in superficie e si scopre che l'autrice ci sa fare eccome e che la scelta formale del diario è il perfetto pretesto per parlare a ruota libera dei mille personaggi fotografati nella sua memoria in quel paesello dalle mille risorse.

Devo dire anche questo, mi è capitato nella vita di fare esperienza di un piccolo paese pure di appennino appunto come il Lucignana del nostro libro e conseguentemente ho vissuto nel mio immaginario l'esperienza della scoperta e della sorpresa.

La sorpresa di capire a poco a poco che quel piccolo mondo è in realtà un piccolo universo rappresentativo concedetemi la parolona "dell'universo mondo".

E che la scoperta e la sorpresa procurano soddisfazione ed appagamento a chi si trova a condividerle nella misura in cui si è più o meno ricchi di umanità.

L'autrice dimostra di possedere una cultura di livello e ampiezza invidiabili e questo può intimidire ma anche rischiare di colpirci come una non voluta forma di arroganza intellettuale se non fosse brillantemente superata proprio dalla continua dimostrazione di una grande sensibilità umana capace di relazionarsi con l'umanità degli altri che come sempre nella vita si presenta anche sotto la forma della sofferenza degli altri.

Sembra un paradosso ma questi altri, che giorno per giorno ci vengono presentati ,sono talmente tanti che alla fine ci possono risultare anche troppi per potere serbarcene la memoria.

Difficilmente però ci dimenticheremo delle figure che ci vengono descritte in modo estremamente vivido direi proprio per la loro singolare umanità a cominciare dalle persone dei familiari dell'autrice, madre, padre,fratello etc. che diventano personaggi.

Sarà eccesso di abilità da scrittrice o semplice caso ma ogni tanto nel libro viene citato il compagno dell'autrice ma di lui non ci viene detto incredibilmente assolutamente nulla al di là del nome di battesimo ,eppure ne esce come un comprimario.

Ho lodato la grande umanità dell'autrice ma non posso tacere anche che essendo un figura che si è trovata un posto non trascurabile nel panorama culturale ed editoriale italiano si permette anche qualche vezzo che del resto dimostra benissimo di sapere di avere e di non farsene alcun cruccio.

Per l'autrice tanto per cominciare essere una maschio e non una femmina per un autore è un bel guaio dato che lei è chiaramente portata a preferire di gran lunga le autrici rispetto agli autori.

Appena dopo non si può non osservare che gli autori, o meglio le autrici se parlano di argomenti legati alla natura declinata soprattutto nel settore piante e giardini sono destinate a giocare in serie A solo per questo.

Del resto lei stessa non nasconde il fatto che se i clienti-visitatori escono con i libri delle autrici da lei preferite prova un particolare piacere.

Singolarmente l'autrice non ritiene di far valutare la propria cultura facendo citazioni di classici, che anzi nomina con perfino eccessiva parsimonia.

Ognuno ha i propri "pallini" intellettuali e siccome anch'io come tutti ne ho ,mi sono trovato ad apprezzare particolarmente la sua vigorosa rivalutazione di Giovanni Pascoli così male interpretato in genere nei percorsi scolastici.

Per la stessa ragione ho condiviso l'amore per "la pioggia nel pineto" di D’Annunzio per la quale ho grandissima considerazione pur sapendo che non so per quale maledizione fa parte a quanto pare dei non buoni ricordi scolastici di molti.

Mi ha stupito invece che una una così raffinata cultrice di letture di paesaggi botanici non abbia citato le incredibili pagine che Marcel Proust dedica ai "myosotis" in "Du cotè de chez Swann".

Saggi, mi pare che non ne venga citato neanche mezzo ad eccezione ovviamente di un testo di Mancuso il botanico.

Di filosofia nulla.

La cosa mi lascia un po’ perplesso ma rispetto la scelta.

Libro singolare questa libreria sulla collina, ma che lascia il segno, e solo per questo vale la pena di leggerlo.





lunedì 5 dicembre 2022

Domino Rivista sul mondo che cambia numero 8 - 2022 L'importanza di essere America - la superpotenza si mostra depressa, divisa al suo interno.Intanto la Russia in Ucraina raffredda la crisi al confine polacco e allontana la Cina da Taiwan - recensione


 

Rischio di ripetermi ma ad ogni nuovo numero di Domino che leggo non posso fare a meno di sorprendermi di come Dario Fabbri inventandosi il format di Domino sia riuscito nell'impresa tutt'altro che facile di confezionare una rivista di geopolitica intrigante e leggibile anche da un lettore di media cultura che probabilmente non avrebbe mai affrontato la lettura di riviste di geopolitica più seriose e soprattutto più ponderose.

L'editoriale dello stesso Fabbri che a Limes, lo ricordo, era direttore scientifico proprio per l'area America e che quindi è uno dei più accreditati specialisti di Usa firma come sempre un pezzo brillante nel quale però non può fare a meno di sforzarsi di presentare anche al lettore alle prime armi i parametri di lettura tipici della geopolitica, parecchio diversi di quelli degli editorialisti dei media diciamo “generici”.

Se mi si consente l'ardita semplificazione gli analisti di geopolitica come Fabbri si sforzano di far capire al lettore prima di tutto che l'America è impegnata a perseguire nel mondo anzitutto quelli che ha individuato come il suo interesse strategicico di potenza egemone e se questi dovessero coincidere con la diffusione della libertà e della democrazia, tanto meglio, ma deve essere chiaro quale sia l'obiettivo primario reale, che è altro.

Molto simpatico il fatto che Fabbri abbia deciso di ospitare subito dopo il suo editoriale un articolo di Federico Rampini, cioè di un editorialista dei media "generici " ,se pure dotato di particolare caratura e di senso critico decisamente più elevato di quello dei suoi colleghi.

Ricorderà il lettore che quando Rampini è approdato a “coprire” la Cina aveva deciso tra l'altro non per vezzo ma per rispetto a quella cultura millenaria che era andato ad esplorare di vestirsi conformemente a quelle usanze (come aveva fatto del resto qualche anno prima anche il grande Terzani).

Poi dopo anni di permanenza in Asia, Rampini era tornato negli Usa, dove tra l'altro aveva conquistato da tempo la "carta verde" ,che dà diritto alla cittadinanza, e da allora sembra sempre più convinto della superiorità del "sistema americano".

Ricordo che anche Fabbri scommette sulla tenuta alla lunga della supremazia americana per il vantaggio competitivo dei suoi parametri geopolitici "fondamentali" (posizione geografica,demografia, narrazione e pedagogia imperiale ,supremazia economica-tecnologica e militare nei mari, ecc.).

Fabbri e Rampini non si sottraggono alla domanda che ci si fa in qualsiasi bar sport d'Italia : chi sta vincendo la guerra in Ucraina e come andrà a finire?

Ma non vi dico la risposta perchè la mia anticipazione sarebbe una banalizzazione di una analisi seria che va lasciata agli autori.

Posso però anticiparvi che gli articoli o brevi saggi che seguono quelli di Fabbri e di Rampini li ho trovati di grande interesse e di veramente piacevole lettura anche perchè con molto realismo relativizzano di molto il discorso su chi vince-chi perde.

Peggio che peggio poi se si tenta di ragionare su :ma allora ne valeva la pena?

La risposta che mi sembra venga fuori e che giudico corretta è un si ma.

Nel senso che va bene ottemperare a una esigenza etica (punire l'aggressore) ma va ancora meglio chiarire bene i costi e la sostenibilità che questo ne comporta.

Per non parlare della compatilbilità o meno con gli interessi strategici del nostro paese, come richiede l’approccio geopolitico.

Benissimo quindi costringere il lettore a mettere i piedi per terra vedendosi quello che viene fuori dall'intervista che Fabbri fa a Scaroni ,ex Ceo dell'Eni che non essendo al momento in quella carica può concedersi di parlare in modo molto chiaro e trasparente.

Tutto bene allora,tutto perfetto?

Ma no non è ragionevole pretenderlo e infatti avrei sinceramente evitato l'articolo dello storico militare Ilari ,dottissimo ma anche pesantissimo.

Personalmente ritengo però che la chicca del fascicolo sia l'articolo di Dario Quintavalle, esperto ed operatore di cooperazione internazionale ,che tra l'altro ha operato per conto della sua agenzia per cercare di formare nell'Ucraina pre guerra un sistema giudiziario che superasse almeno il minimo sindacale della decenza pare con scarso successo.

Ecco vi consiglio caldamente la lettura di questo articolo perchè ritengo che sia fondamentale per cercare di rispondere alla domanda che ponevo sopra : ma ne vale la pena? o meglio fino a che punto ne vale la pena?

Infine udite udite questa singolare rivista di geopolitca si permette di dedicare l'intero ultimo capitolo al calcio, cosa impensabile per una rivista specializzata di questa materia.

Capitolo per altro godibilissimo.





sabato 19 novembre 2022

Francesco Costa : La fine del sogno - California – Ed. Mondadori – recensione

 





Ma guarda quest’arancia quanto è grossa, assomiglia a quelle della California che sono grosse come meloni, ecco questa era una delle cose che si dicevano fra noi e che sentivo dire fin da bambino.

Avevamo afferrato una delle caratteristiche di quello Stato americano dove tutto è “troppo”.

Bene Francesco Costa ci dice anche questo della California e in questo non contraddice il nostro bagaglio “culturale”.

Ma le conferme ve lo assicuro si fermano qui, il resto il lettore lo vedrà, è tutta una scoperta che contraddice eccome le leggende metropolitane e i luoghi comuni dei quali ci siamo convinti, a torto.

Ottimo libro questo saggio lungo quando basta e scritto bene da un giornalista abituato a parlare solo di cose delle quale ha esperienza diretta e sulle quali ha anche consultato i testi principali.

Costa prende subito il toro per le corna e parte esponendoci l’incredibile contraddizione di questo Stato che è forse quello al mondo che più di qualsiasi altro abbiamo promosso a simbolo “delle nostre brame”, del nostro immaginario collettivo, dove tutto va al massimo, dove il futuro è già lì. Dove giovani talenti in un garage ,trasformato in pensatoio-laboratorio, hanno cambiato il mondo e la storia inventando tutto quello che è moderno e diventando immensamente ricchi, come nelle botteghe-atelier dei nostri geni del Rinascimento con la differenza che quelli sono sì diventati famosissimi, ma certo mai ricchi sfondati.

La California insomma è al culmine dei nostri sogni.

Anche se Costa ci dice chiaramente che per uno che riesce a integrarsi e a sopportare i ritmi di lavoro infernali che usano nelle cattedrali della tecnologia, ce ne sono molti che non ce la fanno e che spesso deragliano.

Ahh! A proposito di quei luoghi, voi lettori cosa pensate che sia proprio geograficamente la Silicon Valley? Qualcosa tipo la Valtellina in California?

Non ve lo dico, ma il libro lo spiega bene.

Ma se la California la vediamo come il paradiso in terra , allora come si spiega il fatto, assolutamente contro-intuitivo, che ha fatto intitolare a Costa il primo capitolo del libro addirittura : “la fuga”, perché dalla California negli ultimi anni la gente scappa anzi è già scappata e in massa, perché non voleva più viverci, esasperata dai troppi problemi non risolti.

Per andare sapete dove? Prevalentemente in Texas dove nel nostro immaginario collettivo ci sarebbe tutto il contrario della California e cioè tradizionalismo esasperato, oscurantismo religioso e culturale eccetera eccetera.

Leggete il libro e vedrete che le cose non stanno proprio così e che la contraddizione della quale stiamo parlando è solo apparente.

Ma come nella mitica San Francisco, che per far vedere ai nostri amici che siamo “fluent in English”, chiamiamo confidenzialmente “Frisco” , come in California non fa proprio nessuno, ci dice Costa, c’è il più alto numero di senza tetto di tutta l’America e molti per le strade fanno quello che normalmente si fa nelle toilette, peggio che nei quartieri degradati di Mumbai?

Ma come ! disgustati dalla pochezza della nostra classe politica, vorremmo avere noi gli amministratori di quel paradiso in terra.

Forse perché non abbiamo la minima idea del fatto che l’ininterrotto potere del Partito Democratico che in California prende anche l’80 % dei voti da decenni ha cristallizzato quella classe politica che non essendo sollecitata da reali oppositori si è chiusa in un tale massimalismo ideologico, da essere del tutto fuori dal mondo e incapace di affrontare realisticamente problemi che sono divenuti immensi.

Non si può costruire più da anni neanche un pollaio per l’opposizione degli intransigenti ambientalisti democratici,manca addirittura l’acqua nel Paradiso dell’agricoltura, i servizi di base sono talmente mal gestiti che manca la corrente elettrica per qualche tempo quasi tutti i giorni, gli incendi divenuti sempre più giganteschi ,causa il cambiamento climatico, sono tali da essere praticamente ingestibili, e il big one è sempre lì a evocare la fine del mondo dato che la faglia di Sant’Andrea è sempre lì.

Ebbene non è tutto oro quello che luccica in California e Francesco Costa ce lo spiega bene e senza fare sconti a nessuno, ma di oro in California ce n’è ancora moltissimo sia in senso materiale che in senso metaforico.

Leggiamolo questo libro ,sarà tempo speso bene.





mercoledì 9 novembre 2022

Luca De Biase, Telmo Pievani : Come saremo. Storie di umanità tecnologicamente modificata Ed. Codice - recensione

 



Telmo Pievani, più volte recensito sul mio blog come è noto insegna Filosofia delle scienze biologiche all’Università di Padova, ma è anche e forse sopratutto un abilissimo divulgatore.

In parole povere penso sia corretto dire che quello che del pensiero evoluzionistico è stato metabolizzato nelle menti del cittadino comune è in gran parte merito della sua attività sia come scrittore sia come conferenziere.

Non è però un “futurologo”, ammesso che esista questa materia.

Quindi non aspettatevi da questo suo libro scritto in collaborazione con Luca De Biase, docente anche lui all’Università di Padova per il Master di Comunicazione ed Editor di innovazione al Sole 24 Ore, un elenco delle meraviglie futuribili con relative previsioni di accadimento.

Oddio, di fatto quest’elenco c’è ,ma viene riferito non per soddisfare le pur legittime curiosità del lettore ,ma per indurlo ad una più profonda riflessione sul fatto che l’incredibile progresso tecnologico di questi ultimi anni è qualcosa di assolutamente inedito per la specie Homo Sapiens.

E quindi se proprio vogliamo semplificare al massimo un problema così serio non siamo nelle condizioni di dire come andrà a finire, per il fatto che abbiamo manipolato il pianeta oltre ogni ragionevolezza al punto da rischiare non certo di essere noi a distruggere una natura alla quale di noi non importa proprio nulla, non illudiamoci di essere il dominus dell’universo ,come si credeva un tempo, ma di portare la nostra specie all’estinzione precoce, dato che siamo sulla Terra fra le specie più giovani e quindi con una storia minima confrontata con quella enormemente più lunga ad esempio dei batteri o dei virus.

Il filosofo della scienza che c’è in Pievani ha chiaramente l’ambizione di vole indicare il metodo evoluzionista come verosimile e funzionale candidato a spiegare il cammino rapidissimo della tecnologia.

Le domande al quale questo validissimo libro tenta di rispondere non riguardano quindi cose come quando cominceranno a diffondersi le automobili a guida autonoma o quando potremo comprarci un computer con tecnologia quantica.

La domanda delle domande che si pone questo libro è molto più seria e profonda : riusciremo ad essere noi a governare la tecnologia?

Pievani non lo dice ma illustri suoi colleghi e forse anche suoi maestri come i filosofi Emanuele Severino e Umberto Galimberti hanno dedicato allo sviluppo della tecnologia ponderose opere di primo piano che non sprizzano affatto troppo ottimismo, ma anzi affermano senza mezzi termini che la politica non è più nelle condizioni di governare alcunchè e che il potere reale ormai è nelle mani della tecnologia, per il fatto che risolvere problemi sempre più complessi non è più nelle capacità della politica.

Pievani mi pare sia più aperto a intravedere scenari governabili purché ovviamente si proceda in un certo modo.

Ci sono un sacco di spunti e di riflessioni di grande interesse in questo libro.

Vado a memoria e non in ordine di importanza.

Ad esempio l’enorme importanza che assume lo studio della città, del suo sviluppo e del ripensarla per consentire di vivere in modo più umano.

Il pensiero oggi dominante basato sul liberismo senza freni vuole che lo sviluppo prima di tutto economico sua continuo e sostiene che per avere sviluppo bisogna garantire proporzionale incremento demografico.

Questa opinione fortunatamente è stoppata dagli scienziati che vi oppongono l’analisi dei dati che dimostra che il pianeta non può sostenere ulteriore sviluppo demografico e che questo porterebbe inevitabilmente a un proporzionale incremento delle disuguaglianze e quindi ad un peggioramento delle condizioni di vita.

Ma la cosa più eclatante che emana dalla lettura dei libri di Pievani trovo che sia la dimensione temporale che risulta ogni volta scioccante.

Direi che tuttora non siamo culturalmente ancora preparati a guardare alla nostra specie come a un fenomeno che va nostro malgrado relativizzato.

Nel senso che non siamo il dominus dell’universo proprio a cominciare dalla dimensione storica.

La storia non comincia dalla mezzaluna fertile fra Tigri ed Eufrate dove abitarono i popoli che cominciarono ad esprimere una cultura tramandabile tramite la scrittura, ma molto ma molto prima.










mercoledì 2 novembre 2022

Maria Turchetto : “666 recensioni diaboliche a cardinali, papi ,teologi e dei “ Ed. Formamentis -recensione

 



Sono sorpreso, molto sorpreso perché non mi capita praticamente mai di pentirmi di avere speso tempo per leggere un libro.

Purtroppo questa volta è andata così, per colpa mia intendiamoci, dato che do ovviamente per scontato che l’autore, in questo caso l’autrice sia liberissima di scrivere quello di vuole e di praticare il pensiero che più le aggrada.

Quindi mi sono irritato più con mè stesso che con l’autrice.

Perchè allora mi sono imbarcato nella lettura di questo libro e per di più sono andato fino alla fine nella lettura?

Perchè mi è capitato di ascoltare su YouTube una interessantissima conferenza di Telmo Pievani dal titolo niente meno che :“Darwin credeva in dio?” e al medesimo tavolo di Pievani sedeva appunto anche l’Autrice di questo libro tra l’altro più volte citata dal conferenziere.

Di conseguenza ho fatto una breve ricerca e ho appurato che Maria Turchetto è un’accademica, che ha insegnato economia all’università che ha scritto alcuni libri su Rosa Luxemburg e altri ancora di argomento economico , che aveva collaborato al “Vernacoliere” e diretto l’”Ateo”.

Fra le sue pubblicazioni vedo segnalato questo libretto e mi aspetto di trovarvi una raccolta di gustose satire anticlericali.

Del resto io stesso sul mio blog non ho risparmiato insieme alle critiche non poche battutacce su alcuni degli esponenti del cattolicesimo più tradizionalista dei quali parla anche la Turchetto e quindi figuriamoci se potevo immaginare che i suoi articoli potessero scandalizzarmi.

Quello che mi irrita molto e forse anche mi scandalizza è invece trovare in questo libretto una assoluta mancanza di rispetto per chi d’accordo ha fatto parte del mondo clericale come il Cardinal Martini, ma che ritengo semplicemente offensivo per il più elementare buon senso e un minimo di onestà intellettuale possa essere equiparato a suoi colleghi ultra-tradizionalisti.

Conterà bene la cattedra per i non credenti che Martini aveva inventato e tenuto per anni riempendo regolarmente il Duomo di Milano non certo di beghine e beghini assortiti, ma sicuramente anche di una buona parte di atei agnostici e razionalisti, come penso si definisca la Prof. Turchetto.

Conterà bene la sottigliezza di pensiero e la sensibilità umana di un intellettuale che anche se portava la tonaca e e le insegne cardinalizie diceva per esempio grosso modo : non ho difficoltà a dialogare con un non credente, ho difficoltà a dialogare con chi non pensa o con chi ha la fede ma non sa usare il discernimento.

Non era un oscurantista dogmatico Martini, anche se sinceramente non ho mai capito come riuscisse a conciliare il suo pensiero umanista e razionale con l’indefesso studio di una Bibbia alla quale personalmente non ritengo si possa in alcun modo dare la dignità di libro rivelato, che riporta alcune tradizioni di antica saggezza insieme a una grossa quantità di sciocchezze.

Ma fare della satira su arroganti e supponenti reazionari in abito curiale è facilissimo e ce n’è una bella fila coi quali cimentarsi da Ruini a Biffi; da Scola a Bagnasco; da Caffarra a Fisichella e chi più ne ha più ne metta.

Ma Martini cosa c’entra con costoro,quando ha in comune con loro solo la veste, e mi sembra un po poco.

Peggio ancora mi chiedo come faccia la Turchetto a cercare di ridicolizzare il lavoro di un teologo diventato filosofo come Vito Mancuso, fingendo di ignorare il suo lungo e travagliato percorso intellettuale dal seminario al rifiuto della veste fino al riscrivere con grandissimo impegno la teologia cattolica cercando di liberarla dal peso di una dogmatica ormai fuori dal tempo e dal mondo ,per sposare una nuova forma di spiritualità razionale, contro ogni dogmatismo e presunte verità fondate su autorità esterne.

Trovo veramente inspiegabile che questo modo di ragionare provenga da una intellettuale qualificata.

Se penso alla costante considerazione e rispetto che Vito Mancuso manifesta per i non credenti e gli atei non vedo come sia possibile per una intellettuale atea farsi beffe di uno che ha dedicato una vita per consentire di parlarsi in nome della condivisa umanità ad atei e credenti semplicemente nella spiritualità non istituzionalizzata in alcuna religione, ma anche con quelli se almeno disposti a uscire dai dogmatismi autoritari.

Alla fin fine mi sembra che questo libretto dedicato a far satira non riesca a far ridere proprio perché alla fin fine contrappone al dogmatismo clericale un’altra forma uguale e contraria di dogmatismo anche se declinato come ateismo.

Ma lo ripeto l’autrice ha tutti i diritti di esprimere il suo punto di vista, sono io che ho sbagliato libro da leggere.










lunedì 24 ottobre 2022

Domino – rivista sul mondo che cambia – “La tempesta perfetta .Escalation nucleare, shock energetico, crollo delle temperature. Mentre cala il gelo tra Roma ,Parigi e Berlino” – Ed.G.O.L. - recensione

 



Prosegue ormai a tempo indeterminato il darby fra Limes e Domino, che diventa ancora più diretto perché riproducendo passo dopo passo le strutture di Limes anche Domino annuncia di avere aperto “la scuola di Domino” cioè una scuola di geopolitica.

C’è spazio per tutte e due le iniziative?

A quanto pare si.

Vedremo.

Sinceramente a vedere quanto rimangono conformisti e monocordi i media italici mi sembra poco verosimile che tanti editorialisti così supponenti capiranno mai che per parlare di un tema occorre prima di tutto tanto studio specifico e quindi si butteranno mai a centellinare ogni numero di Limes e Domino, prima di parlare ad esempio di Russia e Ucraina, ma sarebbe bello se fosse così.

Certo questo settimo numero di Domino non delude.

Tanto per cominciare dedica praticamente due terzi dei saggi su Russia e modo di pensare russo.

Proprio quello che i media non fanno neanche per sbaglio, temendo di essere fraintesi come filo-putiniani, come se sentire almeno ogni tanto anche la narrativa della parte opposta per potersi fare un giudizio critico, non fosse la più ovvia delle regole per parlare di una guerra.

M pare che questo sia fantascienza.

Ecco però che in questo panorama informativo così carente la serietà e il rigore degli analisti di geopolitica fornisce un apporto veramente prezioso.

Seguendo gli autori dei saggi geopolitici ho scoperto ,confesso la mia precedente ignoranza, la presenza di siti di questi autori che arrivano a livelli di specializzazione impensabili in altri tempi. Ne voglio citare uno a titolo di esempio “parabellum.com” di Mirko Campochiari che è in grado addirittura di fornire la situazione sul campo delle operazioni belliche Russo-Ucraine pressoché in tempo reale.

Altro che i nostri telegiornali.

Ma torniamo al numero 7 di Domino.

Come detto sopra parla a lungo della Russia dei Russi, che non è la Russia di Putin, per la semplice ragione che a parere degli analisti è Putin a rappresentare il sentire del suo popolo non viceversa.

Basterebbe questo discorso ovviamente molto ben appoggiato da documentazione adeguata a far capire quanta strada deve ancora fare un mondo mediatico approssimativo e monocorde.

Gli analisti non sposano alcuna parte per definizione, diversamente avrebbero sbagliato mestiere.

Ho trovato particolarmente interessante il saggio sui paesi baltici sui quali sapevo pochino come immagino molti altri.

Terribilmente interessante anche il saggio che mette in evidenza le più che verosimili conseguenze del bombardamento di notizie che gli apparati americani e britannici hanno diffuso prima dell’invasione russa appunto dandola per certa senza riuscire a preoccupare i paesi “amici”, ma innescando un pericolosissimo meccanismo psicologico che può avere spinto la dirigenza russa ad agire sconsideratamente.

Anche se l’argomento più significativo del fascicolo è quello dedicato al rischio che l’escalation del conflitto possa sfociare nell’uso dell’arma nucleare per tattica che sia.

Questo saggio va proprio letto in modo prioritario perché mette in luce un infernale meccanismo che probabilmente veramente ben pochi nel nostro paese conoscono e ancor meno hanno chiaro.

I meccanismi Nato nel caso di uso del nucleare ci costringerebbero a partecipare alla guerra non dal nostro salotto ma “boot on the ground” per essere chiari e addirittura si dice la zona geografica che sarebbe di nostra pertinenza : il Donbas.

Forse sarebbe il caso di darsi una svegliata.










martedì 18 ottobre 2022

Telmo Pievani : La natura è più grande di noi – Storie di microbi di umani e di altre strane creature - Editore Solferino – recensione

 



Non è un caso che il libro di Telmo Pievani, docente di filosofia delle scienze biologiche presso l’Università di Padova sia stato pubblicato dall’Editore Solferino per il fatto che il volumetto raccoglie in gran parte articoli che l’autore ha scritto nel tempo sul Corriere della Sera.

L’autore medesimo è un personaggio ben conosciuto e si è reso benemerito al grande pubblico per la sua abilità di dedicare del tempo alla divulgazione scientifica.

Al di là dei titoli accademici è sicuramente il più noto evoluzionista italiano.

Se il pensiero di Darwin è oggi largamente conosciuto in Italia buona parte del merito va proprio a lui.

Ricordo tra l’altro l’importante evento che Pievani ha curato anni fa al Mudec di Milano proprio su Darwin e la storia dell’evoluzione raccogliendo un importante successo anche per la parte dedicata alla Didattica con notevole partecipazione delle scuole.

Mi pare sia un personaggio singolare nel senso che data la cattedra accademica che ricopre dovrebbe essere un filosofo della scienza, ma sinceramente mi sembra che la sua opera sia pressoché totalmente nell’ambito della scienza e della divulgazione scientifica.

Come filosofo mi sembra meno convincente, ma ne parleremo dopo.

Come indica il sottotitolo il libro non segue un unico canovaccio ma spazia su argomenti diversi.

Siamo sempre però nel campo dell’evoluzione, della biodiversità, del riscaldamento climatico e delle sue conseguenze.

Appaiono anche i piccoli saggi che l’Autore ha dedicato nel tempo alla pandemia di Sars particolarmente coinvolgenti perché Pievani è un bergamasco, cioè nativo e deduco anche residente di quel territorio che alla pandemia ha pagato il tributo più alto, compresa la vita di suo padre, nel momento del lockdown più rigoroso.

Personalmente ho un bagaglio di cultura prevalentemente umanistica e quindi non sono attrezzato per seguire argomenti scientifici se questi si addentrano in argomentazioni tecnico scientifiche di tipo accademico.

Apprezzo quindi da tempo l’attività del Prof. Pievani che sa conservare il rigore dello scienziato parlando e scrivendo però in modo da essere compreso anche da chi come mè della biologia ha solo un’infarinatura.

Voglio dire che inevitabilmente se l’argomento è quello, chi ne parla non può non usare i termini appropriati, ma che quando il medesimo si addentra fra mitocondri, organelli ,eucarioti ,aminoacidi e via di seguito deve essere capace di lanciare un salvagente al lettore comune che sta affogando, rinfrescandogli un po la memoria arrugginita dai tempi della scuola e cerchi di farsi capire.

Ecco questo libro è leggibile da tutti, quasi per intero, anche se inevitabilmente qualche passo lo confesso può rimanere un po ostico, ma questa succede molto raramente.

Le cose interessanti delle quali si parla nel libro sono veramente molte.

Tanto per cominciare è inevitabile che l’esponente più noto al grande pubblico degli evoluzionisti si senta in dovere di fare guardare il lettore alla natura con la prospettiva tipica degli evoluzionisti che hanno una concezione del tempo che è lontanissima rispetto a quella alla quale facciamo riferimento noi comuni mortali tutti i giorni.

Purtroppo i programmi scolastici lasciano nel buio più nero quello che sta prima delle civiltà sorte fra Tigri ed Eufrate.

Prima c’era l’uomo delle caverne che rincorreva i mammut.

Ecco non credo che il nostro bagaglio acquisito a scuola vada troppo oltre questa semplificzione.

Ne deriva allora che quando gli scienziati come Pievani parlano di universo formatosi 13,8 miliardi di anni fa andiamo a finire in apnea.

Non migliora la sensazione quando si apprende che la nostra specie cioè l’Homo sapiens ha la bellezza di 200.000 anni mentre la vita è comparsa 3,7 miliardi di anni fa.

La nostra specie quindi pur navigando per tempi molto più ampi di quello che crediamo comunemente è molto giovane, rispetto alla nascita della vita per esempio.

La nascita della vita significa in pratica batteri cioè microbi.

Fondamentale quindi il saggio sui microbi che compare in questo volume .

I microbi sono la prima forma di vita molto ma molto più anziana abitatrice del pianeta rispetto a noi.

Il libro è tutto godibile, se devo riportare un impressione personale a me ha interessato in modo particolare la descrizione dei cefalopodi, i molluschi, fra i quali per intenderci ci sono i polipi.

Interessanti non solo per la loro prelibatezza gastronomica, ma sopratutto per la assoluta rilevanza della loro intelligenza distribuita fra gli otto tentacoli.

Solo questo fatto rende difficile immaginare di come relazionarsi con loro ,per metterci nei loro panni dovremmo immaginarci come se avessimo il cervello distribuito fra mani e piedi.

Considerazione finale.

A mio parere questo è un libro che tutti dovrebbero leggere per allargare le loro conoscenze.

Mi ha sempre interessato moltissimo il Pievani formidabile divulgatore scientifico e alfiere dell’evoluzionismo, che rimane una delle acquisizioni scientifiche più basilari di tutta la storia della scienza.

Non nascondo però che alcune argomentazioni del Prof. Pievani quando si presenta nelle vesti di filosofo mi hanno sempre lasciato perplesso.

Per spiegarmi meglio direi che mi sta bene l’insistere di Pievani sul fatto che alla base del meccanismo dell’evoluzione non c’è nulla di finalistico ma c’è solo quello che non ci riesce di definire diversamente che il caso, e che Pievani chiama correttamente contingenza.

Capisco che Pievani voglia insistere sul fatto che le cose sono andate così nella storia dell’evoluzione ma che potrebbero essere andate anche diversamente,(e questa è proprio la definizione di contingenza) ma non mi ritrovo più quando lo stesso autore sostiene che non esiste una tendenza alla sempre maggiore complessità e quindi verso un progresso, un miglioramento, chiamiamolo come si vuole, perché questo mi sembra di tutta evidenza e non il contrario.

Siamo natura, siamo polvere di stelle, siamo parte del mondo animale va bene siamo “anche” questo, ma siamo anche altro che è il riconoscere la nostra assoluta unicità nell’universo e che è qualcosa che supera la biologia.

Abbiamo il 94% di patrimonio genetico in comune con lo scimpanzé, ma abbiamo anche capacità di ragionamento, di astrazione, di linguaggio, di autocoscienza che lo scimpanzè non ha e che ci rendono unici e oltre al regno animale del quale siamo pure parte.

Abbiamo la capacità di riconoscere l’etica ,l’arte e la spiritualità perché siamo liberi, gli altri animali non dispongono della libertà e non possono nemmeno concepirla.

Ecco su questo discorso chiaramente di tipo filosofico col pensiero di Pievani ci si trova in uno spazio un po nebuloso o ambiguo.

Mi pare che Pievani abbia superato un tipo di pensiero che abbia come uniche chiavi di lettura “materialismo” e “necessità” bene espresso per esempio a suo tempo dalla visione di Jaques Monod per intenderci, ma avverto ancora un certo preconcetto verso il riconoscimento del valore della spiritualità.

Attenzione, spiritualità non superstizioni o religioni più o meno istituzionalizzate.

Non nascondiamoci dietro a un dito, tutti sappiamo che l’ostacolo principale al riconoscimento del meccanismo dell’evoluzione per il grande pubblico è stato ed è il creazionismo basato su nient’altro che sulle mitologie delle religioni del tutto incompatibile con le evidenze scientifiche, ma attenzione a non buttar via il bambino (il riconoscimento della spiritualità) con l’acqua sporca (il dogma religioso del creazionismo).









lunedì 10 ottobre 2022

Limes “Il mare italiano e la guerra” Numero 8 / 2022 La tempesta bellica agita le onde di casa. Come la Russia aggira la Nato. In Ucraina la posta è anche il Mar Nero - Edizioni Gedi – recensione

 



Contemporaneamente all’uscita di questo numero della Rivista, Limes ha tenuto a Trieste la terza edizione de :“Le giornate del Mare 2022” presentata col titolo : Trieste e il Trimarium.

Accenno per chi è interessato ma non pratica abitualmente la geopolitica che uno dei termini sinceramente inusuali, considerati però fra l’abc della materia è “talassocrazia”, cioè il potere, la potenza declinata sull’acqua.

Non è un caso allora evidentemente che questa disciplina consideri gli Stati Uniti tuttora la potenza imperiale egemone assoluta proprio perché è l’unica detentrice di ben sette flotte che permettono il controllo dell'intero pianeta.

Sembrerà strano ma sopratutto nel nostro paese sembra proprio che non si sia abituati a prendere in considerazione l’importanza dei mari e quindi la presenza o meno di una flotta adeguata che in qualche modo trasmetta all’esterno il peso specifico del Paese nel quale viviamo.

Sappiamo tutti che viviamo in un paese a forma di stivale e che quindi simo dotati di coste e di mare più che di terra.

Ma che quello che in geopolitica si definisce la proiezione di potenza del paese o se vogliamo rimanere nei semplici termini da bar sport il peso che gli altri attribuiscono al nostro paese è essenziale perchè è in base a quel giudizio che di fatto il resto del mondo ci fa giocare in serie A o B o C o ancora più giù.

Ecco pressoché tutti gli analisti che hanno contribuito a questo numero si sforzano di rendere consapevoli i lettori di quanto sia importante saperci porre come potenza marittima anche magari con obiettivi strategici limitati, ma almeno consapevoli delle regole del gioco.

Presumo che sia arduo porsi il compito sopra accennato visto che anche il di solito brillantissimo direttore Caracciolo, questa volta nel saggio introduttivo mi è sembrato quasi un po spento, come se si fosse ormai rassegnato a parlare di proiezione sul mare per dovere ma temendo di non ricevere l’ascolto che sarebbe necessario.

Però a quanto ho potuto constatare seguendo l’evento di Trieste sul canale di Limes su Youtube, questa terza edizione ha avuto un buon successo anche a ragione del livello decisamente elevato dei partecipanti Capo di Stato Maggiore e Ministro della Difesa compresi.

Il volume è comunque decisamente ben impostato ed esaustivo.

Viene fornito un indispensabile excursus storico sulla formazione della nostra Marina e sull’evoluzione nel tempo della sua posizione strategica.

Dal Mediterraneo, al Mediterraneo allargato con possibilità di proiettarsi anche oltre.

Non è messa male la nostra Marina e a sentire quando dicono i vertici gli obiettivi strategici sono stati individuati correttamente.

Ovviamente poi dipende dalla politica trovare i finanziamenti necessari.

Apprendiamo dalle analisi di questo volume che ancora una volta da parte degli oggi tanto invocati “tecnici” ci sono sia le idee che le competenze necessarie.

Manca la volontà politica?

Difficile dirlo perché siamo alla vigilia della formazione del primo governo di destra-destra della storia repubblicana, e quindi non ci sono precedenti, vedremo.

Il lato debole in questa questione, cioè della non consapevolezza nell’opinione pubblica dell’importanza della proiezione dl Paese sul mare, sta in qualcosa difficilmente definibile.

Psiche collettiva?

Qualcosa di simile, perché è fuori discussione che a settant’anni dalla fine del fascismo e della seconda guerra mondiale, pare che lo shock collettivo non sia ancora stato metabolizzato.

Incredibilmente come in Russia il politicamente corretto vuole che la parla guerra non sia nemmeno pronunciata.

Nel volume viene non a caso riferito che alla Commissione competente della Camera in una delle ultime audizioni il Capo di Stato Maggiore non ritenendo di poter nemmeno pronunciare la parola guerra ha sempre ricorso a espressioni inglesi,ritenute meno coinvolgenti.

Stanti così le cose ci viene più volte ripetuto che per spiacevole che sia la realtà è che se un popolo si arma per difendersi e per proiettare la propria strategia sugli altri deve anche mostrare di possedere una psicologia collettiva che gli consenta di imbracciare le armi in casi di necessità.

Ove il medesimo popolo ritenga di non voler assumersi questo atteggiamento come impegno o dovere è opportuno e doveroso che gli venga detto chiaramente che la sua scelta significa ascrivere il Paese medesimo nell’elenco delle prede.

Ecco questo pare non essere affatto chiaro, cioè di questa equazione è evidente che non c’è alcuna consapevolezza nella società italiana.

Il fatto che siamo in buona compagnia ad esempio coi Tedeschi e in atri scenari geografici coi Giapponesi, non ci esime dal porci seriamente il problema.

Detto questo mi permetto di avanzare due osservazioni.

Mi ha stupito che un cast di analisti così abituati a valutare l’importanza in geopolitica dei miti e delle percezioni collettive non abbia ritenuto di dedicare un saggio a ricapitolare la storia delle Repubbliche Marinare italiane che sono ben vive nel bagaglio scolastico di ciascuno di noi.

Altra osservazione. Mi stupisce che pur essendo ben consci del fatto che l’opinione pubblica è ormai avvezza da anni a non prendere nemmeno in considerazione l’idea di trovarsi intrappolata direttamente in una guerra gli analisti di Limes non insistano abbastanza in qualche modo nel rendere più digeribile il concetto di attitudine a presentarsi come credibilmente disponibili a imbracciare le armi in caso di minaccia ai nostri vitali interessi, che è pure fondamentale, presentando come obiettivo più vicino e più verosimile il battersi politicamente per conservare una strategia di equilibrio delle forze.

Vedi l’iconico Congresso di Vienna tanto bene cantato e decantato dal maggiore geopolitico vivente cioè Henry Kissinger.





lunedì 3 ottobre 2022

Antonio Scurati : Gli ultimi giorni dell’Europa - Romanzo – Bompiani Editore – recensione

 






Formidabile anche il terzo volume della trilogia su Benito Mussolini di Antonio Scurati.

Questo è un romanzo ci dice l’autore, ma aggiunge subito però che è come se fosse un libro di storia, talmente tutto quello che vi è descritto è appoggiato a fonti storiche verificate.

Di conseguenza vorrei dire non è formalmente un libro di storia ma è qualcosa di più, proprio perché è scritto come fosse un romanzo.

Il grande vantaggio della scelta di Scurati è che non si lascia prendere la mano dalla vulgata anti-fascista che sett’antanni dopo la fine del fascismo è ancora da molti ripetuta acriticamente sulla falsariga del mantra sul presunto “male assoluto”,secono il quale tutto il male è da una parte e tutto il bene dall’altra.

Checché ne pensino gli auto-nominatisi soloni di questo manicheismo ideologico non è così che funziona la storia e non è così nella vita reale, dove semplicemente esistono e agiscono soggetti che comunque sono persone umane, che hanno fin quando si vuole commesso errori anche irrimediabili.

La versione manicheista dell’anti-fascismo che considera inammissibile verificare se il fascismo ha fatto anche qualcosa di positivo è tagliata apposta per fare in modo che tutto il carico degli errori sia caricato addosso a Mussolini ed ai suoi e considerare il popolo italiano di allora come composto da bravi cittadini colpevoli di niente perché costretti a subire tutto da una truce dittatura.

Ma non è così.

Chi ripete ancora oggi questi giudizi talibani vada a rileggersi per esempio il fondamentale testo dello storico Goldhagen sui “volenterosi carnefici” di Hitler.

I popoli erano con loro.

Sarà fastidioso da digerire ma la documentazione storica è quella che è.

La scelta di Scurati è quella di studiare e parlare senza para-occhi di quelle vicende cercando di vedere non eroi contro biechi tiranni, ma semplicemente persone umane che fanno la storia nel bene e nel male.

Succede allora per esempio che pur dovendo parlare del periodo storico (triennio 1938-1040) nel quale il fascismo ha realizzato le sue peggiori nefandezze come le leggi razziali e l’entrata in guerra insieme al terzo Reich, nelle prime pagine del libro l’autore parla della prima visita di Adolf Hitler a Roma e Firenze quando viene scelto un accademico di archeologia, il Prof.Bandinelli, tra l’altro antifascista,per fare da guida all’illustre ospite mostrandogli alcuni dei maggiori tesori fra i beni culturali italiani.

Ed allora si verifica un evento personale inaspettato e cioè che l’accademico antifascista sopra citato si ritrova a scoprire con grande sorpresa che quell’artista mancato del Fuerer del Nazismo oltre a interessarsi vivamente dei capolavori che visita prova evidenti momenti di forte commozione.

Evidentemente Adolf Hitler era tante cose insieme e mentre alcuni aspetti della sua personalità erano semplicemente luciferini, era anche un persona umana.

Questo professor Bandinelli non nasconde invece una immediata assoluta antipatia nei confronti del Duce del Fascismo , che dei capolavori dell’arte non dava segni di interessarsene per nulla.

Altre pagine di vero godimento per il lettore si trovano ancora all’inizio di questo libro di storia che diventa un romanzo per l’abilità dell’autore e sono quelle dedicate al fastoso ricevimento in onore dell’ospite tedesco nel quale il protocollo costringe a mettere in primo piano nella parte di autorità ospitanti sua maestà il Re e Imperatore Vittorio Emanuele III con relativa Regina e Imperatrice, accompagnati da uno stuolo di nobili e nobil-donne e quindi parallelamente mettere in ombra il Duce del Fascismo, coi suoi gerarchi.

Cosa che appare inverosimile agli ospiti nazisti, che considerano chiaramente quei rappresentanti della nobiltà niente più che parassiti fuori dalla storia, che però si permettono di guardarli dall’alto in basso, facendoli infuriare.

Fantastica la descrizione del capo delle SS Heinrich Himmler che già di umore cupo per sua perversa natura diventa nerissimo quando realizza che non conoscendo altra lingua all’infuori del tedesco non è in grado di conversare con nessuno e dovrà rimanere seduto lì per delle ore a guardare i lampadari.

Tornando al fascismo mentre nei due volumi precedenti ma sopratutto nel primo Scurati non nasconde non dico una qualche simpatia, che in realtà non c’è, ma almeno una sincera considerazione per alcune innegabili qualità del primo Mussolini.

Come è noto gli storici ,DeFelice in testa, non negano ed anzi documentano che nel primo decennio Mussolini abbia goduto di un consenso popolare generalizzato.

Non per caso è stato spesso usato il termine l’arci-italiano, per descrivere in modo sintetico e colorito l’abilità dell’uomo di identificarsi con i pregi e i difetti del suo popolo,abilità che probabilmente lo ha aiutato in modo determinante ad acquisire e conservare a lungo quel consenso.

Poi nel secondo volume passato il primo decennio Scurati si arriva a descrivere il periodo che porterà il fascismo all’apoteosi della proclamazione dell’Impero nel 36.

E molto opportunamente ancora Scurati si era preoccupato di spazzare via luoghi comuni usando il dovuto senso storico che costringe a farla finita col guardare a quei fatti con risolini di commiserazione come se la conquista dell’Etiopia fosse stata una passeggiata e non una guerra molto seria con l’esercito allora più potente del continente africano.

La proclamazione dell’impero nell’ottica del fascismo è il trionfo e in questo modo era stato inteso dalla gran parte del popolo italiano.

Chiarito questo in quel volume avevo apprezzato moltissimo il tentativo di Scurati di far fare un bagno di umanità a quei personaggi esaltati dalla conquista dell’impero con le considerazioni umanissime di un personaggio certo non secondario.

E Scurati aveva fatto parlare la di solito negletta moglie del Capo, illetterata e addirittura quasi analfabeta, ma dotata di solida cultura contadina che dopo la proclamazione dell’Impero si rivolge al marito cercando di fargli mettere i piedi per terra dicendogli : ora hai ottenuto tutto, cosa vuoi di più, ora ritirati dalla vita pubblica.

Ecco la storia avrebbe anche potuto prendere una piega più umana.

Ma disgraziatamente le cose non sono andate così e Scurati è stato costretto a scrivere invece anche questo terzo volume nel quale per Mussolini non si intravede pressoché più nulla che non sia la caduta nel precipizio, la discesa negli inferi, tirandosi dietro purtroppo tutto un popolo, che ormai volente e consenziente cominciava a non esserlo più.

Molto spazio l’autore dedica giustamente alla “questione razziale”ed ancora più giustamente colloca geograficamente il “romanzo” col quale descrive questa tragedia a Ferrara, perché città simbolo ,dove cittadini di religione ebraica hanno vissuto praticamente da sempre e nella massima integrazione, si è detto città simbolo anche in ragione della figura iconica del Podestà ebreo Renzo Ravenna.

E questo è proprio quello che consente all’autore di mostrare quanto illogico, insensato e inverosimile per i ferraresi, ma il discorso vale per tutti gli italiani , potesse essere l’essere costretti a un certo momento e per di più a freddo e a comando mettersi a discriminare i vicini di casa, i compagni di scuola, i negozianti, gli amici di sempre perché di fede ebraica o solo di madre ebraica.

Ecco un primo evidente caso di un popolo che non condivideva più, non capiva più, ma purtroppo non seppe andare oltre alla commiserazione compassionevole che procurò agli interessati discriminati più sofferenza che sollievo, e fu di fatto totalmente incapace di reagire al sopruso impostogli.

Non è una giustificazione sufficiente ,ma Mussolini non fu solo a imporre il razzismo anti-ebraico e di questo solitamente non si tiene abbastanza conto.

Non reagì il Re e Imperatore, che ,consideriamo bene questo fatto oggi troppo spesso sottostimato, non era affatto privo di potere ,ricordiamoci infatti cosa farà il Re il 25 luglio 1943, perché lo Statuto gliene dava il potere evidentemente.

La sopra-citata vulgata anti-fascista di maniera ci ha troppo spesso impresso nella mente l’idea di un Mussolini totalmente onnipotente,ma non era realmente così, c’era il regime totalitario ma sempre in una situazione di se pur relativi “pesi e contrappesi”.

Tra l’altro non tutti i gerarchi e nemmeno quelli che erano membri del Gran Consiglio la pensavano allo stesso modo di Mussolini, vedi per esempio i notissimi Italo Balbo e Dino Grandi.

Non trascuriamo nemmeno il peso rilevantissimo della Chiesa e del suo Papa, questo sì onnipotente nell’esercizio del suo potere.

Ma che ha fatto ben poco per prevenire ed impedire quel crimine contro l’umanità.

L’ho detto sopra l’autore dedica molte e molte pagine alla preparazione ed all’adozione delle leggi razziali e ci propone motivazioni diverse.

Quella che mi sembra più pregnante è quella che fa il paio con la ragione probabilmente più verosimile che aveva indotto i Turchi al genocidio degli Armeni quindici anni prima: morsi dall’invidia vedevano che quelli pure essendo una minoranza stretta avevano occupato una quantità sproporzionata di posti di potere ,ma sopratutto erano attratti dalla rapina selvaggia pura e semplice dei loro beni che erano consistenti.

E’ molto probabile infatti che l’ideologia abbia abbia avuto un ruolo secondario sia in un caso che nell’altro.

L’altro argomento che impegna un gran numero di pagine in questo terzo volume è e non poteva essere diversamente che l’entrata in guerra.

Scurati documenta mi pare in modo incontrovertibile che almeno in questo caso , così come nella persecuzione degli ebrei come sopra si è detto,il popolo con Mussolini proprio non c’era e che però ha subito praticamente senza reagire la decisione del Capo.

Folle decisione ,perché ,diversamente da quello che si crede abbastanza diffusamente, Mussolini non ha assunto una determinazione di quel peso né a cuor leggero, né perché sviato da informazioni scarse o volutamente false da parte dei militari,circa la preparazione delle forze armate.

Scurati ci documenta puntualmente invece dei vari “tavoli” dietro ai quali il Duce si era seduto a più riprese coi tecnici militari,e gli Stati Maggiori dai quali aveva per tempo ricevuto rapporti precisi e dettagliati sullo stato deplorevole delle nostre forze armate.

E in quelle occasioni anche il Duce aveva convenuto che non avrebbe avuto nessun senso parlare di guerra quando le forze armate avrebbero avuto bisogno di anni e di finanziamenti ingenti per diventare competitive.

Senza mezzi termini a Mussolini era stato detto in faccia che sarebbe stato necessario partire dieci anni prima per divenire competitivi nel 1938/39.

Tanto che il medesimo Duce la stessa cosa l’aveva avventatamente riferita addirittura al Fuerer, se pure riducendo il numero degli anni necessari a soli quattro o cinque.

Su questo non ci sono dubbi, i tecnici militari italiani e i generali erano stati sinceri e trasparenti.

Purtroppo però a obnubilare la mente del Duce è stata la mala fede del Fuerer che non è mai stato onesto e trasparente nei suoi riguardi , tanto che a partire da Monaco, all’invasione della Cecoslovacchia a Danzica e relativa invasione della Polonia fino all’attacco alla Francia sulle Ardenne, cioè sempre ,aveva messo l’amico italiano di fronte al fatto compiuto.

Il che vuol dire che di conseguenza prima dei fatti decisivi gli aveva sistematicamente propinato delle notizie false circa le sue intenzioni e la sua strategia.

Questo è importantissimo perché di fatto sono questi i fatti che hanno cambiato radicalmente il rapporto fra i due dittatori.

Cioè se prima Mussolini era il maestro riconosciuto e riverito da Hitler, poi in questo triennio fondamentale, Mussolini è diventato sempre più succube in una amicizia e poi di una alleanza del tutto squilibrata, che lo metteva nella scomoda posizione di puro gregario e questo lo faceva andare in bestia.

Se poi mettiamo sulla bilancia anche l’enorme capacità militare messa in campo dalla Germania che si è inventata di sana pianta da Blietzkriege ,la guerra lampo riuscendo a conquistare l’Europa in settimane, non mesi, facendo uso di carri armati apparsi mostruosi per la loro efficienza agli avversari così come la coordinazione fra forze di terra ed aviazione, usando tecniche di comunicazione ovviamente non padroneggiate dagli altri, riusciamo a realizzare come il Duce si presentasse ormai come un pugile suonato ancora prima di prendere qualsiasi decisione.

Hitler aveva cambiato radicalmente le carte in tavola e non solo con Mussolini, ma di fronte al mondo.

Se posso fare un rilievo mi meraviglia che trattando con competenza e maestria questi argomenti, l’Autore non abbia osservato a questo punto che è più che sorprendente che non solo il fascismo, ma anche quelli che diverranno i Paesi Alleati coi loro servizi segreti ,compreso il tuttora in Ucraina leggendario servizio di informazione inglese, fossero risultati quasi del tutto al buio sulla capacità militare raggiunta dalla Germania hitleriana.

In questa situazione che doveva fare Mussolini?

Ha sbagliato tutto va bene ,ma fa umanamente pena per esempio quando Scurati ci descrive i suoi colloqui con Hitler quando l’ex maestro di fascismo italiano gli ha già da tempo comunicato praticamente di non avere un esercito neanche lontanamente competitivo e si scervella per inventarsi delle scuse penose per tirarla in lunga, mentre quell’altro gli dimostra di conoscere nei dettagli i dossiers militari.

Gli sciorina a memoria lunghissimi elenchi di numeri, gli parla nei dettagli delle sue nuove armi comprese mitragliatrici di nuovo tipo delle quali Mussolini chiaramente non sa nulla ed arriva a metterlo ko quando preso dall’argomento gli chiede cosa ne pensasse del nuovo sistema di caricamento che avevano queste nuove mitragliatrici delle quali lui non conosceva nemmeno il nome.

Sono particolari che più di qualsiasi dotto discorso storico fanno capire tutto.

E cioè che Mussolini a questo punto capisce dentro di sé di essere insanabilmente “fregato”, perché non ha praticamente più scelta.

La guerra non può più evitarla, ma il suo popolo non la vuole e comunque non è in grado di combatterla.

E’ una situazione orribile.

Quand’anche avesse detto di no a Hitler è ben consapevole che quello aveva la capacità di invadere l’Italia in pochi giorni.

Se diceva di sì, che senso aveva il suo sì quando il Fuerer sapeva bene che il suo amico italiano non era in grado di essergli militarmente di alcun aiuto?

L’intervento italiano per Hitler non avrebbe significato altro che un fronte sicuro e quindi non necessitante spostamenti di truppe che avrebbero indebolito la sua poderosa avanzata altrove ,ma niente di più.

Scurati più che dirlo lo accenna e lo lascia capire, a questo punto Mussolini è finito non è più padrone nemmeno di sé stesso, è semplicemente in balia di Hitler perché ha una paura folle.

Come tutti gli altri, del resto, compreso il nuovo Papa Pio XII, che non brilla certo per la virtù del coraggio e della determinazione.

Non dimentichiamoci che gli altri belligeranti che non si erano arresi, e cioè le truppe britanniche e francesi più che star combattendo, stavano scappando disordinatamente,atterrite da quei panzer.

Messo con le spalle al muro il Duce non riesce a far altro che ricorrere alle sole cose che gli offre il suo armamentario personale ormai logorato anche dagli anni (ne aveva sessanta che allora erano oltre l’età della pensione) e pensa di giocare disperatamente ancora una volta di furbizia : fingere di avere un esercito appena presentabile per fare qualche azione limitata e dimostrativa per farsi dare alla fine verosimilmente vicina qualcosa dal Fuerer.

In quella situazione nessuno e nemmeno lui si fa più ingannare dalla folle plaudente che riempiva Piazza Venezia alla proclamazione dell’entrata in guerra il 10 giugno 1940 con quel discorso retorico che allora tutti avevano imparato a memoria.

Ma non c’era nessun entusiasmo né altro sentimento prevalente se non la paura.

Mostrando notevole abilità psicologica Scurati mette in evidenza un fatto estremamente significativo e cioè che in quella piazza praticamente non c’erano donne, che evidentemente già pensavano ai loro uomini che avrebbero potuto non tornare più dal fronte, altro che a presunti entusiasmi bellicisti.

Pure in una situazione così già compromessa e con pochissime possibilità di manovra potevano e dovevano fare altro il Duce e il Re Imperatore?

Certo ragionando a cose fatte sappiamo che potevano salvare l’anima e la dignità del loro paese come farà del resto il Generale De Gaulle, che ,ricordiamolo ,non aveva anche lui altro che forze scarse , appena dimostrative e un paese invaso dal nemico, ma che queste poche forze le ha usate e fatte pesare dalla parte giusta.

Ottimo il lavoro di Scurati a mio avviso, come ho cercato di argomentare, proprio perché supera di fatto il timore reverenziale che circonda ancora il muro di coloro che da decenni si sono impalcati a unici difensori autorizzati dell’anti-fascismo e ci parla come abbiamo già accennato non di eroi contrapposti a truci tiranni, ma di persone umane, con un romanzo, come dice lui.