venerdì 26 dicembre 2014

Romano Prodi  è una risorsa ma non per fare il presidente



Chi segue questo blog, sa che in passato  si sono manifestate perplessità tutte le volte  che le vicende della politica italiana inducevano qualcuno a proporre di riciclare il personaggio Prodi per incarichi politici prestigiosi.
Personalmente,  sono stato fra quelli che  a suo tempo si erano recati a fare la fila ai  seggi  delle prime primarie del PD per votare Prodi.
Si era nel pieno dell’era berlusconiana e si  vedeva in Prodi  la persona giusta  ,seria e adatta a fare finire l’indegno carnevale del berlusconismo.
Purtroppo, poi, le cose non sono  andate come  si desiderava che andassero, anche per i limiti evidenti che il personaggio ha dimostrato di avere.
Romano Prodi è un professore di economia, che  ha al suo attivo una produzione accademica di primissimo ordine.
Le sue pubblicazioni sui “cluster”, cioè i distretti industriali (lui in particolare ha studiato quelli   romagnoli delle piastrelle) sono fra le opere italiane più note e stimate nel mondo.
Il personaggio ha al suo attivo anche  un  forte radicamento nel meglio del pensiero politico che ha ispirato i cattolici democratici, o per usare un termine più terra –terra, la sinistra democristiana  ed il cattolicesimo sociale, in generale.
Purtroppo però, gli sono mancate due cose fondamentali  per un politico  di alto livello : prima di tutto  non ha carisma.
E questo, come è noto, è una qualità che o si ha o non si ha, perché è una dote naturale, che difficilmente  uno ,se pure intelligente , si può  costruire a freddo.
Secondariamente è semplicemente un disastro in comunicazione.
Proprio non ci ha mai attaccato.
E’ sempre stato lontano anni luce anche dal livello  minimo.
Si diceva scioccamente, che sopperisse a tutto il fatto che fosse un uomo   baciato dal  destino, perché dotato di straordinaria fortuna.
Come tutte le volte nelle  quali si invoca la fortuna, come qualsiasi altra presunta entità irrazionale, che indirizzerebbe le nostre sorti,  si  invocano pure stupidaggini e infatti le vicende casuali della politica lo hanno più volte castigato duramente.
Ma comunque la si pensi, il bilancio della sua esperienza politica non è stato affatto positivo anche per suoi limiti intrinseci.
Uscito però dal giro degli incarichi politici, anche per una  sua scelta precisa,è avvenuto che il segretario  generale  dell’Onu lo  avesse messo in evidenza come altri ex primi ministri, dotati di proprie abilità particolari, per  avvalersene, impiegandolo in incarichi  internazionali.
Gli è stato quindi assegnato il compito di seguire le vicende africane, per incarico appunto della segreteria generale dell’Onu, e qui  il nostro ha messo  in campo le sue conoscenze ed  abilità di economista  per studiare con tenacia la situazione di quel continente, anno dopo anno.
Mi sono laureato a suo tempo con una tesi sulla politica degli stati dell’Est Africa, nel periodo immediatamente seguente alla loro  indipendenza ed ho poi sempre cercato di aggiornare quelle  conoscenze e  quindi presumo di saperne qualche cosa su questa materia, che non è purtroppo molto conosciuta.
Con questo  bagaglio,  sono rimasto allibito, quando,  poco più di un mese fa, ho ascoltato Prodi  parlare di politica  africana in una  sede accademica  ed ho avuto ampio modo di constatare il suo livello di conoscenza di quei problemi.
Non pensavo che si potessero prendere quegli incarichi con tale serietà ed impegno.
Ecco, questi sono i ruoli tagliati apposta per quel personaggio.
Oggi, la politica non si può fare assolutamente più come la si faceva ieri, perché la realtà sulla quale  intervenire è diventata  estremamente complessa.
Non facciamoci ingannare dalle banali semplificazioni delle quale  sono pieni i Talk Show televisivi.
Quelle soni cose da teatrino.
Oggi la politica vera è cosa da tecnocrazie ad alto livello.
I politici  non sono affatto tecnocrati ad alto livello, ma di quelli  si  devono necessariamente avvalere, diversamente sarebbero condannati ad apparire delle nullità buone a nulla.
Questa è una nuova realtà moto difficile  da digerire, anche perché configge abbastanza pesantemente con i concetti classici di democrazia rappresentativa.
Ma è difficile rappresentarsi oggi la politica in modo diverso, a meno che non si preferisca farsi eternamente raccontare delle favole, che non hanno più riscontro  con la realtà vera.
In questa nuova situazione, governare con le burocrazie  ministeriali,  organizzate con organigrammi, pensati  nell’ottocento è un sistema che gira inevitabilmente a vuoto.
Bisogna innovare in modo radicale, ma proprio per questo è difficile dire come.
Del resto, questo è un problema comune a tutti gli stati moderni.
Occorre sperimentare e trovare i sistemi adatti.
Nel campo della politica interna, per esempio, si  è detto più volte, che  occorre ricorrere a figure nuove come sono i commissari, incaricati di portare a compimento opere o riforme particolari.
In politica estera  questo tipo di figura appare ancora più necessaria.
Si pensi , per rimanere in Africa, alla situazione complicatissima della Libia, che per per, per nostra disgrazia è anche una materia di primario interesse nazionale, perché è da lì che viene la gran parte del nostro petrolio.
Ecco dove Prodi ed altre figure come la sua diverranno in futuro assolutamente indispensabili.
Per affrontare situazioni del genere ci vuole l’esperto di alto livello, dotato di comprovati titoli e competenze  in campi particolari o particolarissimi.
Il politico dovrà inserire queste competenze in una  visione strategica di insieme, ma non è certo lui che può sbrogliare matasse di questo genere.





venerdì 19 dicembre 2014

Cosa hanno in comune  Papa Francesco ed Angelo Scola?



Di papa Bergoglio si parla  parecchio.
Probabilmente è avvertito come l’unico leader mondiale di caratura adeguata alla sua carica, gli altri sono avvertiti invece o come leaderini, inadeguati da sempre, o  astri sulla via del  tramonto.
Di Bergoglio non stupisce la  carica di novità, perché questa anzi è la ragione del suo successo, ma piuttosto  colpisce l’astio, la cattiveria, la slealtà del fronte, che si è formato  negli ambienti curiali per ostacolare il suo lavoro  di pulizia e di rinnovamento.
Le chiese da decenni si svuotano progressivamente perché la gente ha avvertito ed avverte i fatto che la chiesa-istituzione  non sa più parlare all’uomo moderno, perché non va più dove la gente medesima pensa, che la  dovrebbe portare il messaggio originario del suo fondatore, ma è tutta impegnata in sostanza a difendere il  proprio potere di casta, se non in molti casi, di setta.
Gli scandali ricorrenti a sfondo sessuale e finanziario  hanno poi non poco contribuito a screditare l’istituzione.
Papa Francesco è arrivato dal Sud America portando uno stile del tutto nuovo e contro corrente.
Povertà e servizio sono le parole chiave del nuovo pontificato.
Totalmente indigeste per chi era abituato a identificare il suo ruolo nelle istituzioni clericali come un mezzo per  legittimare agi e spesso lussi indecenti e indecorosi, spesso accompagnati a vizi  praticati in modo sistematico.
La reazione alla novità di papa Francesco era ovvio che ci sarebbe stata.
Del resto ,come molti commentatori ricordano, la stessa cosa si era verificata quando i medesimi ambienti di curia,  negli anni ’60, si sono trovati davanti alla novità inaspettata di un Giovanni XXIII, che diceva cose per   loro insensate.
Anche c’era sorpresa e disappunto, ma mi sembra che, il capofila dell’opposizione di  allora a papa Giovanni, che era stato  il vecchio e mal ridotto Card. Ottaviani, prefetto del Sant’Uffizio, rappresentasse più un sussulto di medio evo, espresso in assoluta buona fede, state la sua formazione ed universo culturale, che  non una fazione di potere  stle ed astiosa.
Oggi le ragioni del potere mi sembrano molto più evidenti  di allora.
C’è prima di tutto l’astio per il potere perso o non  mai pervenuto, come si riscontra nelle posizioni del pontefice mancato,  Angelo Scola, che imprudentemente, aveva sopravvalutato quanto gli sussurrava, fino a convincerlo, una cordata che si era formata in suo favore prima e poi durante l’ultimo conclave.
Come si è detto sopra, anche ai tempi  del concilio, era risultata evidente la divisione in anime diverse e contrapposte all’interno della chiesa, anche se allora, negli ambienti clericali, la trasparenza non era ancora ed  affatto  considerata una  esigenza virtuosa e quindi le cose raramente venivano fuori subito.
Anche allora però, ad esempio, era possibile  ad un certo punto consultare le due linee teologiche del tutto divergenti riportate in due riviste : quella “progressista” costituita da “Concilium”  dove scrivevano Congar, Kueng, Rahner, Shillebeeck, le vere menti del rinnovamento teologico, e  quella ultra-tradizionalista “Renovatio”, dove scrivevano Siri, Baget Bozzo e poi la tradizionalista classica “Communio” un po’ più pacata di  Joseph Ratzinger.
Anche allora Siri si sentiva, e storicamente era, il papa mancato.
Allora però, obiettivamente, il movimento del rinnovamento era ben più radicale e radicato.
Oggi moltissimi non ricordano nemmeno più il fervore delle “comunità di base”, si pensi all’Isolotto a Firenze.
C’era una miriade di circoli intellettuali,  che editavano la loro rivistina.
C’era una sperimentazione liturgica, che  faceva trasalire.
E, purtroppo, ci fu un  papa che  ebbe sì il  merito di salvare il salvabile del Concilio, ma che per età e formazione fu, prima, spaventato dal movimento di rinnovamento e poi fu letteralmente terrorizzato dall’idea di trovarsi a non riuscire più a controllare quanto gli  si muoveva intorno.
L’idea forse più radicale erivoluzionaria  di  quel Concilio, quella dell’accettazione  di un pluralismo teologico e liturgico,  fu bloccata, anche con durezza da Paolo VI, finendo di fatto qualificata come eretica.
Oggi c’è il papa rinnovatore, ma purtroppo però, rispetto ad allora, il gregge si è nel frattempo paurosamente assottigliato.
 Le parrocchie languono, salvo laddove forniscono servizi,  per altro utilissimi,  che lo stato e la società civile non sanno  provvedere  ( luoghi di aggregazione per i giovani, attrezzature sportive e per la  gestione del  tempo libero, oltre ad assistenza sociale vera e propria).
Ma il “mondo cattolico” soprattutto a livello  di intellettuali è praticamene scomparso.
I “movimenti”, non certo in crescita, nemmeno loro,  rappresentano  sempre più sette auto-referenziali che  parti di  una chiesa.
In questo auditorio, divenuto vuoto, risuona la voce organizzata dell’opposizione a  papa Francesco.
I preti di strada e i pochi parroci attivi non hanno bisogno di nessun  auditorium perché sono bravi a tirarsi su le maniche più che a parlare.
Per la verità, non è un gran che il discorso dei vari Scola e compagni di cordata, ma facciamo uno sforzo per individuarne le linee.
Scola ha dato una lunga intervista al Corriere, ed in particolare al patinatissimo Aldo Cazzullo, dove è  stato   esplicito,  nella misura i cui sa essere esplicito e sincero, un  cardinale nelle sue condizioni, col suo passato e con il  suo bagaglio culturale, cioè non lo è  stato affatto.
Scegliere, come ha fatto Scola in quella intervista, di affermare di essere  sicuro che papa Francesco si opporrà alla comunione  ai divorziati, significa ricorrere  a un vecchio armamentario  dialettico- retorico, perché con tutta evidenza con quell’affermazione voleva dire altro e cioè voleva lanciare  un  ricatto e un alto là, rivolti al papa medesimo.
E’ come se avesse detto al papa : ti avvertiamo,  guarda che un papa non può permettersi di contraddire alla dottrina tradizionale della chiesa sul matrimonio  e quindi come papa sei obbligato ad opporti alla comunione ai divorziati.
Quello che irrita e spaventa, da parte di questi, che sono pure uomini di chiesa, non è la mancanza  di  argomenti  spendibili, quando riducono il  cristianesimo a una elencazione di norme di divieto, basate sulla presunta autorità  di una rivelazione, tutta da sostenere e da interpretare  con l’impiego dell’ermeneutica.
Avevamo già parlato su questo argomento  abbastanza diffusamente in un articolo precedente (19 settembre 14) trattando del  libro dei cinque cardinali (Muller, Burke, Caffarra, Brandmuller, De Paolis) diretto a bloccare proprio la proposta  della  comunione ai divorziati e quindi per l’esposizione e la confutazione di quelle tesi, rimando il lettore all’articolo sopra-citato.
Quello che mi preme sottolineare adesso  è la penosa impressione che da la totale mancanza di partecipazione umana, verso i fratelli, che emana dall’intervista di  Scola.
Non c’ l’uomo di chiesa, c’è l’impiegato, il manager dell’istituzione, se pure di alto grado.
C’è un’autorità che si sente prima di tutto nel ruolo il giudice istruttore.
E’ agghiacciante leggere per esempio nell’intervista a Scola ,che i fautori della concessione ai divorziati di comunicarsi, quasi “operano una separazione fra dottrina, pastorale e disciplina” che ridurrebbe l’indissolubilità del matrimonio a idea platonica, con gravi danni per l’educazione delle giovani generazioni.
Quando è ovvio che la linea pastorale possa non coincidere affatto con la ripetizione formale di una dottrina specifica, o peggio della “disciplina” relativa (il termine militaresco scelto e usato da Scola rivela una mentalità terribile),perchè la distinzione rispetto alla pura dottrina prescrittivi è  assolutamente il senso stesso del termine “pastorale”, inteso appunto come applicazione pratica di una dottrina astratta.
Terribile è pure la riproposta, fatta da Scola, del fariseismo che la materia si porta con sè, secondo il quale, allargando i cordoni della  sacra  Rota, si potrebbe risolvere tutto.
In pratica si introduce il “divorzio cristiano” e così si  supera il problema alla radice.
Scola riesce poi ad aggravare ulteriormente la estrema debolezza delle sue argomentazioni , mostrando  di credere, che  il ricorso alla Rota sia gratuito, solo ricorrendo  all’avvocato  d’ufficio, beninteso solo per i non abbienti.
Quando nei duri  recenti discorsi di papa Francesco sia alla Rota che alla Suprema Segnatura (tribunale di appello), si era   parlato della necessità di arrivare al più presto a  procedimenti senza contropartita di danaro, sic et simpliciter, non di non  abbienti e di abbienti.
Ma a Scola l’idea del gratuito non sarà piaciuta.
Sinceramente, pur non aspettandomi nulla di buono da Scola e compagni di cordata, non mi aspettavo che  volesse riproporre esplicitamente ,tale e quale, il peggiore armamentario ideologico, che aveva strombazzato per  decenni l’allora presidente della Cei Card.Ruini, con i brillanti risultati pratici, che Scola conosce benissimo, per di più sperperando ingenti capital, che la gente aveva offerto, pensando che andassero in opere di carità e di assistenza.
E invece nell’intervista ricompaiono ancora “i valori –principi non negoziabili” ,che lo le leggi dello stato dovrebbero includere tali e quindi (e qui siamo a dimostrare la stessa apertura mentale degli sceicchi dell’Arabia Saudita che  impongono la shaharia come legge dello stato) con l’avvertenza minacciosa , che se non li includessero, i cattolici  sarebbero vincolati ad esercitare l’obbiezione di coscienza.
Ma il vertice della doppiezza Scola lo raggiunge quando afferma che comunque nella chiesa deve prevalere sempre il primato petrino, chiosando maliziosamente ,non ostante lo stile molto personale di questo nuovo papa.
Si lascia quindi andare ad una affermazione sorprendente :il nuovo papa èun  lationo-americano e “noi non eravamo adeguatamente informati” della cultura e della teologia   di quella regione.
E’ sorprendente quel “noi”, anzi è offensivo nei riguardi di quella pur vasta opinione cattolica che conosceva e seguiva le Conferenze teologiche di  Medellin, che svilupparono nei dettagli nuove proposte adatte a quelle regioni, anche non se piacquero affatto a Ruini e Woitila.
Tutto sommato, però, non mi aspettavo che chi la pensa come Scola avesse la poca responsabilità di riproporre il ritorno ad un passato, che quasi  tutti riconoscono oggi come fallimentare per la chiesa.
Lo stile di papa Francesco è veramente radicalmente diverso.
Sull’aereo che lo riportava in Italia dal Medio  Oriente ha confessato apertamente a decine di giornalisti ,che  l’opposizione dei conservatori c’è, ma che a lui non dispiace affatto che sia venuta alla luce e che non operi nascosta nell’ombra.
E’ pur sempre un’ammissione pesante, è come dire : sarebbe  peggio se operassero nell’ombra, con un non detto consequenziale : “dato che prima operavano nell’ombra”.
“Ci sono resistenze, ma dobbiamo essere rispettosi con loro e non stancarci  di spiegare e dialogare, senza insultare o sparlare”.
Questa mi è piaciuta, perché è come dire con belle parole : sono un po’ duri di comprendonio, ma se abbiamo la pazienza di dialogare con loro e di farli ragionare, magari in un domani, capiranno.
Anche se quell’accenno del papa allo “sparlare” è un po’ inquietante e raggelante.
Il migliore e più autentico Bergoglio, però, è venuto fuori nell’intervista che il papa ha dato nei giorni scorsi ad una giornalista di Buenos Aires ,Elisabetta Piquè, sua vecchia conoscenza, sul quotidiano argentino “la Nacion” , riportata con il titolo : “Alle persone risposate neghiamo sette cose. Così sembrano scomunicati di fatto”.
I divorziati risposati, infatti, non possono essere padrini di battesimo, non possono leggere le letture a messa, non possono distribuire la comunione,non possono insegnare il catechismo, oltre a non poter fare la comunione.
Non possono fare i padrini di battesimo,ma lo possono fare i politici corrotti, se regolarmente sposati,  e questo non lo dico io, ma l’ha fatto notare il papa in quell’intervista per evidenziare il fatto che in questa materia : “Bisogna aprire un po’ di più le porte”.
Ecco che significa impegnasi  nella pastorale, più che nella ripetizione formale della dottrina.
Ecco quello che gli Scola non vogliono capire.
Questo papa è bene incardinato  nella cultura e nella prassi della  sua Compagnia e quindi eviterà di  contraddire formalmente il principio della indissolubilità del matrimonio, gli Scola stiano tranquilli.
Ma lo farà non perché tema Scola e compagni di cordata, ma perché sa che nel più vasto mondo  in via di sviluppo, che  conosce bene, è opportuno  tenere ben fermo il criterio della  famiglia tradizionale, perché questo fa parte integrante di quella  cultura.
Cercherà rimedi  pastorali, che potrebbero anche contemplare la comunione ai divorziati ma a certe condizioni , in un particolare contesto o percorso per  chi ne fosse interessato, per ri-testimoniare la comunione di costoro con la comunità dei fedeli.
Lo sconcerto e lo sconforto che da il vedere riproporre tesi che i tempi hanno dimostrato infelici, infeconde ,ma soprattutto il penoso spettacolo di vedere uomini di chiesa che   sembrano incapaci prima di tutto di  amare  l’umanità dell’uomo, nella sua battaglia quotidiana, anche quando questi si trova in situazioni complicate, ma oggi diffusissime, mi ha fatto  tornare alla mente il famosissimo racconto del “grande inquisitore” nei Fratelli Karamazof di Dostojewsky.
Cristo ritorna sulla terra ed il grande inquisitore, riconoscendolo pur facendo finta  di non capire chi sia, lo apostrofa dicendogli : ma tu che  sei venuto a fare ? Torna da dove sei venuto.
Qui ci siamo noi, la tua presenza ci destabilizza, o meglio destabilizza il nostro potere sull’istituzione.
E’ la metafora della chiesa- istituzione, che arriva al limite estremo di aberrazione fino a cacciare il suo fondatore, se questo si ripresentasse perché temerebbe di essere sbugiardata e  che le si chieda conto della sua incoerenza.
Fino alla terribile domanda finale, che l’autore non teme di porre : ma il grande inquisitore crede in Dio?





giovedì 11 dicembre 2014

In uno sceneggiato televisivo l’ultima riuscita ricerca di Liliana  Cavani su Francesco d’Assisi



Viene spontaneo chiedersi come mai una intellettuale laica, come la Cavani sia  stata talmente intrigata dalla personalità storica di Francesco d’Assisi da essere arrivata a condurre  una lunga ricerca pervenuta, con lo sceneggiato appena trasmesso da Rai 1, ben al terzo film a lui dedicato.
Ma non è  difficile rispondere al quesito, posto sopra.
Quasi al termine della prima puntata dello  sceneggiato del quale stiamo parlando, la risposta me l’ha fornita Bruno Vespa quando annunciava la sua imminente puntata di Porta a Porta, tutta dedicata a Medjugorie  e dintorni.
Vespa, con la sua usuale disinvolta furbizia, sembrava dire ai telespettatori : seguitemi fra dieci minuti e vedrete come vi farò commuovere.
Ebbene, la chiave di lettura della Cavani, che viene da una cultura diversissima rispetto a quella di Vespa, vuole rappresentare esattamente il contrario : guardate  il mio film e vedrete come vi farò ragionare.
La ragione, contro la  fede miracolistica.
Il Francesco della Cavani, che ritengo corrisponda fortemente a quello storico, non vuole  fare commuovere nessuno, ma invece vuole convincere.
Convincere del fatto che è possibile tornare a riproporre il messaggio  nudo  del fondatore del cristianesimo, sfrondandolo dal peso di  montagne di teologia dogmatica  ed altrettante montagne di errori e infedeltà commessi dai suoi chierici e dalle sue gerarchie, che lo hanno stravolto, rendendo la chiesa sempre meno credibile e svuotando le chiese.
La storia è arcinota e quindi bene ha fatto la Cavani a conservare un canovaccio minimale, ma a costruire il film approfondendo solo gli episodi, che sono la colonna portante dell’eredità di Francesco.
Mi ha colpito molto l’interpretazione che la Cavani ha fatto dare da Francesco stesso a un seguace che si disponeva ad andare riluttante e pieno di vergogna a predicare in un ambiente nel quale era ben conosciuto, al fattore della nudità.
L’interpretazione del fatto più eclatante delle varie storie di Francesco :il ricorso volutamente provocatorio alla nudità.
A chi si presenta senza abiti arriva immediatamente la reazione sbeffeggiante di amici a conoscenti : ma sei matto? Credi di essere bello?
La provocazione, pur essendo forte, ha una sua ragion d’essere radicale e innegabile, è forse la metafora più efficace per dire a tutti, io sono uguale e te e tu sei uguale a me.
I vestiti, sono invece la metafora  di ceto e cultura che ci dividono.
Ma senza i vestiti, che a quell’epoca, molto più di oggi, qualificavano le divisioni, siamo tutti umani  allo stesso modo ed in modo evidente, come era all’inizio dei tempi.
Francesco doveva trovare il modo per parlare di fratellanza in modo radicale.
La chiesa nelle liturgie ufficialmente predicava anche allora come sempre anche la fratellanza, ma la pratica era esattamente il contrario, di quella proclamazione.
Le gerarchie erano corrotte e dedite ad arricchire le loro famiglie nobiliari, per altro già ricche e potenti.
I preti facevano  i loro affari, sbrigavano le liturgie e facevano più gli impiegati del potere politico che i pastori dediti alla sorte ed  al benessere delle loro greggi.
In altre parole non erano più per niente credibili e la gente si lasciava andare al ritorno al miracolismo animistico ancestrale, se pure furbescamente battezzato dai riti cristiani.
Il messaggio evangelico era contraddetto tutti i giorni prima di tutto dai suoi chierici, che pure dovevano essersi resi conto che avevano portato la  chiesa a uno dei punt i più bassi  della storia.
Era quindi difficilissima la vita anche per i robusti e determinati visionari come Francesco, che quel messaggio volevano ripresentare nella sua semplice nudità.
Avevano di fronte un muro per niente disposto a mettere in discussione i propri privilegi, potere  e ricchezze, accumulati in completo disprezzo di quel messaggio.
Immaginiamoci andare dalla curia romana a parlare di povertà.

Era una follia, era la parola che proprio non volevano sentire pronunciare.
E, in effetti, la battaglia a favore della povertà, Francesco storicamente l’ha persa e non poteva essere diversamente, perché il  sistema non poteva consentire che nemmeno un piccolissimo ramo della  chiesa vivesse  in assoluta povertà, perché quello sarebbe stato un atto d’accusa permanente nei  confronti delle ricchezze delle gerarchie  e dei chierici e ancora di più sarebbe stato un mettere  in discussione la struttura del potere e della  società, alla quale struttura la chiesa faceva da guardiana in quanto sistema di controllo delle coscienze, per conto del potere civile e del suo.
Anche un  minimo esponente della chiesa non poteva andare in giro vestito da straccione o dormire in una capanna, perché quello stesso comportamento avrebbe messo in discussione il potere del sistema.
E questo infatti disputavano i cardinali quando Francesco si era convinto di dovere andare dal papa a Roma a  chiedere una sua autorizzazione.
Senza di quella sarebbe stato considerato un  eretico a rischio della vita stessa.
L’autorizzazione in realtà non c’è mai stata, perché la regola poi approvata non era quella di  Francesco, ma quella di Elia, che Francesco non condivideva e bene a fatto la Cavani a non nascondere il sostanziale fallimento di Francesco su questo punto.
L’ordine francescano si è storicamente costituito su regole addomesticate, che stravolgevano il pensiero di Francesco, ma quello era il prezzo da pagare per la  sua sopravvivenza.
O così o sul rogo.
Molto efficace la scelta della Cavani di  accentuare con un importantissimo dettaglio visivo e di abbigliamento  la differenza fra  i vestiti  da straccione o da pastore dei discepoli più stretti di Francesco e quelli invece dei conventuali che portavano il loro saio ben ordinato ed uguale per tutti.
Conventuali che parlavano già un’altra lingua Francesco vivente, quando, per esempio, gli dicono : noi dobbiamo parlare anche ai colti e per parlare con loro debbiamo studiare sui libri e parlare latino.
Ecco il salto che Francesco, fosse stato per lui non avrebbe mai voluto fare.
Lui voleva che si facesse riferimento solo al Vangelo e senza commenti.
Passare allo studio ed all’uso della teologia, la vedeva come una forma di tradimento della purezza del messaggio.
Ma questo concetto era assolutamente irricevibile per la gerarchia, esattamente come irricevibile era quello della povertà.
Perché la teologia dogmatica era usata per scardinare il messaggio originario a favore del potere della gerarchia.
Ed anche questa battaglia del solo Vangelo nudo, Francesco, storicamente, l’ha persa completamente, e quindi giusto e doveroso era metterlo in evidenza, contrariamente a quello che fanno le  ricostruzioni zuccherose della vita di Francesco, fatte per commuovere e non per far capire chi era stato veramente quel personaggio.
Mi ha colpito parecchio anche l’episodio di Francesco che scappa a gambe levate  quando vede per la prima volta la folla che si era radunata per vederlo e sentirlo parlare.
Bellissimo. Come il Gesù storico, suo riferimento  assoluto, Francesco ha temuto e aborrito la tentazione del potere.
Come il Gesù storico, Francesco era uomo dotato di forte carattere e di evidente carisma.
Facile fare il capo-popolo con quelle caratteristiche.
Solo che la gestione  del potere  era tutto il contrario di quello che Francesco voleva fare, non sfuggiva alle responsabilità di guidare i seguaci, ma temeva come la peste la istituzionalizzazione del potere.
E, tanto per cambiare, anche questa battaglia il Francesco storico l’ha persa, ma non si può negare che anche quella l’abbia combattuta e con determinazione.
Immagino l‘estrema difficoltà per una sofisticata intellettuale laica come la Cavani trovarsi nella necessità di dover parlare dell’indicibile, come è l’argomento delle stimmate.
Lo fa in modo misurato e con il taglio giusto, quando fa dire a Chiara, che constata l’evento : ecco, lo ha tanto amato, che ha voluto essere uguale a lui, anche in questo.
E’ il modo giusto che non è quello di imporci di credere a un prodigio, a un miracolo oggettivo, che per chi crede  nel primato della ragione non esiste.
Ci presenta un fatto : Francesco è soggettivamente testimone di una situazione che desidera e che accetta.
Non è necessario che gli altri credano.
Molto interessante la continua dialettica  Francesco – Elia (amico, consigliere, avvocato che tiene i rapporti coi  potenti e che materialmente redige la regola che sarà approvata).
Il fondatore da una parte  e il futuro capo, che istituzionalizzerà un movimento, che il fondatore non desiderava affatto istituzionalizzare.
Sembra proprio di ripercorrere la storia della chiesa  primitiva : Gesù, il  fondatore, che non amava istituzioni , potenti e ricchi, e che  secondo molti storici non ha  mai, in realtà, fondato nessuna chiesa e il fondatore effettivo della chiesa cattolica, come istituzione  : Paolo di Tarso.
Il secondo che, in buona fede quanto si vuole, tradisce in gran parte il messaggio originario.
Un’ultima annotazione.
La Cavani, accentua per la prima volta la promiscuità fra  i seguaci originari di Francesco, che fossero maschi o che fossero donne, in nome del principio cardinale  del  francescanesimo che è quello della fratellanza, che non può fare distinzioni nemmeno di genere.
Questa era senza dubbio l’intenzione originaria di Francesco.
Mai prima c’erano state ricostruzioni, che pure con sobrietà e delicatezza abbiano saputo illustrare quali situazioni  si sarebbero create in pratica.
Molto bene h fatto la Cavani a provare a descriverle quelle situazioni, perché anche quella promiscuità era estremamente coerente al francescanesimo.
L’istituzione chiesa gerarchica ha naturalmente fatto perdere a Francesco anche questa estrema battaglia, ma è giusto mettere bene in evidenza il fatto che lui l’aveva fatta e  che il tempo e la storia gli hanno dato pienamente ragione, anche in questo campo, facendoci apparire ancora più straordinaria la  testimonianza storica di Francesco d’Assisi.
Come abbiamo visto la storia ha riservato una sorte molto singolare a Francesco,
Questo  uomo ha formalmente perso tutte le battaglie, che ha combattuto  con determinazione nella sua vita, ma ha vinto la guerra, nel senso, che la gente nel corso dei  secoli lo ha percepito e lo percepisce tuttora come il mortale che ha fatto di più per avvicinarsi e riproporre la figura e il messaggio del fondatore del cristianesimo.





giovedì 4 dicembre 2014

Sfascio romano col timbro del neo-fascismo sociale



Era perfino riuscito a  rendersi  simpatico Alemanno quando  con  piglio decisionista si presentava come l’incarnazione dell’ala “sociale “ del neofascismo, che vive in mezzo alla gente e  della gente si occupa.
Ed era in effetti spesso presente come sindaco e della gente si occupava parecchio, soprattutto quando si agitava per  trovare un posto di lavoro ad una marea di persone.
Buon per loro, ma non certamente per l’equilibrio dei bilanci e l’efficienza dei servizi di una metropoli con problemi ed opportunità uniche al mondo.
Se le  accuse che la procura addebita a questa cupola mafioso-fascista verranno confermate si dimostrerà che il neofascismo “sociale” a Roma era andato ben al di là delle buone intenzioni.
Diventare collaterali della mafia, della criminalità organizzata, dei servizi più o meno deviati è ben altra cosa della sensibilità  sociale.
Ma non  facciamo finta di sorprenderci più di tanto.
Chi si tiene informato dovrebbe sapere bene che non è affatto la prima volta che a Roma si muovono in sintonia queste cloache sotterranee di malaffare, per quanto sia sconvolgente constatare al loro presenza.
E’ appena stato proiettato  dalla tv di stato lo sceneggiato sulla vicenda di Ambrosoli, che metteva ben in luce le trame che allora venivano mosse da Andreotti, Sindona, la mafia e il Vaticano.
Chi se ne fosse  dimenticato, avrà avuto modo di rinfrescarsi la memoria.
Ci avrà trovato quel lato nero del potere, nel senso di sottobosco col piglio manageriale della destra neo fascista,  con potenti appoggi oltre Tevere, ma soprattutto con agganci nell’organizzazione criminale principe di Roma, la  famosa banda della Magliana, che si gioca tutto per compiacere e poi per condizionare anche pezzi da novanta della politica mettendoli a libro paga, senza avere alcun interesse a distinguere fra destra, sinistra e centro.
Non possiamo che essere inorriditi, anche se, obiettivamente, come italiani, ci ritenevamo  e ci riteniamo migliori dei politici,  che ci hanno governato, usando anche  quei metodi.
Siamo inorriditi proprio per la sovrapposizione di due cose che non stanno insieme : la dignità unica al mondo per storia e per cultura di una città  come Roma, e i metodi da politici centro- africani, usati dalla cupola, svelata dalla Procura.
Eppure si tratta di gente che in Campidoglio ci era arrivata con un largo suffragio popolare.
E se questo non bastasse, nella rete degli inquirenti sono finiti parecchi esponenti del centro-sinistra, a fare compagnia agli uomini della destra.
Alcuni personaggi come Mussolini sono stati  dileggiati dalla storia, che è venuta dopo i loro, probabilmente in parte a torto, per il fatto che si è fatta acriticamente,  nel giudicarli, di ogni erba un fascio.
Per loro la condanna è stata pressoché unanime.
Inquieta vedere però, che altri personaggi, non meno tenebrosi come l’ Andreotti, evocato dall’ambiente del quale stiamo  parlando, siano riusciti a conservare un’aura di rispettabilità, che probabilmente non si meritano affatto.
Se vent’anni e più, dopo che Andreotti aveva dovuto abbandonare il giro delle poltrone, anche per banali ragioni anagrafiche, risputano trame di potere che sembrano uscire dai risvolti della sua peggiore biografia, la cosa è scioccante.
Oggi che il suo fantasma viene di nuovo evocato da questi fatti di cronaca giudiziaria viene spontaneo chiedersi come abbia potuto esistere nella recente storia d’Italia un simile politico che seppe  frequentare sia il meglio della classe politica degasperiana, alta  e rispettabile coi suoi successori, spesso di alo livello; sia addirittura la mafia della quale è stato dichiarato contiguo fino a una certa data da una sentenza passata in giudicato; sia finanzieri lestofanti ,come Sindona; il gusto di avere contatti con gente infrequentabile come l’entourage della Magliana; e poi lo stomaco per andare alla sera a fare una bella conferenza sullo Spirito Santo, oltre Tevere, applaudissimo da una schiera di cardinali, in gran spolvero.
Nella commedia umana, si vede che era necessario avere anche un personaggio che sapesse incarnare quello che viene dottamente definito “il gusto demoniaco del potere”.
Per lui, che per altro, era persona di intelligenza sicuramente parecchio superiore alla media ed uomo di cultura, come testimoniano  i suoi libri, il tipo umano onesto “senza se e senza ma”, come Ambrosoli, era un marziano, col quale non riusciva a relazionarsi, non riusciva sinceramente a capire come potesse anche solo esistere, una persona senza prezzo, andava in corto circuito, il suo subconscio sul potere non lo tollerava.
Se il potere diventa il vero dio di riferimento, del quale inevitabilmente ci si ritiene sommo sacerdote, la politica diviene il male assoluto.
E a quanto pare a  Roma più di qualcuno ci è ricaduto.
Questa volta pare non esserci coinvolto il Vaticano, forse il lavoro di ramazza di papa Francesco è stato più incisivo di quello che appare al di fuori.
Ma che brutto spettacolo.
Sarà magari anche per un giustificabile shock iniziale, ma mi sembra che la prima reazione dei due “castiga- matti” del momento,  Matteo Renzi e Matteo Salvini, non sia stata proporzionata alla gravità dei fatti.
Anzi in Renzi ho avvertito qualche scontato appello al garantismo che mi è apparso sovrabbondante date le circostanze.
O  forse si da già per scontato che la magistratura giudicante abbia veramente e deliberatamente cambiato indirizzo e che adesso assolverà tutti per mancanza di prove abbastanza certe, come ha vaticinato questa mattina l’ immoralista per vocazione, Giuliano Ferrara ?
Questa invece potrebbe essere  un’occasione da non perdere per Renzi ora che gli viene offerto  su un piatto d’argento l’opportunità di lasciare il fioretto, per passare a una più risolutiva accetta.
C’è molto da tagliare.




mercoledì 3 dicembre 2014

La gente non si accontenta più di un energico decisionista, oggi cerca ormai il castigamatti e Salvini sembra il tipo giusto a un numero sempre maggiore di persone



Dopo decenni di malgoverno o di semplice s-governo, oggi l’Italia  ha accumulato una tale mole di problemi che ha poco senso pensare che possano essere risolti con i metodi usuali.
Qualsiasi problema, in qualsiasi settore, oggi, non è risolvibile con una  semplice aggiustatura, perché dovunque ci si rigiri ci si imbatte in problemi sistemici.
Sarà politicamente scorretto parlarne apertamente, ma, come si è già accennato in articoli precedenti, oggi chiunque sia chiamato a governare, se vorrà combinare qualcosa, dovrà introdurre  elementi supplementari  di autorità se non proprio di “autoritarismo”.
Non saprei come esprimermi diversamente per dire che occorre adottare una filosofia generale  ispirata al principio di ristabilire l’autorità dello stato  su quella di corporazioni, lobby, mafie, caste, regioni finite fuori controllo ex municipalizzate eccetera, organi giurisdizionali le cui funzioni sono attualmente debordanti come Cassazione e Tar, eccetera.
Non è un caso che all’orizzonte della politica siano apparsi  ed abbiano conquistato il primo e secondo posto nella fiducia degli Italiani, due giovani rampanti, che si contraddistinguono principalmente dal volere buttare nel cestino della storia vecchie  classi dirigenti, vecchie sceneggiate, vecchi costumi.
Ambedue sono individui molto energici, ambedue hanno premura, ambedue sono poco propensi alle trattative.
Ma che succede arriva un “duce”?
Bando ai riferimenti ad un passato che , anche se qualcuno volesse ,non potrebbe ritornare mai, ma non  facciamo finta di non capire, la gente oramai vuole qualcuno capace di rimettere ordine veramente.
Pericoloso?
Beh, in parte  si,ma la situazione è quella che è.
Oggi, al di là della buona volontà ed alla caratura delle singole persone, nel caso in cui Renzi fallisse, nessuno troverebbe sensato ricorrere a personalità come Monti o Letta, o peggio ancora ad esponenti anziani del vecchio sistema, come si è fatto in un passato ancor molto recente.
Le cose e la sensibilità dell’opinione pubblica hanno fatto un altro salto in avanti.
Più passa il tempo senza che si faccia nulla e più l’impressione è che la gente invochi senza mezzi termini, non più solo un decisionista, capace di fare le riforme, perché questo probabilmente  non  basta  più, oggi la gente, ho la  sensazione, che cominci a invocare  il “castiga-matti”.
L’ascesa nella fiducia degli elettori di Salvini, sta diventando impressionante ed è inversamente proporzionale  al fatto che Renzi stia segnando il passo.
Renzi certo sembra in   grado di dare più garanzie, per quel poco di collegamento con le tradizioni  politiche del suo partito che non lui , ma i suoi elettori ancora evocano, nel loro immaginario collettivo; per  le eterne paure dei moderati di sempre, che già hanno fatto un uovo fuori dal cesto votando per lui, ma che sarebbero molto imbarazzati a votare Salvini, per la stessa ragione per la quale non erano riusciti a votare Grillo un anno fa.
Però , anche i moderati quando si vedono davanti agli occhi lo stato che si arrende sistematicamente di fronte alle occupazioni della  case popolari di Milano e casi analoghi.
Quando, giusto o sbagliato che sia, avverte con sempre maggiore fastidio  la presenza crescente dei “diversi” che una immigrazione non governata da nessuno  ci mette intorno.
Quando il ceto medio più recente che da una generazione era riuscito a fare il salto dalla condizione operaia a quella borghese si trova ora  ricacciato indietro.
Quando il popolo delle partite Iva al quale i conti fanno sempre più difficoltà a tornare, si sente abbandonato.
Quando la colonna portante della borghesia costituita dal ceto impiegatizio statale o no, si vede apertamente sbeffeggiata come  improduttiva e parassitaria.
Quando moltissimi avvertono di non contare più niente.
Quando succedono tutte queste cose insieme, i manuali di storia dicono che sale la domanda politica diretta ad invocare  l’avvento del “castiga-matti”.
Renzi in teoria potrebbe soddisfare a questa domanda, tanto che di fatto ci ha costruito sopra la  sua fortuna politica fino ad oggi.
Si è presentato nel modo più opportuno per interpretare quella parte.
Oggi però, in mancanza di realizzazioni sostanziali sta cominciando a recedere.
Fino  a  quando i suoi avversari si riducevano a un  Berlusconi allo sbando ed a un Grillo, capace solo di abbaiare alla luna, avrebbe potuto permettersi di tirare le cose per le lunghe.
Non più oggi , quando lui scende e Salvini sale e si avvicina.
Salvini non è più quel ragazzone sbracato, che girava per le periferie di Milano a sbeffeggiare immigrati e napoletani, cercando di rivitalizzare un partito debilitato dalle ridicole megalomanie del cerchio magico di Bossi, usando ancora il vecchio e logoro repertorio di  quel partito.
Salvini si è lasciato intelligentemente folgorare sulla via di Parigi,  dove Marine Lepen, aveva lavorato per anni a buttare nella spazzature il vecchio armamentario neo-fascista di suo padre, per sostituirlo con un’ offerta politica, di destra sì, ma adeguata ai tempi.
Ed allora siamo arrivati al “contr’ordine compagni” non si parla più di padania ,federalismo , indipendenza del nord eccetera, ma oggi si parla di un nuovo partito nazionale.
Magari  restando ancora  in Europa, ma in un Europa delle patrie,  come del resto è  sempre stata interpretata dall’Inghilterra e dalla Germania della Merkel, che ha addirittura messo questi limiti ben chiari in Costituzione, dando alla sua Corte Costituzionale potere di veto su qualsiasi iniziativa comunitaria, considerata troppo invasiva.
Purtroppo alla LePen ed a Salvini potrebbe riuscire quello che Renzi non ha il coraggio o la forza di fare, e cioè denunciare il famoso tetto del 3%, che impedirà per sempre all’Italia di crescere.
Con chi si può alleare Renzi per fare un’operazione del genere?
Ad un Hollande al 15%, che non sa neanche più come si chiama,ma  che ha timore reverenziale della  Germania?
A Rahoy, allievo prediletto dei falchi tedeschi, che ha fatto diligentemente i compiti a casa da loro  imposti,ma che è rimasto con una disoccupazione doppia della nostra, che è tutto dire?
Salvini ha imparato in fretta che per far politica nel mondo di oggi, occorre uscire dal pollaio di casa  e cercarsi alleati determinati e potenti all’estero.
Ed ecco l’altro riferimento cardine di Salvini e la LePen, quel  Putin,  che  a suo volta ha assoluto bisogno di alleati di peso per togliersi la camicia di forza che gli stava cucendo intorno la Germania della Merkel con i suoi satelliti nordici fanaticamente anti-russi, Polonia e Baltici in testa.
Prossimo passo i Repubblicani americani?
Se riusciranno a convincerli che hanno ripudiato le idee neofasciste, probabilmente si, e questi come alleati sarebbero veramente dei pezzi da novanta.
Questa volta Renzi si trova per la prima volta ad avere un  avversario al suo livello, ma con in  mano carte anche migliori delle sue.
Salvini ha imparato molto in fretta anche il fatto che per ora per far politica bisogna essere il più possibile sul teleschermo e infatti vi sta dilagando  e per disgrazia di  Renzi,  ne esce bene e sa presentarsi con quel tanto di moderato,di educato e di assennato che basta,  senza dovere abbandonare la grinta, che è il suo punto di forza irrinunciabile.
E’ chiaro però che se moltissima gente ha  votato  alle europee per Renzi solo ed esclusivamente perché, a torto o ragione, lo aveva ritenuto l’ultima spiaggia, quelle persone medesime per votare, in un domani Salvini, dovrebbero sentirsi veramente alla disperazione.
Perché questo ragazzo è abile a indossare i panni richiesti per l’occasione e sta molto attento a stare a tavola rispettando l’etichetta, ma il suo universo culturale, probabilmente non è molto diverso da quello del suo compagno di partito, senatore Borghezio, che fino a ieri frequentava apertamente i neofascisti di tutta Europa, senza vergognarsene ed anzi dando a vedere di essere perfettamente a suo agio.
Però la crisi c’è ed è destinata a durare ed allo stesso modo  lo sfascio di questo stato c’è  e non si muove.
E dunque se Renzi ce la farà, sarà meglio per tutti, ma se fallisse, Salvini è lì che lo incalza e da vicino.



venerdì 28 novembre 2014

Col discorso al Parlamento Europeo di Strasburgo il 25 novembre scorso   papa Francesco ha dato il meglio di sé




Papa Francesco al Parlamento Europeo è stato accolto, come al solito, in modo quasi entusiastico se si guarda al numero degli applausi ed alle standing ovation che gli sono state tributate.
E'al momento il leader mondiale di maggior prestigio e questo in qualche modo gli consente di sfruttare il sua vantaggio competitivo, ovunque vada.
La mia impressione però è che questo papa renda al massimo quando incide mettendo in atto dei comportamenti che tutti riconoscono come contro corrente o quando lancia  delle battute con prospettive nuove, o meglio ancora, quando il suo discorso si connette direttamente e senza intermediazioni teologiche al puro messaggio evangelico, come ha fatto in una parte di questo discorso.
E' papa da un anno e mezzo abbondante (dal marzo 2013) e ormai ha lasciato il segno e si è fatto conoscere.
Ha il suo stile, che direi è più lieve di quello dei suoi predecessori e questo è il suo punto di forza.
La chiesa che guida è già troppo ingessata da dogmi, precetti e astrazioni teoriche e quindi un papa oggi potrebbe benissimo fare a meno di encicliche e di dichiarazioni corpose.
Non credo che sia un peccato o un segno di superficialità affrontare alcuni problemi senza dare risposte articolate, ma solo accennare a delle proposte di soluzione, perché il mondo di oggi non è più quello di ieri, è molto più complicato e sopratutto va troppo veloce per stargli dietro con una adeguata conoscenza.
Di conseguenza, l'arroganza che dimostravano i papi precedenti nel voler sempre  vendere come verità oracolari,  delle loro pure  supposizioni,che spesso si rivelavano  del tutto infondate, era un errore, che probabilmente, ha   contribuito non poco  a condurre la chiesa nel cattivo stato di salute nel quale si trova tuttora.
E' molto meglio che papa Francesco continui a fare tesoro della virtù  dell'umiltà, che è così trascurata nel costume della chiesa, tanto che, non per niente, non è elencata né fra le virtù teologali, né fra le virtù cardinali dai vecchi catechismi, pur essendo considerata una virtù importante, anche dalla tradizione cattolica  e dal senso comune.
Forse i teologi si sono resi conto che il mondo clericale proprio non ci sarebbe riuscito a praticarla e han lasciato perdere.
Si pensi, però, al fatto significativo, che i cattolicissimi e potentissimi Cardinali Carlo e Federigo   Borromeo avevano scelto per il loro stemma di famiglia proprio la parola "humilitas" e non altre.
"Chi sono io per giudicare?".
Quando ha detto questa frase papa Francesco è stato grandissimo, nella sua professione di umiltà.
E poi è giusto riconoscere che ognuno ha un suo stile e una sua formazione e con quelle è opportuno che si presenti, senza travestirsi con abiti diversi, secondo le circostanze.
Da quello che abbiamo visto fino ad oggi, appare chiaro che papa Francesco non avrà  magari del tutto, per esempio, la profondità culturale che induceva  un Paolo VI a definire e  pesare col bilancino ogni parola, ma questo, lo ripeto, potrebbe ai nostri tempi, giocare a suo favore, costringendolo ad essere più diretto e più "umano".
Al Parlamento di Strasburgo il papa ha detto molte cose, bene accolte a volte dalla intera assemblea, a volte solo dalla, pur corposa, minoranza (di centro-sinistra), perché di "cose di sinistra" ne ha dette veramente molte.
Il discorso è stato quindi molto diretto, come è nel suo stile, ma è stato anche corposo (sette pagine) e ben congegnato.
Per chi si occupa di queste cose, si poteva vederci dentro chiaramente il riferimento costante alla parte migliore della dottrina sociale contenuta nelle encicliche di Paolo VI.
- Ha lodato l'Europa come paladina della difesa della dignità della persona umana e questo nel modo di oggi risponde chiaramente alla realtà delle cose.
L'Europa sarà anche vecchia e acciaccata, come lui l'ha definita, in modo quasi scanzonato, ma è pur sempre il più visibile baluardo nella difesa dei diritti umani.
 Andando anche oltre Paolo VI, papa Francesco ha   ancorato il concetto della dignità della persona, da lui definita trascendente e quindi in un universo non riconoscibile per i laici, ai diritti umani, come si sono formati nella loro evoluzione storica e qui si è felicemente unito alla cultura filosofia e laica.
Non ha citato l'illuminismo, parola che i papi fanno ancora così fatica a pronunciare, sentendola in concorrenza col cattolicesimo, ma ne ha enunciato implicitamente il senso e questo è già tanto, superando
così le fisime dei suoi predecessori.
- ha invocato la difesa della dignità della persona nella necessità di trovare posti di lavoro e poi di difendere la loro stabilità, indispensabile per consentire ai lavoratori medesimi di programmare la vita della propria famiglia.
Come si è detto sopra, ho avuto l'impressione che i suoi collaboratori che, gli avranno verosimilmente fornito il materiale, per trattare questa particolare materia, siano stati molto abili a confezionare un efficace e fedele riassunto della dottrina sociale di Paolo VI;
- ha invocato maggiore attenzione e solidarietà per i migranti che attraversano il Mediterraneo;
- ha finalmente accennato il dramma delle comunità cattoliche perseguitate in modo sistematico in certe parti del mondo.
Finalmente, perché, e anche con qualche ragione, molti suoi critici si sono fortemente attaccati ai suoi precedenti preoccupanti silenzi in materia;
- è entrato, addirittura a testa bassa, nella critica corrente della natura eccessivamente tecnocratica e burocratica dell'Unione Europea, che sembra avere perso una visione strategica di più lungo respiro, ispirata ai valori originari;
- ha fatto perfino un accenno all'Europa, maestra di scienza, ma non solo, nell'elencare le materie nelle quali l'Europa è stata maestra ha elencato addirittura scienza arte e musica, prima della fede.
C'è veramente da trasalire pensando all'arrogante pretesa di egemonia culturale, che, in confronto, predicavano in materia i suoi predecessori.
E' solo un accenno, ma è meglio di niente.
Che peccato che i papi predecessori di Francesco abbiano un rapporto in genere , così cattivo e limitato da vecchi pregiudizi sulla scienza, della quale sembrano vedere solo i presunti pericoli, ma trascurano contemporaneamente le enormi conquiste fatte della scienza moderna, che hanno migliorato la vita del genere umano in modo  impressionante, come è sotto gli occhi di tutti.
Non posso a questo proposito non citare ancora Paolo VI, che nelle sue encicliche sociali, è stato l'unico papa, capace di  manifestare addirittura  genuino entusiasmo per le conquiste della scienza e della tecnica.
Ma dopo di lui era stato il vuoto e si erano visti e segnalati solo pericoli, dai quali mettere in guardia con ingiustificata paura.
- c'è stato l'accenno di prammatica alle radici cristiane dell'Europa, ma fatto senza calcare troppo la mano, cioè non citandole  come le uniche radici, come avevano fatto Wojtyla e Ratzinger, ma   come punto di partenza sul quale costruire il futuro e non come punto di arrivo, e non senza avere correttamente elencato il valore della tradizione greca e romana e addirittura di  quelle celtica e germanica, oltre a quella cattolica.
Va bene, non ha citato Voltaire, ma poco ci mancava.
Non dimentichiamoci ,poi, del  fatto che papa Francesco non è un europeo ,ma è un sudamericano e questo conta moltissimo.
Essere abituati a vedere l'Europa dal di fuori e non dal di dentro, è un punti di vista molto differente dal nostro.
Chi si informa su casa pensano e come ragionano le diverse componenti di questo nostro mondo globalizzato, sa che nel così detto mondo in via si sviluppo, al quale appartiene anche l'America Latina, non solo non c'è più da tempo il vecchio timore reverenziale verso la vecchia Europa, ma c'è invece un senso di fastidio ed anche un qualche rancore e papa Francesco nel suo discorso ne ha fatto un breve cenno : l'Europa ha cessato di essere un riferimento invidiato, perché ha perso la spinta e l'ispirazione dei suoi ideali.
Questo spiega la disinvoltura con la quale il papa non ha esitato ad entrare nel merito dei temi politici più caldi della politica europea del momento : sviluppo, occupazione , flessibilità e stabilità del lavoro, visione a lungo periodo e non arroccamento su limitanti orizzonti burocratici- tecnocratici, emigranti.
Come detto sopra, questo papa sui temi internazionali è molto criticato dai suoi oppositori interni  che gli rinfacciano la "colpa" :
- di non reagire con determinazione nei confronti di chi perseguita le comunità cattoliche;
- di dimostrare di non avere una linea per contrastare in particolare l'islamismo violento dei tagliagole dell'Isis e compagni;
- di essere troppo "buonista" nel predicare l'accoglienza degli emigrati che cercano rifugio in Europa.
E in effetti è stato visto con sorpresa il lungo silenzio di papa Francesco su questi temi.
Lo si era detto anche su questo blog,  sembra che abbia paura di parlare male dell'Islam perché, se lo facesse, sarebbe costretto a parlare di "guerra di religione".
E se nominasse quelle due parole, rischierebbe l'autogol,  perché la gente non potrebbe non pensare subito alle crociate ed alle stragi di presunti eretici praticati dalla chiesa cattolica nei secoli, con non meno ferocia di quanto fanno oggi i Jihadisti.
E infatti molto gesuiticamente, papa Bergoglio si è difeso attaccando, quando ,con !" un'excusatio non petita", accennava agli errori e addirittura ai peccati commessi dalla chiesa in passato nei rapporti con i non cattolici o con i cattolici di altre confessioni, e bene ha fatto a mettere le mani avanti.
Nessuno degli oppositori di Papa Begoglio ha ancora invocato la chiamata a una nuova crociata, ma certo l'argomento è delicatissimo, anche perché gli animi della gente si stanno sempre più scaldando a questo proposito e la posizione attuale del papa appare obiettivamente ancor un po' troppo debole, ma forse si sta evolvendo.
La sua linea in proposito che ha ribadito non nel discorso, ma durante il viaggio in aereo al ritorno in  Vaticano, è che per difendersi da un attacco ingiusto non sarebbe lecito agire usando la forza direttamente, ma occorrerebbe sempre cercare la copertura dell'Onu.
Ineccepibile sul piano teorico, ma nella realtà di un Onu, lentissimo a muoversi, con una "governance" macchinosa e bloccata dai veti, e sopratutto senza disporre di una forza militare sua propria, è un po' come lasciare le vittime in balia di sé stessi, cosa che risulta intollerabile.
Si tratta di una linea, che va sicuramente rivista e rielaborata con una maggiore dote di realismo.
Non è che gli altri papi abbiano fatto di meglio in una materia così delicata e per sua natura divisiva, ma fin quando con cambierà, questa linea  è  veramente un grosso punto di debolezza di papa Francesco, che sarà usato e amplificato dai suoi critici interni, con l'abituale cattiveria.
Ma dove questo il papa dà il meglio di sé stesso e diventa convincente a tutti è quando si limita al discorso evangelico puro.
E quindi il cuore vero del suo discorso è stata la parte sulla solitudine dell'uomo moderno, che viene sofferta in modo più pesante,  sopratutto nel mondo più sviluppato, come nella nostra Europa, perché qui la famiglia è spesso meno attrezzata a fornire assistenza, presenza e copertura.
Contemporaneamente ha  stigmatizzato la connessa "mentalità dello scarto" che papa Francesco cita spesso.
E' un'espressione talmente diretta, da poter essere considerata inopportuna, o addirittura volgare, se usata anche nei riguardi dei più deboli e bisognosi degli uomini, come fa appunto regolarmente questo papa.
Quando usa queste espressioni dà delle autentiche frustate, ma questa è la sua vera forza.
E' questo suo essere diretto, senza preoccuparsi di poter ferire delle suscettibilità particolari,  che la gente ama di più.
E lo amano perché, quando parla in questo modo, evoca, nell'immaginario della gente medesima, direttamente il fondatore del cristianesimo, senza invischiarsi nelle costruzioni e prescrizioni astratte della teologia , e quindi, come papa, non potrebbe fare nulla di più e di meglio.



mercoledì 26 novembre 2014

Elezioni del 23 novembre : anche in politica la gente lascia le vecchie chiese



Facile per chiunque dire chi ha perso le regionali del 23 novembre scorso.
Berlusconi ha perso in modo catastrofico e Grillo gli andato dietro, poi, come di consueto, nè l'uno nè l'altro riconoscono la portata della sconfitta, che per loro potrebbe significare il fatto di essere all'ultimo giro e che i loro movimenti non hanno la garanzia di sopravvivere alla sconfitta del fondatore.
Facile anche , specularmente, individuare i vincitori, dato che i numeri non mentono.
Ha vinto Renzi, che si ritrova col suo partito a governare tutte le regioni italiane meno Lombardia  Veneto e Campania.
Ha vinto, e in modo clamoroso, Salvini che raddoppia i voti e dimostra di avere ormai una base nazionale e non più solo locale.
Stiamo parlando di quattro movimenti politici, che di fatto rappresentano la quasi totalità delle forze politiche italiane ,e che hanno tutte una caratteristica peculiare, radicalmente diversa  rispetto al passato.
Hanno tutti  tagliato i ponti col partito -chiesa del passato, nel quale ci si riconosceva, come in un fattore identitario e che per questa ragione non si abbandonava mai se non da parte di frange marginali.
L'ideologia , i così detti valori fondanti, erano i vangeli che non era lecito mettere in discussione.
E questa situazione era durata fino a molto di  recente, perché il PCI , associazioni collaterali e classe politica era di fatto sopravvissuto costituendo la spina dorsale del PD.
La DC nella sua parte moderata, che era la maggioranza, non  ha fatto fatica a riconoscersi nel berlusconismo, mentre la sinistra democristiana era sopravvissuta entrando nel Pd, se pure in posizioni di minoranza.
La consapevolezza di queste origini per molti era la garanzia rassicurante di essere sempre nel  partito -chiesa di sempre.
Per i berlusconiani ex democristiani, in particolare, perché il leader  è stato omaggiato da papi, segretari di stato e presidenti della Cei, fino al recente cadutone causato dalla condanna penale.
Non di meno per gli ex- comunisti, che di comunista o anche solo di socialista non avevano più nulla, ma che per necessità si trovarono costretti a venire incontro alla volontà della base di tenere vive le radici almeno nella memoria dei leader del passato più presentabili come Enrico Berlinguer o dei segretari generali storici della CGIL.
Poi è arrivato Renzi, che per il suo partito era un marziano, in quanto la sua giovane età gli consentiva praticamente di non essere politicamente figlio di nessuno e quindi di inventarsi un suo, se pur generico, universo di riferimento, che va da Tony Blair a Barak Obama, ma che trascura quello che era l'intero Pantheon del suo partito.
Questo salto in avanti sarebbe stato assolutamente impensabile in altri tempi ed è stato possibile oggi solo perché ,chiaramente, l'elettorato ha dimostrato di essersi sganciato, forse definitivamente, dalla "fede" nei partiti- chiesa, e di chiedere alla politica la risoluzione dei problemi, che avverte come più urgenti di volta in volta e i "valori fondanti" li sostituisce con un sano e forse eccessivo pragmatismo.
Lo stesso fenomeno si avverte nel caso dei Grillini.
Non hanno radici in forze politiche storiche e se ne vantano, di conseguenza non hanno il riferimento a "valori fondanti", ma assemblano di volta in volta la loro offerta politica se pure tenendo ferme alcune linee guida come difesa dell'ambiente, lotta ai privilegi della casta, salario garantito per i giovani ecc.
In casa di Berlusconi le cose vanno un po' peggio, perché anche se i giudici hanno inspiegabilmente scelto di cambiare indirizzo e da qualche tempo assolvono tutti, la vecchia volpe è rimasta irrimediabilmente presa nella tagliola di una condanna definitiva e quella se la tiene.
Di conseguenza è costretto ad andare a patti con Renzi, col cappello in mano, per chiedergli in cambio "l'agibilità politica", cioè la grazia.
Come possa pensare seriamente di potere condizionare un atto sovrano del prossimo presidente fornendogli in cambio i voti necessari per la sua elezione, lo sa solo lui.
Vada a chiedere a un vaticanista quanti papi anno rispettato le promesse che avevano fatto ai cardinali che li hanno eletti in conclave, avrà delle risposte molto scoraggianti.
Quello di Berlusconi è un   partito in disfacimento, per il quale, alla parte residuale che rimarrà in vita Berlusconi non è una risorsa ma un problema.
I numeri dimostrano che la "fede" nelle imperiture fortune del capo non è stata condivisa dalla metà del suo elettorato.
Un partito poco oltre il 10% che  nei momenti d'oro del '94 e seguenti raccoglieva  il 40%, che futuro può avere?
Per la Lega di Salvini si può fare un discorso in parte analogo  a quello di Renzi.
La giovane età gli consente di  saltare ben oltre l'acciaccato fondatore e il suo disastroso "cerchio magico".
La sua Lega, della vecchia Lega ha solo il nome ed anche questo probabilmente è destinato a cambiare, perché l'attuale bacino nazionale trasforma radicalmente la fisionomia del vecchio  movimento.
Finiti i riferimenti fondativi al federalismo ed all' indipendenza del Nord, si passa ad adottare l'ideologia lepenista, che come in tutte le ideologie di destre  è tutto il contrario e cioè è statalista, in quanto nazionalista.
Qui nella Lega, il ripudio del vecchio partito -chiesa, di rito celtico è ancora più radicale che negli altri partiti.
Salvini, giustamente dal suo punto di vista, è come Renzi e Grillo  un assemblatore di offerta politica, che mette insieme le situazioni di disagio e di rabbia sociale, che sono molte e consistenti.
E' destinato a mangiarsi le altre formazioni di destra, Berlusconi compreso in un sol boccone.
Ed alla stabilità del sistema e quindi anche a Renzi, giova tutto sommato avere di fronte, incarnata da Salvini, "l'opposizione di sua maestà", all'inglese, che ora non c'è, se non per la presenza più goliardica, che politica, dei 5Stelle.
Siamo quindi in uno scenario nuovo, completamente nuovo, che come sempre offre grandi opportunità ed anche il pericolo di decadere nel populismo, dove vince chi la spara più grossa.
A Renzi il compito di portare a casa al più presto delle riforme vere, approfittando della singolarità del momento per essere ancora più coraggioso.
Berlusconi e Renzi sono in gravi difficoltà, a Renzi quindi l'opportunità di giocare la carta dei due forni, secondo le convenienze del momento.
Ha l'enorme vantaggio di essere lui a dare le carte, lo sfrutti.



Il film televisivo su Altiero Spinelli ha reso un ottimo servizio



La Rai, dopo avere inseguito per vent’anni Mediaset sul terreno dei “programmi di evasione”, ci aveva da un pezzo disabituati a vedere qualcosa di culturalmente consistente.
Per la verità la trasmissione, qualche mese fa, del film televisivo sulla figura di Adriano Olivetti, aveva aperto uno spiraglio, che la trasmissione sulla vita di Altiero Spinello dell’altro giorno ha confermato.
Non sembra vero, perché programmi di questo tipo rispondono chiaramente  a quella che era stata, nella prima repubblica, la filosofia di Amintore Fanfani e di Bernabei, il suo uomo alla Rai, direttore generale per un lungo periodo.
Filosofia che, constatando il fatto che gli italiani non erano un popolo coltissimo e soprattutto non avevano troppi strumenti per coltivare la cultura e arricchire il proprio bagaglio di conoscenze, individuarono nella Rai un potentissimo mezzo per fare anche didattica.
Il berlusconismo, e prima di lui il craxismo, si sono preoccupati di snobbare la televisione di quegli anni, descrivendola come grigia e oscurantista, ma si sono sbagliati di grosso e infatti vediamo quale deserto culturale si sia abbattuto sulla Rai dopo la cura da loro imposta.
Altiero Spinelli, geniale utopista, è riconosciuto universalmente come il padre fondatore dell’Europa come federazione, che superi gli egoismi degli stati nazionali, tanto che l’ala principale del palazzo di Strasburgo, dove ha sede il parlamento europeo, è a lui dedicata (l’altra è giustamente intitolata ad onorare Henri Spaak, il politico belga altro padre dell’ ideale europeo).
Spinelli non è difficile accostarlo ad Olivetti, perché ambedue sono personaggi di sovrabbondante intelligenza, con una visione del futuro, che andava di gran lunga al di là della visone dei loro tempi.
Un’altra caratteristica li accomuna : geni visionari, ma allergici all’arruolamento nei partiti , quindi considerati di fatto “figli di nessuno” e per questa “colpa”,di fatto, abbandonati a sé stessi dalle istituzioni e dalle forze politiche.
Ambedue con saldi radici e riferimenti alla filosofia illuminista.
Ambedue intellettuali di grande spessore, ma nello stesso tempo tenaci uomini di azione.
Ambedue, non dico dimenticati, perché almeno nei programmi scolastici ci sono oggi accenni ad entrambi, e ci mancherebbe che non fosse così, ma certo quasi mai citati dalla nostra, poco colta,  e inconcludente classe politica.
E’ abbastanza penoso vedere sulle pagine dell’Enciclopedia digitale Wikipedia,oggi ultraconsultata, qualificare grossolanamente Altiero Spinelli come comunista, anche se nella biografia si dice chiaramente, che al Partito Comunista si era iscritto da ragazzo, ma che fu ben presto espulso, perché in quel partito non erano graditi i liberi pensatori.
E’ vero che fu eletto a Strasburgo col concorso del Pci, ma come indipendente di sinistra, per il semplice fatto, che le regole del gioco in politica non contemplano l’esistenza di “figli di nessuno”.
Bella la descrizione dell’ambiente dei confinati antifascisti sull’isola di Ventotene, dove Spinelli passò gli anni, che vanno dalla sua uscita dal carcere, dove aveva trascorso dieci anni, per reati di opinione in quanto antifascista, alla caduta di Mussolini il 25 luglio ’43.
Bella perché gli autori sono riusciti a privilegiare gli aspetti umani di quelle persone, resistendo alla tentazione di esaltare figure, ivi presenti, poi assurte quasi al livello di “padri della patria” ,come ad esempio Sandro Pertini.
Buona, anche perché inevitabilmente corrispondente alla realtà storica, la presentazione della figura di Ernesto Rossi, come l’amico del cuore di Altiero Spinelli.
I due erano fatti per intendersi, proprio perché battitori liberi tutti e due.
A Ventotene , a parte i socialisti, del calibro di Pertini, c’erano diversi personaggi, che pochi anni dopo, avrebbero occupato le poltrone di mezza direzione nazionale del Pci, e di conseguenza si era in un ambiente, nel quale la voglia di accentuare la propria identità politica era una tentazione continua, anche a causa della congenita volontà egemonica dei comunisti ortodossi.
E quindi bene hanno fatto gli autori a mettere in evidenza questo, che era stato  un dei guai quotidiani per chi si univa alla Resistenza senza essere comunista.
La durezza della vita nella resistenza militante e pericoli corsi quotidianamente, alla fine, faceva prevalere  le ragioni dell’insieme, sull’arroganza dei fondamentalismi comunisti.
Come avvenne puntualmente a Ventotene, dove il “commissario del popolo” in carica non poté fare a meno di comunicare a Spinelli, che essendo lui uno che non si conformava alla linea del partito, doveva considerarsi buttato fuori.
Ma la tenacia della gente come Spinelli e la loro fiducia nella superiorità assoluta del pensiero critico su quello dogmatico, fu fondamentale per spingere quei  deportati a non aver paura di criticare in pubblico il punto di vista dei vari “commissari del popolo” contribuendo così a trovare un indispensabile terreno di intesa e a riflettere sulla insensatezza dei dogmi imposti dall’alto, anche quando erano senza fondamento logico.
Ma torniamo al sopra citato Ernesto Rossi, anche lui intellettuale di grande calibro, ma poco noto al grande pubblico, perché con Spinelli condivideva il peccato originale di essere tenacemente “figlio di nessuno”.
Radicale e illuminista liberale, efficacissimo e bruciante polemista.
I libri di Ernesto Rossi, che dimostravano la collusione del Vaticano col fascismo e poi i pamphlet contro alcuni personaggi celebri della finanza e dell’industria italiana, gli hanno creato nel dopoguerra una montagna di nemici.
Per la verità, la tv di Bernabei, che all’inizio abbiamo esaltato, era in quegli anni di stretta osservanza vaticana, e quindi mai e poi mai avrebbe dedicato tanto spazio a un personaggio come Ernesto Rossi.
Ma oggi per fortuna tanta acqua è passata sotto i ponti del Tevere e il Vaticano non fa più tanta paura, anche se, va detto, in questo caso a suo onore, la Signora Tarantola, attuale presidente della Rai, si ritiene, che avrebbe ottenuto a suo tempo quella carica sulla spinta della segreteria di stato vaticana.
Quindi i tempi sono si cambiati, ma siamo pur sempre in Italia e certe cose cambiano lentamente.
Spinelli, abbiamo detto, è il padre dell’idea di Europa come federazione e padre rimane, perché come è ben noto le idee non può ucciderle nessuno.
Ma l’Europa, sua figlia, come la voleva lui , purtroppo, non è mai nata,perché gli stati hanno avuto paura di fare la federazione, rinunciando agli egoismi nazionali.
Ed è notorio che è a causa proprio di questo, che ora l’Europa rischia di dissolversi.
La gente ha perso fiducia in un Europa, che arriva nella vita delle singole persone, prima di tutto, come esattore di tasse sempre più esose, come banca, che non concede crediti, come un potente fantasma, che vuole privarci del Welfare.
Di buono l'Europa ci lascia solo l’Euro, che fa molto comodo avere in comune con gli altri partner dell’Unione Europea ,che hanno aderito alla moneta unica, perché è l’unica cosa importante, che ci fa sentire allo stesso livello degli altri.
Ma in pratica non può esistere una moneta comune fra stati che non vogliono mettersi in comune, perché non sopportano l’idea elementare di condividere i debiti degli altri.
Come si fa a fare una comunità, basata sull’idea : quello che guadagno io me lo tengo io, e chi guadagna meno del necessario, si aggiusti?
Spinelli aveva concepito una figlia ideale un po’ più intelligente e lungimirante.





giovedì 20 novembre 2014

Papa Francesco si avventura a parlare di  bioetica e  tornano inaspettatamente  in auge le argomentazioni più logore di papa Woytila



Il Papa sceglie inusitatamente di dare visibilità all’Associazione dei medici cattolici , che, come quelle analoghe,  è un organismo di dubbio significato,  fatto sorgere dopo la guerra da  Pio XII in risposta  al motto “istaurare  omnia in Cristo” sul quale fu rifondata l’Azione Cattolica, nelle sue varie branche, comprese quelle rivolte alle varie categorie della società.
Già qui siamo in un passato che non si vede che senso possa avere nel mondo moderno.
Non bastano i guasti fatti  nei passati decenni dall’affarismo  di Comunione e Liberazione nel mondo della sanità per screditare l’ispirazione evangelica del cattolicesimo,  bisogna proprio tornare all’Azione Cattolica, settanta anni dopo, in un mondo, che non ha più niente da spartire con quello di allora?
I medici cattolici, i giuristi cattolici, i veterinari cattolici, ma che senso possono avere?
Se qualcuno ha proprio la necessità  irrefrenabile di irreggimentarsi in organismi che promuovano l’identità cattolica, per lo più al fine di acquisire relazioni, utili al fine di far  carriera più in fretta, ha sempre la possibilità di  rivolgersi  alla massonerie bianche appunto di  CL e dell’Opus Dei, senza andare  a rivangare vecchi attrezzi  di un passato che non tornerà mai.
A mio avviso è incomprensibile il solo fatto che Papa Francesco  di sia fatto coinvolgere  nel  tentativo di rianimazione di un movimento di scarsissimo significato e di non verosimile attualità.
Servirsi di quell’occasione per esaltare l’obiezione di coscienza, come  un  presunto atto  di coraggio che sarebbe controcorrente, dimostra solamente il fatto che questo papa non ha nessuna conoscenza del  mondo degli ospedali italiani.
La matematica fortunatamente non è un’opinione, e non sarebbe male che anche in Vaticano ci se ne servisse di più, per usare i  concetti più elementari di  quella  branca della matematica applicata che è la statistica.
Ora, se tutte le rilevazioni di  sociologia  religiosa  sono concordi nello stimare, per eccesso,  intorno al 20% il numero dei cristiani praticanti in Italia e del 5% il numero dei medesimi cristiani praticanti nelle città metropolitane  e nei capoluoghi di provincia, dove appunto hanno sede i maggiori ospedali ,come si spiega l’ 80% in media nazionale di medici  e infermieri, che si  dichiarano obiettori di coscienza  nei reparti di Ostetricia?
Non c’è proporzione, c’è chiaramente qualcosa che non quadra.
Non sarà il caso di pensare a pura piaggeria nei confronti di primari baroni, che ritengono utile ai fini di carriera proclamarsi  ultra cattolici di stretta osservanza?
Esaltare la piaggeria e il carrierismo come atti di coraggio controcorrente non sembra una  cosa sensata.
Questo papa, che viene dal  Sud America, ha tutto il diritto di essere disinformato sulla condizione delle cliniche ostetriche  italiane  , sulla storia dell’Azione Cattolica Italiana e dei successivi movimenti,  che l’hanno soppiantata ,ma la scelta di ribadire le argomentazioni più logore del tradizionalismo cattolico  sui temi di bioetica è stata  una pessima scelta.
Può essere verosimile, come appena detto, che l’elogio ingiustificato dei sanitari obiettori sia da  additare a disinformazione,  fornitagli da cattivi consiglieri.
Ma la scelta di ribadire le debolissime argomentazioni di Woytila in tema di bioetica , che sono perfino più retrive di quelle di  Pio XII, credo che non sia un infortunio , ma invece il frutto di una scelta  sua personale, consapevole e deliberata.
Papa Francesco viene  e si riconosce,  nel così detto Terzo Mondo e quindi nel cattolicesimo  di quella parte.
Quel cattolicesimo è  l’unico oggi ad essere in relativa buona salute e questo  fatto viene amplificato in Vaticano.
E’ chiaro che il papa pensa soprattutto a quel cattolicesimo, non a Roma   all’Italia o  all’Europa.
Questo papa sa che dalle sue  parti il cattolicesimo va relativamente col vento in poppa fra popolazioni molto poco scolarizzate, con tassi di natalità da far paura.
L’aborto lo  praticano in massa dalle mammane, ma vivendo in universi culturali molto più aperti al magico, che alla scienza , avvertono, erroneamente, il controllo delle nascite come un fatto “innaturale”.
E’ innaturale il controllo delle nascite o è  del tutto irragionevole  la pretesa della chiesa cattolica di vietarlo,  mettendo sullo stesso piano preservativo, pillola e aborto, come ha sempre ribadito il peggiore Woytila, lasciando di stucco chi pretende un minimo di ragionevolezza anche nei papi?
Nel terzo mondo, anche se non avessero il prete che  bolla ogni tipo di controllo delle nascite come peccato, sarebbe la  cultura arretrata ivi vigente a favorire la “vita” qual che sia ,e non la più sofisticata “qualità della vita”.
Non posso fare a meno di vedere in questo atteggiamento di papa Francesco una  scelta di potere, che contraddice l’ispirazione evangelica fin qui da lui manifestata sui temi “sociali”.
Una scelta di potere identica a quella delle sette evangeliche, ancora più in espansione del cattolicesimo nelle parti meno  sviluppate del  Brasile, per esempio, largamente finanziate dalla destra americana alla ricerca di un controllo sulle  coscienze e di  gente omologata alla loro cultura  perché siano pronti a consumare il “made in Usa” .
Il Vaticano non ha da vendere nessun prodotto materiale, per fortuna, e si accontenta di aumentare a vista d’occhio il numero dei battezzati, senza curarsi  troppo della qualità.
Ma è un calcolo miope.
Di fronte alla presa di posizione di papa Francesco sui temi etici, il commento più comune è stato : ma non poteva fare diversamente, il papa deve fare il papa.
Questo ragionamento è semplicistico e trascura l’intiera storia della chiesa nella quale si rinviene, contrariamente  a quello che dice la propaganda ufficiale e l’opinione più comune, una continuità di giri di padella.
Poco più di un secolo fa Pio IX tuonava in documenti ufficiali contro democrazia e diritti civili (stampa, espressione ecc.) qualificandoli addirittura come opera del demonio in persona.
Poi la chiesa medesima, sempre in documenti ufficiali al Vaticano II, ha girato la frittata ed ha stabilito  l’esatto contrario.
Quindi il papa non è e non è mai stato obbligato a ribadire sempre gli stessi principi.
Se la chiesa esiste ancora ,questo avviene soprattutto per la sua capacità  di adattarsi ai tempi, assorbendone l’ evoluzione culturale e vendendo, con una buona dose di cinismo, le nuove posizioni come una migliore attuazione degli eterni principi e non come una discontinuità nella dottrina.
Del resto, nel mondo globalizzato, lo dicono  le statistiche., ancora pochi anni, e nei  paesi in via di sviluppo si formeranno classi di ricchi  e straricchi, ma anche una classe media sempre più vasta.
Costoro accederanno a un’istruzione sempre più elevata e poi avranno delle pretese culturali, e quindi non accetteranno più prescrizioni di etica sessuale strampalate e fondate sul nulla, come quelle sulle quali insiste  irragionevolmente  la chiesa cattolica.
E’ un calcolo miope quello che sta facendo questo papa nelle materie di bioetica.
Purtroppo, siamo sempre allo stesso punto, nel senso che anche papa Francesco, come i suoi predecessori, dimostra di avere un pessimo rapporto con la scienza.
Probabilmente, non se ne è mai occupato o non si è preoccupato di darsi una cultura sufficiente a capirci qualcosa.
Ma soprattutto sembra anche lui portatore del pregiudizio diffusissimo nel mondo clericale in base al quale della scienza e degli sviluppi tecnologici si temono e si amplificano  i presunti pericoli e specularmene si sottovalutano le conquiste e le prospettive per  migliorare la vita umana nel suturo.
La scienza viene vista come un pericoloso concorrente.
Peccato perché il problema della bioetica cattolica è tutto qui.
Dopo Darwin e la sua teoria dell’evoluzione,  che ha trovato continue e concordanti conferme non è più possibile sostenere il  mito della creazione, ma nemmeno è possibile sostenere la pretesa che l’evoluzione stessa segua un finalismo come sua regola fondamentale, che rappresenterebbe appunto ” il disegno intelligente” di dio.
E’ inutile girarci intorno, per la scienza  c’è spazio per un qualcosa, che le filosofia definirebbe come dio, ma non c’è più spazio per un dio creatore.
I papi, anche quelli più “progressisti” ed aperti come papa Francesco, non vogliono prenderne atto, perché temono che se si uscisse dall’affermazione del mito della creazione  cadrebbe tutto l’edificio e cercano di sostenere argomenti debolissimi per salvare capra e cavoli, ma questo non è possibile.
Solo con la scienza si produce conoscenza e la fede in qualsiasi  mito religioso non può contraddire logicamente questa conoscenza perché se lo si fa, ci si arrende all’irrazionale e cioè si cade nella superstizione.
Peccato che il  fondamento del discorso  tradizionalista della chiesa cattolica sulla bioetica,  fatto proprio da papa Francesco, si basi solo e unicamente sul concetto di dio creatore, che come tale, sarebbe l’ unico legittimato a dare e togliere la vita, per il fatto appunto di essere il creatore.
Come se Darwin non fosse mai esistito.
Questa adesione di papa Francesco alle tesi tradizionaliste sui temi della bioetica sta a dimostrare che la visione progressista nel campo del cattolicesimo non è probabilmente sufficiente per tirare fuori la chiesa da una crisi epocale.
Si è infatti notato, giustamente, che  il grande successo mediatico e di consensi, riscosso da papa Francesco, non ha per niente influito nel  migliorare l’accoglienza del cattolicesimo nel mondo attuale.
Cioè, in altre parole,  lo svuotamento delle  chiese continua, non ostante le aperture di questo  papa.
Continuo a guardare con tristezza ai responsabili delle religioni, che si impiccano con le loro stesse mani.
Perché anche se ritengo che la scienza, la filosofia e l’arte siano di maggior aiuto all’uomo delle religioni, mi sembra insensato lasciar decadere il patrimonio culturale legato alle religioni.
Purché queste siano capaci di allontanarsi sempre di più dalla gestione del potere, col quale hanno mirato per secoli ad esercitare il controllo esclusivo sulle coscienze dei fedeli, esercitando  così un potere più forte di quello temporale-civile, e  si indirizzino invece a utilizzare la secolarizzazione che le investe tutte, come una occasione per uscire dalle scorie delle loro diverse mitologie.
Perché  indirizzino le loro teologie a individuare le intuizioni, che sono la ricchezza delle loro medesime mitologie per andare oltre e discernere solo sull’essenziale che unisce.
Non si può non pensare alla verosimiglianza di una religione universale, che però può stare in piedi solo se tutti si decideranno a riconoscere le loro mitologie, appunto come mitologie e non come rivelazioni esclusive, ma come  pure intuizioni, pure metafore, utili per ragionarci sopra e verificarne la  validità, con gli strumenti della scienza e della logica.