venerdì 26 febbraio 2021

Roger Abravanel : aristocrazia 2.0 Una nuova élite per salvare l’Italia – recensione

 





Un saggio di questo tipo mancava completamente in Italia.

I media sono bravissimi nell’alimentare con abbondanza di particolari la eterna commedia del masochismo nazionale.

Siamo il paese più corrotto del mondo.

Le nostre scuole sono le peggiori d’Europa.

La nostra economia è sul baratro del fallimento.

I nostri politici non parliamone.

Facciamo schifo.

Nessuna delle affermazioni sopra riportate può essere dimostrata come vera ricorrendo ad analisi e numeri facendo il confronto con la situazione di altri paesi nei medesimi settori, ma incredibilmente ci piace stracciarci le vesti in pubblico e piangerci addosso.

Roger Abravanel ci dice e ci dimostra con questo saggio che noi come paese non siamo affatto nelle condizioni sopra descritte, perché abbiamo eccellenze assolute, ma che obiettivamente abbiamo una economia che non cresce da ben quarant’anni (dalla fine del “miracolo economico nato nei primi anni 60).

E perché siamo fermi da quarant’anni?

Perchè abbiamo una classe dirigente nell’economia e nelle istituzioni legata a una cultura di tipo medioevale, che non ha più corso nel mondo moderno.

Siamo il paese governato da quella che Abravanel chiama l’Aristocrazia 1.0.

Imprenditori che non hanno ancora capito che essendo finito il Medioevo non ha alcun senso fare le capriole per piazzare i propri figli a succedere loro alla guida dell’azienda, perché nel mondo moderno le aziende che funzionano e che crescono sono guidate da manager professionisti super-specializzati e dotati delle dovute doti di leadership ,che si acquisiscono non dimostrando cieca fedeltà al padrone, ma uscendo dalle severissime selezioni delle migliori università del mondo.

Il padrone-fondatore si trovi la corretta posizione nel consiglio di amministrazione, ma lasci la gestione dell’azienda alle figure più adatte.

L’autore non a caso è il distillato della “tecnocrazia” globale ricoprendo la posizione di Director Emeritus di MacKinsey, una delle principali società globali di consulenza manageriale ,membro dei Consigli di Amministrazione di diverse Società ,editorialista del Corriere.

Ha scritto diversi saggi di successo focalizzando il fatto che a seguito di mutamenti epocali l’economia moderna è divenuta principalmente economia della conoscenza, basata sulla meritocrazia.

I paesi che dispongono di istituzioni meritocratiche perché hanno da tempo o da sempre acquisito come valore la meritocrazia saranno vincenti, quelli che che questo insieme di valori non hanno recepito sono destinati a seguire la sorte dell’Argentina, inanellando un default dietro l’altro.

Meritocrazia significa passare per istituzioni scolastiche strutturate in modo da selezionare i migliori seguendo ben inteso criteri obiettivi ormai diventati standard nel mondo moderno.

I migliori che vengono selezionati devono avere degli incentivi per sottoporsi a un sistema meritocratico che impone loro sacrifici e grosso impegno.

E qui veniamo al nocciolo del problema.

Per farla breve questi incentivi consistono né più né meno che nella possibilità concreta di far parte sul lavoro dell’Aristocrazia 2.0 che aspira ad avere come incentivo della super selezione alla quale si è sottoposta i migliori stipendi del mondo.

E se la super preparazione si accompagna alla capacità di esprimere idee creative che possano esprimersi in innovazioni tecnologiche questa nuova aristocrazia ha aperta la strada per cimentarsi in start up sfruttando il fatto di essere inserita in un network capace di interessare finanziatori.

Da qui possono partire storie di successo fino ad arrivare alle vette dei giganti digitali di Silicon Valley seduti ora su patrimoni mai visti prima, corrispondenti al Pil di interi stati.

Come dicevamo qui siamo arrivati al nocciolo del problema che è di carattere eminentemente culturale e che per il nostro paese è un ostacolo non da poco.

Se guadagnare soldi anche in quantità iperbolica ci fa schifo come idea, nel senso che sotto sotto la giudichiamo una cosa immorale, allora siamo fregati irrimediabilmente nel mondo moderno.

C’è nel nostro paese un pregiudizio radicatissimo.

Nel nostro DNA culturale pare che ci sia scritta la nota affermazione di Proudon : la proprietà è un furto.

Nel senso che di fronte alla ricchezza acquisita ci viene in prima approssimazione, di pancia, da pensare che chi l’ha acquisita ha in qualche modo barato, è andato per vie traverse, ha commesso sicuramente qualche reato, se proprio non ha rubato.

Inutile ricorrere ai pregiudizi morali inculcati nei nostri antenati fin dalla scolastica di San Tommaso, contro il prestare a interesse o al semplice far profitto, dato che degli articoli di fede non è rimasto molto nell’attuale società secolarizzata.

Fatto sta però che la nostra società negli ultimi decenni rifiuta la meritocrazia perché culturalmente rifiuta l’incentivo economico come un valore e al contrario lo bolla come un disvalore per ragioni morali.

La meritocrazia porterebbe all’aumento delle disuguaglianze, questo è forse l’argomento principe, molto usato perché parzialmente fondato, ma solo parzialmente.

Ecco allora che in Italia non si può dire che le università non sono tutte uguali, anche se, se ne misuriamo i risultati con criteri obiettivi come quelli delle classifiche di Alma Laurea, vediamo che c’è grandissima differenza fra le eccellenze e le mediocri.

Il 10 dato nelle scuole superiori del Sud vale come il 7 dato nelle scuole del Nord da sempre, ma non si può dirlo, però le valutazioni secondo standard internazionali come i test Invalsi lo dimostrano.

La magistratura italiana è la più inefficiente del mondo, ma se uno lo dice rischia l’incriminazione da parte di un potere uscito da tempo da ogni logica di divisione e di equilibrio fra i poteri essendo del tutto autoreferenziale e privo di ogni tipo di bilanciamento e di controllo.

Il mantra secondo il quale saremmo uno dei paesi più corrotti del mondo, affermazione del tutto non dimostrabile ma condivisa in modo assurdo , ha portato a instaurare un regime iper-garantista lastricato di controlli preventivi e successivi assurdi.

Oggi la pubblica amministrazione è completamente bloccata non perché sia valida l’ennesima panzana ,anche questa largamente condivisa, secondo la quale i dipendenti pubblici sarebbero troppi e quasi tutti fannulloni, ma perché il potere abnorme e senza controlli della magistratura penale, amministrativa e contabile costringe il pubblico funzionario a cautelarsi evitando di firmare atti per i quali potrebbe essere chiamato in un tipo di giudizio con tempi infiniti e senza controlli né sanzioni per i giudici in caso di sentenze sbagliate che possono causare la rovina del poveretto che rimane invischiato nell’ingranaggio.

Allora meglio l’immobilismo, meglio non fare niente.

Ecco, al giorno d’oggi non si può competere in queste condizioni col resto del mondo che ha la meritocrazia come suo valore fondante tenendoci una classe dirigente di Aristocratici 1.0, bisogna uscirne.

Come? Abravanel lo dice, ma io non ve lo dico se no c’è il rischio che non leggiate il libro che invece merita assolutamente di essere letto.






giovedì 18 febbraio 2021

Klaus Bergdolt : la grande epidemia (la peste nera del 1348) – recensione

 





In un momento nel quale ancora non ci è dato di sapere quando finalmente usciremo dalla pandemia causata dal Covid 19, ha veramente grande interesse questo libro che ci presenta le vicende legate alla pandemia per eccellenza, quella della così detta peste nera.

Non quella resa celebre dal Manzoni e riferita al ‘600, ma quella che fa da sfondo alle novelle del Decamerone del Boccaccio ,originatasi intorno al 1346 e conclusasi intorno al 1350.

L’autore non è uno storico di professione, ma un medico che ha a lungo studiato quegli eventi e che come un ottimo divulgatore ce li descrive documentandoli nel miglior modo possibile e cioè riportando in modo continuo brani dei testi del tempo.

Ne viene quindi fuori un ottimo lavoro che poco si distingue da quello che avrebbe potuto fare uno storico accademico.

Da medico il Bergdolt ci chiarisce il fatto che all’epoca la classe medica seguiva le teorie di Galeno e di Ippocrate basate sul concetto della “ fisiopatologia umorale”.

Esistono quattro umori corporei che corrispondono ai quattro elementi antichi acqua aria fuoco terra.

Ai quattro elemento corrispondono i quattro umori : sangue,bile gialla,bile nera,flegma.

Dai quattro elementi deriverebbero anche i quattro temperamenti fondamentali dell’uomo :sanguigno,collerico,malinconico,flemmatico.

In base alla teoria umorale le malattie interverrebbero quando uno o più dei quattro fluidi va in eccesso o in deficienza.

La medicina si è basata su queste teorie fondamentali dal tempo dei greci fino all’età moderna.

Quando scoppiò l’epidemia di peste nera i sintomi erano quelli che tutti abbiamo letto a scuola quando il Manzoni ci descrive l’autodiagnosi che è stato costretto a farsi Don Rodrigo.

Bubboni sotto le ascelle e in zona inguinale, febbre, perdita di appetito, non solo mal di testa, ma anche perdita della lucidità di giudizio fino a vaneggiare.

Oggi sappiamo che la causa di quella epidemia era da ricercare nel batterio Yersinia Pestis, che sempre oggi sarebbe facilmente controllabile con l’uso di antibiotici, batterio che veniva trasmesso precipuamente dalle cimici dei topi.

C’era però anche una variante meno diffusa che si diffondeva per via aerea e che minacciava i polmoni.

Allora non c’era altra possibilità che cercare di spiegarsi le cose ricorrendo alla fisiopatologia umorale e cercare di spiegare quel disastro come un eccesso di umori negativi che si sarebbero introdotti nel corpo umano o attraverso “miasmi” da acqua inquinata da sostanze in putrefazione o addirittura assumendo cibi vicini alla putrefazione.

Si misero quindi al bando carni non ben conservate e sopratutto il pesce che ha carni più difficili da conservare,

Come si vi vide il pericolo sito nell’acqua stagnate.

Mezzi di cura fu subito chiaro che la classe medica non era in grado di offrirne per niente.

Si ricorreva a salassi e clisteri come lo si faceva per qualsiasi altra malattia.

Terribile poi il ricorso a sostanze di molto dubbio significato come le pillole a base di estratti di carne di serpente,vipera e rospo unite a qualche erba.

Chiaramente si ricorreva ancora a residui di ciarlatanerie magiche.

L’idea di sostanze disinfettanti era molto vaga e come protezione si ricorreva praticamente solo all’aceto misto ad acqua.

Pur essendo del tutto disarmati di fronte alla pandemia quanto alle possibilità di cura, va detto che molto più efficaci erano le misure di prevenzione e profilassi che già allora venivano indicate.

Isolamento degli infetti, pronto allontanamento dei cadaveri e rapida sepoltura, distruzione degli indumenti degli infetti.

La teoria umorale pur non avvicinandosi alla causa vera della malattia conduceva però per deduzione logica a metter in atto misure che riteniamo tutt’oggi efficaci, come appunto l’isolamento, il distanziamento, il prediligere luoghi non affollati.

Venivano raccomandati dei grandi fuochi per purificare l’aria come anche il semplice cambiare l’aria nei luoghi chiusi.

Purtroppo però non conoscendo la causa vera del morbo legata alle pulci, non si era capito che le condizioni igieniche erano fondamentali e quindi ad esempio si distruggevano sì gli indumenti vestiti dagli infetti al momento del decesso, ma ci si appropriava di vestiti e oggetti che rimanevano nelle case rimaste abbandonate.

Difficile quantificare il numero dei deceduti anche perché c’era la tendenza dei cronisti ad amplificare i numeri, ma si ritiene verosimile calcolare fra un terzo e il 50% il numero delle vittime a seconda anche delle zone.

Allora come oggi l’agente infettivo viaggiava sulle vie di comunicazione e quindi col metro di allora sulle grandi distanze voleva dire tramite porti, marinai e mercanti.

I pochi che chiusero le porte delle città per primi come ad esempio Milano si salvaguardarono almeno temporaneamente.

La diffusione delle vittime portò alla diffusione di un clima di terrore e disperazione al qual si reagiva in modi opposti.

Pochi trovarono nella fede religiosa la spinta a dedicarsi all’aiuto degli altri a rischio della vita.

Ma questi erano una ristrettissima minoranza.

Molti non vedendo la possibilità di prevedere più niente per il futuro e si abbandonarono ai piaceri della vita che potevano afferrare.

La maggioranza anche delle figure pubbliche fece una pessima mostra di sé.

Chi poteva semplicemente fuggiva in campagna o altrove.

Fuggirono i medici, fuggirono gli impiegati pubblici,fuggirono i preti, fuggirono i notai e i pochi che rimanevano ne approfittavano per prestare i loro servigi a prezzi salatissimi.

L’autore non trascura anche di rilevare le conseguenze economiche sociali che provocava il fatto di trovarsi di fronte a una riduzione forzata della popolazione come abbiamo detto fra un terzo e un mezzo.

Questo significò per i sopravvissuti un forte incremento di beni e di ricchezza ereditando i possedimenti dei defunti.

L’autore però mestamente ci dice che risulta che per lo più questo incremento di ricchezza venne sperperato per godersi la vita e nulla più.

Ci fu ovviamente un problema demografico al quale si cercò di sopperire prendendo per buoni come sostituti anche chi non era abbastanza qualificato.

Questo successe nelle corporazioni artigiane che assunsero riducendo i loro rigidi protocolli.

Successe anche che i vescovi allargarono molto i loro criteri di giudizio e quindi divennero preti molti giovani che di teologia non sapevano quasi nulla e che ignoravano il latino.

L’autore sottolinea però il fatto che gli anni della peste nera fecero da detonatore a una spinta al cambiamento che stava maturando e che avrebbe portato allo spirito del Rinascimento ponendo fine al Medioevo.

Notevole perché poco conosciuta la parte nella quale l’autore parla diffusamente del meccanismo che di fronte al terrore per un pericolo che non si sa come contrastare perché non si capisce quale sia il vero nemico, si è portati a inventarsi il nemico ricercandolo nelle minoranze poco integrate.

A causa di questa logica perversa in quegli anni si verificarono pogron che letteralmente sterminarono le comunità ebraiche dell’Europa di allora.

E’ documentato che fu il peggiore genocidio prima di quello ordito dai nazisti.

E il fine immediato di quei massacri fu veramente abietto perché in realtà tutto era architettato col fine di impossessarsi dei beni degli ebrei.




venerdì 12 febbraio 2021

Giordano Bruno Guerri : Il bosco nel cuore. Lotte e amori delle brigantesse che difesero il Sud – recensione

 






Un libro, tanto per cambiare, controcorrente.

E ce n’era bisogno, perché a scuola a chi non è più giovanissimo come chi scrive, testi e professori  presentarono un Risorgimento mitizzato e a senso unico, fatto di eroi e patrioti dalla parte di chi aveva fatto l’unità d’Italia e dall’altra la caricatura di un Sud arretrato e affamato da un monarchia da operetta.

Poco e quel poco con imbarazzo si diceva dell’altro sovrano del Centro Sud che era il Papa.

Possiamo capirli, come facevano i professori a parlar male del papa essendo impiegati pubblici vincolati dal Concordato fascista tra l’altro tutt’ora in vigore?

Meglio tacere!

Così generazioni di italiani per esempio non hanno mai letto nè conoscono nulla di uno dei documenti pontifici più oscurantisti, reazionari ed indegnamente anti- scientifici e anti-moderni come è stato “Il Sillabo” di Pio IX.

Tra l’altro non è un mistero che regnante Benedetto XVI il cui orientamento tradizionalista tutti conoscono quasi per incanto le voci relative ai papi ed alla chiesa cattolica su Wikipedia sono state riscritte abilmente da chi vi si è dedicato su ispirazione del Vaticano di allora.

Ne consegue che anche la voce su Wikipedia relativa a Pio IX lo descrive quasi come un illuminato progressista.

Attenzione quindi quando si parla di storia bisogna verificare tutto, per valutarne l’attendibilità.

Poi intorno agli anni 80 è invece fiorita tutta una pubblicistica pseudo-storica apertamente revisionista filo-borbonica e papalina non caso sostenuta dai “movimenti” cattolici tradizionalisti allora particolarmente in voga.

Il nostro autore è uno storico accademico di professione oltre che saggista che ha scritto questo libro con lo scrupolo dello storico ma con il chiaro intento di uscire dall’equivoco dei pregiudizi ideologici e delle opposte narrazioni per avvicinarsi per quanto possibile alla realtà storica.

Oggi la sensibilità e il livello culturale fortunatamente è maturato in modo sorprendente nel campo del rispetto dei diritti umani.

Ne consegue che se per far due nomi i generali Cialdini e Parravicini mandati da Cavour per schiacciare il brigantaggio si trovassero ai nostri tempi sarebbero inevitabilmente chiamati a comparire di fronte alla Corte dei diritti umani di Strasburgo per rispondere da una consequenziale accusa addirittura di genocidio, né più è meno di come è capitato al serbo Milosevic.

I due alti ufficiali piemontesi sono stati terribilmente efficienti ed erano coperti dal potere politico , ma le nefandezze sono e rimangono nefandezze anche quando si raggiunge in relativamente breve tempo lo scopo che appunto il potere politico del tempo desiderava.

Gli Italiani degli anni 60 del milleottocento erano solo 20 milioni.

E quindi parlare di migliaia di morti e decine di migliaia di prigionieri fra le file borboniche deportati nella fortezza sabauda di Ferrarelle a 60 km da Torino a 1700 metri sulle Alpi e nei campi di concentramento per lo più del Piemonte medesimo significa parlare di cifre enormi.

Guerri mette in evidenza l’insensibilità umana, la limitatezza culturale e gli errori politici compiuti dalla classe politica piemontese.

Non si può negare che c’era in loro un pregiudizio culturale che vedeva il Meridionale come un cittadino limitato da tendenze negative innate.

Semplicemente perché il confrontarsi con qualsiasi “diverso da tè” non era contemplato, questi non concepinvano il dialogo,ma vedevano come unica possibile soluzione la via dell’assimilazione degli altri nel proprio universo di vissuto culturale.

Se gli antichi Romani avessero ragionato come la nostra classe politica risorgimentale non sarebbero mai diventati gli imperatori del mondo.

E infatti il bilancio di quella classe politica piemontese è stato un successo ma solo di facciata che nascondeva un autentico disastro sociale ed economico se facciamo attenzione al fatto che nel secolo successivo 10 milioni di Meridionali sono stati costretti all’emigrazione, una follia assoluta.

Il libro è specificatamente dedicato alle brigantesse, personaggi oggi ben poco conosciuti, ma che allora erano diventati leggendari.

La loro storia è solo in piccola parte una storia di emancipazione femminile anche perché un numero così esiguo di personaggi non giustifica l’esistenza di alcun sottostante movimento sociale.

Secondo Guerri le loro storie sono piuttosto la descrizione iconica della rivolta interiore della cultura profonda meridionale offesa dall’ottusità di chi ha rifiutato di confrontarsi con e rispettare le loro culture secolari.

Cosi come la rivolta generata dal al tradimento della parola data, operata dai Piemontesi.

Garibaldi in buona fede da parte sua aveva riempito le sue file con molta gente locale che aveva creduto alle sue promesse di diminuire o abolire la tassa sul sale e sul macinato, ma anche di dividere i latifondi fra i contadini.

Non è un caso che Garibaldi sia poi diventato nella storia d’Italia la prima icona delle sinistre progressiste.

Ma Garibaldi era Garibaldi e a Torino e poi a Roma non comandava lui.

Cavour era un grande proprietario terriero e la pensava in modo un po tanto diverso.

Di Garibaldi si è servito per il lavoro più difficile e poi se ne è sbarazzato.

Almeno questo lo avevamo capito fin dai tempi della scuola.

Però i contadini meridionali hanno creduto a Garibaldi, lo hanno preso sul serio e per lui hanno combattuto, non certo per perpetuare il latifondo e la miseria delle classi lavoratrici.

Non hanno combattuto certo per la Monarchia sabauda.

Ma se la sono trovata davanti come un muro.

Anche se ci sono state atrocità da tutte e due le parti.

Una parte se pure minoritaria delle bande dei briganti era composta da autentici delinquenti e parte dei sopravvissuti non a caso sono finti a rimpolpare mafia drangheta e camorra.

Ma quelle brigantesse erano la quintessenza del Meridione tradito che ebbe l’ardire di ribellarsi.

I boschi della Sila e della Ciociaria erano abbastanza fitti per ospitare una guerra per bande.

Quei piemontesi erano determinati, erano tanti ,organizzati, armati e capaci di fare un uso abbastanza sofisticato per i tempi dell’ “intelligence”.

Capaci di giostrare appoggiandosi ai rancori ed alle invidie di quelle società paesane.

Usando gli antichi mezzi dei soldi per avere delazioni e tradimenti.

Non ostante la spietatezza e la indubbia abilità dei generali piemontesi i briganti e le brigantesse sono comunque riusciti a fare ballare bene le truppe regolari per almeno cinque anni che non è poco.

A loro è mancata totalmente l’apertura mentale verso l’altro, il diverso da sé, come si è detto sopra.

Gli eroi della patria hanno vinto ma ci hanno lasciato in eredità enormi problemi tutt ‘ora non risolti.




domenica 7 febbraio 2021

The Crown serie televisiva– recensione

 





Non mi sarei mai aspettato di riuscire a vedere 4 serie televisive per complessivi 40 episodi con un titolo del genere.

Perchè invece non solo l’ho vista tutta, ma mi è anche piaciuta parecchio?

Perchè non è neanche lontanamente quello che uno potrebbe aspettarsi di vedere, cioè una accozzaglia di gossip e pettegolezzi sulla prima famiglia di Vip del mondo.

Serie statunitense-inglese, forse questo spiega tutto.

C’è la mano di Holliwood.

E invece non c’è la orrenda mentalità di raccontare sempiterne commedie familiari che umilia il cinema italiano e gli impedisce di giocare alla pari con quello anglo sassone.

Non c’è quasi niente di quello che da italiano medio presumevo di sapere sulla storia della Royal Family, perché sull’argomento in Italia arrivava solo il più vuoto gossip filo monarchico a cominciare dalle corrispondenze del settimanale “Oggi” specializzato nel raccontare la vita dei reali negli anni 50 e 60.

E invece cosa c’è?

C’è molta storia autentica e una storia familiare sempre al limite del dramma e della tragedia.

La Royal Family è prigioniera di un unica regola fondamentale che non scandisce solo le tradizioni del protocollo, ma tutta la vita dei suoi membri : prima la corona.

Il che vuol dire se che se non sei né il principe o la principessa ereditaria e il suo successore, sei fregato.

Ma anche se sei colui o colei che porta la Corona e i suoi due immediati successori, sei fregato ugualmente perché il “prima la corona” significa che la persona umana che la porta sulla testa non ha la facoltà di esercitare nessuna delle facoltà autonome che contraddistinguono in filosofia e in psichiatria o psicologia una persona umana.

Ne deriva che la situazione comporta la perenne vicinanza col fare i conti con turbe psichiche tutt’altro che teoriche nel caso specifico aggravate dalla presenza da tare psichiatriche in alcuni rami della famiglia medesima , che non credo fossero note al grande pubblico, prima della narrazione di questa serie televisiva, che le squaderna con dovizia di particolari.

Non bastasse questo a incupire il clima che si respira in The Crown, c’è un altro aspetto che le cronache ci hanno taciuto e cioè la compresenza nel time-line della serie, del vecchio leone eroe della seconda guerra mondiale Winston Churchill e almeno due personaggi di primissimo piano della Family : il Re che ha abdicato nel 1936 Edoardo ottavo e la sua gentile signora Wallis Simpson, dei quali è documentata la aperta simpatia per il Nazismo ed il suo Fuerer.

Idem come sopra alcuni membri della famiglia di origine del Principe Filippo.

Fatti del genere non sono noccioline.

Cose che pesano, ma che pesa ancora di più è la sopra citata folle regola prima della Family che impedisce ai componenti di esercita i propri più elementari diritti di persone umane.

Filippo ha un chiodo psicologico sempre ricorrente che lo mette sempre in crisi consistente nel fatto di non avere avuto presente la figura del padre.

Guarda che caso, lo stesso problema viene lasciato in eredità a Carlo, il Principe di Galles, che cerca la figura paterna nello zio, Lord Mounbatten fino a che un attentato dell’Ira lo fa saltare in aria.

Poi la psicologia di tutte le seconde terze e quarte linee viene sconvolta dal fatto di scoprire in sé stessi maggiori capacità e attitudini a governare di quanta ne vedano nella prima linea che la corona la porta.

Come conseguenza di questa autentica turba, Filippo ha patrocinato un singolare gruppo di chierici anglicani in crisi spirituale alle cui meditazioni pare si fosse unito per decenni.

Carlo invece sarebbe da sempre alla ricerca di santoni che lo affliggono anche con prescrizioni alimentari rigide.

Capofila di questi insanabili scontenti è ovviamente la Principessa Margareth, convintissima del fatto di essere vittima di un destino baro in quanto stra-convinta di valere più della sorella.

Stessa posizione nei fratelli di Carlo.

Poi ci sono quelli che della Family non fanno parte ma che di fatto la governano e la tiranneggiano, cioè quella schiera di parrucconi che rappresentano i veri sacerdoti della Corona, nelle vesti di consiglieri, primi e secondi segretari, ferratissimi nella storia della Family e sempre pronti come Jukebox a citare il precedente storico spesso sfociato in un qualche Act, cioè legge, che impedisce regolarmente ai membri della Family di fare la cosa più sensata.

E’ formidabile il fatto che il vero culmine della piramide di tutte queste vicende di persone turbate ognuna per una ragione sua, sia proprio il vertice vero, Lei, colei che the Crown la porta.

L’attrice o meglio le attrici che la interpretano (una che interpreta la Elisabetta da giovane e una che interpreta la Elisabetta matura) riescono a trasmettere visivamente quello che ovviamente gli autori volevano rappresentare e cioè un manichino, una statua, un frigorifero di sentimenti che non escono mai.

Questo forse per dati di carattere, ma ci viene detto esplicitamente anche e di sicuro per radicata convinzione del personaggio.

Chi porta la Corona non deve fare trasparire le sue convinzioni personali e tanto meno i suoi sentimenti, perché questi non conterebbero.

Allora per non essere divisiva la portatrice di The Crown dovrebbe essere una personalità invisibile, non può essere una persona umana con le sue caratteristiche e le sue passioni.

Ma questa logica è una follia bella e buona.

Arrivati a questo punto è chiaro che gli autori di questa serie sono tutto meno che estimatori della istituzione monarchica ma neanche della Family in carne ed ossa.

Ho trovato una vera perfidia per esempio il sottolineare il fatto che Lei non avrebbe ricevuto alcun tipo di istruzione riconosciuta nemmeno di livello elementare , questo fatto è incredibile, ma temo che corrisponda alla realtà.

Almeno Carlo lo hanno mandato a Eaton, dopo che Filippo si era impuntato per fargli seguire in un primo tempo i corsi di uno strampalato collegio-caserma (da lui frequentato da ragazzo) che seguiva assurdi metodi fra lo spartano e le angherie sistematiche del sergente di Full Metal Jacket.

Detto questo i personaggi ci sono già tutti e quindi nessuna sorpresa del fatto che il mito mediatico di Lady Diana sia fatto letteralmente a pezzi in questa serie quando ci mostrano che Carlo aveva già scelto quella che sarebbe stata la donna della sua vita e che questa era Camilla e solo Camilla.

Il mito di Lady Diana va in frantumi proprio quando appare chiaro e documentato che era perfettamente a conoscenza del fatto che Carlo era già legato in modo per lui indissolubile con Camilla ben prima di sposarlo in un sontuoso matrimonio che non poteva risultare che una finta.

Margareth, la vera alter ego di Diana, perché la parte della totale scontenta che avrebbe voluto rivoluzionare i costumi della Family l’aveva già recitata lei prima con più autorevolezza e con pari seguito mediatico di Diana.

In un raro sussulto di umanità ci viene presentata questa Margareth quando in una riunione di famiglia esplicitamente dice agli altri che lasciando sposare Carlo con Diana stavano commettendo un tragico errore che poteva costare caro alla Istituzione, dato che di fatto Carlo era già legato con un altra donna se pure non in modo formale, ma definitivo.

Ma la famiglia per pigrizia ha fatto finta di non capire di fatto statuendo la legittimità morale di un ruolo ufficiale di Camilla nella veste di amante e non di moglie.

Non a caso gli autori hanno scelto il titolo The Crown e non Royal Family, perché il concetto di famiglia come comunità di affetti, proprio non alberga in questo racconto.

La famiglia sembra che prenda corpo solo in un incredibile rito al castello di Balmoral sperduto in Scozia, amatissimo da Lei, ma non solo per dedicarsi a cavalcate ed alla caccia, quando si divertono tutti realmente e coralmente a mettere alla berlina personaggi che invitano con il solo scopo determinato di metterli in difficoltà con le spietate e assurde regole del protocollo.

Che squallore umano e morale.

Il dramma o la tragedia di tutta la narrazione sta nella consapevolezza dei personaggi di non essere altro che comparse che devono recitare una parte che non corrisponde con le loro naturali e legittime aspirazioni di persone umane, ma che di fatto accettano di farlo per usufruire degli indubbi privilegi del ruolo, che sono grossi.

Na vale la pena? Umanamente sicuramente no, tanto che tutti ne escono come persone che avrebbero bisogno del sostegno di svariate sedute dallo strizzacervelli, a causa della pressione dovuta al contrasto fra il sé vero e quello costruito, che collidono.

Ma essendo al fondo personaggi fra il dramma e la tragedia, confesso di essere arrivato alla fine provando una grande commiserazione per le sofferenze umane di quelle persone, che si sottopongono a una recita del tutto inutile essendo l’istituzione palesemente di nessuna utilità, cosa di cui tra l’altro sembrano spesso rendersene conto loro stessi.

Vedendo questa serie ho finalmente capito perché un paese di così elevate tradizioni culturali conserva la monarchia, perché la maggioranza conservatrice che prevale da sempre e tutt’ora in Inghilterra mantenendo caparbiamente in vita la monarchia stessa, in realtà non ha alcun interesse in quella istituzione, ma la vede come la foglia di fico che perpetuando sé stessa, perpetua i loro privilegi nella società più classista e disuguale d’Europa.

La prova è la Lady di Ferro, Margareth Thatcher, il cui ruolo arrogante e supponente è interpretato magistralmente.

La Tatcher non veniva da alcuna aristocrazia, era la figlia di un droghiere, probabilmente addirittura disprezzava la Regina vedendola come personaggio inutile e nulla-facente, ma aveva il culto del lavoro e l’idea che il merito riconosciuto è il segno calviniano della benedizione del Cielo per la casta dei prescelti, alla quale era convintissima di appartenere.

Ed eccoci tornati al punto di partenza, la nostra complessa e dialettica natura umana ci porta a creare aristocrazie ed èlite indipendentemente dai privilegi di nascita.





giovedì 4 febbraio 2021

Robert Reich : come salvare il capitalismo – recensione

 





Come molti altri italiani non più giovanissimi ero stato un convintissimo fan di J.F.Kennedy e delle sue idee programmatiche.

Questa forte simpatia intellettuale e politica mi aveva portato a idealizzare l’America come il paese nel quale potevano realizzarsi in modo compiuto le promesse dell’Illuminismo.

Fine della povertà, lavoro per tutti, Welfare dalla culla alla tomba ,disarmo, pace universale eccetera.

Poi però decennio dopo decennio vennero anche Nixon, Reagan la deregulation e il neoliberismo più spinti.

Il mantra che se lavori di più guadagni di più, che se guadagni di più è perché sei più bravo di chi guadagna di meno e che più diventi ricco, tanta più ricchezza ricadrà su tutta la società.

Che lo stato non è la soluzione ma è il problema.

Che aiutare i poveri significa disincentivare la loro volontà lavorativa.

Che la società non esiste ,esiste solo l’individuo.

Da queste asserzioni delle quali la gente ha finito per convincersi perché ripetute all’infinito, arrivare alla fin fine all’ideologia dell ‘”homo homini lupus” o più semplicemente alla legge della giungla dove vince il più forte e soccombe il più debole lo spazio è breve.

E i lupi si sono ,materializzati nei CEO delle grandi Corporation, nei raider di Wall Streat, nei monopolisti delle imprese tecnologiche, nei politici ormai adusi a farsi comprare se pure in modo legale, che anno dopo anno hanno cambiato le regole del gioco per fare in modo che i ricchi diventino ricchissimi i poveri sempre più poveri e il ceto medio cominciasse a dissolversi nei “working poors”.

A questo punto la pretesa degli Americani di essere il paese che avrebbe il dovere morale di esportare la democrazia nel mondo diventa caricaturale e grottesco.

Nel corso degli anni come moltissimi altri ammiratori delle eccellenze americane sono passato da delusione a delusione fino a chiedermi se la nostra idea dell’America non sia stata da sempre falsata, un mito senza fondamento.

Questo libro di Robert Reich dà veramente la mazzata finale alle vecchie illusioni.

L’autore è un più che qualificato economista americano che non ha disdegnato di dare il suo contributo facendo direttamente politica e infatti è stato Segretario al Lavoro nell’Amministrazione Clinton.

Insegna Amministrazioni e Politiche Pubbliche a Berkeley, collabora con le grandi testate americane.

Con tutto questo non è affatto tenero verso l’establishment del Partito Democratico.

La sua analisi della situazione attuale del capitalismo delle diseguaglianze è precisa e spietata.

Ma da economista e politologo dimostra di essere spinto non da pregiudizi ideologici, ma da pura razionalità, quando medita sua una considerazione di semplicità lapalissiana che è questa : se il capitalismo come è oggi spinge al limite la disuguaglianza fra pochissimi ricchissimi e una moltitudine di poveri e di ceti medi scivolanti verso la povertà, come si fa a non capire che si sta marciando verso l’autodistruzione del capitalismo?

I tycoon di un tempo alla Henry Ford avevano capito subito che la Model T per diventare un business profittevole aveva bisogno di un vastissimo mercato e che quindi i suoi operai dovevano avere salari sufficienti per comprarsela.

I tycoon di oggi fanno invece finta di non capire che non possono permettersi di spadroneggiare su una moltitudine di poveri facendo andare all’indietro le lancette della storia, perché a un certo punto nessuno avrà i soldi per comprare i loro beni o servizi e il meccanismo andrà in tilt.

Eppure oggi siamo tornati alla presenza di una vera e propria aristocrazia autoreferenziale.

Tutto legale dice Reich, perché quello che c’è in giro non è formalmente furto e corruzione, ma lo è nella sostanza, perché i super ricchi che di fatto detengono il potere politico tramite le vastissime elargizioni alla classe politica si sono scritte leggi leggine regolamenti per intascarsi tutto e mettere le moltitudini nell’angolo senza potere e senza capacità di reagire.

Non è corretto suggerirlo, ma se un lettore ha fretta o proprio ha poco tempo, cominci a leggere questo libro all’incontrario cominciando dai capitoli dal 20 alla fine, lì c’è scritto praticamente tutto.

Cioè c’è la descrizione dettagliata del cappio che i ricchissimi hanno messo al collo delle moltitudini impoverite che tra l’altro (e questo lo dico io e non Reich che ha pubblicato questo libro nel 2015), nel 2016 e poi ancora nel 2020 hanno votato Donald Trump per disperazione, sbagliando di grosso,ma tantè.

Do un accenno alle proposte di Reich per riformare il capitalismo:

-Reich sembra premettere questa esortazione ai suoi compagni di partito democratico.

Attenzione perché se c’è una priorità assoluta da mettere a fuoco è sui temi economici, mentre voi vi state lasciando turlupinare a dare priorità ai temi delle minoranze razziali e sessuali, dei quali l’importanza è evidente ma così facendo fate il gioco dei repubblicani che vogliono distogliervi dal parlare di quello che loro temono veramente

-il problema chiave è quello di ripristinare i contrappesi nel nostro sistema economico-politico,facendo fronte comune sui temi economici

-la priorità è far capire agli elettori tipo di Trump che sono i piccoli negozianti,gli operi bianchi,gli abitanti delle campagne,piccoli imprenditori e piccoli azionisti e piccoli professionisti che i loro interessi coincidono con quelli delle persone più schierate a sinistra di loro, mentre il loro avversario vero sono i big dei farmaci che tengono esagerati i prezzi giocando su copy right infiniti, i monopolisti della banda larga via cavo che fanno loro pagare un vantaggio competitivo assurdo,quelli che gestiscono le carte di debito, i monopoli che fanno crescere i prezzi degli alimentari, quelli che gestiscono le assicurazioni sanitarie , i lavoratori precari a ore che hanno dovuto firmare clausole vessatorie che impongono loro il ricorso all’arbitrato obbligatorio per sfuggire dai tribunali,

-è significativo dice Reich che alcuni esponenti repubblicani hanno cominciato a fare discorsi “di sinistra” evidentemente perché i loro advisors hanno captato la rabbia delle moltitudini che monta.

-occorre ripristinare regole decenti a cominciare dalla separazione delle banche d’affari da quelle di sportello (Glass -Steagall Act abrogato nel 1999).

-occorre mettere fine al “corporate welfare” consistente a sussidi statali alla grande industria petrolifera, agrindustria, farmaceutica e a Wall Street

-bisogna capire che la politica in futuro non passerà più dalla contrapposizione fra democratici e repubblicani ma fra pro establishment e anti establishment, cioè tra ceto medio e poveri da una parte e grandi dirigenti dall’altra

-bisogna avere il coraggio di cacciare il danaro dalla politica riscrivendo completamente le regole e quindi sarebbe sensato andare verso il finanziamento pubblico della politica integrato solo dalle piccole donazioni

-tutti i funzionari pubblici eletti o nominati dopo le dimissioni non potranno più essere assunti nel privato col quale abbiano avuto contatti quando erano in carica per almeno 5 anni

-i think tank devono dichiarare le fonti di finanziamento al fine di evitare di diventare meri strumenti di propaganda delle grandi corporation che finanziano i loro studi a senso unico

-la durata dei brevetti va ridotta poniamo a 3 anni ,come va negata l’estensione dei brevetti a seguito di minime modifiche al fine di bloccare lo sfruttamento di un assurdo vantaggio competitivo che frena di fatto la spinta all’innovazione

-vietare a big farma di pubblicizzare famaci acquisibili solo tramite ricetta medica

-ridare potere all’anti trust smantellando i monopoli esistenti che lucrano in modo indegno

-stabilire un limite alle dimensioni delle banche per evitare il ricorso al trucco del troppo grande per fallire con conseguente quasi obbligo dello stato di salvarle dai loro errori di gestione usando i soldi dei contribuenti

-proibire alle aziende di includere nei contratti di lavoro la clausola dell arbitrato obbligatorio gestito da personaggi compiacenti delle aziende stesse

-dare agli azionisti il potere di bocciare il piano retributivo dei vertici manageriali se non raggiungono gli obiettivi

-consentire l’accesso ai piani fallimentari anche ai debiti studenteschi e ai debiti ipotecari sulla prima casa

-fissare il salario minimo garantito almeno alla metà di quello medio

-fissare la regola per la quale quando il governo che stipula accordi commerciali con altri paesi sia obbligato a inserire una clausola che impegni i governi firmatari ad avere norme che garantiscano un salario minimo ai loro lavoratori

-che si inseriscano norme per le quali le scuole dei distretti più disagiate ricevano finanziamenti pari a quelle dei distretti più ricchi

-riscrivere le leggi sulla governance societaria magari copiando da quelle tedesche dove nei consigli di amministrazione metà dei posti sono dati alle rappresentanze dei lavoratori

-affrontare il problema della rivoluzione tecnologica in atto a seguito della quale si ridurranno esponenzialmente i posti di lavoro con strumenti tipo il salario universale garantito a tutti i maggiori di 18 anni.

Salario minimo ovviamente che ognuno si sentirà spinto a integrare con un proprio lavoro

-istituire una imposta di successione più equilibrata rispetto alla attuale esenzione negli Usa fino ai 10 milioni di dollari.