mercoledì 25 febbraio 2015




Luigi Bozzini, partigiano indipendente



I  lettori di questo blog mi perdoneranno se dopo 335 articoli  prevalentemente di  politica e  di religione ne dedico per la prima volta uno  a un mio fatto, parzialmente privato.
Ha dovuto ieri  dare l’addio a Luigi Bozzini, mio cognato, amico e compagno di tante vicende e di tante escursioni, che se ne è andato, per sua fortuna, in estrema  serenità,  alla pur bella età di  88 anni.
Ho detto che si tratta di un fatto parzialmente privato, perché Luigi come presidente provinciale dell’Aned, l’ Associazione ex internati  nei campi di concentramento nazifascisti,  aveva ritenuto di sobbarcarsi un ruolo pubblico,  andando a raccontare nelle scuole e nelle celebrazioni della giornata  della  memoria la vicenda sua e dei suoi, allora giovani compagni, che 70 anni fa hanno rischiato più volte la pelle per partecipare  a  quel  movimento popolare, che si è chiamato Resistenza, al quale tutti noi dobbiamo ben più di un fugace ricordo.
Cresciuto nell’ambito del mondo cattolico,  in quegli anni, dei quali si è  detto sopra, era stato arrestato, proprio perché scoperto, tra l’altro, a distribuire il giornaletto cattolico clandestino “il Ribelle”, redatto da Tersio  Olivelli.
Aveva poi sempre conservato quel riferimento ad un cattolicesimo tradizionale, solido, rigido, fatto  apposta per dare certezze a chi è tanto preso dal lavoro da non avere proprio il tempo di filosofeggiare con le sottigliezze teologiche.
Un’altra caratteristica, che ha contraddistinto tutta la sua vita, è stata uno straordinario e orgoglioso attaccamento alla sua libera professione di geometra progettista e amministratore di condomini (dell’associazione dei quali è stato lungo presidente).
Figlio di un artigiano, arrivato a Pavia dalla campagna, che con la sua attività doveva tenere in piedi una famiglia piuttosto numerosa, è cresciuto nel culto della dedizione completa al lavoro.
Ed in particolare, del lavoro da imprenditore di sé stesso, generatore di libertà per definizione e di  soddisfazioni solo se sei più bravo e più impegnato  degli altri.
La piccola imprenditoria e la libera professione non fanno sconti a nessuno.
Puoi arrivare in alto, puoi andare lontano, puoi conquistarti la stima di tante persone, tutte cose esaltanti, ma non certo se non ci metti molto del tuo.
Per lui arrivare a poter passare dal lavoro sempre da geometra ma dipendente di un’impresa di costruzioni, alla libera professione, è stata forse l’impresa se non la più gratificante della vita, certo quella che più riteneva gli avesse consentito di realizzare le sue potenzialità.
In Luigi ho sempre ammirato  quest’etica quasi calvinista del lavoro, che ho sempre visto come la dote del suo carattere più profonda.
Sempre di corsa o comunque a passo veloce.
Suo nipote, con un’intuizione felice, ha scritto per ricordarlo, che di lui ha senso  parlare solo al presente, perché è con quel tempo verbale che meglio si rendono il concetti del movimento, del fare, del costruire, tutte caratteristiche peculiari di Luigi.
Lui diceva che aveva acquistato l’invidiabile forma fisica, della quale ha sempre goduto, perché agli inizi della sua professione aveva lavorato giovanissimo, da dipendente in imprese, che facevano strade e per di più in montagna e quindi aveva dovuto  scarpinare per delle giornate intiere per fare i rilievi topografici, misurare distanze e curve di livello.
Forma fisica, che gli è stata di somma utilità, anche quando i nazisti, che tenevano il campo di internamento di Bolzano, dove era finito come prigioniero politico, dopo un breve passaggio da San Vittore,come si era accennato sopra,  hanno realizzato che la loro guerra era irrimediabilmente persa e quindi se ne andarono alla spicciolata, lasciando che gli internati che erano nelle condizioni fisiche per farlo dopo mesi di lavoro forzato, per alcuni, pestaggi, torture e denutrizione, per altri,  se ne andassero per raggiungere le loro case.
Piccolo particolare, tornassero alle loro case, rigorosamente  “a piedi”, stante le condizioni di strade e ferrovie in quei giorni ,ma soprattutto a causa del problema sicurezza, che sconsigliava di farsi vedere nelle stazioni, dove si potevano trovare ancora altri nazisti in fuga,  milizie repubblichine che non sapevano che pesci pigliare, vecchie spie del regime, eccetera.
Sempre di corsa Luigi, come si è detto, perché un lavoro  in esecuzione da andare a seguire ce l’aveva sempre.
Molto preso dal lavoro, orgoglioso della sua professione, ma come si diceva, calvinisticamente anche geloso custode delle sue cose.
In Italia ci sono probabilmente centinaia di migliaia  di persone, che hanno strappato allo stato  anni di anzianità figurativa, per andare in pensione in età ridicolmente giovanile, sfruttando una  dichiarazione  fasulla o farlocca di un qualche vero o  presunto capo partigiano, che certificava  la loro partecipazione alla guerra partigiana, che magari per alcuni era consistita solo nel soggiorno in una cascina di collina per qualche tempo, in attesa di tempi migliori.
Luigi, col curriculum in materia, che si ritrova, era tanto convinto di avere fatto quello che riteneva suo dovere di fare in quelle circostanze, come cristiano e come cittadino, che non solo non se ne è mai vantato, ma  perfino nella ristretta cerchia domestica, abbiamo dovuto aspettare decenni perché ogni tanto lasciasse uscire qualche generico tassello relativo alla sua “avventura partigiana”.
Ognuno di noi ha una sua storia, che lo segna e che lo contraddistingue da tutti gli altri.
Luigi, con la sua educazione , scuola, oratorio e famiglia, decide di prendere posizione, se pure giovanissimo e rischia quello che rischia.
Salvata fortunosamente la pelle e ritornato a casa sente impellente la necessità di fare in fretta l’ultimo anno di scuola superiore e poi si butta immediatamente nel lavoro.
C’era allora, come tutti sappiamo, un’Italia distrutta e a pezzi, e quindi per un neo- geometra non era certo necessario  andare a un’agenzia di collocamento per trovare  immediatamente lavoro.
Nel lavoro ci si tuffa e praticamente non ne viene fuori più.
Ho un po’ insistito nel descrivere il ruolo determinante del lavoro nella sua personalità, perché solo questo riesce a spiegare quelli che sono sempre stati i suoi ben determinati orientamenti politici.
Chi non lo ha conosciuto in profondità, visto quello che si è detto finora sarebbe portato a pensare  : se era stato un partigiano diciassettenne, che ha rischiato la vita nella Resistenza, ovviamente doveva essere un uomo di sinistra.
E invece , contraddicendo i luoghi comuni in materia, non lo era affatto.
Chi ha avuto modo di conoscerlo bene, ha capito che l’apparentemente inspiegabile sua convinta simpatia politica per il berlusconismo è stata proprio la conseguenza logica di due elementi fondanti della sua storia personale e della sua personalità.
L’orgoglio col quale svolgeva la libera professione, dopo avere visto il periodo giovanile di dipendente, come un peso, una limitazione alle sue potenzialità professionali e il suo contributo alla Resistenza, vissuto e giustificato nel suo intimo prima di tutto come volontà di riportare in Italia la libertà civile e la libertà economica, spiegano tutto.
Le molle della sua scelta politica, che può sembrare singolare, ma non lo è, sono dovute a questo : la paura quasi fisica, che le formazioni politiche, anche solo vagamente di sinistra, potessero introdurre elementi di comunismo illiberale e di limitazione della libertà di impresa.
Avere rischiato la pelle a 16/17 anni, per ricadere dalla padella del nazifascismo nella brace del comunismo, sarebbe folle, pensava Luigi.
Questa sua decisa determinazione io l’ho capita quando, dopo che sposandosi, era entrato nella mia  famiglia, e dei suoi orientamenti politici non conoscevo pressoché ancora nulla, mi aveva quasi assalito verbalmente, una volta che sono andato in casa sua con in mano un libro riportante una raccolta dei discorsi del primo Fidel Castro.
Tu leggi quella roba? Mi sono sentito dire. Io risposi, ma certo si tratta di un rivoluzionario che ha lottato per abbattere un regime tirannico. E lui in risposta : si, va bene, ma è comunista e questo cambia tutto.
E quindi a fondare il suo orientamento politico c’era l’orgoglio del  libero professionista, al quale la professione aveva data anche non poche soddisfazioni, che lo spingeva naturalmente verso formazioni politiche, che almeno nelle intenzioni, predicavano la bontà della libertà di impresa e di professione e criticavano invece le forme di statalismo destinato alla degenerazione burocratica.
Soprattutto il primo Berlusconi, quello del ’94, uomo del fare, uomo e imprenditore che si era costruito da solo, ha incantato senza difficoltà chi aveva del lavoro il culto che aveva Luigi.
Quante volte , io che in politica la penso un po’ all’opposto, come sapranno i lettori di questo blog, pur rispettando le sue opinioni, perché ne intravedevo le motivazioni, che erano più che rispettabili, ero portato dalla passione politica a inventarle tutte per fare traballare la sua “fede” politica, ma non ci sono mai riuscito.
Ma questo suo orientamento politico, nel modo come lo ha vissuto lui, non era  un suo  difetto, ma è stata l’ennesima dimostrazione della  determinazione,  che metteva nelle cose che faceva e delle quali era convinto.
Non sono riuscito quindi a convertire politicamente lui, ma sono stato costretto io a dare un giudizio sul Berlusconismo, meno superficiale e pregiudiziale, proprio pensando a come mai un uomo della caratura di Luigi potesse essere attratto da quella proposta politica.
E per la mia maturazione politica è stato importante, perché sono convinto che chi non è riuscito a dare un giudizio meno superficiale di quello corrente sul berlusconismo, nei vent’anni nei quali è stato in auge, non riuscirà a comprendere oggi il fenomeno, altrettanto eclatante, del renzismo, ormai bene affermato, che per molti aspetti si è  imposto  come successore più moderno e più presentabile del berlusconismo, del quale interpreta in modo più convincente e credibile gran parte delle aspirazioni iniziali.
Luigi era talmente anticomunista che quando l’allora Presidente Ciampi, in visita a Pavia, lo ha salutato rivolgendogli parole di ringraziamento per il suo passato nella lotta di liberazione a nome del Paese, lui poi, pur dicendosi molto onorato e commosso non è riuscito  a non dire : ma non capisco perché non riesco a farmi accogliere semplicemente come internato politico, invece che come partigiano, perché in Italia se dici partigiano tutti pensano che sia andato dietro alle bandiere rosse, cosa che non avrei mai fatto.
Ecco, quello della Resistenza è stato un momento storico complesso e con più forze in movimento, e quindi per chi la pensava come Luigi ed erano molti (cattolici, liberali, repubblicani, socialdemocratici e perfino monarchici)  un conto era l’avversione verso l’ideologia comunista, un conto  erano i rapporti umani con i compagni di lotta di fede comunista.
Nel caso di Luigi è in questo senso emblematica l’amicizia fraterna che ha sempre conservato, per  citarne uno solo, con Ferruccio Belli, partigiano comunista e suo compagno di lotta.
In montagna o nei campi di concentramento o in esilio la lotta era comune e tutti rischiavano la pelle fianco a fianco, ma se finivano per discutere di come volevano lo stato e la società da costruire dopo avere abbattuto la dittatura, erano guai, perché lì si dividevano.
Di Luigi poi non posso non citare come elementi fondanti della sua storia e del suo carattere, il suo viscerale amore per la montagna e in genere per la natura, per l’aria aperta.
In questo ci eravamo veramente ritrovati pienamente come  fratelli, condividendo le medesime passioni.
Quando scarpinavamo per ore e ore sui sentieri di montagna.
A volte scoppiava prima lui, ma non perché io  fossi più bravo, ma solo perché venivano fuori gli anni in meno, che giocavano a mio favore.
Aveva un passo che avrebbe stroncato anche un mulo.
Ma non si camminava per fare solo dell’esercizio fisico o per vedere dei paesaggi, che ripagavano della fatica fatta, perché ambedue avevamo un forte interesse per la storia, per la civiltà contadina da andare a scoprire, il gusto di cercare di capire come si viveva indietro nel tempo,  avendo molto rispetto per chi ci aveva preceduti.
La montagna ha il fascino che le si riconosce, anche perché è in qualche modo una cattedrale particolare, forse la migliore possibile.
Quel geniaccio di Teyllard de Chardin, teologo gesuita, nonché paleontologo famoso, scioccamente messo in quarantena da Woytila ed ora fatto tornare prepotentemente in auge da papa Francesco, diceva, a questo proposito ,che quando ci si immerge nella contemplazione della natura, si diventa tutti concelebranti di una “messa cosmica”.
Il paesaggio, la vastità degli spazi, i silenzi dei luoghi evocano inevitabilmente pensieri alti.
Ricordo una volta che ,conclusa una escursione su una vetta dell’alto Appennino ligure, nella catena che dal  Lesima va all’Antola, dopo qualche ora di cammino, avevamo deciso che avevamo ancora abbastanza gambe per andare ad esplorare il versante successivo, che si presentava  interessante perché appariva particolarmente selvaggio e incontaminato.
Inoltratici in quel nuovo versante, dopo una mezz’ora di cammino, gli dei ci hanno concesso uno di quei “momenti della verità”, che capitano raramente, ma che, quando ci si passa, non si dimenticano più.
Siamo infatti finiti, dopo una curva nel sentierino che percorrevamo e che da tempo si faceva sempre più solo accennato appena, appena, perché l’asprezza della natura si stava rimangiando tutto, nell’ambiente irreale e senza tempo di un gruppo di vecchie case, che una volta erano una frazione, completamente disabitate da anni, se non da decenni.
Naturalmente abbiamo voluto attraversarlo tutto, guardandoci intorno con attenzione per vedere se per caso non ci fosse ancora qualche pur improbabile abitante. Confermando l’impressione iniziale non abbiamo trovato nessun segno di presenza umana, ma finito il paese siamo quasi stati risucchiati nel vecchio campo santo abbandonato, che proprio non ci aspettavamo di trovare in un ex paese così piccolo e come si dice, stuato “a casa del diavolo”,  in una posizione scoscesa e lontana da strade carreggiabili.
I pochi sepolcri erano ormai quasi nascosti da erbe alte ed eternamente sferzati dal vento, data l’altitudine e la posizione, in un silenzio per il resto, assoluto e in una solitudine ancora più percepibile.
Rimanendo in silenzio ci siamo fermati lunghi minuti, ognuno di noi in dialogo con chi ci figuravamo come l’Assoluto.
Luigi probabilmente con l’”Aeterne rerum conditor”   dei sempre splendidi salmi 18 e 148 ed io probabilmente col più razionale “Deus sive natura” di Baruch Spinosa e di Giordano Bruno.
In quei momenti, quando il tempo si ferma, si recupera la reale misura delle cose, la sensazione dell’immensità del creato, che contrasta con la presunta grandezza degli uomini, che passano come il vento che soffiava su quelle tombe, quasi risucchiate dalla natura, alla quale tutto ritorna.
Non avessi condiviso altro con Luigi, quei lunghi minuti mi basterebbero.
E poi, la comune passione per la pesca e soprattutto per quella nei torrenti di montagna.
Quelle spedizioni, quando ancora il sole non si era alzato dietro le montagne, con un freddo cane, anche in piena estate, in quel tratto genovese del Trebbia, dopo Gorreto.
Dove si trovava un’acqua limpidissima, in gole naturali di una bellezza impressionante e si andava a fare danzare il “cucchiaino”,  cioè l’esca artificiale, davanti al naso di bellissime trotelle fario di torrente.
C’eravamo impratichiti e senza pesce non si tornava mai.
Ed anche in questa attività “di evasione” la sua caparbietà si rivelava determinante.
Anche quando io avrei lasciato perdere, perché in quella giornata non si riusciva a prendere nulla, lui non mollava e si studiava una nuova e particolare montatura, o andava a lanciare da un posto  più nascosto, e scosceso  e, come sempre, la costanza veniva ripagata da prede prese con fatica e quindi con ancora più soddisfazione.
Una ulteriore  annotazione, senza la quale questo tentativo di succinto ritratto non sarebbe completo, l’amore per la musica classica.
Amava ascoltarsela in casa, come tutti gli  appassionati, ma non trascurava le occasioni, che offrivano i concerti, ovviamente, Arena di Verona, compresa.
Ma anche  in ambienti molto meno blasonati, ma non meno adatti a fare risaltare la suggestione della grande musica.
Ricordo che più volte ci siamo avventurati per le strade ancora della Val Trebbia, non   per andare a pescare, ma anche di sera , per partecipare ai piccoli festival di musica classico- operistica ,che venivano organizzati nel suggestivo  chiostro dell’antico  monastero di Bobbio.
Magari non c’erano grandi interpreti, ma l’ambiente era impagabile.
Un’altra sfaccettatura di quella personalità era questa.
Oggi molti si riempiono la bocca per dire o perché gli altri dicano di noi : il tale fa volontariato.
Molte persone, che conoscevano Luigi, magari anche abbastanza bene, non diranno oggi che faceva volontariato, non perché non lo abbia fatto, ma semplicemente  perché   lo faceva in modo da non farlo a sapere  a nessuno e quindi loro non potevano saperlo.
Luigi era un credente all’antica e quindi certe cose a lui bastava che  a  sapere che le aveva fatte fosse solo “Colui”, come diceva il Manzoni, colui che attera e suscita, che affanna e che consola.
Quanti lavori, anche impegnativi, Luigi avrà fatto, mandando col pensiero una fattura pro forma a Colui e a nessun altro.
Li faceva perché ci credeva e  basta.
Non è un caso che tante persone anziane, che lo hanno conosciuto per ragioni di lavoro od altro, dopo aver scoperto che una cosa era il professionista, ma che finito il professionista,  dove con molti altri finiva tutto, nel suo caso , cominciava l’uomo , all’uomo  si rivolgevano, magari anche abusando della sua ampia disponibilità e lo assillavano con richieste di favori ,di pratiche da seguire in settori, che, spesso e volentieri, nulla c’entravano con la sua professione.
La sua disponibilità era talmente ampia che a volte a giudicare dalle telefonate che riceveva a casa e non in studio, sembrava che avesse un debole per i vecchietti rompi-scatole, ma non ostante i rimbrotti che riceveva bonariamente in casa a quei vecchietti dedicava lo stesso tempo e lo stesso impegno, che avrebbe riservato ad un cliente danaroso.
Arrivati a questo punto spero di essere riuscito a spiegare il senso di quel titolo di “partigiano indipendente”.

Tutte le persone che sanno costruirsi un carattere forte e determinato, come quello di Luigi sono partigiani indipendenti.

venerdì 20 febbraio 2015

Il Califfato islamico minaccia il cupolone di San Pietro : alle armi! alle armi! o no ?




Una volta tanto non è colpa nostra e non siamo andati a cercarcela, ma certo che la totale situazione di anarchia nella quale versa la  Libia è una bella gatta da pelare.
Quando nel 2011  la Total ha spinto Sarkosy  a mettere in piedi un intervento militare per abbattere il regime di Gheddafi, l'Italia per mille ragioni non poteva starsene in disparte, perchè, anche se lo avesse fatto, Sarkosy e Cameron avrebbero lo stesso cercato e ottenuto l'appoggio americano per partire da soli. 
Dire oggi che quell'intervento è stato un'idiozia è perfino troppo facile.
Mai muoversi armi in mano se non si sa con sicurezza cosa si vuole fare e chi si vuole mettere al potere al posto  di chi si abbatte.
 La storia non insegna mai nulla, ma questa massima è la prima cosa da tenere presente oggi, quando l'ipotesi di un ulteriore intervento militare potrebbe essere più giustificato di quanto lo fu quello del 2011.  
Disgraziatamente oggi la situazione è estremamente complicata.  
Non c'è più un Gheddafi da abbattere e quindi non si può affatto contare come allora di trovare in loco l'appoggio di chi era perseguitato o contrario a quel regime.                                                            Oggi c'è il caos.                                                                                                                                         Ci sono due governi, uno a Tripoli e l'altro a Tobruk, ognuno dei quali conta come il famoso fante di picche, anche se solo uno, quello di Tobruk è internazionalmente riconosciuto ed a lui fa capo non un esercito, del quale nessuna fazione  dispone, ma almeno l'unico nucleo di milizie organizzate sotto il comando, ironia della sorte di un generale di Gheddafi.                        
Poi ci sono  i gruppi islamisti collaterali di al Quaida a Derna, che oggi hanno giurato fedeltà al Califfato.                                                                                                                                                
E questo è il fatto più pericoloso.                                                                                                              In Siria, dove pure regna il caos completo, sono presenti una costellazione di gruppuscoli compresi quelli che si riconoscono nell'Islam fondamentalista e terrorista, ma questi sono in lotta fra di loro.                                                                                   
In Libia non è più così, in Libia il Califfato ha per tempo fiutato l'aria ed ha capito che qui erano presenti tre elementi di grandissimo interesse per loro : un insieme disordinato di gruppuscoli estremisti, incapaci di coordinarsi per contare qualcosa, un sacco di armi abbastanza moderne, ammassate dal vecchio regime e l'oro nero dei pozzi petroliferi.                                      
L'occasione era troppo ghiotta per non provarci, e il Califfato ha infiltrato a poco a poco suoi emissari per contattare i gruppuscoli ideologicamente più vicini, cominciando ovviamente da quelli di Derna e della Cirenaica e di Bengasi, tutti posti da sempre più permeabili al fondamentalismo, che il laico Gheddafi aveva sempre tenacemente combattuto.                     
Non c'è  dubbio che il Califfato, sembra tutto una sceneggiata tenuta insieme da quattro personaggi strampalati, che in altri tempi non sarebbero andati oltre a perdere il tempo per bar e moschee.                                                                                                                                                  Ma come sempre il caso, cioè una serie di circostanze riescono a trasformare un ambizioso caporale in un Napoleone.                                                                                                                  
Speriamo che questo  non sia il caso dell'auto- proclamatosi Califfo Al Bagdadi, ma certo questa gente se pure spregevole e fuori dal tempo e dalla storia non ne sta sbagliando una, nel senso che quello che fanno sta avendo un impatto clamoroso e trascinante su una massa enorme di arabi senza lavoro e senza la ragionevole aspettativa di trovarne mai uno.                      
Il Califfo da loro il modo di vivere pericolosamente, ma con un riferimento ideologico scritto in uno dei venerati libri sacri dell'umanità, il Corano, per larga parte basato sulla Bibbia ebraico- cristiana,  che se preso alla lettera giustifica le loro anacronistiche follie.                                         
La storia ci insegna che nulla più  di un mito religioso è efficace per fornire una solo
ida e credibile identità  a delle società che si sentono umiliate e prive di prospettive.                     Sappiamo anche sempre dalla storia e dalla psicologia ,che una forte identità in costruzione, richiede come l'altra faccia della medaglia l'auto- creazione di un nemico da sterminare.                                     Gli ebrei per i nazisti, gli Americani e gli occidentali in genere per gli islamisti, dai Wahabiti, agli ideologi dei Fratelli Musulmani in campo Sunnita, a Komeini in campo  Shiita.                                      
I cristiani hanno già dato con le crociate, l'inquisizione e le guerre di religione, ma oggi hanno imparato l'educazione alla modernità, gli Islamici no.                                                                           Non sto a ripetere che chi si appella alla presunta maggioranza di islamici presunti moderati racconta delle fandonie, che non hanno alcun fondamento nella realtà, anche se qualcosa ha cominciato a muoversi.                                                                                                                                    E' stata una ben piacevole sorpresa sentire il capo dello stato più importante e popoloso del Nord Africa, l'egiziano, generale Al Sissi, pronunciare all'università coranica sunnita più importante, al Ahzar un discorso nel quale invocava una rivoluzione nella sua religione per  non diventare stranei e irrilevanti nel mondo moderno.                                                                    
Ma, come al solito e come è  avvenuto prima nel cattolicesimo sono state le ragioni di potere a precedere la teologia.                                                                                                            
Ed ' stato al Sissi l'unico a mandare gli aerei a bombardare i seguaci del Califfato a Derna senza sottomettersi prima al rito  spesso farisaico della richiesta dell'ombrello  Onu.                          
Bene ha fatto Al Sissi, anche perchè aveva da reagire allo sgozzamento di alcuni suoi connazionali, se pure Copti e non Musulmani.                                                                                        
Ma noi che facciamo?                                        
Noi contiamo pochino e temo che non facciamo la minima paura ai brutti ceffi del Califfato, ma un armamento moderno e un esercito, una marina e un'aviazione passabile li abbiamo.           
Nei loro confronti avremmo una superiorità tecnologica assoluta.                                                      Ma,  diceva quel genio di Tolstoi in Guerra e Pece, la guerra la vince l'esercito che è più determinato dell'altro.                                                                                                                                
E qui cascheremmo, è inutile raccontarci della favole.                                                              
Può essere che oltre agli armamenti, si abbiano anche dei generali preparati, ma ve l'immaginate la gestione politica di un eventuale intervento militare?                                                
Ho sentito in una trasmissione televisiva di approfondimento un ex generale, che  era stato anche capo di stato maggiore, dire : saremmo tecnicamente in grado di fare un intervento militare, ma sia chiaro, se si decidesse di andare, "à la guerre, comme à la guerre".                                         
Il generale voleva dire  credo giustamente : niente buffonate, se tecnicamente ci vogliono cento mila uomini , una manciata di miliardi, e disgraziatamente, ma inevitabilmente, almeno decine di morti, si va, se si è disposti a pagare il prezzo per quel tipo di impegno, diversamente è meglio rimanere a casa.                                                                                                                          
E questa è  la prima ragione per non andare, se proprio gli eventi non ci tirassero per i capelli.
La seconda ragione per non andare è quest' altra : un intervento militare in un paese diviso per una costellazione di milizie e per circa duecento tribù, e per di più un intervento prevalentemente europeo (agli Usa della Libia non importa nulla perchè hanno raggiunto l'auto- sufficienza petrolifera) avrebbe l'effetto indesiderato di mettere d'accordo tutti quanti : gruppuscoli,  milizie e tribù contro un visibile e ben identificato nemico comune.                                                                                               
La cosa più  sensata al momento sembra essere quella di cercare un mediatore di livello sufficientemente elevato per fare dialogare i governi, milizie, tribù e stati esteri interessati a metterci le mani : Egitto, Emirati, Sauditi, Turchia, Algeria, Lega Araba, Consiglio Pan-Africano in chiave anti- terroristica.                                                                                                                                     
E' una bella impresa, ma è possibile e spetta in primis a noi italiani metterci in evidenza e cercare quel ruolo per una serie di ragioni.                                                                                         
Siamo la  potenza ex- coloniale di riferimento, che ha con la   Libia più interessi, conoscenze ed entrature, più di qualsiasi altra potenza.                                                                                      Abbiamo gli uomini.                                                                                                                  L'ambasciatore d'Italia che ha  dovuto rientrare in patria, era l'unico diplomatico sul campo in grado di far dialogare i due governi contrapposti.                                                                                     
E' vero che  ci comportiamo spesso in modo cialtronesco, come i politici che esprimiamo, ma sarebbe stupido non riconoscere le eccellenze, dove siamo riusciti a crearne.                         
Tanto  per fare un esempio significativo il banchiere centrale della Libia e il capo dell'istituto di sorveglianza libico sono, guarda caso, due ex- funzionari dell'Eni e la stessa Eni dispone notoriamente  di un apparato che è in grado di dialogare in modo credibile con tutte le realtà locali di quel complicatissimo paese.                                                                                                          
E' stato fatto  in questi ultimi giorni anche il nome di Romano Prodi, come figura di prestigio internazionale, che possa avvalersi di tutte le entrature che l'Italia ha in loco per tentare una mediazione.                                                                                                                                  
Prodi ha la competenza, la capacità e il prestigio per rivestire un tale ruolo, il governo Renzi si dovrebbe impegnare a fondo per sostenere la sua candidatura, a meno che Renzi, come al solito, non abbia paura di suscitare il fantasmi di  un suo eventuale competitore.                         
Per Prodi sarebbe un'impresa ben difficile perchè in questi casi si è credibili, se si ha qualche decina di migliaia di marines pronti a sbarcare e una selva di missili pronti ad essere lanciati.

Ma vale comunque la pena di provarci.                                               

giovedì 12 febbraio 2015

la situazione in Ucraina è molto complicata perchè quel paese è una composizione di troppi elementi diversi




Prima di tutto l'Ucraina è un paese molto vasto (il doppio dell'Italia), con poco meno abitanti di noi,  ma con una  densità abitativa di tre volte in meno rispetto all'Italia.
I gruppi etnici presenti vedono una forte minoranza di Russi (17%), che in realtà è molto più ampia, se si rileva che i russofoni sono il 30%.
E già questo dato sulla composizione etnica rivela che si tratta di un paese diviso profondamente.
Diviso, e questo va sottolineato, non in due ma in diversi rivoli, cosa che appare evidente per esempio se si va a vedere la composizione della popolazione per  confessioni religiose dichiarate.
Si comincia con un sorprendente 64% di a-religiosi, e questo, come vedremo, spiega non poco, per addentrarsi in una pluralità di confessioni diverse nell'ambito dell'Ortodossia ( Patriarcato di Mosca, Patriarcato di Kiev, chiesa ortodossa autocefala ukraina) e poi cattolici di rito orientale e di rito latino, protestanti eccetera.
Non è certo un paese con un'identità compatta e univoca.
Finanziariamente è un paese fallito, che sopravvive solo con la reiterazione dei prestiti della Unione Europea e, in parte, del condono del pagamento delle bollette del gas arretrate e non pagate, da parte della Russia.
Economicamente si trova col cappio al collo delle forniture di gas russo, dalle quali dipende totalmente.
E' devastato da un livello di corruzione elevatissimo, come si è visto quando è scappato in Russia il precedente Presidente Juscenko e la gente è andata a vedere le ricchezze immobiliari, eccetera, che aveva accumulato, imperversano le mafie.
La classe politica è fra le meno affidabili del continente, si pensi alla biografia di quella Julia Timoscenko, che per un certo periodo è stata presa per vittima ed eroe nazionale e poi si è scoperto che faceva parte integrante del gruppo degli oligarchi, che governano di fatto il paese, guardando prima di tutto agli interessi delle loro aziende.
Per capire di che pasta sono fatti, basti dire che la medesima Timoscenko in un comizio aveva esortato a tagliare la testa a tutti i Russi.
Del governo attuale fanno parte elementi di tutte le specie, fra i quali due hanno passaporto americano e quindi cittadini statunitensi.
Cosa questa che pure dovrebbe indurre a fare qualche riflessione su chi mette le mani in casa d'altri o interferisce con la sovranità di un paese straniero, non c'è certo solo la Russia a tessere le sue trame.
La storia dell'Ukraina è complessa.
La  cosa più evidente però è che il caso Ukraina ha poco a che fare con quello della Germania Est, della Polonia o dell'Ungheria,  Romania, Bulgaria e Cecoslovacchia, che dopo la caduta del muro di Berlino, cioè del  comunismo nell'Ex Unione Sovietica, hanno deciso di proclamarsi indipendenti.
Nel senso che quei paesi avevano una storia secolare come nazioni, cosa che non si può dire per l'Ucraina, che dal '700 faceva parte dell'Impero zarista, come  una sua regione.
Diversamente, non si spiegherebbe come mai il rigidissimo Politburo dell'Urss, avesse scelto come Segretario Generale quel Krushev, che, oltre ad essere nato in Ukraina, in quella regione aveva sviluppato tutto il suo “cursus onorum” di funzionario di partito d'alto rango.
Mai sarebbe successo, se tutti allora non avessero avuto la percezione dell'Ukraina, come una regione della Russia e non come di una nazione associata, come avveniva per le Repubbliche sorelle, che sopra si sono citate.
Chiarite tutte queste cose, occorre però ribadire che nessuno si può permettere di mettere in discussione i confini nell'ambito dell'Europa attuale, anche se tutto si può fare, purchè si rispetti il sacro principio dell'autodeterminazione, che era fra gli scopi di guerra degli Alleati, nella Seconda Guerra Mondiale.
Putin si è proposto come obiettivo strategico di riconquistare almeno in parte al suo paese il ruolo di potenza regionale egemone.
E' un obiettivo legittimo.
Per capire quanto sia legittimo, chiediamoci  cosa fa la Germania, del cui operato non abbiamo nulla da dire.
Non è forse abbastanza evidente che i paesi slavi dell'Est siano diventati di fatto suoi satelliti dal punto di vista economico, ma non solo?
Basta vedere come votano nei vari consessi internazionali o in quelli di governo dell'Unione Europea.
Ci sono quindi in gioco due potenze, che fanno da calamite nell’ Est Europeo.
Quella di sempre, e cioè la Russia, e poi la Germania, che in occasione di questa gravissima crisi, ha finalmente messo da parte gli inutili fariseismi del recente passato ed agisce oggi come paese leader dell'Europa, come è di fatto da tempo.
Poi c'è  il terzo incomodo, lontano, ma molto potente ed ingombrante, l'America di Obama.
Obama, sfortunatamente, non si capisce mai se ha una strategia definita o se è sempre prigioniero di dubbi amletici.
In questa crisi, anche per sue ragioni interne (la maggioranza del suo parlamento è repubblicana e quindi spinge fortemente per adottare la linea dura verso la Russia), interferisce in modo tutt' altro che leggero.
Fortunatamente la Merkel, come si è detto, ha finalmente accettato di recitare il suo ruolo naturale di leader dell'Europa e si è messa di traverso alle richieste americane di armare il corrotto e inaffidabile governo di Kiev, perché un peggioramento dei rapporti con la Russia e peggio che peggio, un conflitto, sarebbe esiziale per gli interessi economici dell'Europa, che ha nella vastissima Russia il suo migliore cliente commerciale.
Il guaio è che l'America è tutt'ora estremamente potente ed influente e in America è divenuta prevalente un'opinione di scuola ,molto ideologizzata e poco attaccata alla realtà, che vuole fare fuori politicamente Putin.
L'America è abbastanza influente e potente da avere pazientemente raccolto dietro la sua strampalata strategia il consenso di Polonia, paesi nordici e baltici, che chiedono armamenti, il coinvolgimento della Nato e ulteriori pesanti sanzioni contro la Russia, per spingere gli oligarchi russi a far fuori colui,che è fino ad ora è stato il loro protettore.
Si può anche capire che polacchi e baltici ,a ragione della loro storia recente, abbiano una reale paura di finire come successivo boccone delle mire espansionistiche della Russia di Putin, anche se nella “real-  politique” di oggi,  quelle paure non sembrano avere un senso concreto.
Non si capisce invece  l’atteggiamento sciocco, che appartiene a questo schieramento, volto a voler prendersi una impossibile rivincita sulla storia ed approfittare dell’occasione per umiliare Putin.
Possibile che l’America non abbia ancora capito che la strategia dell’  ”abbattiamo prima il tiranno e poi si vedrà” non funziona mai ed anzi ha dato nel recente passato dei risultati controproducenti?
Come si vede la situazione è realmente arrivata all'allarme rosso.
Quando si arriva a questi punti, la preoccupazione di tutti deve essere quella di trovare dei canali per fare parlare fra di loro prima di tutto i contendenti e poi i loro potenti protettori.
Cessate il fuoco, zona demilitarizzata come primissime opere.
Già questo però è un rospo estremamente indigesto per una parte, perchéè è ovvio, che dietro le ragioni di buon senso ed umanitarie si cela un interesse a favore di una parte e non dell'altra.
Cessate il fuoco e zona demilitarizzata, significa infatti riconoscere di fatto una nuova situazione con frontiere che si sono spostate avanti e di parecchio.
La diplomazia dovrà indorare la pillola rivestendo le nuove frontiere di fatto, con delle forme appena appena accettabili, come qualche forma di statuto speciale per quei territori, tipo Alto Adige o di quel genere.

Una volta tanto è sperabile che gli interessi economici, volgari fin che si vuole,   impongano la loro prevalente influenza e riportino tutti quanti al buon senso ed alla ragione.

giovedì 5 febbraio 2015

Non ostante la secolarizzazione avanzata la gente continua a guardare  a papa Francesco ed ad altre figure morali alte per essere indirizzati verso la speranza e la fiducia



Viviamo da tempo in una società che si è secolarizzata e laicizzata in modo probabilmente irreversibile.
Questo significa che nelle chiese ci si va sempre di meno e che sempre più gente non trova nei miti delle religioni nemmeno più fonte di generico conforto.
Nonostante questo però ci sono personaggi come papa Francesco ed altre figure morali laiche, come grandi scienziati, pensatori, artisti, operatori umanitari, ancora  abbastanza credibili da poter comunicare fiducia.
La perdurante credibilità  di personaggi di questo tipo sta a significare il fatto che la gente non cessa comunque di avere  bisogno di punti di riferimento morali anche se sono atee o agnostiche o indifferenti.
C'è ancora in corso una crisi economica a livello mondiale che morde e che per alcuni è fonte di forte destabilizzazione .
Ci sono guerre in corso in diverse parti del mondo , ma siamo per fortuna ben lontani dai disastri che avevano provocato le guerre mondiali, che distruggevano tutto e privavano le persone della possibilità di fare progetti, di programmare la propria vita, il proprio futuro.
Ecco però, non ostante che si stia enormemente meglio rispetto ad allora, oggi si avverte fra la gente una spiacevole sensazione, paragonabile, anche se in tono minore, a quella che hanno provato coloro che hanno vissuto in tempo di guerra, si tratta di un sentimento di sfiducia, di rassegnazione e infatti oggi pochi sono ottimisti sulle loro prospettive nel prossimo futuro.
L'assetto attuale della società non convince, ci si è convinti che occorrerebbe mettere mano a riformare quasi tutto.
La politica riscuote uno dei gradi più bassi di fiducia che abbia mai raggiunto.
La diffusione di massa di questi sentimenti crea una situazione pericolosa perché è simile a quella verificatesi quando negli anni venti e trenta la gente, proprio per sfiducia verso l'esistente si sono lasciate andare a portare il cervello all'ammasso dei venditori di fumo e di sogni delle grandi dittature del novecento.
E' una costante della nostra mente, l'uomo che vuole buttarsi alle spalle le difficoltà della vita che dispera di poter superare si affida ai sogni, alle fedi, ai miti e le sue capacità critiche e razionali si affievoliscono.
Ecco allora che si diventa più portati a dare credito ai richiami ed al fascino delle figure carismatiche in ogni campo.
Non è un atteggiamento negativo di per sé,  anzi può portare a trovare e ricevere un aiuto prezioso, purché si conservi la capacità di discernere fra buoni e cattivi maestri.
Papa Francesco, grandi scienziati, pensatori, artisti, operatori umanitari ecc, possono essere buoni od ottimi maestri.
I politici populisti sono quasi sempre pessimi maestri, la storia lo insegna senza lasciare il minimo dubbio.
Le grandi figure morali parlano all'Universale che c'è in noi e per questa ragione tendiamo ad ascoltarli con fiducia e interesse.
Ci sono valori universali, che condividiamo col resto del mondo e questi sono universali al di la delle diverse religioni, etnie , storie particolari, identità popolari diverse, che sono tali senza bisogni di essere battezzati da nessuna religione nè di fondarsi sul mito di un dio creatore, diversamente non sarebbero nemmeno universali.
Papa Francesco riesce spesso a parlare evocando questi valori al di fuori del recinto del suo gregge, riesce a dismettere gli abiti che lo limitano ad essere capo di una parte sola della umanità.
La gente cerca qualcuno che le faccia intravedere in modo credibile una prospettiva di vita migliore del presente e la convinca che questa vita vale la pena di viverla.
Sapere parlare non come capo di una delle tante religioni, ma come un riferimento della comune umanità.
A sempre più persone non interessano affatto le ragioni per le quali un papa invoca di rappresentare una autorità , e non interessa nemmeno vederlo come dispensatore di una particolare mitologia religiosa.
Se il papa riesce, come pare Francesco riesca a parlare umilmente come "esperto di umanità" e nulla di più, usando una bella espressione coniata a suo tempo da Paolo VI, allora la sua voce diventa legittimata a parlare all'universo e non a uno dei tanti recinti di fedeli.
Questo papa ha fatto tanto per parlare a tutti e per rendersi credibile all' uomo moderno.
Ma gli manca ancora una dimensione fondamentale ,  sembra che non abbia ancora metabolizzato l'enorme valore della scienza, sia per le sue inimmaginabili potenzialità, ma anche per l'enormità che ha già dato per migliorare la qualità della vita umana.
Le religioni sembrano soffrire di un complesso di inferiorità nei riguardi della scienza, parlano della scienza come se la temessero, se ne temessero la concorrenza, ed allora sembrano avere sempre un retro-pensiero e sono portate ad additare continuamente quasi solo i possibili pericoli, che suppongono legati alle scoperte scientifiche ed alle nove tecnologie che  vengono approntate.
Che esaltino l' enormità di bene che la scienza ha portato al genere umano, fanno terribilmente fatica a riconoscerlo.
Va riconosciuto che il cattolicesimo ha fatto buoni passi in questa direzione, si veda la dottrina sociale sopratutto di Paolo  VI, che è piena di riconoscimenti ammirati alle acquisizioni della scienza.
L'Islam è rimasto invece alla ripetizione fino alla noia degli sviluppi in alcune materie scientifiche che il mondo arabo ha elaborato nel periodo del suo massimo splendore nel Medio Evo, ma dopo di allora il suo supporto alla scienza è risultato praticamente pari allo zero e quella religione risulta essere la più lontana dall'accettazione dei principi della modernità e dell'illuminismo.
Il buddismo, sopratutto per merito dell'attuale Dalai Lama, è invece il più attento fra le religioni agli sviluppi della scienza ed ai suoi  apporti al miglioramento della qualità della vita.
Il Dalai Lama, come si è già detto in questo blog è l'unica autorità religiosa che partecipa annualmente a giornate di studio organizzate mettendo insieme scienziati al massimo livello.
Mi sono sempre chiesto a proposito di questo argomento per quali pregiudizi o distorsione mentale nella nostra cultura si da ancora credito da parte di moltissimi a all'esistenza di santi e di miracoli, senza potere ovviamente  appoggiarsi  a nessuna evidenza, appena spendibile nel mondo reale.
Si da tanto credito alla riproposizione ripetitiva della celebrazione di figure di personaggi proclamati santi per ragioni che per lo più non hanno alcuna attinenza con la spiritualità, moltissime di queste figure non hanno nemmeno un appoggio che ne possa certificare l'esistenza storica, altri hanno commesso crimini delle peggiori specie, altri dallo studio delle loro opere danno a vedere di essere stati vittime di malattie e turbe psichiatriche.
Come se la lista non fosse sufficientemente affollata, se ne continua a proclamare altri, quasi sempre per ragioni di prestigio o di potere o per accontentare fazioni di fedeli, ma non si pensa di tributare il riconoscimento che sarebbe dovuto ai santi veri dell'umanità.
Coloro che hanno fatto "miracoli" verificabili, che hanno salvato innumerevoli vite umane dalle malattie o che hanno prodotto miglioramenti inestimabili alla qualità della vita.
Scienziati sopratutto.
Come sarebbe più sensato un calendario che ricordi scienziati, pensatori, artisti, tutta gente che ha dato veramente.
Insieme beninteso a figure religiose degnissime, pure meritevoli di riconoscenza, ma in numero estremamente  più sobrio da conseguirsi  in seguito ad una revisione, che si ispiri a principi di elementare serietà scientifica di critica storica.
Scienza, arte, cultura, operatori umanitari, tutte materie  basate sulla conoscenza e non sulla fede (wishing thinking, voler credere).
Un papa "esperto di umanità" che voglia veramente essere operatore di pace dovrà umilmente rassegnarsi a riconoscere che le religioni come sono oggi, sono oggettivamente perenni focolai di conflitto e non di pace, se ogni fede continua a ritenersi e proclamarsi come l'unica vera, in quanto unica depositaria della verità unica e definitiva, ricevuta a seguito di una presunta rivelazione.
Bene ha fatto la chiesa cattolica a staccarsi col Concilio Vaticano II da una tradizione fondamentalista in base alla quale i diritti umani sarebbero rimasti per sempre fuori dalla porta come voleva Pio IX ed a riconoscere se pure parzialmente ed in ritardo che quello che è scritto nella Bibbia  non ha valore storico e cioè non è da intendersi alla lettera, ma va sottoposto a una rigorosa esegesi che distingua cosa è detto come pura metafora e cosa è semplice descrizione dei costumi di una civiltà pastorale di tremila anni  fa, oggi del tutto privi di senso, nel mondo di oggi e quindi non più riproponibili.
Attenzione però che uscire dal fondamentalismo richiede un processo tutt'altro che terminato e che richiederà di percorrere tappe successive, che molte anime del cattolicesimo non hanno nessuna intenzione di percorrere.
Oggi siamo tutti indignati dalle manifestazioni di pura barbarie messe in atto dall'autoproclamatosi Califfato Islamico di Siria e Iraq.
Ma teniamo conto per esempio che il medesimo Califfato nel corso dei suoi video agghiaccianti ha candidamente affermato di non essere ispirato nel compierere le sue nefandezza da altro che dalla lettera   dalla legge del taglione, che come legge mosaica, fa parte integrante e costante della Bibbia ebraica e cattolica.
Il fondamentalismo che significa?
Questo è un argomento che andrebbe sviluppato in modo analitico molto di più di quanto non si sia fatto finora.
Fondamentalismo significa principalmente riconoscere come sacro alcune cose e non altre.
Con quali criteri? Questo è il punto. Ogni confessione religiosa conferisce la qualifica di sacro ad alcune cose per una convenzione condivisa fra i suoi chierici ed i suoi fedeli.
Di conseguenza l'attribuzione di sacralità è un fatto prettamente "relativo".
Ma, guarda caso, tutto il pontificato dell'intellettuale Ratzinger è stato vissuto combattendo il concetto di "relativismo", il cui contrario è la proclamazione di sacralità.
Ecco quindi che per portare il cattolicesimo fuori dal fondamentalismo non basta dare per acquisito il fatto che le gerarchie cattoliche non invocano più l'eliminazione fisica degli "infedeli", come fanno ancora gli islamici.
In effetti ha lasciato senza fiato tutte le redazioni occidentali la pronuncia di ieri del grande Imam rettore dell'università coranica del Cairo Al Azahr,  università di riferimento per tutto il Sunnismo, Ahmed al Tayyed contro l'Isis, che ha invitato tranquillamente i musulmani a crocefiggere e strappare gli arti agli aderenti all'Isis medesima.
Ma se i cattolici si degnassero di leggere la loro Bibbia, saprebbero che questi inviti alla violenza più barbarica verso gli infedeli, sono comunissimi in quei libri.
Quindi attenzione a tirarci fuori.
In quanto cattolici abbiamo fatto dei decisi passi avanti (non dimentichiamo nemmeno questo, solo dal 1965) ma di nodi per superare la cultura del fondamentalismo ce ne sono ancora altri da fare.
E purtroppo anche il cattolico osservante non ne è probabilmente nemmeno a conoscenza, perché non si sente responsabile ed ha la cattiva abitudine di  girare il tutto ai suoi preti, che in materia non sono magari molto più preparati di lui.





mercoledì 4 febbraio 2015

Renzi con l'elezione di Sergio Mattarella al Quirinale ha realizzato un colpo da maestro : rendendo irrilevati Berlusconi e gli ex-comunisti e ricompattando il PD in un colpo solo



Mi è capitato di sentire commentare da par suo la strategia di Renzi, da parte di Massimo Cacciari, che non è riuscito a non esaminare l'operato di Renzi in questa occasione ,senza usare i parametri indicati da Macchiavelli per individuare le  qualità  indispensabili al principe.
Astuzia, forza alternata alla ragione, virtù per controllare la fortuna.
Cacciari  concluse ovviamente che Renzi aveva saputo usarle  tutte, quelle qualità.
Non posso che concordare.
A vantaggio di Renzi aggiungerei anche, che il medesimo ha saputo fare uso di un'altra virtù particolarmente apprezzata nel mondo anglosassone : l'elasticità anche mentale.
Perchè, come ora sappiamo, Mattarella non era stato la prima scelta di Renzi, ma il suo nome è venuto fuori quando Renzi ha verificato che Amato (il candidato probabilmente concordato con Berlusconi al Nazareno) raccolgieva troppo pochi consensi e che Prodi andava stoppato con un altro candidato di alto livello come appunto Mattarella nel caso  molto temuto, nel quale 5Stelle e sinistre l'avessero lanciato, sfasciando il PD.
Mattarella era equivalente a Prodi nei confronti delle sinistre esterne e interne, col vantaggio di essere un ex della sinistra Dc e quindi tale da mettere ai margini gli ex-comunisti, costringendoli contemporaneamente a non potere in alcun modo contrastare un candidato con la storia politica di Mattarella.
E infatti così è andata ed è stato un vero capolavoro.
E i capolavori in politica riescono perfettamente anche e sopratutto quando gli altri attori fanno delle corbellerie.
E infatti, mentre Renzi tesseva la sua tela a favore di Mattarella, Berlusconi, sopravvalutando più del solito le sue capacità manovriere, faceva l'errore capitale di andare a vendere la candidatura Amato da un D'Alema, ben felice di essere considerato ancora qualc'uno come se si fosse stati ancora al tempo dell'elezione presidenziale precedente e come quindi se D'Alema fosse davvero in grado di mettere insieme i famosi 101, che allora avevano fatto naufragare la candidatura di Prodi, ridicolizzando Renzi.
Ma D'Alema oggi è poco più  di un ricco gentiluomo di campagna e in ogni caso non avrebbe mai e poi mai potuto votare contro a quel Mattarella che era stato addirittura suo Vice Presidente del Consiglio.
La tela di Renzi era stata tessuta in modo estremamente intelligente, senza smagliature possibili.
Così Berlusconi veniva messo all'angolo perchè da solo era andato a sbattere.
Reso irrilevante ai fini dell'elezione al Quirinale, ma non umiliato fino a mettere in forse il patto del Nazareno.
Berlusconi adesso se andasse da solo e senza Renzi ,sarebbe il capo di un partitino al 10%, per di più molto difficile da tenere insieme.
Con Renzi sarà invece tenuto buono per fare le riforme da qui a fine legislatura.
Senza Renzi non sarebbe nessuno, perchè lo scenario politico è cambiato un'altra volta e lo stesso Berlusconi non potrà mai più aspirare a ritornare ad essere il capo della destra.
Quel posto ormai è occupato da un'altro più giovane, più credibile,meno mollaccione e più radicale sui temi cari alla destra.
Matteo Salvini naviga  ora già sul 15% come partito e oltre il 20 come personaggio.
Berlusconi ha due anni per poter galleggiare, se ci riesce e se non viene travolto dai suoi guai giudiziari che sono tutt'altro che finiti e se nel suo partito i suoi parlamentari non cominceranno a trasferirsi alla chetichella da Salvini.
Calderoli dice che c'è già la fila, e la cosa è abbastanza verosimile.
Renzi esce quindi molto rafforzato, ma i famosi compiti a  casa sono ancora tutti
da fare, come gli ricorda scherzisamente, ma non tanto la Merkel, con la quale tra l'altro dicono i giornali tedeschi che abbia una buona intesa.
Alcuni commentatori politici di rango hanno commentato che passato lo scoglio del Quirinale, Matteo Renzi potrebbe poter governare per vent'anni.
Non è improbabile. Come si è detto più volte su questo blog, gli italiani non hanno affatto dismesso con la caduta del fascismo la loro tendenza a cedere al "cesarismo".
La democrazia o le rivoluzioni che si materializzino dal basso all'alto, come si sono realizzate nei paesi anglosassoni e in Francia, da noi purtroppo sono ancora tutte da venire.
Però insomma è a quello che bisogna tendere.
Oggi le condizioni del paese sono talmente mal messe che tutto sommato credo ci sia interesse ad augurarsi che Renzi rimanga in sella per fare queste benedette riforme assolutamente necessarie per modernizzarci e per cogliere le opportunità di una ripresa economica, che forse non è azzardato intravvedere dietro l'angolo.
A Renzi però manca quell'anima, quell'ispirazione ideale del cattolicesimo democratico e sociale che si è sentita nettamente presente nel bagaglio politico di Sergio Mattarella.
Il suo pur sobrio discorso di insediamento non lasciava dubbi sulla sua identità politica.
Non basta governare, non basta quella stabilità a tutti i costi che ha ricercato caparbiamente Napoltano, sbagliando di grosso.
Quello che serve è governare sapendo bene dove si vuole andare.
Avendo chiaro in testa quali interessi e di quali ceti sociali favorire e quali non favorire, perchè già benedetti dalla sorte.
In altre parole dicono i sociologi e possono domostrarlo, esiste oggi in Italia una percentuale di ceti garantiti (lavoratori occupati privati e pubblici, professionisti ecc.) , e una percentuale quasi uguale  di non garantiti (disoccupati, giovani ,precari, donne che non lavorano).
I primi sono difesi e rappresentati da partiti e sindacati, i secondi che sono una  maggioranza silenziosa, se si mette dentro anche la massa dei ceti medi impoveriti, non sono rappresentati, non sono difesi e sono incapaci di riconoscersi, di aggregarsi e di farsi valere politicamente.
Abbiamo oggi un Papa che istintivamente guarda con grande simpatia a questa gente, ma il papa ha un altro ruolo, anche se è bene che il suo appoggio morale ci sia e sia chiaro.
Oggi c'è anche un Presidente della Repubblica che ha una storia politica che lo spinge a vedere e dare priorità agli interessi della maggioranza silenziosa, sopra citata.
Il presidente del consiglio è un giovane brillante e determinato che a quel che si vede è abile a prendere a conservare ed a rafforzare il potere, ma per andare dove?
Questo è il grande deficirt di Renzi, sembra che non lo sappia nemmeno lui dove vuole andare perchè non ha mai espresso una strategia politica precisa.
Ciò non toglie che potrebbe maturare o che possa trovare compagni di strada che lo inducano a muoversi con maggiore visione e chiarezza.
L'alleanza con Berlusconi è di natura tattica, non strategica, ha tempi ben delimitati che si annullerebbero alle prime elezioni, a maggior ragione se anticipate.
Poi Renzi dovrà trovarsi altri alleati, possibilmente più consoni con la storia del suo partito.
C'è il serbatoio purtroppo inutilizzato e divenuto quasi irrilevante dei 5Stelle che è il movimento politico che più di qualsiasi altro prende i voti di quella che abbiamo definito sopra la maggioranza silenziosa.
Dovrà pure maturare qualcosa anche da quella parte.
Mica possono continuare con gli show inconcludenti e ripetitivi di Grillo o le scempiaggini degli scontrini eccetera.

Staremo a vedere, sperando che il buon senso prevalga.