venerdì 30 agosto 2013

Ultimo capolavoro di insipienza del PD : decretare la finta abolizione dell’imu




Hanno regalato a Berlusconi lo slogan per la prossima campagna elettorale e si sono accollati tutto il peso dell’esborso corrispondente dell’Imu, che i contribuenti pagheranno  con la nuova denominazione di Service Tax, ad elezioni avvenute.
Quando gli elettori avranno già ringraziato Berlusconi per il regalino, molto temporaneo, giusto il tempo di prendere qualche milione di voti di gente disinformata, ma che andrà a votare magari anche con entusiasmo.
Naturalmente nessuno si prende la briga di ricordare agli italiani che la promessa berlusconiana fatta alle scorse elezioni non è stata affatto mantenuta, perché era stata pubblicizzata con l’assegno per la restituzione di quanto pagato nel 2012, mandato in fax simile a casa della gente come efficacissima forma di propaganda elettorale.
Finito il racconto delle favole della politica, la realtà vera è ben altra :
- la Cassa integrazione Speciale (quella che si applica a coloro che erano già in cassa integrazione ordinaria, ma che hanno già trascorso il periodo previsto, senza poter ritornare  al lavoro) rimasta  senza copertura;
- da 4 a 6 milioni di senza lavoro e quindi senza né stipendio, né reddito, che significa un paese che non cresce e che si impoverisce progressivamente;
- 6 milioni di proprietari di case “a disposizione” (seconde case) che pagheranno di più;
- l’aumento dell’Iva ,che diverrà inevitabile, perché la sua abolizione è manco a dirlo, senza copertura.
E questi sarebbero i grandi risultati per i quali, secondo gli strateghi quirinalizi e i politici delle così dette grandi intese, sarebbe stato e sarebbe indispensabile sostenere questo ectoplasma che è il  governo Letta- Berlusconi.
Questa sarebbe la ricompensa offerta agli italiani per avere realizzato la così detta “pacificazione” nazionale, per altro prossima a saltare in qualsiasi momento a capriccio del pregiudicato leader maximo.
E con gli strateghi sopra citati, praticamente tutti , letteralmente tutti, gli editorialisti della grande stampa, a dimostrazione di quanto sia tenue e solo formale la libertà di stampa, se tutti suonano la stessa campana.
Naturalmente accompagnati dalle truppe dei TG televisivi, ormai ridotti a mezz’ora di più o meno scoperta propaganda berlusconiana.
Ma oggi chi parla più del conflitto di interessi e della necessità di togliere almeno due reti a Berlusconi per ricreare un minimo di equilibrio e un’opinione pubblica nel paese ?
E il giovane salvatore della patria in riscaldamento a bordo campo del PD, Matteo Renzi, che oggi ne dice una e domani sostiene il contrario, a dimostrazione della chiarezza delle sue idee e della sua articolata strategia, che fa?
Non ha ancora deciso.
E il PD, che fa? Fa la festa a Genova!
Si muove sempre regolarmente col piede sbagliato e al momento sbagliato.
Cosa c’è da festeggiare?
Ma forse c’è una unica notizia buona, forse il pio ciellino Mauro, ministro della difesa, dopo avere doverosamente ascoltato papa Francesco, non ci manderà in guerra in Siria.
Però aspettiamo che arrivi la telefonata di Obama a Letta e soprattutto al Quirinale, alla quale risponderanno di sicuro con piglio da statisti con un netto nì.
Piccolo segno di modernità del nostro paese, per ragioni diverse e contorte, ma almeno tutti e due i Presidenti Letta e Napolitano, parlano un inglese di buon livello, a differenza di quasi tutti i loro predecessori, Monti  Prodi e Ciampi esclusi.
Bastasse l’inglese….
E l’unica novità della politica italiana, Grillo  che fa?
Invita i senatori del 5 Stelle, che osano proporre line politiche diverse dalla sua  ad andarsene al più presto.
Pazzesco!
D’accordo, l’Italia non è l’Inghilterra, era già un paese di gracile democrazia quando è nato come stato unitario, poi si è subito vent’anni di arretramento col fascismo ed ora è ricascato in vent’anni di regime personale berlusconiano, formalmente democratico, sostanzialmente involutivo.
Ma se non si riesce a capire che democrazia significa prima di tutto avere partiti che sistematicamente uando  è quando elegge i suoiq
eleggono i loro dirigenti locali e nazionali ,votando su liste contrapposte e cioè scegliendo fra almeno due linee politiche, sostenute dai relativi rappresentanti, riconosciuti con pari dignità, saremo sempre con un piede dentro e uno fuori dalla democrazia , dall’Europa, dalla modernità e dal progresso.
Lo ripeterò fino alla noia, la democrazia non è andare a votare ogni tanti anni, questo  non basta, cioè non è nemmeno il minimo sufficiente e può addirittura non significare nulla in paesi nei quali si mandano a votare milioni di analfabeti.
Da noi il PDL non ha fatto congressi per anni e anni e non ha comunque mai avuto liste contrapposte a Berlusconi.
Pannella, Di Pietro quando c’era, Grillo sono stati fondatori di partiti personali.
A suo tempo il PCI aveva conservato per decenni il dogma del centralismo democratico, cioè di fatto non tollerava che venissero allo scoperto linee politiche in contrasto con quella giudicata ortodossa.
Così la democrazia non funziona, non può funzionare e  milioni di persone in Italia si sono abituate a tollerare formazioni politiche distorte e non democratiche nella sostanza, prendendole come buone e assolutamente normali.
Questo danno di fondo lo stiamo pagando anche oggi prendendo  per buoni politici che dovrebbero invece essere messi nelle condizioni di andare a lavorare per la prima volta nella loro vita.


mercoledì 28 agosto 2013

E’ difficile da credere, ma avranno ancora una volta la faccia tosta di salvare Berlusconi



La dirigenza del PD è andata avanti per mesi dopo le elezioni nel caos più completo , dando a vedere di non avere alcuna linea politica.
Poi, probabilmente a seguito  della rivolta della base e dei quadri delle province , Epifani aveva dato l’impressione di poter esprimere una linea condivisa, senza essere contraddetto : il Pd non salverà Berlusconi.
Ma è durata lo spazio di un mattino.
E infatti il 27 scorso c’è stata l’esternazione di Violante a favore dell’ennesimo salvataggio, servendosi dell’espediente del ricorso alla Consulta sulla legge Severino (la così detta legge anticorruzione, che lo staff di duecento avvocatoni del Berlusca non era riuscito a capire che si sarebbe applicata anche contro il loro munifico cliente).
A ulteriore sostegno è arrivata in quasi contemporanea l’esternazione di un sempre più irriconoscibile Monti, divenuto improvvisamente a favore della grazia.
Si tratta di espedienti giuridici assolutamente senza fondamento giuridico, ma ai politici  poco importa, se non il fatto che sulle sedie che contano rimangano gli stessi titolari.
Monti con l’ingresso in politica ha autodistrutto la sua reputazione, ma Violante non è uno qualunque, è invece un autorevole esponente della  nomenclatura storica del PCI, non è uno che esterna l’idea brillante che gli è venuta nel corso di una profonda meditazione.
E questo è il guaio, perché significa che chi ha dettato la linea non è il povero Epifani, ma il solito baffetto D’Alema, il vero capo occulto della congrega.
Questi d’abitudine una ne dice e una ne disdice senza arrossirne minimamente.
Richiama un altro.
E infatti D’Alema è da sempre  il più autorevole supporter di Berlusconi, uno tiene su l’altro.
E quindi prepariamoci spiritualmente ad assistere alla solita porcata : i giudici sotto accusa e i ladri al potere.
E’ chiaro che dietro a queste esternazioni non c’è nessun disegno politico, degno di questo nome.
Non continuino a insultare le nostre intelligenze invocando lo spread, l’esigenza della pacificazione nazionale e simili idiozie, invocate assolutamente a sproposito.
In un paese civile chi è condannato in via definitiva va in galera e basta, diversamente salta il patto sociale e nessuno è più garantito da nessuna regola.
Non è politica questa, ma la continuazione della solita debordante corruzione italica, che mette prima di tutto il vantaggio pigro e conformista di continuare nella divisione delle spoglie.
La gente si chiede, ma possibile che nessuno sia capace di opporsi? Eppure ci sono nella politica che conta anche persone che godevano della stima e della fiducia della gente.
A questo punto  a pensar male non si fa peccato : probabilmente non ne escono perché non possono uscirne per la semplice ragione che si sono resi ricattabili, forse senza nemmeno renderse conto del tutto.
Ma la legge è implacabile : basta sedersi alla mangiatoia anche una sola volta e ci si gioca la propria libertà  e indipendenza e poi non si può più uscirne.
Peggio che nella mafia.


mercoledì 21 agosto 2013

E’ con Paolo VI che la chiesa probabilmente ha perso l’ultimo autobus. Papa bifronte : prima accorto attuatore dei decreti conciliari, poi stroncatore di ogni innovazione



Paolo VI da un punto di vista umano ha sempre conquistato il mio interesse, più di qualsiasi altro papa recente perché bastava sentirlo parlare per capire i tratti fondanti della sua personalità, che trovavo interessanti.
Era prima di tutto un intellettuale, che come ogni intellettuale spende più tempo degli altri per cercare di esprimersi con le parole più adatte a rappresentare il proprio pensiero complesso.
Paolo VI  tutte le volte che doveva parlare lottava in modo vistoso con sé stesso per cercare di esprimere il suo pensiero nel modi più modo completo e articolato possibile.
E’ antipatico dirlo, ma raramente la gente ama gli intellettuali, più facilmente li detesta, come a scuola si detestano i secchioni o i primi della classe.
A Paolo VI è toccata la stessa sorte, resa ancora più crudele dal fatto di avere condotto il pontificato in modo incoerente : prima sposando decisamente  una linea e poi, negli ultimi anni, sposando, con ancora maggiore determinazione, la linea completamente opposta.
Ma gli toccò in più anche la mala sorte di avere come successore un uomo che aveva la stoffa dell’attore consumato e che di questa abilità ne usato e abusato, come papa Wojtyla.
Il primo, tutto testa , studio, ricerca e mille scrupoli, il secondo tutto teatro e deciso come un panzer a conquistare il so posto nella storia.
Voleva essere ricordato come colui che aveva dato il colpo di grazia a un comunismo, di per sé già moribondo,  usando tutti i mezzi possibili, più materiali che spirituali e infatti prima di tutto mandando  a Walesa e compagni in lotta valigiate di denaro, raccolto spesso in modo diciamo irrituale.
Paolo VI aveva un carattere timido e schivo e una salute malferma fin da ragazzo cose che non hanno certo favorito le sue capacità di comunicazione, che anzi sono sempre state il suo punto debole.
Era uomo di caratura intellettuale superiore a quella di qualsiasi altro papa recente, e infatti amava intrattenersi privatamente con intellettuali di livello.
Basti pensare alla sua amicizia coltivata e ricambiata per decenni con due dei filosofi di ispirazione cattolica più significativi del novecento come Jaques Maritain e  Jean Guitton.
Nessuno come lui si è spinto tanto avanti nel formulare la dottrina sociale cattolica cercando la massima aderenza possibile allo spirito evangelico e quindi privilegiando la scelta a favore dei poveri, dei diritti umani e sostenendo le organizzazioni internazionali.
La radicalità delle sue scelte nel campo della dottrina sociale si poterono misurare quando il suo secondo successore, terzo contando il povero papa Luciani, cioè papa Ratzinger ha firmato la sua enciclica sociale (caritas in veritate) , materia, che evidentemente non faceva parte dei suoi personali interessi intellettuali, come sin può giudicare dal fatto che risultò assemblata  malamente , palesando la redazione fatta da troppe mani diverse.
Benedetto XVI ha cercato di mitigare la sostanza di quanto aveva scritto Paolo VI (scelta privilegiata a favore dei poveri, solidarismo ecc.),  mettendoci insieme anche i punti di riferimento di CL (sussidiarietà esasperata in senso anti- pubblico in economia, il nuovo concetto riassumibile in : “ essere ricchi è bello e soprattutto non è peccato”, liberismo economico) che contrastano in modo vistoso con il magistero sociale di Paolo VI, e quindi ne è venuto fuori un confuso aborto.
Di Paolo VI in questo blog si era già parlato il 12-2-13; 3-9-12; 3-6-12; 25-1-11, mettendo in evidenza elementi diversi.
Ora che una recente trasmissione televisiva lo ha rievocato, definendolo  “il papa dimenticato”, mi sono trovato a chiedermi se i decenni di Woityla e di Ratzinger non siano stati efficaci, non tanto a rivitalizzare al chiesa, che sta oggi molto peggio di come Woitila l’aveva trovata,  ma al contrario a fare dimenticare del tutto non solo Paolo VI, ma anche e soprattutto quello che è stato più importante nei suoi tempi e cioè la vivacità, il fermento e la partecipazione, la vitalità, che avevano accompagnato il Concilio Vaticano II.
In poche parole, in quei tempi, si aveva la sensazione che improvvisamente tutto potesse cambiare nella chiesa e che anzi tutto stesse cambiando, con una svolta epocale.
Rivedendo i filmati dell’epoca,, mi sono sorpreso anche da un punto di vista personale, nel constatare amaramente, che quest’opera di pluridecennale contrasto ed oblio delle idee del Concilio aveva funzionato anche su di me ,pure avendo io personalmente, ma in compagnia di numerosi amici, vissuto e seguito col massimo interesse e partecipazione le vicende di quel concilio.
Per fare qualche esempio:
Chi si ricorda più oggi di Dom Franzoni, l’allora celeberrimo abate di San Paolo, fuori le mura.
Chi si ricorda più di Don Mazzi, quello dell’Isolotto di Firenze, non il suo omonimo di oggi.
Chi si ricorda più della “chiesa del dissenso” o delle “comunità di base”, che nascevano allora, numerose come realtà autogestite.
E della “teologia della liberazione” in America Latina con Gustavo Gutierrez, Leonardo Boff, Helder Camara, Ernesto Cardenal, che in poche parole affermava che la chiesa diventa credibile solo se privilegia la sua azione nel sociale e nel trasformare la società secondo i principi di giustizia del vangelo.
Chi si ricorda più delle vicende del prete guerrigliero colombiano Camillo Torres.
O in Italia della comunità di Nomadelfia di Don Zeno Saltini.
E del fenomeno dei “preti operai”,in Francia e in Italia, che metteva in discussione alla radice la concezione del prete come “impiegato” della chiesa istituzione e poneva quindi il problema di trovargli tutt’un altro ruolo, ritenendo che nel ruolo tradizionale, il prete fosse diventato inutile.
Don Lorenzo Milani a Barbiana nel Mugello, che sconvolse il perbenismo moderato borghese con le sue idee su una scuola che doveva finirla di privilegiare gli alunni provenienti dalle famiglie benestanti  e già scolarizzate, e che in più pose anche in modo radicale il problema della guerra giusta e il conseguente dovere per un cattolico coerente col messaggio evangelico, di invocare l’obiezione di coscienza, (che allora non era riconosciuta affatto),  piuttosto che addestrarsi all’uso delle armi, col servizio militare.
Padre David Maria Turoldo, poeta e uomo di grandissima apertura umana con idee anche lui radicali sulla chiesa e sull’assetto sociale.
Padre Ernesto Balducci, che nella Firenze di La Pira perseverò per decenni a difendere le sue idee sulla possibilità di una chiesa di tutt’altro stampo, rispetto all’esistente.
I Cardinali  Leo Joseph Suenens,  Lienard,  Danneels, Koenig, tutti coraggiosi fautori al Concilio di un rinnovamento reale, soprattutto a livello di gestione collegiale della chiesa, ma non solo.
L’allora famosissimo “ catechismo olandese”, che metteva in discussione i dogmi  relativi al concetto di peccato,  redenzione, eucarestia, la verginità della Madonna, il ruolo della Chiesa e del Papa.
L’impronunciabile teologo belga fiammingo Edward_Schillebeeckx, allora sulla bocca di tutti, che osò teorizzare tra l’altro che l’eucaristia è solo una rievocazione e non la transustanziazione e cioè la trasformazione reale dell’ostia nel corpo di Cristo, poi indagato dal Sant’Uffizio per le sue idee che mettevano in discussione la versione tradizionale del dogma della resurrezione.
I grandi teologi del Concilio, soprattutto i francesi  Yves Congar, Jean Danielou ecc.che misero le basi teoriche per una nuova concezione della chiesa nella quale contassero molto di più i laici e per una  gestione collegiale a tutti i livelli, nonché a favore dell’accettazione di forme di pluralismo teologico, che consentisse il convivere di più formulazioni.
Le visioni cosmologiche di Teillard de Chardin, che per vie tutte sue, riproponeva molte delle idee di Giordano Bruno.
Intellettuali cattolici come il compianto Mario Gozzini o Raniero La Valle, oggi vegliardo ed ancora attivo, ma da anni vittima dell’ostracismo della stampa che conta, per essere stato cattolico- comunista.
La rivista Concilum, curata dai teologi progressisti Chenu, Congar, Rahner e Küng,  alla quale si preoccuparono di fare subito  il controcanto alcuni  teologi tradizionalisti  : von Balthasar , de Lubac Ratzinger e poi anche Scola, facendo uscire la concorrente rivista teologica Communio.
Da quei tempi e da  quelle temperie culturali sono passati quasi cinquant’anni, un periodo enorme, data la velocità alla quale va il mondo di oggi.
Tendo quindi sempre di più a pensare, che quello che era da fare, andava fatto allora, perché oggi è troppo tardi.
Oggi dopo cinquant’ anni persi, le indagini sociologiche ci dicono che la chiesa ha perso irrimediabilmente delle generazioni.
Andare a fare la narrazione dei miti della tradizione cristiana ai giovani d’oggi, significa trovare una reazione, radicalmente diversa rispetto a quella, che era abituale sperimentare cinquant’anni fa.
Perché oggi, dopo anni di globalizzazione è ovvio che i giovani conoscono molto più di ieri  i miti degli islamici o degli orientali,  perché questi, che cinquant’anni fa facevano parte di cose talmente lontane da essere percepite come favole più che realtà, oggi  sono le fedi reali dei nostri vicini di casa o dei nostri compagni di lavoro.
Questo significa che oggi viene spontaneo comparare i miti cristiani con le narrazioni relative ai miti orientali o a quelli delle altre religioni  e  metterli sullo stesso piano.
Per i più giovani è esperienza comune rilevare che vengano ritenuti tutti quanti di scarso interesse per il mondo di oggi.
Se poi parlassimo ai giovani del patrimonio dogmatico della tradizione cattolica, fondato sull’autorità della , della rivelazione (cioè sui miti dei quali si diceva sopra) eccetera nell’interpretazione unica della gerarchia cattolica, l’interesse si farebbe ancora più basso.
Che dire poi se cercassimo di sostenere l’argomento sulla presunta autorità morale della chiesa, in tempi nei quali è afflitta da dilagante pederastia, carrierismo, corruzione , amore del danaro e dei privilegi.
Non ingannano più nessuno, come  segnali di una ripresa della fede nei giovani gli “happening” trionfalistici tipo giornate mondiali della gioventù, congressi eucaristici, congressi mariani ecc., che sono manifestazioni esteriori, occasioni di viaggio e di incontro, che  tutt’al più i giovani possono  mettere al livello dei concerti dei grandi della musica giovanile,dove si ritrova lo stesso pubblico strabocchevole, e la stessa ricerca di una breve esaltazione sentimentale  e poi tutto finito.
Anzi, a vantaggio dei concertoni rock  sta il fatto che i giovani che ci vanno devono fare in più il sacrificio di pagare oltre alle spese di viaggio, anche una cifra consistente per assistervi, manifestando così, maggiore convinzione.
Cinquant’anni persi, temo che abbiano fatto perdere alla chiesa l’ultimo treno per evitare di diventare del tutto irrilevante, come già è capitato   nel nord ed Est Europa, ad eccezione ovviamente della Polonia, che ha una storia particolare e dove comunque è difficile distinguere fra fede ultra tradizionalista e nazionalismo acceso.
Povero Paolo VI , dovrà portarsi sulle spalle il peso enorme di questa sconfitta epocale, che è anche in buona parte colpa sua.
A tanti anni dalla sua scomparsa, risulta tuttora incomprensibile il suo repentino volta faccia, da attuatore convinto del Concilio ad arcigno affossatore delle iniziative più innovative.
Il punto più basso del suo pontificato, è inutile ripeterlo, è stato toccato con l’estremamente improvvida enciclica “ humanae vitae” sull’etica sessuale e sul matrimonio.
Ricordo la reazione sorprendente e quasi isterica , che allora constatai anche da parte di dirigenti femminili delle organizzazioni cattoliche, che  sinceramente lo accusavano di avere perso la ragione, quando è stata divulgata quell’enciclica, perché il contrasto fra il prima e il dopo è stato troppo clamoroso.
Ma sopratutto perché nessuno si aspettava, che il papa che aveva promesso collegialità e pluralismo, avrebbe proprio lui disatteso il parere della maggioranza dei fedeli, degli esperti e pare persino di gran parte della curia, invocando il più anacronistico dei dogmi, quello che per tradizione affida il potere assoluto al papa.
Chi prima lo aveva amato è stato costretto quasi a odiarlo, per avere tradito le enormi aspettative che c’erano in gioco.
La responsabilità, purtroppo per lui, è storicamente sua, anche se nel caso specifico dell’Humanae vitae, ,basta andare a leggersi il volume dell’allora Cardinale Woityla intitolato “responsabilità e amore”,  tradotto con molto ritardo anche in italiano, per capire chi era stato il cattivo maestro  dietro a quell’enciclica, se non addirittura l’estensore materiale.
E si sapeva che Woityla andava spesso in Vaticano a quell’epoca  a trovare Paolo VI, come ci andava anche un certo Don Giussani, che, si dice, ebbe una parte di primo piano nel riuscire a convincere quel vecchio papa malfermo e confuso dei presunti scenari apocalittici, che avrebbe provocato quello che il suo ultra tradizionalismo, riteneva  fosse l’anarchia nella chiesa e non un’epocale apertura a un pluralismo che non c’era mai stato prima.
Era quello che mancava alla chiesa per crescere e rinnovarsi, aprirsi alla discussione con punti di vista diversi , per trovare nuove formulazioni più credibili e meno assurde di quelle che sostiene la dogmatica tradizionale.
Sarebbe facile e forse giusto, valutando il contributo dato da Paolo VI negli anni precedenti , al rinnovamento della chiesa,  attribuire a quei cattivi maestri la responsabilità del disastro, che ne è seguito, ma a che giova, oramai la frittata è fatta.
Come detto e ripetuto in questo blog il brillante risultato dei cinquant’anni persi, dei quali stiamo parlando, è che nella diocesi più grande del mondo e particolarmente nella metropoli di Milano il gregge osservante si è ridotto al lumicino e si conta come il  5% della popolazione.
Questo disastro numericamente verificabile, nasconde  una singolare contraddizione che va pure messa in evidenza, perché è estremamente significativa.
Di quel 5% una parte molto, ma molto più ridotta è quella coperta dal movimento -setta di Comunione e Liberazione, che quindi numericamente è quasi irrilevante, ma che però si ritrova a gestire un potere immenso nelle istituzioni, sorprendentemente e non ostante l’ondata di scandali, che ha contraddistinto gli ultimi anni della gestione Formigoni della Regione Lombardia, il ciellino più noto a tutto il grande pubblico.
Come è possibile che una forza delle dimensioni numeriche esigue e paragonabile a quella della pattuglia, determinata, ma con i risultati tipici di un esercito di Brancaleone, che è costituita dai radicali di Pannella, conti in modo così sproporzionato?
Perché CL è riuscita a ricoprirsi della conchiglia della fede, strumentalizzandola, ma  incassando tutti i benefici annessi e connessi, con la benedizione di una gerarchia della chiesa istituzionale, che si è vista  talmente a mal partito,  da ritenere di dover accettare la loro autonoma e ingombrante presenza.
Ed anzi a benedire quel movimento- setta,  bravissimo a fare gli affari suoi, ma furbescamente anche capace più degli altri di fare un gran lavoro di relazioni pubbliche, a seguito del quale, pare che esistano solamente loro in campo cattolico, e in alcune realtà, disgraziatamente la cosa risulta essere  vera.
Comunione e Liberazione non è ovviamente la causa di tutti i mali.
Ma CL è l’icona di come finisce una chiesa quando la gerarchia la dirige a mettere come priorità la mera gestione del potere, per la ricerca dei connessi privilegi materiali.
Non è un caso che la chiesa rappresentata da CL sia ora vista come la rappresentazione vivente delle contraddizioni del moderatismo di quella borghesia italica, tutt’altro che brillante, che ha aderito in massa al berlusconismo.
Liberali e liberisti, però solo a parole, perché in realtà tutto il business di CL è basato sulla politica di disseccare il terreno del pubblico soprattutto nel campo dei servizi, per fare passare quelle attività alle sue cooperative , con una interpretazione del principio di sussidiarietà che ne snatura il significato, come è delineato dalla dottrina sociale.
Il ruolo del pubblico nella dottrina sociale e soprattutto per merito di Paolo VI è molto chiaro ed è considerato essenziale e non comprimibile nei settori socialmente ed eticamente più sensibili.
Si era scritto in proposito nel blog del 25-1-11 :
“E’ vero che la dottrina sociale elenca il principio di sussidiarietà come cosa propria, ma questo principio è molto generico e può essere declinato in tanti modi.
Cl non solo lo ha declinato in modo molto estensivo ma si è dotata anche delle strutture per metterlo in atto.
E’ chiaro che se passiamo dalla teoria alla pratica e andiamo a vedere la galassia delle cooperative aderenti alla Compagnia delle Opere, alle quali per esempio gli ospedali pubblici hanno fatto come si dice oggi “outsourcing”, esternalizzando tutta la logistica e i servizi, avremmo più che qualche interrogativo da porci sulla opportunità, che siano proprio i cattolici ad ispirare le forme di lavoro più precarie, che esistono nella realtà attuale, ma questo è un altro discorso”
L’interpretazione del principio di sussidiarietà in modo affaristico- liberista, cioè non è lo stesso elencato nella dottrina sociale della chiesa.
Una chiesa istituzione che svia così clamorosamente dal messaggio evangelico, come è stata tutta quella  post e anti-conciliare come si è detto, ha incassato dallo stato soldi e privilegi ,nell’ultimo ventennio , come contropartita dell’appoggio al berlusconismo,  ma accelerato il processo della sua emarginazione dalla società nel senso che la sua credibilità è finita in picchiata.
Ci sono degli appositi indicatori sociologici che sono quelli relativi alla misurazione del grado di fiducia nella chiesa che da cifre bulgare da 90/80% ai tempi del Concilio, è ormai discesa stabilmente sotto la soglia critica del 50%.
Di fronte a una crisi epocale cosa si potrebbe fare.
A mio parere le vie sono due.
O si vanno a rivedere per applicarle oggi  a favore del pluralismo ideologico , che circolavano ai tempi del concilio e si accetta l’idea di una chiesa plurale e aperta alla sperimentazione del nuovo.
Ma figuriamoci se oggi la chiesa istituzionale è disposta a vedere sorgere comunità di base, sperimentazioni liturgiche, contestazione dei dogmi eccetera, eccetera.
O gli oscurati, ma non pochi progressisti si fanno coraggio e fanno un passo oltre per superare anche il loro personale attaccamento sentimentale ad una chiesa istituzione, che non trova riscontri logico- razionali.
E si incamminano non contro, ma oltre e fuori dalle strutture esistenti, disconoscendo quindi sia l’autorità dei vescovi che quella del papa.
E’ chiedere troppo? Forse sì, ma c’è il tempo per rinviare scelte radicali?


venerdì 16 agosto 2013

In Italia e nel mondo ci sono tanti tipi di milionari. Se ne esaminiamo qualcuno, ci accorgiamo che gli Italiani infatuandosi di Berlusconi hanno fatto veramente una scelta al ribasso.




Ho visto giorni fa una trasmissione intitolata :”secret millionaire”, che parlava di un riccone americano ex immobiliarista di successo, che arrivato all’età della pensione con i figli già sistemati e dopo vere perso la moglie, viveva ovviamente, in una villa hollywoodiana di ordinanza sulla costa della California.
Uomo pensoso cerca di dare un senso alla sua vita che sia più alto rispetto a viaggi, party e partite  golf.
Abituato a intraprendere e a lottare tutti i giorni, non cerca modi di passare il tempo, ma di mettere a disposizione degli altri l’energia che ha accumulato negli anni precedenti.
Allora lascia nei cassetti e negli armadi gli abiti griffati, si veste da persona normale e comincia un suo viaggio missione nei quartieri più disastrati di Detroit, ex capitale industriale dell’automobile, come tutti sanno, oggi però sconvolta dalla crisi economica e con interi quartieri deserti e quindi incontrollabili, molti cittadini nella miseria economica e umana, molta mala vita.
Dopo avere girovagato per farsi un’idea individua in un quartiere una piccola organizzazione di volontariato, che lavora con lo stile degli “alcoolisti anonimi”, cioè non provvedendo solo aiuto materiale ove necessario, ma soprattutto parlando sistematicamente a piccoli gruppi, dove ognuno mette a disposizione la propria storia perché sia di aiuto anche agli altri e dove si cercano delle strategie per sopravvivere e possibilmente per venire fuori dalle situazioni più disastrate.
Partecipa a diverse riunioni di gruppo, ascolta molto ,condivide e cerca di dare una mano, cosa che prima di tutto consiste proprio nel venire a conoscenza e condividere umanamente i guai degli altri, che col solo condividere si sentono un po’ più leggeri.
Comincia quindi ad andare a casa di uno e dell’altro cercando di conoscere meglio alcune persone ed a queste cerca di aiutarle nell’immediato.
Fatta una conoscenza approfondita con quattro o cinque persone, messo a conoscenza dei loro molteplici guai e scoperto che si trattava di persone dotate di una notevole umanità e che solo la causalità ceca nelle vicende della vita, aveva colpito duramente, dopo un certo periodo si presenta per quello che è veramente : devi sapere che io ho lavorato duro, ma sono anche stato baciato dalla fortuna e sono diventato un milionario, ti ho conosciuto come una persona di grande spessore umano e quindi meritevole di un aiuto da parte di chi, come me è in grado di dartelo, eccoti quindi un piccolo assegno (di alcune decine di migliaia di dollari) per manifestarti la mia simpatia e aiutarti a venirne fuori.
Ecco, mi sono detto, c’è anche un altro modo di essere milionari.
Pochi giorni dopo casualmente tutti i mezzi di informazione parlano di Sergey Brin, cofondatore di Google, il motore di ricerca ormai diventato compagno di vita di chiunque metta le mani su un computer, cioè praticamente tutti noi.
L’uomo o meglio dato la sua età, il ragazzo, arrivato a sedere su un vistoso mucchietto di svariati miliardi di dollari (una ventina) decide che la quantità abnorme di denaro posseduta gli impone di restituirne una parte al resto dell’umanità, sotto forma di investimenti di interesse e ricadute sociali.
Investe quindi parecchio in studi sui minerali extraterrestri, possibili fonti di ricchezze impensate, ora che le risorse del pianeta si stanno riducendo e alcune si stanno prosciugando.
Investe parecchio in sistemi di guida automatizzata ( automobili che vanno senza guidatore) arrivando a risultati sorprendentemente positivi dopo avere condotto test di centinaia di migliaia di kilometri su prototipi fino a ipotizzare il possibile sbocco di veicoli utilizzabili da tutti per il 2017.
Acquista immobili in quantità industriale Los Alatos, in piena Silicon Valley  per affittarli a prezzi molto al di sotto dei prezzi di mercato a chi non può permettersi di pagare di più.
Finanzia infine il progetto, venuto agli onori della cronaca in questi giorni con il primo hamburger confezionato con carne clonata, cioè prodotta da colture di laboratorio.
Progetto di enorme portata etica e ambientalista, perché oltre a rendere non più necessaria l’uccisione di animali, supererebbe la necessità di allevarli consumando quantità folli di acqua, bene sempre più scarso e stopperebbe la emissione molto elevata dei biogas prodotti dagli animali medesimi.
Quando nella nostra società appiattita sul consumismo che produce come icona di sé stesso un numero sempre più elevato di obesi, tutta tesa a valutare come positivo e da seguire, ciò che appare e non ciò che è, con la conseguenza di esibire la propria volgarità al potere,  si sente parlare di cosa sanno fare questo tipo di milionari, capaci di pensare agli altri, alla scienza ed al bello, sembra di intravedere la possibilità di un nuovo rinascimento.
Nel post del 19 maggio 2011 si era trattato lo stesso argomento citando i maxy investimenti in opere sociali da parte del notissimo milionario Bill Gates (il più ricco del mondo in classifica da più tempo), con scopo tra l’altro di convincere gli africani che col l’ aiuto della sua Ong. è possibile sconfiggere la piaga della malaria.
Il magnate americano David W. Packard ha provveduto al restauro di Ercolano a sue spese.
L’italiano Diego Della Valle si è accollato le spese per realizzare un progetto di restauro del Colosseo.
Warren Buffett, il più famoso gestore di fondi del mondo, con il sopra citato, Bill Gates ha addirittura fondato un sodalizio il “The Giving Pledge” (dare l’impegno) per riunire  81 miliardari del mondo, al momento della fondazione, a impegnarsi pubblicamente per dare almeno la metà del loro patrimonio accumulato, per  la realizzazione di progetti filantropici.
Al mese scorso il numero degli aderenti è salito a 113, che hanno sottoscritto l’impegno, con in gioco cifre enormi.
L’elenco dei filantropi è molto lungo.
C’è gente che il loro lavoro o semplicemente la fortuna ha dotato di un mucchio di soldi e che sostanzialmente si sentono a disagio nei confronti di tutti gli altri e che quindi si impegnano in una gamma di donazioni che va dalle opere di carità tradizionali al finanziamento di progetti scientifici, alla difesa dell’ambiente, al sostegno di progetti di arte o di cultura.
Amici italiani, infatuati di Silvio Berlusconi, pensateci su, fatevi un esame di coscienza, si può anche scegliere di meglio.



mercoledì 7 agosto 2013

Duce!duce! gridava il popolo berlusconiano, sotto palazzo Grazioli, domenica scorsa,ma per chi non vuole sentire non hanno detto niente



Peccato che i berluscones siano prevalentemente nella fascia di età del loro capo, peccato perché  le statistiche dicono ,che in quella fascia l’uso delle moderne tecnologie è minima.
Se le usassero  avrebbero difficoltà a  bersi la inverosimile propaganda ,dopo la condanna definitiva del loro capo, che esce dalla loro parte politica, perché con un Pc e un collegamento internet  ci si schiariscono le idee  in tre secondi.
Cominciamo allora con il link  (http://tv.ilfattoquotidiano.it/2013/08/05/berlusconi-fan-duce-duce-e-al-fatto-gomez-e-travaglio-mondezza-mangio-cuore/241646/dove si può tranquillamente vedere il filmato che riprende il  comizio del gran capo, sotto casa sua  e la relativa manifestazione.
Le grida duce! Duce! e le braccia alzate nel saluto romano sono lì documentate dal video.
Seconda osservazione , una delle così dette amazoni, con incarico governativo, ha dichiarato che alla manifestazione “eravamo in 300.000”.
Ora dalla foto di Palazzo Grazioli in Via del Plebiscito 102, Roma, messa sotto al titolo, è assolutamente evidente, che gli organizzatori hanno scelto giustamente un posto simbolico per loro, ma abbastanza angusto da potere evitare figuracce, nel caso di scarsa partecipazione.
Con un po’ di soldi, che alla politica non mancano e una decina di pullman, qualche centinaio di persone, spesate per partecipare e girare per Roma, non è certo difficile trovarle anche in agosto.
Siamo abituati alle cifre assurde, sparate da partiti e sindacati,  dopo le loro manifestazioni, ma l’aritmetica e la geometria non sono opinioni politiche : basta determinare l’area dove si svolge una manifestazione in metro quadri e moltiplicare quel numero per 3, massimo 4, che è il numero di persone massimo che può contenere un metro quadro e il gioco è fatto. Semplicissimo.
Mille per quella superficie minuscola è già un bel numero.
Ristabilite proporzioni e un minimo  di razionalità,  la prima cosa che non riesco a non dire è che finalmente i fatti mi danno ragione, nel senso che da anni scrivo su questo blog (23-11-2008; 10-6-2010;21-11-2011;29-1-13; 16-5-2013; 26-6-2013) ,che il berlusconismo ormai sopravvive solo come rappresentanza del modo di pensare “para- fascista”, come quello che sostiene Marine Lepen in Francia.
Se siamo arrivati ai seguaci, che quando Berlusconi si affaccia alla finestra, lo accolgono come abbiamo detto, qualcosa di vero in senso fattuale e non di commento ideologico pare che ci sia veramente.
Ma ancora non si può dirlo, non sta bene.
A questo proposito è sintomatico l’articolo di fondo scritto oggi dal pur coraggioso direttore di Repubblica, che non esita per esempio a contraddire  il fondatore  azionista del suo giornale, Eugenio Scalfari, quando deborda nelle sue prediche a difesa di Napolitano e della stabilità del governo Letta.
Mauro analizza le argomentazioni sostenute da Berlusconi e seguaci, per chiedere di cassare di fatto le sentenze avverse invocando un salvacondotto giudiziario.
Giustamente mette in evidenza il fatto, che non  chiedono il salvacondotto giudiziario perché Berlusconi è un politico, (sarebbe insostenibile), ma perché Berlusconi sarebbe “diverso”, “speciale”, “insostituibile”, dotato di un carisma perenne.
E’ la invocata specificità –diversità che regge tutto.
Correttamente Mauro cita poi l’atteggiamento di D’Annunzio a Fiume o la teorizzazione di Carl Schmitt dello “stato d’eccezione” che invoca il leader rivoluzionario, che si pone in contrasto allo stato costituzionale stabilito perché ha la forza di costruirne un altro, modellato su un altro sistema di diritto.
Per intenderci, Schmitt è ora rivalutato per altre sue teorizzazioni, ma è stato pur sempre il presidente dei giuristi nazisti, rischiando per questo il processo di Norimberga.
Cioè Mauro sottolinea il fatto che i ragionamenti avanzati in questi giorni dai berluscones  hanno un loro significato, solo se si riferissero, non a un politico europeo contemporaneo, ma a un leader rivoluzionario, che si appresta appunto a demolire uno stato, per costruirne un altro di altro tipo.
Non ci sono ovviamente le proporzioni, perché una persona dotata di senno possa, immaginare Berlusconi in quella veste e quindi come qualificare gli atteggiamenti sopra descritti?
Mauro li definisce come segnali di assolutismo, autoritarismo, bonapartismo.
Ce n’è abbastanza, ma è veramente strano che ancora non si riesca a pronunciare la parolina : “fascismo” o almeno “para- fascismo”, come più correttamente si definisce l’ispirazione dei movimenti neo-fascisti, nell’Europa di oggi di tipo Lepenista.
Perché avere paura delle parole, un certo termine, quando un termine ci vuole, ci vuole.

sabato 3 agosto 2013

Il problema numero uno del berlusconismo è , ed è sempre stato, la democrazia



Sarò noioso ma mi sento obbligato ad esaltare per la terza volta la validità e l’utilità delle trasmissioni culturali di buon livello, come la grande storia di Mieli, su Rai 3.
Ieri sera l’argomento era Hitler.
La sua capacità di stregare e fanatizzare le donne e i ragazzi.
Presentare gli avvenimenti storici, ha senso non tanto per raccontare storie, quanto perché obbliga la gente mentre le vede, a riflettere, e inevitabilmente a trasporre quelle riflessioni sugli accadimenti di oggi.
Nella trasmissione di ieri sera, le riflessioni, che ha lanciato lo stesso curatore del programma alla fine, sono state di grande peso e riducibili alla domanda: perché è successo?
Perché un popolo colto, capace, eccetera eccetera, si è lasciato stregare dai messaggi elementari, semplificatori , arcaici e fideistici del grande imbonitore?
È arrivata anche la risposta: perché Hitler non aveva concorrenti, e se in una gara corre uno solo vince per forza, anzi stravince.
Se uno lancia uno slogan: “noi siamo la razza eletta” e non ci sono altri, con pari visibilità, che gli oppongano gli argomenti contrari, il gioco è fatto, perché così si esce dal circuito del confronto razionale, nel quale si cerca di far ragionare la gente, e si percorre invece la strada delle fedi religiose, nel quale il confronto razionale è precluso per definizione, ed è sostituito dalla fede, cioè dall’atto di volontà del “voler credere” in qualcosa di irrazionale, nel senso di non sostenuto da  prove logiche.
Ci si sottomette e basta.
Questo ragionamento, in termini politici, si traduce in democrazia e non- democrazia.
Parliamo allora di berlusconismo.
Nessuno può negare che sia  stato un partito personale e addirittura proprietario, nel senso che il leader,  oltre ad essere il capo, era ed è anche il proprietario, non solo del marchio della ditta, ma anche dei suoi mezzi di sostentamento.
Che questo sia un difetto di origine è abbastanza evidente.
La conseguenza immediata di questo dato di fatto è che il partito non ha mai avuto una normale democrazia interna, che vuol dire : elezione periodica delle cariche come forma, ma come sostanza vuole dire : presenza di una opposizione interna visibile e portatrice di idee e posizioni alternative a quelle del capo.
Qualcuno ha mai visto  nel partito di Berlusconi  personaggi ,che si organizzassero  apertamente, per mettersi in concorrenza col capo e per arrivare a sostituirlo tramite elezioni interne?
Perfino i fascisti del MSI eleggevano le cariche su liste contrapposte.
Mancano quindi le più elementari condizioni di democrazia , come ci richiamano le molto serie e tragiche considerazioni evocate all’inizio, quando ci si chiedeva come può essere che un paese evoluto si fanatizzi  dietro a un imbonitore, che gli impone la sua linea, senza possibilità di fare più alcuna discussione.
Percorrere la sua strada di leader, capo e padrone del suo partito, appena creato, non è stato poi difficile per Berlusconi.
Aveva i soldi da investirci (buono, anzi ottimo investimento, perché il ritorno per lui c’è stato ed è stato  gigantesco).
Aveva gli uomini da nominare.
Un esercito di miracolati in tutta Italia.
Erano poco più che dei Fantozzi, tanti signori nessuno, e sono diventati ministri e sottosegretari, presidenti, assessori, consiglieri, gestori di aziende di Stato o locali, oppure gestori di aziendine, che avevano per cliente la galassia Mediaset, tutti arrivati  per nomina ed investitura del capo, senza passare per la fatica delle procedure di elezione interna di partito.
Per quest’esercito di persone, il capo significava e significa tutto : auto blu, onori, soldi e camparci sopra alla grande.
Unico pegno da pagare: quando arriva la telefonata del capo, e questa arriva sempre, si scatta e si esegue, mettendo il cervello in stand-by, momentaneamente assente.
Per niente democratico tutto questo, ma ha funzionato e anche bene.
Ma questo è solo un aspetto.
Il partito del capo e padrone è diverso da tutti gli altri, non solo perché ha un campo e padrone, ma perché costui è contemporaneamente, anche il padrone di quasi tutte le reti televisive e le catene giornalistiche del paese.
Se lui dice: beeh , il sistema a reti quasi unificate amplifica e ripete nel tempo: beeh, fino a quando: beeh, non entra e viene memorizzato nel cervello degli italiani.
Tutto questo è l’essenza di una nonna democrazia.
E antipatico dirlo, ma i giornalisti e i programmi, che sono stati oppositori del berlusconismo, Travaglio, Santoro, Lerner, Gabanelli, Guzzanti,  Ezio Mauro  eccetera,  cioè meno del 10% del totale dei media, sono stati costretti per vent’anni a fare di fatto la parte delle foglie di fico a favore del  berlusconismo, perché la loro innegabile libertà di parola, dimostrava che c’era ancora una democrazia formale in Italia, anche se Berlusconi col 30 /35% dei consensi elettorali poteva parlare con il 90% dei mezzi di comunicazione.
Questa situazione è stata ed è uno stravolgimento intollerabile della democrazia, ma gli oppositori parlamentari del berlusconismo hanno tollerato e tollerano, accontentandosi di essere stati e di essere tuttora gentilmente invitati alla tavola dello stato, riccamente imbandita da Berlusconi.
Le cene di Arcore, erano manifestazioni folcloristiche della decadenza fisica, morale e forse anche patologica di un vecchio satiro, che non ha saputo invecchiare, ma i pranzi consociativi attorno alla tavola del capo con i “comunisti”, al posto degli ospiti di riguardo, questi pranzi alla tavola dello Stato sono state la depredazione sistematica ventennale di questo paese e questo dovrà essere tenuto ben presente per costruire il “dopo” del berlusconismo.
Terzo ed ultimo contributo del berlusconismo condotto per picconare la democrazia in Italia è stato l'attacco sistematico portato alla delegittimazione della magistratura.
Se ne era trattato di questo argomento abbastanza diffusamente nel post del 18 maggio 13 a quindi rimando il lettore a quello ( http://gmaldif-pantarei.blogspot.it/2013/05/berlusconi-non-accetta-di-essere-uguale.html).
Detto questo, veniamo al dunque: come ha fatto Berlusconi a stregare un paese sviluppato e mediamente colto, ottundendo la capacità di ragionamento razionale di molti, per spostare tutto sul sentimento, sui richiami del subconscio, manipolato dai mezzi di comunicazione del regime, per parlare regolarmente “alla pancia”, come si è detto e ridetto cento volte?
Depotenziando e anestetizzando la democrazia, che è rimasta solo come forma, ma sostanza perchè è stata castrata, non ha più niente di virile, non reagisce, non risponde.
Come ripristinarla?
Tanto per cominciare:
- legge elettorale che cassi il  porcellum,  fatto su misura per creare i nominati e non gli eletti;
- legge sul conflitto di interessi: chi fa politica non può possedere mezzi di informazione, perché diversamente gestirebbe un vantaggio inconcepibile sui competitori, e tanto meno può gestire servizi pubblici;
- abolizione di tutte le leggi “ad personam”, adottate da Berlusconi :  falso in bilancio, termini di prescrizione eccetera eccetera.
I 5 Stelle si sono detti disponibili, è un buon segno.


venerdì 2 agosto 2013

La misericordia di dio, se la riducono a buonismo sentimentale annullano la valenza di dissuasione del giudizio



Due esponenti di punta del cattolicesimo progressista hanno commentato su Repubblica le uscite di Papa Francesco nel suo viaggio in Brasile.
Ambedue pongono chiaramente grandissime speranze nelle intenzioni innovatrici di questo papa.
Il teologo Mancuso ha fatto il suo commento conservando la dovuta freddezza razionale.
Ha sostanzialmente detto : questo papa in materia di gay, di divorziati risposati e di ruolo della donna nella chiesa, nulla ha detto che non avrebbe potuto sottoscrivere anche il suo predecessore tradizionalista.
Diversamente dal suo predecessore, ha assunto una serie di atteggiamenti anticonformisti, che hanno il loro valore anche simbolico, trattandosi di un papa e a questi si guarda con grande speranza e aspettativa.
Con tutto questo però questo papa non ha ancora assunto atti di governo significativi, e sono quelli che lo qualificheranno.
Nel viaggio in Brasile però ha detto una frase che i suoi immediati predecessori non avrebbero detto proprio, quando ha pronunciato  quel :ma io chi sono per giudicare?
Ed è vero, si tratta di una frase significativa, che  potrebbe  far  pensare a un orientamento, che finalmente sposti l’asse della chiesa gerarchica dal principio di autorità a quello della considerazione per le persone concrete, all’attenzione evangelica per il fratello.
Giustamente però Mancuso aggiunge che fin quando questi principi non appariranno in atti di governo, le belle parole non potranno avere effetto.
Complessivamente quindi il commento di Mancuso mi sembra corretto, anche se non posso non rimproverargli di non avere sottolineato la mancanza di sensibilità verso il problema del sacerdozio femminile.
Mancuso cerca di minimizzare il problema ipotizzando, forse con realismo ,che potrebbe essere affrontato verosimilmente per gradi : prima l’apertura alle donne del diaconato, poi l’apertura alle donne delle alte gerarchie della curia, ove non è precluso l’accesso ai non presbiteri (in teoria addirittura il cardinalato).
A me, sinceramente, la non sensibilità del papa su questo tema appare uno scivolone disastroso come ho già commentato nel post precedente, dove facevo presente che è in corso nel mondo una autentica rivoluzione sulla promozione del ruolo della donna, che è destinata a sconvolgere gli attuali assetti sociali.
Ma veniamo al secondo commentatore, padre Enzo Bianchi, monaco che non è prete, colto cultore della letteratura patristica, ma non è teologo.
Nelle sue conferenze e nelle sue apparizioni televisive, padre Enzo incanta l’uditorio con la sua capacità di comunicare e di essere credibile.
Nel suo articolo su Repubblica di due giorni fa, ,però è evidente che la forte partecipazione sentimentale con la quale  segue questo papa gli ha giocato dei brutti scherzi e si è lasciato prendere la mano.
Lui stesso verso la fine si giustifica (excusatio non petita, che è sempre pericolosa e sintomo di disagio)  dicendo che quello che ha scritto non è buonismo.
Difficile negarlo invece.
Nell’incipit attribuisce ai rabbini, ma poi fa sua, la convinzione che dio, a differenza degli uomini, è capace non solo di perdonare i peccati, ma è anche capace di dimenticarli, come se non fossero mai stati commessi.
L’affermazione è apparentemente una grandiosa definizione della misericordia di dio.
Ma non è corretta né da un punto di vista teologico, né sul piano del puro e laico buon senso.
Il concetto di perdono divino e di relativa misericordia infatti non può essere declinato senza il dovuto riguardo al corrispettivo concetto di giustizia.
Da un punto di vista teologico le definizioni se pure analitiche e dettagliate come sempre, sono vaghe e contradditorie, come si era detto nel post dell’8 maggio scorso.
Una intera montagna dottrinaria è stata costruita su un unico passo scritturale, quello del vangelo di Giovanni al punto 20,23.
Inutile qui sottolineare che, come dettano le regole più elementari della esegesi biblica, il contenuto di un messaggio evangelico è tanto più sicuro quanto più è ripreso da altri evangelisti e da altri brani che ne con fermino il concetto e qui non siamo molto sul un terreno solido, ma non ostante questo ci si è costruita sopra tutta la montagna dottrinale del sacramento della penitenza e soprattutto dei poteri del clero, che sarebbero di diretta discendenza divina e in successione storica da quello conferito agli apostoli “ricevete lo Spirito Santo, a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete , resteranno non rimessi” .
Definire chiaramente il significato di rimettere non è semplicissimo e non aiuta nemmeno ripercorrere a ritroso le traduzioni, perché il termine latino  remittere, è  quasi letteralmente uguale  all’italiano e quello più antico greco “afiemi amartia” è molto vicino al latino remittere e comunque è corretto tradurlo come un perdonare i peccati.
Oltre a quel passo di Giovanni c'è solo il famosissimo passo di Matteo 16,19 con il "tu sei Pietro e su questa pietra......ti darò le chiavi...per legare....e sciogliere".
Seguito al 18,18 dall'estensione del medesimo potere agli apostoli "tutto ciò che avrete legato sulla terra...e tutto ciò che avrete sciolto..." e al 28,16 "andate...ammaestrate e ...battezzate...".
E' evidente che "legare e sciogliere" è ancora più generico del "rimettere" giovanneo, per a semplice ragione che non si aggiunge alcun complemento oggetto.
Quindi un insieme di riferimenti generici.
Ma anche se li prendessimo per buoni,  rimarrebbe comunque una difficoltà di non poco conto che sta nel fatto che Marco, primo evangelista in ordine storico, non dice nulla del genere e il poco che dice è in contrasto con il discorso della delega agli apostoli, perchè al passo 2,20 riserva la potestà di perdonare i peccati solo al Figlio dell'Uomo.
Comunque, superiamo il discorso del fondamento fragilissimo del potere, che sarebbe stato delegato agli apostoli, superiamo il discorso immediatamente successivo della presunta successione apostolica ininterrotta dal collegio degli apostoli al clero di oggi, che è ancora più debole da sostenere e fermiamoci al concetto di perdono.
Perdonare ,comunque lo si intenda, non significa affatto dimenticare, come dice Padre Enzo Bianchi.
Teniamo conto che i due termini (remittere e afiemi) usati dal passo di Giovanni sopra citato, sono usati prevalentemente nel senso di rimettere un debito, che ancora meno significa dimenticare.
E dunque, che si oppone alla troppo larga interpretazione di padre Enzo, è la non trascurabile nozione di giudizio particolare e di giudizio finale, che materialmente impediscono a dio stesso di dimenticarsi dei peccati anche se il peccatore è stato assolto in confessione.
Se non ci fosse la nozione di giudizio, che anzi è  tuttora ben presente  ed in primo piano  nell’ universo culturale dei cattolici, compresi quelli non o poco frequentanti, il cattolicesimo probabilmente sarebbe caduto  da tempo, perché qui siamo, come tutti abbiamo ben capito, sul piano del terrore delle pene eterne dell’inferno, che rimane probabilmente la ragione fondamentale, che motiva l’atto di fede per la maggioranza dei professanti cattolici.
Tra l'altro il terrore della dannazione eterna è esplicitamente presente nel vigente Catechismo al Canone 1453 con la voce "contrizione da timore".
Togliete la paura del giudizio e non vedrete più nessuno in chiesa.
Purtroppo temo sia così che vanno le cose, come sono andate nei secoli e secoli precedenti, anche se questa motivazione al giorno d’oggi appare sempre più come oggetto di superstizione piuttosto che di religione.
Dio condanna il peccato ma non il peccatore, scrive padre Enzo.
Non bisogna confondere l’errore con l’errante.
Belle parole. che affascinano, ma che obiettivamente sul piano della logica e della razionalità non hanno un significato sostanziale.
L’amore e la misericordia di dio non necessitano di essere meritati, incalza ancora padre Enzo.
E poi, ciascuno di noi non può sentirsi senza peccato.
E qui proprio non riesco più a seguire questo tipo di ragionamenti, anche perché non sono ragionamenti, ma sono appelli al sentimento, e queste sono cose che mi affascinano poco.
Sul piano razionale sono pericolosi, perché possono facilmente essere tradotti nel mondano appello assolutorio : “ ma tanto lo fanno tutti” così facile sulla bocca dei furbastri nazionali e non, per giustificare il malaffare e la corruzzione.
Ne sono piene le cronache.
E allora le buone intenzioni degli uomini come Enzo Bianchi finiscono in una pessima compagnia, che lui certo non gradirebbe.
Purtroppo però  Enzo Bianchi enfatizza questi argomenti sostenendo addirittura che questo è il vero cristianesimo che deve essere scandaloso anche se sembra follia per  gli intellettuali, che confidano nel loro pensiero.
Questa mi sembra addirittura un’offesa al buon senso.
E che dovrebbero fare gli intellettuali se non confidare nel loro pensiero, basato sulla ragione e sulla logica, mettendosi e mettendo la gente in guardia contro i propagandisti integralisti di tutte le dottrine e gli imbonitori, che non hanno la capacità di opporre argomenti agli argomenti?
Del resto il terreno dell'esaltazione sentimentale è già ben presidiato da tempo dai vari padri Livio e dai miracolisti pro Padre Pio , Mediugorie eccetera, che lo si lasci a loro.
Fare appello  ed esaltare i sentimenti è pericolosamente vicino al fare appallo “alla pancia”, come succede tutti i  momenti nella politica dei populisti.
Siamo su un terreno scivoloso.
Non credo che Enzo Bianchi sia minimamente ascrivibile a queste categorie, ma questo suo lasciarsi andare al sentimentalismo buonista, non mi sembra degna di lui.
Già la dottrina canonica sul sacramento della penitenza è tutt’altro che limpida e non riesce a risolvere la contraddizione fra remissione dei peccati col sacramento della penitenza e la realtà del giudizio di dio riaffermata contemporaneamente.
Per fare mente locale,  riporto solo un brano del citato precedente post dell’8 maggio in argomento:
“Ci troviamo quindi di fronte alla incongruità della formulazione di un giudizio addirittura a tre livelli : quello del sacerdote come mediatore o delegato, che interviene col sacramento della penitenza, quello particolare e quello finale.
Non se ne esce, o si ipotizza solo la possibilità di tre giudizi uniformi, cioè identici, ed allora tutta la costruzione dei tre livelli di giudizio sarebbe inconsistente, insensata, oppure si ipotizza la possibilità di tre giudizi veri e propri e quindi con la potestà di cassare ognuna delle sentenze precedenti, ma allora il sistema a tre livelli ridicolizzerebbe addirittura la dignità di dio, perché sarebbe come riconoscere che lo stesso dio si sarebbe  sbagliato in uno dei due giudizi precedenti e questa evidentemente sarebbe una insensatezza.
E’ sconcertante rilevare come la teologia tradizionale offra argomenti così poveri in materie di questo spessore e importanza per i fedeli”.
Se la dottrina è discutibile ed appoggiata su quasi nulla, sarebbe utile dirlo chiaramente alla gente, invece che fare appello ai buoni sentimenti per salvare capra e cavoli, lasciando le cose come stanno.
Un uomo di esperienza e di cultura come padre Enzo sa che la chiesa per secoli e secoli si è prestata ad essere anche religione civile, sostenendo tutti i poteri costituiti perché privilegiava lo scopo di assicurare la stabilità sociale , anche se l’ordine sociale esistente era fondato su una infame disuguaglianza, che  anziché essere combattuta era considerata parte dell’immutabile ordine naturale delle cose.
In questo ambito la chiesa ha altresì accettato di essere la stampella di ogni potere politico  costituito proprio usando in modo per lo meno improprio il sacramento della penitenza al servizio di quel potere.
Per fare un esempio non era possibile firmare un contratto civile di qualsiasi genere se il cittadino suddito  non fosse in grado di esibire nero su bianco il certificato del parroco attestante  la buona condotta intesa nel senso di avere assolto il precetto della confessione e comunione almeno annuale.
E tutto il sistema di commistione clericale-civile si reggeva proprio  alla fin fine sulla predicazione che diffondeva il terrore per la terribili pene eterne.
Non trovo quindi giusto che personaggi del calibro e della dimensione morale di un Enzo Bianchi si lascino andare a riscuotere grandi consensi  giocando sull’esaltazione sentimentale nell’ambito di posizioni genericamente progressiste ma pensando di poterlo fare senza dover pagare dazio.
Pagare dazio vuol dire avere la forza di carattere per dire la gente la verità che merita sulla chiesa oggi, verità che intellettuali del suo calibro conoscono benissimo e che si possono riassumere con il fatto che la costruzione dogmatica vigente non sta in piedi perché è basata su argomenti che non passano il vaglio della ragione e della logica e che la bibbia non può essere definita parola di dio in base agli studi ermeneutici ormai consolidati.
Certo che se i personaggi cattolici come padre Enzo solo cominciassero a dire queste cose, che conoscono benissimo,  probabilmente rischierebbero di essere buttati fuori dalla chiesa, ma forse, anzi senza forse, ne varrebbe la pena.

Il mondo e la sua storia sono pieni di nuovi inizi e di personaggi di grande carattere che li hanno resi possibili.