domenica 30 settembre 2012

50 anni fa la cultura moderna ha corso i 100 metri




Ieri un articolo dell’Observer, uno dei giornali inglesi di maggiore qualità, titolava : ottobre 1962 : il mese nel quale nacque la cultura moderna.
Mi era sembrato esagerato, ma leggendolo mi sono stupito di come siamo portati a dimenticarci così presto delle cose passate, anche delle più vicine.
Quegli anni 60 sono stati veramente formidabili, tanto più se li rivisitiamo in questa nostra epoca di stagnazione, incertezza e conseguente paura del futuro.
In politica appariva l’astro nascente del giovane Kennedy dopo gli anni grigi di Eisenhower.
Era l’innovazione e il cambiamento al potere.
Il primo studente afro americano riesce a iscriversi ad una università americana.
Riletto oggi quell’avvenimento, quando il primo presidente nero sta per riconquistare il suo secondo mandato sembra di rileggere la storia di un altro pianeta.
Iniziavano gli anni della decolonizzazione, cioè dell’indipendenza del così detto terzo mondo, una svolta storica gigantesca che ha cambiato la storia del mondo.
Non ci sarebbe oggi la  globalizzazione se il mondo in via di sviluppo non fosse   stato affrancato allora dal dominio coloniale europeo.
Nelson Mandela veniva messo in galera da chi voleva fare girare la storia al contrario, ma in realtà gli ha dato l’opportunità di spendere mezza vita da recluso a studiare da statista per costruire il Sud Africa libero e prospero di oggi.
Krusciov con il suo populismo estremo ha portato il mondo sull’orlo dell’abisso con la crisi dei missili di Cuba, ma poi ritirandosi ha dimostrato l’inferiorità intrinseca del sistema comunista sovietico.
Da allora però essendo stati a un passo dalla fine del mondo la gente ha capito che la minaccia nucleare andava disinnescata e il mondo si avviò su  quella strada, cominciando a distruggere gli arsenali nucleari delle superpotenze.
Al comunismo sovietico nel suo fanatismo paranoico non rimaneva che la difesa a oltranza alzando il muro di Berlino per evitare che la gente dell’Est apprendesse che all’Ovest capitalistico si stava enormemente meglio che nel loro comunismo, così mal realizzato.
Papa Giovanni dava alla sua chiesa in decadenza a causa dei primi sintomi della secolarizzazione lo scossone del Vaticano II, confrontandosi per la prima  volta con la modernità e sembrava che tutto sarebbe cambiato.
Nel mondo giovanile scoppiano il femminismo e le istanze di libertà sessuale, con la scoperta della pillola contraccettiva, prodromi di cambiamenti sociali imponenti e inarrestabili.
Arrivano nel giro di poco tempo i Beatles, i Rolling Stones, Bob Dylan, Johan Baez rimasti cinquant’anni dopo pietre miliari di un nuovo modo di intendere la musica.
Marilyn Monroe si suicida rendendo così il suo mito immortale.
Appare nelle sale cinematografiche l’indimenticabile interpretazione di Lawrence d’Arabia, che  per la prima volta costringe il cittadino medio a confrontarsi con l’universo culturale arabo, destinato a diventare uno dei protagonisti del mondo futuro.
Inizia la fortunata serie dei film sull’agente segreto 007, il genere thriller in letteratura e nel cinema rimarrà da allora quello più gettonato per anni.
La scienza esplode mostrando alcune delle sue potenzialità più stravolgenti : il New York Times descrive per la prima volta quella strana macchina chiamata computer, che cambierà la vita di tutti noi come mai era successo prima.
L’uomo va sulla luna, la fantascienza viene superata dalla realtà.
Mai nella storia l’uomo aveva fatto tanto in così poco tempo.
Non è affatto male rivedersi quegli avvenimenti per riacquistare un po’ di fiducia nelle capacità umane di innovare e di costruirsi un futuro migliore.

Oggi si celebra Succot la festa ebraica “delle capanne” ma agli italiani non lo dice nessuno





Finito il periodo dello Yom Kippur la festa dell’espiazione, che quest’anno è caduta il 26 settembre, inizia il periodo di Succot, la fesa della capanne, che dura sette  giorni ed è la  ricorrenza che impone il ricordo e la meditazione sul periodo dell’esodo dall’Egitto, quando il popolo ebraico, partito in fretta e furia viveva nel deserto in capanne senza nulla sapere o poter prevedere del proprio futuro.
La liturgia ebraica propone alla meditazione i temi della precarietà della vita, come precaria era stata la vita del popolo ebraico nel deserto una volta abbandonato l’Egitto.
Non ostante le sciocche e trite leggende metropolitane sulla presunta ingordigia di quel popolo, che sarebbe dedito per intrinseca tara razziale all’accaparramento delle ricchezze finanziarie del mondo, la liturgia ebraica da sempre in questa festa annuale ripropone proprio il tema della sobrietà nella gestione dei beni posseduti e della solidarietà verso i fratelli riproponendo le letture del libro dell’Esodo cap 12 e seguenti.
Si tratta ovviamente dello stesso libro, contenuto nella bibbia dei cristiani, ma da noi i rapporti con gli ebrei, che per i cristiani sono i fratelli maggiori, perché così e scritto in modo indelebile nella storia, rimangono vaghi , lontani e tutt’altro che liberati e  purificati dai pregiudizi ed errori ripetuti per secoli, che il Concilio Vaticano II ha solennemente sradicato, ma che per ignoranza, pigrizia o
Inadeguatezza, anche in questo campo, dell’attuale gerarchia cattolica non pervengono a qualcosa di sostanziale nella realtà della vita.
Non sarebbe sensato che i cattolici, almeno quelli più provveduti culturalmente, si recassero in sinagoga a concelebrare i punti salienti dell’unica bibbia e d’altro canto gli ebrei più provveduti facessero altrettanto in alcune celebrazioni cattoliche legate all’antico testamento?
Non possiamo con realismo trascurare il fatto che il libro nero del cattolicesimo porta fra i fatti più nefandi e vergognosi secoli di persecuzione degli ebrei e che Hitler sia stato solo l’esecutore materiale di un antisemitismo certo non inventato ed alimentato nei secoli da lui.
La Shoah ha lasciato ferite proporzionali alla enormità di quella nefandezza.
Alcuni anni fa sono apparsi in libreria il libro di Elkan e del Rabbino Toaff ed altri dello stesso tipo, utili   almeno per fornire al lettore i concetti basilari dei due universi culturali e quindi consentire un dialogo non solo a livello di addetti ai lavori.
Ricordo  di avere apprezzato molto quelle opere ma di  esser sobbalzato sulla sedia leggendo alcune affermazioni del rabbino Toaff sul cattolicesimo che rilevavano buchi inaspettati nella sua cultura in materia, che non avrei mai previsto in una persona di tale livello culturale.
Avevo dovuto concludere che le ferite del passato erano state tanto profonde da indurre uomini di tale levatura  a considerare che non valesse tanto la pena di approfondire lo studio  della storia della chiesa e della sua teologia.
Il passato pesa, ma è ineluttabilmente passato.
Il clima culturale e pratico della globalizzazione, da tempo in atto nel mondo, non può che  indurre tutti a una nuova apertura fra le culture e le religioni, che ne sono un aspetto almeno storicamente pesantissimo.
Ho sempre condiviso i sogni di quelle anime grandi, che pensavano fosse  da tempo giunto il momento di costruire templi multi religiosi.
Ne cito uno per tutti, quel grande intellettuale laico ma di grande spiritualità religiosa, che era stato Dag Hammarskjoeld, segretario generale dell’Onu dal ’53 al ’61, perito in un misterioso incidente aereo, come Mattei e altri  grandi che avevano dato fastidio, che nel suo pese natale aveva fatto costruire un tempio multi-religioso perché trovava che fosse ormai più sensato un tipo di culto ecumenico che non uno  rivolto a una sola denominazione.
E’ ben noto che le gerarchie di tutte le fedi aborrono questo discorso soprattutto per ragioni di potere.
Speriamo di arrivarci prima che la secolarizzazioni conduca alla chiusura di tutte le chiese, sinagoghe e moschee ecc. per mancanza di gente “pensante”, come diceva Martini.

venerdì 28 settembre 2012

Sallusti, Farina…Berlusconi : avanti verso l’Africa



Che giornata ieri.
Inizia con le ultime sulla vicenda Sallusti.
Chi è Sallusti?
Come tutti sanno è il fin troppo fedele direttore del Giornale, il foglio di propaganda di Berlusconi e del suo partito personale.
Un partito che come tutti sanno è la fotocopia politica del partito repubblicano americano, nella versione estremistica dei Tea Party : abbassare le tasse ai ricchi, azzerare lo stato sociale e meglio ancora se si riesce ad azzerare lo stato, con tutti quegli impiegati parassiti, isolamento internazionale e se ci scappa una guerra ancora meglio che così si rilancia l’economia alla grande, demonizzazione delle agenzie fiscali per far finta di interessarsi del volgo, ma con i propri capitali al sicuro nei paradisi fiscali all’estero, delegittimazione della magistratura.
Se fossimo in un paese normale, tutto bene : la destra fa la sua parte e gli altri fanno la loro e vinca il migliore.
Se fossimo in un paese normale Sallusti, che dirige il foglio di propaganda del partito personale del capo, che in Italia rappresenta la destra, fascisti compresi (e sono talmente tanti che al primo congresso del partito di Berlusconi si sono presi quasi tutti i posti di segretario nelle provincie italiane) sarebbe assimilabile al direttore di Fox News in America, cioè sarebbe un’icona della  destra.
Ma siamo in Italia e Sallusti non solo non ha un passato di destra di quel tipo, ma aveva fatto carriera addirittura come quel cronista di giudiziaria del Corrierone al tempo di Mani Pulite quando aveva creato il mito del pool di magistrati della procura di Milano, che come Robin Hood avrebbe strappato il paese dalle mani del corrotto sceriffo di Nottingham.
Poi ha fatto una virata da capogiro.
Ora si ritrova sul gobbone una condanna definiva per diffamazione, che una legge dello stato dal contenuto palesemente fascista, punisce anacronisticamente con una pesante reclusione.
Povero Sallusti, gli tocca di subire la legge dantesca del contrappasso.
Per anni aveva propagandato come grandi riforme la disintegrazione ad personam del codice penale e di procedura penale operata dal suo capo per fare lo slalom nelle aule di tribunale ed evitare l’uscita in carcere, ma poi ci è cascato lui.
E’ incredibile.
Se fosse stato un uomo di destra come è intesa la destra in senso storico e in senso ideologico, cioè partito dei valori della tradizione : dio, patria, famiglia, onore, si sarebbe occupato invece che degli affari del suo capo, di quelli della patria  e si sarebbe accorto che quella legge che c’era anche prima che lui ne rimanesse impigliato,  sarebbe stato una priorità farla abrogare magari nelle pieghe di uno di quei mille emendamenti che ha sponsorizzato per anni sul suo Giornale.
Già, l’uomo, se pure oggi  quella vicenda sfortunata induca a concedergli  uno sguardo compassionevole, non è proprio un esempio di grande statura da additare ad esempio ai nipoti.
Ma ieri è venta fuori come dal capello dell’illusionista una di quelle sorprese che fanno dire che la realtà supera spesso la più sfrenata fantasia.
Quando uno dei personaggi più melmosi e raccapriccianti  del sottobosco berlusconiano, l’ex giornalista radiato dall’albo Renato Farina, promosso parlamentare appunto del gruppo berlusconiano non si capisce per quali meriti o demeriti, si è alzato in parlamento chiedendo la parola e dichiarando che l’articolo diffamatorio, che ha causato la condanna alla galera a Sallusti l’aveva scritto lui, diversi anni fa, e se ne prendeva coraggiosamente  la responsabilità, ma quando? A processo arrivato alla condanna definitiva.
Che uomo, che statura morale.
Ma come mai un individuo del genere solo un mese fa, cioè ieri, si aggirava riverito fra i capi del Meating Ciellino di Rimini?
Il Cardinale Bagnasco, che oggi spara a zero sulla corruzione, che corrode l’Italia, come se ieri fosse stato momentaneamente assente e parliamo di un ieri durato decenni,  non sarebbe il caso che si guardasse in casa propria e  cominciasse di buona lena a dare di  ramazza?
Ma la giornata di ieri, già così densa di avvenimenti uno più scoraggiante dell’altro non era ancora finita, mancava il botto finale.
Lui è tornato e ha scelto la tribuna di presentazione del libro di un suo ex ministro.
Quel Brunetta che eternamente incavolato perché Tremonti lo metteva in ombra e non riusciva a trattenersi dallo straparlare ripetendo (seriamente, questo è il guaio) che non capiva come mai non gli fosse ancora stato assegnato il premio Nobel per l’economia.
Che insieme di personaggi da incubo.
E che aveva  da esternare Lui, il rieccolo, che ieri è ricomparso per offrirci il suo verbo, la sua nuova  ricetta?
Che l’euro è stata una gigantesca cavolata e che lui lo aveva detto.
Torniamo a prima,  all’Italietta delle svalutazioni competitive.
Riconosciamo che non siamo e non saremo mai all’altezza dei nordici.
La nostra prospettiva non è il Nord, è l’Africa.

martedì 25 settembre 2012

Tecnici dell’economia o tecnici della disinformazione ?



Nell’ultimo post si era evocata la coppia dei santoni dell’economia liberista ai quali il Corriere affida spesso articoli di fondo sulla situazione economica.
Puntualmente  il 23 successivo è arrivata su quel  giornale l’ultima puntata con la quale i due cercano di spiegare al volgo i rudimenti del loro credo, dando per scontato che le loro teorie siano di tale evidenza da essere indiscutibili.
Ne è venuto fuori un esempio eclatante di  come personaggi di indubbia caratura professionale riescano a farsi prendere la mano da una ideologia politica per vendere appunto un discorso tutto politico come se fosse invece un sofisticato ragionamento economico, facendo affidamento non certo sulla forza intrinseca degli argomenti esposti, ma sull’autorità dei due autori, uno Alesina che ha la fortuna di tenere una cattedra ad Harvard e l’altro alla Bocconi.
Peccato però che il sistema di fondare le proprie affermazioni non sulla loro forza ma su un’autorità esterna come fanno le gerarchie ecclesiastiche sia un po’ tanto fuori del tempo moderno.
Vale però la pena di vedere quell’articolo nei dettagli.
Si parte con l’ennesima enunciazione del discorso sull’allungamento delle aspettative di vita degli italiani, corredata da alcuni numeri a supporto (come si conviene per un ragionamento economico) : in dieci anni si è passati da 65 anni a 77 anni per gli uomini.
E questo lo sanno ormai assolutamente tutti.
Ma i due professori volevano arrivare ad uno degli articoli fondamentali della loro fede, tutta ideologica : il problema di tutti i problemi è il peso e l’ingerenza dello stato e quindi la filosofia che la politica deve adottare è quella di tagliare lo stato : personale, risorse, competenze.
Ridotto lo stato a quasi nulla, come d’incanto il dio mercato farà rifiorire i giardini dell’Eden, ben coltivati dagli unici che lo sanno fare e che ne meritano i frutti : gli ultra ricchi.
Di tutti gli altri non è il caso di preoccuparsi, da giovani sono bamboccioni e da adulti sono fannulloni.
E’ la ripetizione pari-pari delle tesi della destra  repubblicana americana dei Tea Party, ben rappresentata dal mormone Romney e dal suo Vice il cattolico ultraconservatore  Paul Rayan.
Torniamo subito all’articolo dal quale siamo partiti, perché i due economisti hanno snocciolato le cifre sull’allungamento delle aspettative di vita negli ultimi dieci anni ? Ma ovviamente per dire che occorre andare in pensione più tardi, perché, e qui veniamo al dunque, la spesa pensionistica è cresciuta sino al 17% del Pil.
I professori cercano evidentemente di impressionare i lettori con le cifre sull’aumento della spesa pensionistica lanciando che il lettore stesso venga raggiunto dal messaggio subliminale (cioè non formulato nero su bianco ma lasciato intendere) che l’aumento della spesa sarebbe insostenibile.
Cosa che direttamente non avrebbero potuto sostenere prima di tutto perché la riforma delle pensioni è già stata fatta da una delle sacerdotesse della loro fede , la ministra Fornero e poi perché la situazione dell’istituto previdenziale è in equilibrio per ora e per il prevedibile futuro come tutti sanno.
Per poter sostenere la tesi  del sistema a rischio  rincarano la dose sommando alla spesa pensionistica quella della sanità per fare più colpo sul lettore : insieme le due voci di spesa raggiungono infatti ben  il 27% del Pil (quasi 10 la sanitaria,secondo i loro dati e 17 la pensionistica) e concludono : “di fronte a questo aumento vistoso di spesa non si è provveduto riducendo altre  spese per esempio quella per i dipendenti pubblici” ed  eccoci ai reprobi per definizione.
Prima osservazione : i numeri che citano non sono corretti.
Infatti dalla relazione della Corte dei Conti nel suo rapporto 2012 si ricava che l’incidenza della spesa sanitaria sul Pil è scesa nel 2011 al 7,1% dal 7,3 del 2010, ben altre cifre rispetto al 10%, indicato dai professori.
Seconda osservazione:  usano  numeri già lontani dal reale per fare acquisire al lettore un concetto  privo di appoggio e infatti si guardano bene dal dirci che la virtuosissima Germania e la Francia spendono più di noi per la sanità e che gli Stati Uniti, che hanno già un sistema quasi tutto privato come piacerebbe tanto a loro spendono addirittura il 50% più di noi  più per avere molto di meno quanto a servizi per il cittadino.
Terzo. L’ossessione   nel demonizzare l’impiego pubblico fa si che si lasci credere al lettore che l’Italia sia il pese che ha il maggiore esercito di  pubblici impiegati, ma questo ulteriore messaggio subliminale è del tutto falso.
Infatti l’Italia ha la stessa percentuale di impiegati pubblici sul totale della virtuosissima Germania (5,7 % contro il 5,5%) e un terzo in meno della Francia (che ha ben l’8% di impiegati pubblici).
Se poi si vanno ad analizzare le cifre relative all’Europa a 27 stati si scopre che la scostumata Grecia ha solo il 3,3% di impiegati pubblici, mentre i super virtuosi Paesi Nordici sono oberati dal pubblico impiego (Svezia  12,36; Olanda 6,9; Finlandia 10,6).
Quando poi arriviamo alla  parte finale e propositiva dell’articolo dei due economisti vediamo che i discorsi su pensioni sanità e pubblico impiego non erano che le premesse per tirare il colpo pirotecnico dove si propone sic et simpliciter non solo di ridurre il peso dello stato e del welfare ma soprattutto di ridurre le tasse ai ricchi, schiacciati dalle  tasse per pagare il welfare gratuito agli italiani,
Questa l’idea in sé non ha nulla di originale, come si era già osservato sopra,   essendo null’altro che il  programma della destra americana da Reagan a Bush a Romney, che non sono economisti ma politici.
La parte sgradevole del ragionamento dei nostri due economisti  sta nel  modo subdolo di proporla, facendola partire da una considerazione in sé e per sé quasi accattivante.
Infatti dicono i nostri : che senso ha tassare pesantemente i ricchi per poi offrire loro servizi sanitari gratuiti, che potrebbero benissimo pagarsi da soli con un’assicurazione privata, in modo da consentire allo stato di  ridurre le loro tasse?
Bellissimo salto logico, che lascerebbe  del tutto scoperte le conseguenze della proposta riduzione delle tasse sui ricchi sulle classi medie che sono la stragrande maggioranza della cittadinanza e peggio ancora sui bisognosi, che vedrebbero in tal modo ridursi pesantemente i servizi sanitari pubblici e tutto per abbassare le tasse ai più ricchi, cioè ad una stretta minoranza.
Questi ragionamenti, come tutti capiscono non sono affatto ragionamenti di economia, questa è politica e non della migliore qualità.
Colpisce che persone di una tale qualificazione e prestigio professionale non colgano il concetto elementare che quando nella storia si è affermata la modernità questo significa che  la maggioranza
dei cittadini si è conquistato il diritto di gestire il potere pensando di salvaguardare prima di tutto gli interessi della larga base della piramide sociale e non  la difesa degli interessi del piccolo vertice della   piramide medesima.
Intendiamoci, ogni gruppo sociale è legittimato a esprimere le proprie idee anche nell’editoriale del maggiore giornale italiano, ma chi si fa portavoce di una precisa ideologia politica che di fatto supporta gli interessi di ceti sociali largissimamente minoritari, sarebbe più onesto che si facesse rappresentare da  politici, come si fa in tutti i paesi normali, non da due se pure più che qualificati economisti.
Questo editoriale del Corriere appare come l’ennesimo esempio di quello che è il grande equivoco del così detto “governo tecnico”, che tecnico non è, perché il governo è per definizione politico.
Come ne abbiamo abbastanza di queste foglie di fico, per nascondere una politica che non garba affatto.

venerdì 21 settembre 2012

Questi tecnici convincono sempre di meno




 Non si può negare che l’immagine “sobria” ,di persona ben educata di Mario Monti, venuto al potere dopo quello che i giornali del  mondo chiamavano “il buffone d’Europa” era tale da meritare la più ampia  apertura di credito da parte degli italiani.
E’ uso dare a un nuovo leader cento giorni di fiducia per con sentirgli di combinare qualcosa di buono.
Fra poco il governo Monti   compirà il suo primo anno, cioè tre volte i 100 giorni, ma il bilancio è quello che è sotto gli occhi di tutti : recessione economica paurosa, disoccupazione ancora più impressionante, rabbia montante dai più diversi gruppi sociali, incertezza totale sulle prospettive, classe politica da rottamare praticamente in blocco.
Se le strade non sono ancora percorse da cortei vocianti e minaccianti è perché a molti cittadini non sono ancora state messe le mani nel portafoglio per alleggerirlo pesantemente, ma è sempre più netta la sensazione che la cosa sia lì lì per succedere.
Il peggio è questo : la sensazione di impotenza di fronte a un futuro incognito e confuso.
Il prof Monti è un bravo ragioniere di alto bordo, che ci ha detto che occorre mettere a posto i nostri conti dissestati da decenni di cattiva politica e ci ha anche provato parzialmente con successo.
Ma questo lo sapevamo, anche senza necessità di acquisire un master alla Bocconi.
Quello che ci aspettiamo da un leader politico però ,è che ci indichi come se ne possa uscire da una situazione come questa con idee e programmi credibili.
La ricetta Monti è stata più tasse e tagli di spesa pubblica.
La conseguenza è stata : disoccupazione alle stelle e industrie che chiudono.
Ora parliamoco chiaro : in politica il bianco e il nero sono cose buone solo per chi non capisce niente, la politica, come tutto nella vita, è il difficile cammino di costruire equilibri complessi per risolvere problemi complessi e quindi una ricetta non è sbagliata perché usa le tasse e i tagli di spesa invece che altri strumenti, è giusta o sbagliata per la misura con la quale usa questi strumenti e per il risultato che ottiene.
A mio avviso Monti e la classe politica che l’ha sostenuto (cioè tutti salvo DiPietro e Grillo) hanno fallito perché il risultato non c’è ed è legittimo prevedere che non possa esserci nemmeno in futuro e questo perché gli obiettivi, le priorità non erano quelli giusti.
L’obiettivo, la priorità assoluta avrebbe dovuto essere la piena occupazione, tutto il resto in coda.
Dopo lo smantellamento dell’Iri l’Italia ha perso l’industria pesante e la chimica, rimanevano edilizia, auto ed elettrodomestici.
Oggi metà delle case costruite negli ultimi tempi sono invendute, l’auto è solo la Fiat che non riesce a vendere i pessimi modelli che ha in produzione e i produttori di elettrodeomestici   sono decotti.
Di fronte a questo quadro allarmante qual è la politica industriale di questo governo?
Non c’è e secondo l’ideologia montiana nemmeno deve esserci, perché secondo l’ideologia liberista pura che oggi prevale acriticamente lo stato non deve interferire sul dio mercato.
Poi scopriamo che il manager supercoccolato dai liberisti, il famoso Marchionne lavora in Usa con gli aiuti di stato (prestiti super convenienti e super dilazionati fornitegli dal governo americano in quantità industriale) in Serbia con gli aiuti di stato, in Polonia con gli aiuti di stato , in Brasile con gli aiuti di stato e in Italia sopravvive a fabbriche quasi chiuse con una gigantesca cassa integrazione di stato.
Ma i geni delle teorie economiche, che aborrono l’intervento statale, ad esempio i Giavazzi e gli Alesina che pontificano sui media, considerando deficenti tutti coloro che la pensano diversamente da loro, considerano ovvio che l’Italia debba perdere del tutto il suo apparato industriale perché sarebbe ovvio, dicono loro, che in Occidente debbano rimanere solo i servizi, mentre la produzione si dovrebbe spostare tutta in Asia e nei paesi emergenti.
Questa è pura follia, ma questa è la strategia, la filosofia che c’è dietro al governo Monti.
Oramai quello che è stato fatto (male) è stato fatto e non si può più tornare all’Iri, ma questi tecnici, che in realtà sono più ideologizzati dei vecchi comunisti stalinisti, possibile che non capiscano che senza una qualche forma di aiuto di stato alle industrie che presentino piani industriali capaci di creare subito nuova occupazione si va diritti nel baratro della mancanza di lavoro per tutti?
Non c’è più l’Iri ma il genio italico, nella sua perversità, ha inventato per tempo la Cassa Depositi e Prestiti che è un bel forziere molto attrezzato di liquido,disponibile immediatamente per essere usato all’uopo (rianimare l’industria, la manifattura, non la finanza).
Prima che questa indegna classe  politica lo prosciughi con le sue tutt’altro che sobrie cene e “burlesque” con donne di facili costumi e solidi investimenti immobiliari fatti con soldi altrui, almeno proviamoci.


Ma non basta.

E’ una cosa semplicemente indecente che partiti sindacati chiesa e  quant’altro non siano capaci di proporre provvedimenti che da subito procurino posti di lavoro a una generazione giovanile definita stupidamente e quasi con compatimento senza prospettive di lavoro e quindi di avvenire.
E’ una priorita assoluta che lo stato e nessun’ altro tiri fuori i fondi per creare un sistema di servizio civile in grado di occupare i giovani senza occupazione ad esempio a riparare i guasti ambientali, mettere a norma le scuole non a norma, cioè quasi tutte, intervenire nel sociale dove c’è più bisogno, essere impiegati nelle amministrazioni dello stato per informatizzare tutto e questo i giovani lo sanno fare e anche bene, come tutti sanno.
Questo è statalismo? Certo che lo è e non c’è affatto da vergognarsene.
Invece della invereconda pseudoriforma del lavoro di quell’incredibile ministro che è la Fornero, non saremmo capaci di copiare il sistema tedesco di apprendistato, interinato, chiamatelo come volete, per il quale i giovani da quattordici anni in avanti oltre a frequentare la scuola entrano a passare ore nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro per apprendere e comiciare a produrre, acquisendo così da subito la consapevolezza di essere esseri sociali, inseriti in un posto utile nella società?
C’è solo da copiare non è necessario assoldare espertoni di Harvard.
L’equilibrio del bilancio e la riduzione del debito certo non vanno affatto trascurati, anzi.
Ma il buon senso vuole che le priorità assolute siano quelle della quali si è parlato sopra.
Prima quelle priorità strategiche e l’intendenza dopo come diceva Napoleone.
Diversamente sarà il gioco del cane che si morde la coda.
Se prima non si producono posti di lavoro e cioè reddito, come diavolo è possibile ripagare il debito? 
E poi stiamo attenti ma molto attenti quandro andremo a votare la prossima volta,  perché questi figuranti li abbiamo messi noi in quei posti, non lo spirito santo, cominciamo a pensarci ora e informiamoci.
Basta votare turandosi il naso, ora ci vuole il ribaltone, il tempo di camomille e aspirine è finito.