domenica 28 aprile 2024

Francesco Tormen : Con gli occhi aperti. Il sogno lucido fra neuroscienze ed esperienze contemplative Ed. Il Saggiatore – recensione

 



Questo è un libro piuttosto impegnativo, sia per l’argomento, che per la mole di circa 550 pagine, ma questo non significa che non sia altamente interessante.

Personalmente, sono fra quelli che ,senza aver mai fatto esercizi di contemplazione, come quelle suggeriti dall’autore, mi sono accorto di fare ,probabilmente da sempre, di tanto in tanto sogni lucidi.

Si tratta ,cioè, di quel tipo di sogni che si tende a ricordare ,almeno al risveglio, ma sopratutto, diciamo così, in corso d’opera, si avverte abbastanza chiaramente di stare sognando e quindi di essere consapevoli mentre si sta sognando.

Tutto il libro è sostanzialmente basato sulla descrizione delle principali tipologie di sogni e sulla esortazione dell’autore a esercitarsi in questa ,per altro diffusa facoltà, per avventurarsi in mondi ancora poco conosciuto, ma estremamente affascinanti.

Va detto che l’autore, pur possedendo una preparazione a livello accademico, delle spiritualità e filosofie orientali ,che più hanno studiato il fenomeno dei sogni ,come quelle buddiste, e in particolari del buddismo tibetano, filosofie iraniche e lo sciamanesimo dei popoli indigeni, e la teosofia ,ha una non trascurabile competenza nel campo delle neuroscienze.

Purtroppo, però, in questo ultimo campo non ci si è applicati molto a questi fenomeni e di conseguenza le acquisizioni scientifiche in materia sono più che modeste.

Non per mancanza di interesse ,sottolinea l’autore, che tra l’altro non trascura di elencare gli studi più significativi effettuali in questo campo, ma perché è obiettivamente difficile riprodurre con dei volontari in laboratorio, le condizioni che favoriscano o almeno consentano di registrare le esperienze oniriche.

Notevoli dati, ad esempio, si possono ricavare dalla risonanza magnetica, ma ,ci dice l’autore ,stare immobili nel tunnel di quell’apparecchiatura ,che per di più fa baccano, non è proprio l’ideale per dormire e sognare e costa in modo esagerato.

Tenuto conto di questi dati di fatto,ho molto apprezzato il fatto ,che l’autore riportando la montagna di dati da lui raccolti dalla sua ricerca ed elencando i pochi studi e le invece molteplici teorie delle spiritualità e filosofie sopra menzionate, usa praticamente sempre il verbo al condizionale.

Questo è un indice di grande onestà e rigore intellettuale, ma non significa affatto, che ci racconti delle favolette o delle semplici supposizioni.

Come ho sopra accennato ,il fatto di sperimentare ,ogni tanto, dei sogni lucidi, mi ha portato più volte a chiedermi ,come mai questo argomento è così poco affrontato.

Capisco le difficoltà oggettive, ma non si può non essere spinti alla ricerca ,dalla constatazione delle enormi facoltà e potenzialità ,che riscontriamo nella nostra mente, quando ci fornisce in abbondanza filmati più realistici e sorprendenti di quelli che potrebbe produrre un set hollywoodiano.

Invito a leggere questo libro chi abbia sperimentato sogni lucidi, o almeno abbia riportato nel data base della sua memoria, anche solo qualche sogno occasionale, perché avrà la sorpresa di ritrovare nella accurata tipologia, elencata dall’autore, sicuramente la gran parte dei sogni periodici che siamo portati a fare.

E’ proprio facendo questa constatazione che il lettore si dice : ah, ma allora in questo libro non ci vengono raccontate delle storielle, questo autore, sa bene di cosa sta parlando.

Il libro poi può essere preso e utilizzato in diversi modi ,a seconda degli interessi del lettore.

Forse chi ha già una qualche esperienza nel campo della meditazione sarà portato a studiarsi le tecniche pratiche ampiamente riportate nel libro.

Chi invece, come me, ha interessi maggiori sulla speculazione relativa alle spiritualità e filosofie citate nel libro, troverà l’occasione per approfondire questi campi.

Avverto che se si ha interesse per queste cose questo libro dà l’occasione per volare alto. Molto alto.

Come quando, partendo dal presupposto che probabilmente non esiste una realtà obiettiva, ma solo rappresentazioni ,che si formano nella nostra mente ,come suggerisce la spiritualità buddista, ma non solo, allora si è portati a ritenere verosimile che lo stato di veglia e lo stato di sogno riportano ambedue a una consapevolezza non più materiale.

Nei termini della filosofia classica è l’anima che tende e si unisce all’infinito e nelle spiritualità e filosofie orientali è l’io impara a superarsi per raggiungere con l’illuminazione l’atman, superamento dell’io nella realtà ultima da cercare come diceva Agostino “in interiore homini”.

Se si studiano le varie spiritualità e filosofie si ritrovano incredibili assonanze, come ha documentato ad esempio il teologo-filosofo Vito Mancuso in “i quattro Maestri” Socrate ,Buddha, Confucio e Gesù.

E se fosse questa l’interpretazione della realtà effettiva?

E se infine ci ricordassimo che il mondo onirico è abitato indifferentemente dai viventi, come dai trapassati, allora ci ritroveremo in una visione cosmologica veramente da far tremare le vene e i polsi.

Cioè se il mondo che definiamo come fisico fosse inconsistente mentre quello che definiamo come realtà onirica fosse l’unica reale, come sembrano fare intravedere anche le filosofie orientali?

Bella domanda.


martedì 23 aprile 2024

Francesco Costa : Frontiera. Perchè sarà un nuovo secolo americano Ed: Mondadori – recensione






Francesco Costa è un giornalista, youtuber, eccetera ,conosciuto sopratutto come esperto di America e quindi in apparenza ovvio che scriva un libro sul futuro dell’America, scommettendo non solo sulla sua sopravvivenza, anche nella sua permanenza come stato guida.

L’operazione sarebbe stata di tutto riposo qualche anno fa, ma non più oggi.

Per due ragioni connesse :

-la prima è che nel frattempo è sorta e si è affermata, anche in campo mediatico ,la nuova disciplina della geopolitica ,proprio per analizzare le strategie a lungo termine degli stati e delle grandi potenze ,chiamate col loro nome cioè di imperi, e le relative traiettorie.

-la seconda è che proprio questi analisti di geopolitica ,che comincino ad affacciarsi alla ribalta dei media e dei social , non danno affatto per scontato che l’America riesca a sopravvivere alle serie crisi interne che ne minano la solidità, se non addirittura l’unità.

Di conseguenza il libro di Costa è un po un azzardo se lo ha concepito come un saggio di geopolitica, materia che chiaramente non è la sua specialità.

Questo è invece un ottimo libro, se rimane nei confini del saggio giornalistico, non meno necessario ed anche probabilmente molto più appetibile, se mi si consente il termine.

Inviterei quindi il lettore senz’altro a spendere il tempo necessario per leggerlo questo libro, perché vi troverà un gran numero di cose interessanti che quasi sicuramente ignorava.

Forse questo è il principale punto di forza di Costa, la capacità di scuotere le nostre pigrizie e nostre mal-riposte sicurezza a proposito dell’America.

Mi piace il fatto che l’autore lo dica esplicitamente: se avete fatto un viaggio più o meno organizzato in America e pensate con quello di poter dire di conoscere l’America, non avete capito niente, perché l’America non è fatta dalle solite leggende metropolitane, è qualcosa di estremamente complesso e contraddittorio.

Per capirci qualcosa, occorre viverci e ancora meglio, studiarsela per bene.

In altre parole bisogna fare i compiti a casa, e Costa li ha fatti.

Ricordo di avere criticato i precedenti libri dell’autore, perché non li aveva corredati se non di note,almeno di una accettabile bibliografia.

Deve avermi sentito, perché questo libro possiede un serio corredo di riferimenti documentali, come è giusto che sia.

Prendiamo Costa per le migliori capacità che ha.

Ottimo giornalista e ottimo inviato, uno che col microfono o con una Action Camera, che hanno da tempo sostituito il vecchio classico taccuino del cronista, va a mettere il naso dappertutto, per sentire la voce della gente.

E’ questo che come lettori vogliamo sapere ,cosa pensano gli americani per capire chi sono.

Non basta condividere miti consumistici e culturali per credere di saper tutto di loro.

Perchè abbiamo storie diverse, molto diverse.

Una per tutte, per quanto elementari : la quasi totalità delle generazioni dei nostri padri sono state fatte o di fascisti o di socialisti.

Ebbene, queste sono due categorie di persone in America praticamente non esistono e non sono mai esistite.

Siamo diversi sopratutto su quello che fa l’America, quello che ritiene di essere, cioè la nazione che avrebbe la missione messianica di diffondere il loro modo di intendere libertà e democrazia, convertendo il mondo al loro credo, ritenuto il più elevato di tutti.

E questa è forse la ragione per la quale ora gli americani sono in crisi : perché sono sconcertati se non sconvolti, dal dover constatare che la maggior parte del mondo non è affatto interessato a diventare americano, anzi si sente minacciato dai tentativi di farlo diventare tale.

Si dice pare a ragione che l’americano medio, profondamente insulare come’è ,sentendosi circondato e difeso da ben due oceani, non sappia nemmeno l’essenziale sul resto del mondo e quindi non si rende conto che l’altro credo fondante su cui poggia la cultura americana, quello del liberismo esasperato, figlio di una priorità assoluta, data al “valore” legato ai diritti dell’individuo, non è il fondamento del mondo.

E che anzi, la maggior parte del resto del mondo, fonda tutto il suo sistema valoriale sull’altro polo ideologico ,che si chiama “comunità”, o bene comune, ai quali il valore dell’individuo risulta quindi subordinato.

Non parliamo poi del peso dei trascorsi razzisti e del primatismo bianco, ancora tanto presenti nella società americana, da aver generato come reazione uguale e contraria, la vocazione alla auto-fustigazione, continua che porta agli eccessi della “culture cancel” del woke eccetera, che affliggono i liberal e i democratici americani.

Costa è ben conscio di questi mali che affliggono l’America in una misura ormai preoccupante.

Mo ritiene di concludere dicendo che nessuno è capace di manovrare il capitalismo in modo tanto funzionale come gli americani e che questo lo porta a ritenere che l’America rimarrà l’America ancora per un bel pezzo perché non si vedono all’orizzonte competitori all’altezza.

Ecco forse questo entusiasmo, poco condiviso dagli analisti di geopolitica è rispettabile e verosimile, ma potrebbe essere smentito dai fatti.

Ma il forte di Costa è il giornalismo da cronista curioso.

Andate a cercare nel libro notizie curiose, se si vuole ,ma non secondarie, sul rapporto fra gli americani e le scarpe nonché sul loro modo di vestire, vi divertirete parecchio.

O sul come spiegarsi l’uso rispettato in modo ferreo di lasciare la mancia e in misura che tutti conoscono e alla quale si adeguano, pur senza che alcuna norma lo abbia mai previsto.

Eccetera eccetera.








 

giovedì 28 marzo 2024

Federico Rampini : Suicidio occidentale. Perché è sbagliato processare la nostra storia e cancellare i nostri valori Ed. Mondadori – recensione

 


Non so come ma quando era uscito questo libro di Federico Rampini nel 2022 mi era sfuggito, peccato, perché oggi che l’ho letto rimediando al ritardo l’ho trovato veramente fondamentale per capire la deriva integralista dei democratici americani.

E’ singolare ma questo fenomeno che condiziona in modo pesante la strategia degli Usa e che impatta quindi in modo altrettanto pesante sulla nostra politica è conosciuto molto poco da noi, forse perché le nostre forze politiche di orientamento progressista semplicemente sono vittime della medesima deriva ideologica che proviene da oltre oceano.

Stranamente, sull’argomento mi aveva suonato la sveglia il libro di Francesco Costa sulla California e poi i suoi interventi successivi su tutti i canali che usa con molta abilità.

Forse proprio l’abilità e la freschezza del modo di comunicare di Costa mi avevano fatto considerare Rampini, validissimo inviato, ma di un altra generazione, come un matusa.

Errore pacchiano, perché leggendo il libro di Rampini ho dovuto constatare che tratta la materia a un livello di approfondimento sensibilmente superiore, cosa che emerge fra l’altro nella citazione dei testi da consultare per approfondire, che comunque rappresentano il punto di appoggio della sua esposizione.

Ma veniamo al dunque, Rampini argomenta questo, che la decadenza dell’America come potenza egemone dell’Occidente che si ergeva a poliziotto del mondo, è ormai un fatto vistoso.

Preso atto di questa realtà ormai incontrovertibile, è fondamentale cercare di capire quali ne siano le cause.

Rampini individua il tarlo che rischia di frantumare la potenza americana, rimasta quasi intatta dalla fine della seconda guerra mondiale, proprio nella deriva radicale dell’ideologia progressista, praticata negli Usa, tutta tesa, come dice il titolo, non a difendere i nostri valori, ma a “processare la nostra storia ed a cancellare i nostri valori”.

Non abbiamo più valori da difendere, ma abbiamo solo da espiare i nostri errori passati. Ecco allora che su questo nuovo dogma, hanno fondato la teoria “no border” che impone non solo il dovere di prendere tutti gli immigrati, ma di sdebitarci con loro dei nostri crimini passati assumendo noi i loro valori, che sarebbero più sani dei nostri, tanto per cominciare dando subito anche ai migranti che formalmente sono entrati illegalmente i benefici del welfare e non ultimo il diritto di voto, e quello di usare la propria lingua, tanto che di fatto si sono obbligati i call center pubblici ad essere bilingui inglese e spagnolo.

Le minoranze etniche e sessuali diventano di conseguenza il punto di riferimento obbligato.

Questa ideologia unita ad una interpretazione pure radicale dell’ambientalismo tesa a demonizzare il progresso economico ed a prevedere una imminente apocalisse.

Se andiamo a vedere l’ispirazione viene dalla poco brillante filosofia ,detta “del buon selvaggio”, di Jean Jacques Rousseau e quindi non è affatto originale.

Interessante la capacità di Rampini di farci capire come questa radicalizzazione ideologica sia cavalcata alla grande dagli ultra- milardari dell’High tech, che la usano cinicamente ,non perché ci credano, ma perché serve loro per oscurare il problema vero che è quello delle diseguaglianze , della crisi sociale e dell’impoverimento del ceto medio.

Qui da noi sono state prese come manifestazione quasi folkloristiche di frange giovanili stravaganti le vere e proprie ricadute nell’oscurantismo medioevale dei giovani americani che spingono per abbattere le statue, anche di coloro che, prima, erano venerati padri della patria ,come lo stesso Lincoln, perché a suo tempo erano incorsi in atti di razzismo, ignorando ogni senso critico o di contestualizzazione storica.

Non parliamo del povero Cristoforo Colombo, ormai completamente demonizzato come portatore di ogni nefandezza a causa del fatto che la “Critical race Teory” è diventata dogma.

Ma se si fossero fermati qui, i seguaci delle teorie “Woke culture ” o della “cancel culture”, andrebbe ancora bene, e invece sono andati ben oltre ogni decenza, additando al pubblico ludibrio anche Platone Aristotele e tutta la famiglia filosofica sulla quale è fondata la nostra civiltà, perché avrebbero la colpa inespiabile di avere tollerato la schiavitù e un ruolo subalterno del genere femminile.

E proprio qui è la giustificazione del termine deriva, per il fatto che quelle evidenti scemenze, sono prese molto sul serio e messe in pratica nelle ,un tempo prestigiose, università americane, al punto che se un docente osasse citare uno dei reprobi sopra indicati, rischierebbe il posto.

Immagino che ai tempi della Santa Inquisizione ci fosse più tolleranza!

Ma l‘elenco delle follie di questo tipo ha veramente dell’incredibile come quando l’autore cita l’episodio di un distretto scolastico americano,ovviamente gestito da famiglie che aderiscono a questo pensiero unico ,definito non a caso dal medesimo Rampini, progressismo illiberale, dopo avere constatato che gli alunni appartenenti alle etnie di colore proprio non riuscivano a raggiungere punteggi nemmeno lontanamente sufficienti in matematica, non hanno deliberato qualcosa di simile ai nostri “corsi di sostegno” ,ma hanno abolito ogni strumento di rilevamento della preparazione.

Prossimamente forse aboliranno la matematica per essere più completamente politically correct.

Non parliamo poi della imposizione delle più assurde invenzioni lessicali ,per non rischiare di offendere le solite minoranze.

Questa America vittimista ,colpevolista , assolutamente acritica , sta distruggendo sé stessa promuovendo l’ignoranza e la dittatura delle minoranze.

Per difendere e risarcire le minoranze etniche e sessuali si sono inventato anche lo slogan del “Defund the police”, preso e applicato molto sul serio con risultati catastrofici finiti nell’impennarsi macroscopico dei reati.

Non ostante queste palesi follie il capitalismo continua a funzionare meglio in America che altrove, sembra dire Rampini, fino a quando però i giovani delle classi di età “formate” da un “sistema educativo” bacato come quello attuale, non saranno costrette a diventare la futura classe dirigente.

Libro di ottimo livello.














martedì 19 marzo 2024

Federico Fubini : L’oro e la patria. Storia di Niccolò Introna eroe dimenticato Ed. Mondadori – recensione

 





Tutti conosciamo Federico Fubini ,come principale firma del giornalismo di economia e finanza del Corriere, e quindi siamo abituati a vederlo, diciamo, più come tecnico, che come giornalista.

Risulta quindi una piacevole sorpresa trovarlo a cimentasi con l’abilità e il rigore, tipici dello storico, nella narrazione della vita professionale di questa molto singolare figura di integerrimo servitore dello stato, nel sofferto periodo del ventennio fascista ed appena dopo, circondato da colleghi altri burocrati e da una classe politica, tutt’altro che integerrimi.

Niccolò Introna per decenni ricoprì ,per intenderci, la posizione di vice Governatore della Banca d’Italia, anche se la figura specifica formalmente non esiste.

Lui alla fine comandava e garantiva la continuità dell’istituzione, semplicemente perché era il più preparato e il più capace per mandare avanti la baracca.

Era integerrimo, lo abbiamo detto, ma dotato di un un caratteraccio , troppo poco incline a quella “flessibilità” che sarebbe stata indispensabile per poter sedere sulla poltrona di vertice ,passando da Giolitti a Mussolini fino a De Gasperi.

Fubini ci dice che è riuscito a scrivere questo libro perché, per circostanze fortuite, ha avuto la ventura di poter consultare l’enorme e ordinata massa di appunti e di documenti, che l’Introna ha redatto e messo insieme con estrema puntigliosità per tutta la sua vita professionale.

La sua narrazione è quindi documentatissima.

Diciamolo subito, il libro è estremamente interessante e si lascia leggere molto bene, ma suscita due sentimenti del tutto contrastanti, e forse non poteva fare diversamente proprio perché è la specificità del personaggio Introna, che incarnava questo contrasto.

Voglio dire, che da una parte, c’è la piacevole scoperta di una figura ingiustamente sconosciuta di eccellenza di servitore dello stato e proprio e addirittura in quei tempi così travagliati.

Dall’altra, però, ci sono gli esponenti di una classe dirigente, che, anche se riuscì a volte a esprimere delle figure che emergevano per preparazione tecnica, nel complesso era composta da dirigenti divenuti tali, perché privilegiavano la cura del conformismo e del piatto servilismo, nei confronti del potere ,di qualsiasi orientamento fosse.

Tipico ed emblematico il caso del diretto superiore di Introna, per più lungo tempo, che ,a quanto risulta dalle carte, che abbiamo sopra accennate ,dava immediata disposizione di eseguire prelievi dal caveau della Banca d’Italia di quanto indicato in semplici bigliettini informali, che non si peritavano di indicare qualsiasi giustificazione,ma erano firmati : Mussolini, e questo bastava.

Introna, guarda caso, invece le pensava letteralmente tutte per cercare di evitare la spoliazione della Banca d’Italia da parte della famelica dirigenza del fascio.

Inutile dirlo, la parte più intrigante del libro e quella che riporta le vicende ,veramente romanzesche e rocambolesche ,che concernono le manovre messe in atto, in più tempi e modi diversi, dall’Introna stesso per evitare che i Nazisti si portassero via le intere riserve d’oro, custodite nei sotterranei di palazzo Koch in Via Nazionale, sede storica romana della Banca d’Italia.

Dal libro viene fuori la figura umana e professionale dell’Introna talmente tutta d’un pezzo, che sembra persino impossibile, che un personaggio del genere sia riuscito a portare avanti il suo lavoro per decenni.

Non stupisce che politici e colleghi lo temessero e non lo amassero, perché la sua stessa esistenza era per loro una condanna morale, sempre incombente.

Pure non stupisce che i dipendenti ,invece, lo amassero, perché erano nella posizione di capire benissimo quanto costasse la coerenza di quel dirigente.

Lascia invece molto l’amaro in bocca ,dover constatare quanto la tanto glorificata classe dirigente politica del dopoguerra non ne venga fuori poi così bene come la vulgata comune ce l’ha descritta costantemente.

La scelta, fatta allora, prima di non operare alcuna vera epurazione e poi addirittura di adottare una amnistia generale, sono state veramente frutto di saggezza?

E’ vero che una classe dirigente politica e sopratutto burocratica non si improvvisano, ma la continuità col fascismo se esaminata nei dettagli risulta veramente scioccante.

Se i lettori volessero approfondire non posso non ricordare i libri di Gianni Oliva e di Antonio Scurati, appena recensiti, l’uno il 23 febbraio sorso l’uno e gli altri due il 20 e 28 gennaio , su questo stesso sito.
























martedì 12 marzo 2024

Antonio Scurati : Il bambino che sognava la fine del mondo -Ed:Bompiani - Recensione

 



Beh , doveva succedere che a un certo momento mi capitasse di leggere un libro di un autore, che stimo molto, ma che proprio mi è piaciuto poco.

Ho conosciuto Scurati non dalle sue prime opere, come è per esempio il libro del quale stiamo parlando, ma dal favoloso “Il figlio del secolo”, il primo libro della trilogia su Mussolini, che mi era piaciuto enormemente per l’estrema abilità dell’autore di delineare non solo la figura del protagonista ma anche quella degli uomini e delle donne che gli giravano attorno e che purtroppo i manuali di storia tutt’al più accennano appena.

Anche se hanno fatto la storia di quel periodo, non meno del Capo.

La storia del fascismo in Italia è stata imbozzolata nel dogma dell’antifascismo, diventato istituzionale e con ciò ,lo studio di quel periodo è diventato politicamente scorretto, impedendo a chi è nato dopo di capire di cosa si sta parlando.

Scurati , “ca va sans dire” ,intellettuale progressista e antifascista, ha avuto il grosso merito di rompere i vecchi tabù riportandoci alla presenza dei personaggi storici e non delle loro figure mitizzate e spesso stravolte dall’ideologia.

Mi son permesso di fare questa premessa perché il libro in esame non c’entra niente col fascismo, ma richiama già alcuni parametri della costruzione letteraria di Scurati, nel senso che parla come di un romanzo di fatti che sono realmente avvenuti.

Autentici fattacci di nera, anzi ancora peggio che di nera, perché concernenti reati o meglio presunti reati ,di carattere sessuale.

Presunti reati di pederastia, che sarebbero stati commessi da maestre, addirittura con la complicità e la copertura di preti.

Sono fatti di cronaca non lontani nel tempo,dei quali all’epoca avevo sentito parlare, come tutti, ma che, confesso ,non ricordavo in modo chiaro, ma sopratutto non ricordavo che avevano sollevato un polverone mediatico enorme ma che ben presto si sono rivelati fondati sul nulla.

Il libro infatti, nelle ultime pagine, fa dire alla protagonista di tutta la storia , in veste di grande accusatrice ,in diretta televisiva, un bello e chiaro : “mi sono inventata tutto”.

Tutta la narrazione si svolge a Bergamo intorno a un fantomatico ente ecclesiastico per preti “disturbati”, anche da turbe sessuali, che si sarebbe trovato nel plurisecolare edificio del seminario vescovile di una delle città tradizionali baluardo (nei tempi andati) del cattolicesimo tradizionale, e che però non risultava raggiungibile.

Insomma ci sono tutti gli ingredienti per una storia che tocchi le corde più sensibili dei sentimenti più nobili e più infami dello spirito umano.

Scurati però, nella vita e nel romanzo, è un accademico esperto di comunicazione, particolarmente televisiva ed è portato a fare riflettere il lettore sulle capacità di manipolazione, se non addirittura di auto- manipolazione, della nostra mente ,proprio quando ci si ritrova di fronte a storie del genere.

Non ne nasce solo il fatto della immediata divisione fra colpevolisti e innocentisti, che si incaponiscono in modo fanatico nelle conclusioni che ritengono di trarre su quel poco o tanto che si riesce a conoscere.

Quando anche le persone più miti in certe circostanze diventano irriconoscibili estremisti bruciati dal fanatismo,

Scurati, in circostanze di questo tipo, spinge a ricercare i moventi dell’esplodere delle emozioni nelle neuroscienze ,anche se non ne fa esplicitamente menzione, così come nella trilogia su Mussolini, fa consciamente o meno riferimento alla psicologia delle folle.

Come è possibile che ci si infiammi per mandare, se fosse possibile, schiere di persone al rogo, se poi viene fuori ,che quello che sembrava una prova inconfutabile era tutta un invenzione .

Ecco ,l’argomento sembra fatto apposta perchè un abile romanziere ci vada a nuotare dentro.

Scurati è abile , ci sa fare e sa scrivere bene.

Ma in questo libro non mi convince se non in piccola parte.

Innanzi tutto, un soggetto di questa delicatezza, sinceramente mi sembra che sarebbe stato metabolizzato dal lettore in modo più consono se tutto si fosse ridotto alla metà o almeno ad un terzo in meno delle pagine usate.

La parte migliore del libro l’ho trovata invece, come si può evincere da quello detto sopra, dal descrivere e constatare quanto ci sia ancora misteriosa la nostra psiche ed il funzionamento di un cervello allo stesso tempo ultra-potente, ma anche responsabile di farci cadere in errori di valutazione catastrofici.




martedì 5 marzo 2024

Gianluca Nicoletti Una notte ho sognato che parlavi – Ed, Mondadori – recensione

 



 Avevo “conosciuto” Nicoletti seguendo Radio 24 e proprio rimanendo fedele alla sua rubrica per un certo tempo, ho trovato rimarchevole il modo di parlare del suo gigantesco problema personale, cioè di essere padre di un figlio autistico, ormai grande, che gli condiziona totalmente la vita.

Mi era da subito piaciuto il suo modo singolare di affrontare, anche con gli ascoltatori ,il problema dell’autismo, che si pone oggi come la prima fonte di handicap e che purtroppo segna dei numeri elevati e con tendenza all’ aumento.

Avevo appena letto e recensito il libro di argomento analogo, scritto dal Prof.Alberto Vanolo : “la città autistica”, e, dato che prima di leggerlo ignoravo totalmente cosa fosse l’autismo, ho trovato lo stimolo ad approfondire l’argomento, leggendo anche il libro di Nicoletti, che essendo un giornalista e conduttore noto,che ha scritto più libri sull’argomento, fra i quali questo di cui parliamo, riuscendo a farlo diventare un best seller.

L’autore è un autentico personaggio.

Riesce a farci capire qual’ è il mondo degli autistici portandoci con mano leggera a ripercorrere la giornata normale di un genitore, che si è posta la missione di accudire un figlio, che praticamente non ha mai parlato se non con pochissimi monosillabi, che non sa scrivere, né fare di conto,che non è in grado di attraversare una strada, che se andasse in giro da solo oltre ad andare sotto alle macchine non saprebbe ritornare a casa, eccetera.

Si dice che l’autismo comporta l’incapacità di comunicare, ma se non si entra nella vita privata di tutti i giorni ,difficilmente si riesce a cogliere cosa vuol dire realmente.

Saltano tutte le convenzioni sociali con conseguenze paradossali.

Prendere un autobus o la metro, andare a un ristorante, a un cinema fare un giro in bicicletta, sembra semplice, ma se si accompagna un figlio autistico in queste occasioni di socializzazione si devono fronteggiare continuamente problemi imprevisti, perché l’autistico è per definizione imprevedibile, proprio nel senso che non si conforma a regole, che non lo toccano.

Fa pensare molto questo libro, perché ci interroga proprio sul senso di moltissime cose.

Casualmente prima di scrivere queste righe avevo letto un articolo di giornale che ricorda il centenario della nascita del più noto psichiatra italiano, Franco Basaglia.

Ebbene uno dei pensieri chiave di Basaglia era proprio questo : non esiste un modello obiettivo al quale l’umanità debba conformarsi e quindi quello che vediamo come imperfezione, diversità eccetera ha piena legittimità di esistenza.

Questo non significa che la malattia mentale non esiste, ma il folle lo si cura curando la società.

Se le regole sociali non sono altro che convenzioni, ebbene possiamo sempre metterle in discussione per far posto anche ai diversi.

Gestire un figlio autistico è estremamente pesante, ci fa capire Nicoletti , che descrivendo come si svolge la giornata nei dettagli, ci fa anche capire che non sempre è materialmente possibile accollarsi questo compito.

E’ antipatico dirlo, ma lo stesso Basaglia, non a caso affermava che la malattia psichica o come diceva lui il disagio psichico è un disagio classista.

Nel caso dell’autismo ancora di più, perché se è vero che un figlio autistico ha bisogno di assistenza o comunque di essere tenuto d’occhio 24 ore su 24, perché se no, tanto per dirne una, potrebbe buttarsi giù dalla finestra, per il semplice fatto che non riesce a distinguere fra la vita reale e la finzione scenica dei cartoni, dove se uno si butta, rimbalza allegramente, il genitore che lo accudisce come fa ad andare a lavorare?

Ricorrere a badanti, terapisti, addetti ai servizi socio-sanitari, non è affatto gratuito, come era gratuito il manicomio, che Basaglia ha chiuso, meritevolmente per certi versi, discutibilmente per certi altri, senza che sia stato rimpiazzato da servizi pubblici più complessi e più costosi.

Se non si hanno i mezzi, né le obiettive condizioni logistiche per dedicare quasi tutta la giornata al figlio autistico, lo stesso Nicoletti riconosce che bisognerebbe ricorrere alle strutture esistenti che riducono tutto a una perenne sedazione per di più immagino , per niente gratuita, oppure la sedazione la si svolge in ambiente casalingo.

O se hanno i mezzi e la possibilità di conciliare alcuni tipi di lavoro con la disponibilità del resto della famiglia e il fegato personale di dedicarvi la vita, lo fanno direttamente.

Tanto di cappello a Nicoletti!

La lettura del suo libro è illuminante e come già accennato fa pensare tra l’altro al senso ed ai limiti delle nostre regole sociali, ma solleva anche serissimi problemi etici e filosofici.

Devo confessare che se da una parte la lettura di questo libro mi ha parecchio interessato perché mi ha aperto alla conoscenza di un mondo prima sconosciuto, che però esiste e tocca molte famiglie, dall’altra mi ha rattristato non poco.

Leggendo non riuscivo a non pormi la domanda più scomoda che è questa : ribadito il tanto di cappello a Nicoletti, è lecito porsi la domanda se ne vale la pena di prodigarsi in tanto sforzo e partecipazione quando la persona autistica alla quale si dedica la vita non dico non è in grado di ricambiare nemmeno una qualche forma obiettiva di riconoscenza, ma allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, non sembra poter trarre dall’assistenza umana o sovra-umana dei vari Nicoletti, che pure ci sono e sono a quanto pare numerosi, alcuna possibilità non dico di guarire, ma nemmeno di costruire qualunque cosa dentro di sé.

Ma ha coscienza di sé una persona autistica ? Questo forse è il più grosso e delicato dei problemi.

E qui sinceramente è meglio fermarsi, perché se no si va a picchiare la testa contro il muro e si rischia di pensare cose che non fa bene nemmeno pensare.

Questo è un libro duro, al di là della grande abilità dell’autore, perché è duro l’argomento.

Ma quando c’è un’occasione di interpellare e condividere la comune umanità, è sempre buona cosa non girare la testa dall’altra parte.







giovedì 29 febbraio 2024

Alberto Vanolo La città autistica - Einaudi Editore – recensione

 



Dal suo curriculum presso l’Università di Torino apprendiamo che l’autore è professore di geografia politica ed economica ,nonché presidente di un centro studi di materie urbanistiche sempre presso quella Università.

Persona qualificata quindi ,ma non è né medico né psichiatra, però è padre di un bimbo che soffre di autismo, e questo lo rende più che legittimato a scrivere un libro sui problemi che suscita l’autismo e su come dovrebbe essere strutturata una città per tenere conto della presenza di cittadini autistici.

Era tempo che mi ero proposto di individuare un libro per cercare di capire in cosa consiste l’autismo e quando ho visto segnalato questo breve saggio me lo sono procurato e l’ho letto.

Da semplice lettore devo dire che cercando titoli sull’argomento mi sono subito accorto che risultava abbastanza sconcertante il fatto che quasi non si trovano saggi scritti da neuroscienziati, mentre abbondano libri come questo elaborati da parenti o comunque da chi si deve occupare di persone autistiche.

Entrando un po nell’argomento si scopre subito il perché, che consiste semplicemente nel fatto che la scienza ha fatto passi avanti, ma ha a tutt’oggi ben poco da dire sull’autismo.

Aggiungete poi che esistono forme molto diverse e variegate di autismo e che il numero di bambini autistici si scopre essere molto più grosso del previsto con trend in aumento, e si comincia a capire perché di fronte a queste obiettive oscurità si sono scatenate le teorie complottiste, che pur senza disporre di seri riscontri elencavano l’autismo come danno collaterale dei vaccini anti-Covid.

Ma restiamo coi piedi per terra.

I genitori di bambini autistici sanno benissimo quali sono i problemi legati all’autismo e quindi attualmente la migliore fonte di conoscenza sono proprio loro.

Apprendiamo da questo libro che come sopra detto esistono forme molto diverse di autismo e che non tutte portano a condizione di disabilità, anche se la maggioranza probabilmente lo fanno.

C’è un deficit di apprendimento e quindi di sviluppo intellettivo rispetto alla media per età in gran parte dei casi.

C’è un vistoso problema di comunicazione, inteso nel senso di mancanza di empatia sempre in gran parte dei casi.

Alcuni di questi bambini dimostrano interesse più per gli oggetti che per le persone.

Molti parlano poco o niente e questo porta a serie difficoltà di comunicazione.

Nei rapporti sociali creano seri problemi nel senso che per loro le convenzioni sociali alle quali siamo abituati esistono solo in parte.

Ma il problema più spinoso è forse quello delle crisi, che inducono raramente ad atteggiamenti violenti, più spesso in urla, crisi di pianto , buttarsi per terra, come durante attacchi epilettici.

Alcuni si rendono conto che sta per sopravvenire la crisi e se sanno comunicarlo a chi li assiste si possono prendere contromisure, altri invece vengono colti all’improvviso.

Queste crisi sembrano legate a situazioni di colori troppo chiari, rumori o musiche a volume troppo alto, luci troppo forti.

Essendo esperto di materie urbanistiche l’autore propone di ascoltare le esigenze degli autistici che sono cittadini che hanno gli stessi diritti di tutti gli altri e che vivono meglio in ambienti che almeno tengano conto della loro ipersensibilità per colori, suoni rumori e affollamento.

L’autore pone il quesito se sia giusto o meno trattare l’autismo come una malattia.

O se non sia più corretto avvicinarla all’universo che in inglese di definisce come “queer “,traducibile come bizzarro, strano, che ha per sinonimo “weird” ma che storicamente e culturalmente ha connotati diversi tipo “hippy” per intenderci.

L’autore argomenta, se la società evolvendo è arrivata ad accogliere minoranze sessuali come gli LGBT, che in un tempo non lontana subivano l’ostracismo, perché non pensare di abituarsi a includere comportamenti non allineati alle convenzioni sociali come quelli degli autistici, purché ovviamente non siano violenti?

E perché non immaginare società urbane che studino spazi adatti alla convivenza con gli autistici?

L’argomento non è facile ed è delicato, ma è formulato in modo assolutamente logico.




venerdì 23 febbraio 2024

Gianni Oliva 45 milioni di antifascisti . Il voltafaccia di di una nazione che non ha fatto i conti con il ventennio – Le scie Mondadori – recensione


 

Il titolo del libro è tratto da una delle celebri battute di Winston Churchill ,sarcastica e piuttosto feroce nei nostri confronti : “In Italia sino al 25 luglio c’erano 45 milioni di fascisti; dal giorno

dopo, 45 milioni di antifascisti. Ma non mi risulta che l’Italia abbia 90 milioni di abitanti”.

L’autore, che ,non per nulla, è docente di storia delle istituzioni militari, con questo libro si è assunto l’ ingrato compito di far intendere agli italiani ,che, se vogliono capire il presente, non possono permettersi di ignorare la storia, quella vera degli storici, non le narrazioni alterne della politica.

Questo significa che ,diversamente da quello che, dalla fine della guerra ,l’anno prossimo saranno 80 anni, recita la narrazione corrente, la guerra medesima l’abbiamo persa, con delle conseguenze che hanno pesato su quegli 80 anni passati in modo massiccio.

Certo, possiamo fare finta di non sapere che in Italia, un paese straniero ,anche se alleato ,cioè gli Stati Uniti, egemone fra i vincitori della guerra, occupa sul nostro territorio nazionale qualcosa come 111/120 basi militari conosciute ,essendo quelle segrete sconosciute per definizione, con circa 13.000 soldati americani e relativi mezzi e armamenti.

E questo basterebbe per indurci a una certa riflessione.

Ma forse è ancora più strano che non si rifletta sul fatto, assolutamente basilare, che non si è mai visto nella storia un paese dalla parte dei vincitori, al quale alla fine viene strappata una parte consistente del suo territorio nazionale (Istria e isole dell’Adriatico etc.) costringendo centinaia di migliaia di italiani a lasciare le proprie case perdendo tutto, per rifugiarsi come esuli in altre parti del paese come è successo finita la guerra.

Perfino i testi scolastici sono reticenti su questo argomento, per non parlare dei connessi fattacci delle foibe.

Memoria oscurata perché così faceva comodo.

Basterebbero i fatti sopra citati a far capire a chiunque, che la guerra non l’avevamo affatto vinta e che quindi occorreva realisticamente elaborare quella sconfitta e non inventarsi narrazioni di comodo, per cercare di convincerci di un inverosimile contrario.

In perfetta buona fede, ed anzi dimostrando alta capacità politica, Alcide De Gasperi alla Conferenza di Parigi , fece un celebre discorso :”Sento che tutto tranne la vostra personale cortesia è contro di mè: è sopratutto la mia qualifica di ex- nemico che mi fa ritenere un imputato…...sento la responsabilità e il diritto di parlare come italiano democratico antifascista…”

Tra l’altro De Gasperi ebbe il coraggio in quello stesso discorso di criticare aspramente la cessione dell’80% della Venezia Giulia alla Jugolavia.

Ma purtroppo quel nobilissimo discorso venne preso a prestito per costruire una narrazione di comodo per tutte le forze politiche della nuova Italia.

Quello che era un brillante artificio dialettico usato dal più grande statista che l’Italia post fascista abbia avuto per cercare di ricostruire l’onorabilità del nostro paese ,cioè proprio la rivendicazione di essere lui un Presidente che era stato incontrovertibilmente antifascista e democratico per aggiungere che il popolo italiano non fu mai ex-nemico degli Alleati vincitori.

Inattaccabile la proclamazione dell’essere democratico e antifascista, tirata invece oltre al limite del verosimile, anche se di indubbia utilità politica in quella sede ,la successiva affermazione con la quale De Gasperi usò la propria onorabilità per coprire l’ intero popolo italiano, che secondo la storiografia ,non si era comportato proprio in modo così onorevole durante il venennio.

Nacque così la vulgata che dura tutt’ora : il popolo italiano non ha alcuna responsabilità per il ventennio, che sarebbe invece tutta ascrivibile a quel pazzo di Mussolini ed a quel mollaccione del Re.

Il popolo italiano è stato vittima di una dittatura violenta ,che gli impediva di ribellarsi.

Ma si riscattò comunque partecipando alla lotta di Resistenza.

Non furono i partigiani a “liberare “ le grandi città il 25 aprile?

Questa narrazione ha fatto comodo nel dopoguerra sia alle forze politiche di maggioranza, sia a quelle di opposizione e infatti è durata e sostanzialmente dura tutt’ora, peccato però che sul piano storico si rivela del tutto insostenibile per una serie di ragioni che il libro analizza con precisione e freddezza.

Inutile che dica che per ragionare su queste cose occorre preliminarmente acquisire un punto di partenza che dovrebbe essere ovvio : la storia non è né di destra né di sinistra, ma è quello che gli storici riescono a mettere insieme dall’analisi di documenti consultabili da tutti. Punto.

Su questa base ecco alcuni punti fermi :

Mentre in altri paesi (Francia e Paesi nordici il nazifascismo è stato imposto con l’occupazione militare, l’Italia il fascismo lo ha inventato ed ha cercato di esportarlo a volte con successo.

L’analisi storica ha appurato che almeno per il primo ventennio il fascismo non è stato imposto a tutti con la forza, ma ha goduto di un consenso di popolo vastissimo, anche se usava la forza degli squadristi e degli arditi, che si ispiravano a una filosofia aberrante, ma questa è una ulteriore aggravante della responsabilità del popolo di allora.

Non è quindi sostenibile la tesi comune del popolo “vittima” della violenza fascista e quindi senza alcuna responsabilità.

E’ vero che la Resistenza limitata geograficamente al Nord, ha salvato la nostra dignità da un punto di vista morale, ma da un punto di vista militare ,non ha rappresentato niente di più di un classico moto di guerriglia, diretto a creare difficoltà alla logistica dell’esercito tedesco.

I limiti numerici del resto sono impietosi.

Il popolo era da un’altra parte.

Questo non significa affatto che quasi tutti fossero fascisti, no questa non è per niente la lettura accreditata dalla storia, beninteso però riferendoci agli anni della guerra e sopratutto dal 43 al 45.

Il popolo era in gran parte identificabile con l’enorme plotone della zona grigia, tutta dedita al proprio privato, che aveva una priorità assoluta : il desiderio della fine della guerra il più presto possibile, evitando di spingersi in scelte di qua o di là.

Finita la guerra, la narrazione vittimistica che esentava dall’assunzione di responsabilità è stata aiutata da più fattori:

Faceva comodo sostanzialmente a tutte le forze politiche;

Era favorita dagli alleati ,che davano la priorità al raggiungimento della massima stabilità possibile e quindi tendenzialmente favorivano il riferimento alla classe amministrativa e dirigente esistente;

Il clima sopra descritto ha portato alla scelta scellerata o saggia è tutto da vedere, di evitare di fatto di fare epurazioni e di dichiarare invece la famosa amnistia di Togliatti, ministro della giustizia, diversamente da quello che avvenne allora nella vicina Francia e nei paesi nordici ,che realizzarono una epurazione abbastanza drastica.

Uno dei capitoli più interessanti del libro metto in evidenza una lista di incredibili, obiettive assurdità derivanti dalla mancata epurazione che favori un indecente trasformismo: dal presidente della Tribunale della Razza, che diventa presidente della Corte Costituzionale : al direttore del carcere ,dove erano rinchiusi alcuni dei principali leader antifascisti ,che diventa questore di Milano, al tempo del presunto suicidio di Pinelli, eccetera.

Forse Togliatti aveva un poco esagerato.

Perchè aprire gli occhi sulla realtà storica e superare la poco verosimile vulgata basata sul vittimismo ?

Non certo per volontà di sottoporsi a inutili fustigazioni masochistiche, alle quali siamo del resto avvezzi in altri settori.

Ma perché come oggi fortunatamente spingono le opere di autori che trovano sempre più diffusione e favore ,da Antonio Scurati, a Lucio Caracciolo ad Alessandro Barbero, prendere atto della realtà storica, facendo così “ i conti col passato fascismo” ,ci consentirebbe di analizzare i fatti per cercare di capire perché i nostri nonni e non i marziani, hanno inventato il fascismo e poi l’hanno praticato volenterosamente in massa per lungo tempo.

Questo serve per individuare vizi atavici pericolosi, per poterli curare come una malattia.


venerdì 16 febbraio 2024

Francesco Billari : Domani è oggi – Costruire il futuro con le lenti della demografia Ed. Egea – recensione

 



Che il rettore della Bocconi si impegni a scrivere un breve e leggibilissimo saggio sulla sua materia è già solo questo un ottimo segno.

Voglio dire che l’accademia per antonomasia si apra cerando di spiegarsi e di riassumere il succo delle proprie competenze non è cosa poi così comune per l’università italiana.

Ben venga allora questo saggio di estrema utilità per chi tiene ad informarsi da fonti sicure e non si accontenta dei soli media o dei social.

Dopo averlo letto questo libro immagino che l’autore, come tutti gli autori si augura di essere letto da quante più persone possibili, ma amerebbe particolarmente che se lo leggessero ,o meglio studiassero i politici e sopratutto quelli al governo.

Perchè la demografia, che per il nostro paese significa andamento demografico negativo, è un problema dei più seri e se non affrontato è destinato a peggiorare.

Per ragioni non facili da spiegarsi, questo problema è affrontato in modo marginale e occasionale, anche perchè non è sostanzialmente compreso nella sua gravità a livello di opinione pubblica.

Le abitudini mentali consolidate sono difficili da scuotere.

Eravamo abituati a goderci decenni di pace e di prosperità e ci eravamo illusi che quella situazione fosse destinata ad essere eterna.

Poi, dalle strampalate guerre americane ,tutte regolarmente perse, anche se ben vendute con le giustificazioni più nobili,ha cominciato a manifestarsi l’incapacità della potenza egemone di fare il poliziotto del mondo,quando la medesima non è è più riuscita a contenere instabilità, rancori, paure e guerre, nate come limitate e regionali, ma poi divenute di estrema pericolosità.

La guerra mondiale a rate, lo slogan buttato là da Papa Francesco ,riassume bene la situazione.

In questa situazione ogni paese è costretto a chiedersi : ma noi come stiamo? Cosa contiamo nel mondo e cosa dobbiamo fare per garantirci un minimo di sicurezza?

Come sappiamo ,proprio a causa di questa situazione di palese cambiamento degli equilibri precedenti e di instabilità, mai vista prima, per cercare di capirci qualcosa di serio, la gente ha cominciato ad accostarsi all’analisi della geopolitica.

Eccoci allora al dunque.

La geopolitica rimanda ai fondamentali dei tempi lunghi ed in particolare alla demografia, come punto di forza o di debolezza di una nazione.

Ecco perché prendere sul serio la situazione demografica e le sue tendenze di lungo periodo è diventato di primaria importanza.

Il Prof. Billari ,cita nelle prime righe della sua esposizione, la metafora di Alfred Sauvy, demografo francese ,che invitava a pensare alla demografia ,fissando l’attenzione a un orologio analogico con le tre lancette di rigore : quella veloce dei secondi; quella più lenta dei minuti e quella ancora più lenta delle ore.

Ebbene, diceva Sauvy, la politica si muove come la lancetta dei secondi, troppo veloce per cogliere i movimenti di fondo; l’economia invece si muove come la lancetta dei minuti, coglie periodi più lunghi; mentre la demografia si muove come la lancetta delle ore, scandisce movimenti di lungo periodo, che avranno l’influenza maggiore sulle vite delle persone.

L’analisi del libro è molto penetrante e puntuale anche nella scelta delle rappresentazioni grafiche più opportune per rendere i concetti esposti immediatamente comprensivi.

La rivoluzione demografica che è partita dagli anni dell’Unità d’Italia ha visto periodi di grande espansione, anche se caratterizzati da flussi di emigranti italiani molto pesanti nei primi anni del 900, per non parlare delle spaventose perdite, patite a causa delle due guerre mondiali.

Poi la ripresa con gli anni del boom economico e poi l’avvio a un lento declino.

Ecco allora il passaggio da un grafico a piramide a uno a forma di nave.

Il Prof. Billari ha il pregio di saper evidenziare bene la situazione di fatto, ma nel contempo l’abilità di saper proporre le famose riforme di struttura, che ritiene sarebbero efficaci e comunque non rinviabili in due settori fondamentali : anzitutto la scuola con un l’introduzione di una scuola superiore, con una struttura unica, per dare una formazione di base universale ,pur riconoscendo la necessità di conciliare le diverse attitudini e interessi degli studenti.

Poi un sostanziale superamento della normativa esistente per l’immigrazione legale e programmata che si avvicini alle cifre che uniche garantirebbe un equilibrio demografico.

L’aritmetica non è né di destra né di sinistra, è quella per tutti.


sabato 10 febbraio 2024

Pierantonio Gallu OBIETTIVO CINA: La guida per entrare, fare business e crescere nel più grande mercato del mondo. Editore Chanell Marketing – recensione


 

Mi sono avvicinato a questo libro senza avere alcuna intenzione di andare a piantare una attività in Cina, dal momento che non gestisco alcuna attività commerciale.

Questo è un libro esplicitamente dedicato a chi opera sul mercato, con finalità molto pratiche, nel senso che è scritto da un manager ,divenuto consulente, che ha sviluppato una sua lunga esperienza sul campo, e che ha ritenuto utile utile rivolgersi sopratutto a gestori di piccole e medie imprese italiane, che hanno in programma di sbarcare in Cina, per evitare loro di commettere errori pacchiani ,che sarebbero destinati a fare perdere, invece che guadagnare soldi.

Il mio personale campo di interesse ,come sa chi ha la bontà di seguire questo blog ,è prevalentemente la geopolitica, e quindi mi sono interessato a questo libro con il solo scopo di cercare notizie di prima mano sulla Cina da chi ha maturato una seria esperienza sul campo.

Seguendo questa chiave di lettura ,ho trovato diverse dritte di primario interesse.

Anzitutto, ho molto apprezzato il consiglio base elargito da Gallu : se volete portare in Cina la vostra attività, avvicinatevi facendo subito un esercizio di umiltà ,che significa spendere il tempo dovuto,cioè molto di più di quello che pensate, per farvi un’idea seria di cosa sia un mondo di valori ,cultura e usi, ben diversi da quelli che ci sono abituali in Occidente.

Partiti col piede giusto, mettete in pratica quello che avete appreso, tenendo sempre in mente che quelli che volete raggiungere come clienti del vostro business ,ragionano da cinesi e non da occidentali.

Un analista di geopoltica direbbe esattamente la stessa cosa : se volete capire i cinesi cercate di ragionare da cinesi, perché se se aveste l’arroganza di giudicare quell’immenso paese ,con i parametri nostri ,sarete destinati a non capire niente ad a cadere da un equivoco a un altro.

Gli esempi che porta Gallu sono moltissimi.

I cinesi ,a differenza di noi occidentali, tendono a tenere molto più vicine e intrecciate attività di business e vita privata e quindi tengono in conto in modo primario la conoscenza personale e diretta, abbastanza sviluppata, tanto da consentire loro di acquisire o meno un senso di fiducia personale, prima ancora che professionale.

Rimando al libro i consigli praticissimi su come approcciarsi alle lunghe cene di lavoro, di prammatica in quel paese.

Dall’etichetta che impone di seguire criteri gerarchici nel salutare i commensali, all’atteggiamento di ascolto (molto apprezzato) al dimostrare di avere le idee chiare sull’attività ,che si vuole portare in Cina, non solo a parole, ma presentando un business plan, scritto nel modo dovuto.

A differenza di quello che comunemente pensiamo,ci viene detto che la lingua inglese è diffusa solo ai livelli alti e quindi il materiale di presentazione e accompagnamento va redatto in cinese corretto.

Anche a questo proposito, Gallu ripete l’esortazione a non improvvisare mai ed a servirsi per ogni cosa di professionisti cinesi in loco, perché è indispensabile prestare molta attenzione a tutto quello che significa tradurre in cinese, che richiedendo traslitterazione ,va ben ponderato con professionisti locali ,per non incorrere in disastrosi equivoci dovuti a fonetiche con significati per loro negativi o ridicoli.

Un’altra dritta importante ,dovuta a diversità culturali ,è il valore dato ai contratti.

Per noi il contratto è tutto, con valore sacrale, per loro, è solo una dichiarazione di orientamento, in fieri ,e quindi soggetto a cambiamenti, in relazione alle mutanti condizioni di mercato.

Attenzione anche ai colori : per loro il rosso va sempre bene come il blu, mentre il bianco non va bene affatto, essendo accostato alla morte.

Stesso discorso per i numeri : attenti al 4, da evitare per la stessa ragione del bianco.

Gallu ,ovviamente, non da queste indicazioni per rendere interessante la narrazione con spunti esotici, ma perché sono elementi assolutamente basilari ad esempio per la scelta del brand, del logo aziendale eccetera.

Ma non mi dilungo e rimando alla lettura del libro, che molto opportunamente riporta anche un accurato riassunto, capitolo per capitolo.

In conclusione ribadisco che anche per chi ha interessi non strettamente legati ad aprire una attività in Cina , la lettura di questo libro è utile, perché costituisce una buona occasione per arricchire la nostra conoscenza della mentalità cinese.







sabato 3 febbraio 2024

Domino Rivista sul mondo che cambia : Taiwan l’isola che non c’è. Ufficialmente inesistente Taipei è contesa fra Washington e Pechino. Possibile scintilla della guerra mondiale n.1 20024 – recensione

 


Se c’era un modo per poter rendere comprensibile, nei suoi fondamentali, una delle situazioni geopolitiche , mi si passi il termine, più incasinate del mondo, come è Taiwan , si direbbe, che questo numero di Domino c’è riuscito brillantemente.

Fabbri, come è nel suo stile asciutto e diretto, ha scelto l’unica via possibile.

Descrivere le cose come stanno, per spiacevoli , contro-intuitive e politicamente scorrette, possano essere.

Se qualche lettore vuole ascoltare il mio consiglio, cioè di uno che da quando è uscito Domino non si è mai perso un numero e tutti li ha recensiti, si fotocopi l’ultima e la penultima pagina dell’editoriale di Fabbri e, non dico se le metta in quadro, (anche se lo meriterebbe) ma se le tenga a portata di mano ,perchè è un formidabile sunto, lui che parla difficile ,per vocazione, direbbe sinossi, di geopolitica da tenersi a mente prima di avventurarsi nell’analisi di qualunque situazione o regione geografica.

Il titolo del volume è azzeccato perché riassume la commedia dell’assurdo che si è impossessata di questa area del mondo.

Taiwan, l’isola che non c’è.

Fa bene Fabbri a mettere in chiaro che se è vero che il vero oggetto del contendere strategico fra le due superpotenze, Usa e Cina è proprio Taiwan e che purtroppo nessuno può dire che mai la contesa potrebbe spingersi a fare scoppiare la terza guerra mondiale, né all’uno né all’ altro interessa veramente mettere le mani sulla terra o sulle cose di Taiwan, industria dei preziosissimi microcip compresi.

In realtà a nessuno dei due interessa alcunchè dei taiwanesi.

E allora? Cosa vogliono?

Se, prima di cercare una risposta, il lettore pensa con la logica della geopolitica, ci arriva facilmente.

L’unica loro preoccupazione è controllare lo stretto, il collo di bottiglia, abbastanza ampio 160 km.

Ma non abbastanza per le capacità delle flotte moderne.

Il problema quindi è avere il controllo o comunque impedire che l’altro egemone o aspirante egemone ci metta le mani o più realisticamente la flotta.

Nel modo come siamo abituati a ragionare oggi ,con mentalità economicista e per di più di nazioni terragne e non talassocratiche, riesce difficile assegnare il massimo di valutazione al controllo di uno stretto, ma non dimentichiamoci che questo era ad esempio la visione del mondo della Regina Vittoria, dalla quale gli Usa non a caso hanno ereditato l’impero.

Altro elemento della commedia dell’assurdo al quale si stenta a credere è che gli interessati diretti, cioè i Taiwanesi, sono forse quelli che hanno le idee più confuse.

E se hanno le idee confuse i diretti interessati, figuriamoci noi.

Disabituati a studiare storia e geografia con la serietà che le due materie richiederebbero, per quanto riguarda il nostro mondo europeo o occidentale, figuriamoci quando dobbiamo rivolgerci all’Asia, andiamo subito nel panico.

Comunque ,ragionando a spanna,siamo portati a credere che da sempre su quell’isola siano vissuti dei cinesi.

Errore, apprendiamo da questo volume, c’erano dei nativi che non erano affatto cinesi , i cinesi veri erano stati portati lì relativamente da poco e precisamente dalla compagnia delle indie orientali dagli Olandesi, come mano d’opera a bassissimo prezzo.

Poi nel seicento l’impero cinese occupò l’isola.

Successivamente nell’ottocento (il secolo delle umiliazioni per i cinesi) arrivarono i giapponesi.

Persa la guerra quest’ultimi ,gli alleati favorirono l’occupazione dell’isola da pare delle truppe del Kuomintang, sconfitte dalla rivoluzione comunista cinese di Mao e sempre i medesimi alleati, guidati dagli Usa riconobbero come unico legittimo regime cinese proprio quello isolano di Chiang Kai Shek ,capo del Kuomintag, che instaurò un regime ultra nazionalista e tutt’altro che democratico.

Infine arrivò la sottile mossa di Kissinger che convinse Nixon a mettersi d’accordo con la Cina per isolare la Russia, che era ancora URSS, nel pieno della guerra fredda.

Venne di conseguenza la fine dell’appoggio a Taiwan ,anzi addirittura la fine del riconoscimento di Taiwan ,perché questo era il prezzo da pagare ai Cinesi.

Ma Kissinger ,erede delle sottigliezze machiavelliche dei Richelieu e dei Talleirand aveva giocato la solita carta della doppiezza.

Infatti gli Usa riconoscevano (acknoweledge), ma non accettavano esplicitamente in Pechino una sola Cina.

E la commedia va avanti così fino ad oggi.

La partita è talmente scivolosa e assurda che i taiwandesi si sono saggiamente del tutto assuefatti a considerare l’equivoco in atto il minore dei mali e di fatto si predispongono a fare durare il più a lungo possibile la situazione così com’è.

Naturalmente Fabbri dà il palinsesto, ma poi l’analisi è sviluppata in modo dettagliato da una serie di saggi che esaminano non solo la situazione di Taiwan, ma come le altre nazioni della regione hanno reagito a quella situazione.