martedì 27 aprile 2021

Adriano Madaro : capire la Cina – recensione

 





Affrontare un libro di 684 pagine è obiettivamente sempre un po un impresa.

L’argomento è di estrema attualità, d’accordo, ma va anche detto che sulla Cina sappiamo tutti veramente poco se non molto poco.

L’autore apprendiamo che è l’unico non cinese che è stato accolto come membro dall’Accademia di Cultura Cinese e quindi è un qualificatissimo sinologo, temo però poco conosciuto in Italia.

Non nascondo quindi le difficoltà che potrebbe incontrare un libro del genere.

Ma senza eccedere nell’enfasi dopo averlo letto ritengo che sia un testo veramente essenziale proprio perché colma un vuoto incomprensibile.

Di Cina hanno scritto giornalisti di primo piano che si erano talmente innamorati di quella antichissima civiltà da averci soggiornato a lungo in qualche caso condividendone anche spiritualità ed usi.

Come non ricordare autentici personaggi come Tiziano Terzani , Federico Rampini, Alberto Forchielli che ci hanno comunicato delle pennellate formidabili su singoli aspetti della Cina.

Ma Madaro ha voluto andare oltre e offrirci una trattazione quasi sistematica su storia, economia, politica, ma sopratutto filosofia e cultura.

Le istituzioni universitarie che preparano i nostri aspiranti diplomatici chiariscono subito senza mezzi termini ai candidati che chi ha intenzione di dedicarsi all’Asia deve avere una particolare inclinazione positiva verso la filosofia e l’antropologia, perché l’Asia è un universo del tutto diverso e quindi se non ne comprendi l’anima è meglio lasciar perdere.

Ecco, Madaro questo concetto lo ritrasmette in ogni pagina.

Quello che pensiamo di sapere della Cina è verosimilmente del tutto falso, frutto di luoghi comuni , pregiudizi e propaganda della super potenza americana ripetuta per decenni.

Solo pochi mesi fa il Segretario agli Esteri di Donald Trunp, Mike Pompeo ha avuto la protervia di andare in Vaticano a dire che le intese con la Cina intessute da Papa Francesco con un lavoro certosino durato chissà quanto andavano assolutamente cambiate.

Questo non è un fatto isolato ma solo l’ultimo tentativo della superpotenza Usa di far fare al mondo quello che ritiene sia il suo interesse nazionale mettendo sul piatto della bilancia la sua ancora pesantissima influenza, come fa da decenni, spacciandosi per supremo difensore dei valori occidentali.

Madaro evidentemente non ha temuto di finire nella lista nera della Cia quando ha dato finalmente in questo libro una versione documentata completamente diversa rispetto alla vulgata comune sui fatti di Hong Kong, la “rieducazione” della minoranza islamica degli Uiguri, e giù giù fino ai fatti di Tien An Men del 1989, si direbbe con qualche diritto, visto che lui in quella piazza e in quei momenti lui era presente e magari a differenza di altri colleghi non scriveva da grandi alberghi ascoltando i notiziari internazionali.

Il libro se pure ponderoso è costruito in modo intelligente e certo non annoia mai né distoglie l’attenzione del lettore.

Riporta in continuità la storia dei lunghissimi rapporti dell’autore con quel paese, fin da quando ne avvertiva le prime fascinazioni ancora da bambino.

Poi iniziando da studente la corrispondenza con un “amico di penna” cinese che conosceva l’italiano.

Fino ad arrivare al primo viaggio in Estremo Oriente nel 1979.

A questo punto ci offre una prima serie di reportage sulla Cina di quei tempi, solo tre anni dopo la scomparsa del Grande Timoniere MaoTze Dong, e quindi ci da una sua precisa narrazione dell’opera dell’uomo senza il quale non esisterebbe la Cina che conosciamo.

Già questa parte è fondamentale perché se non si capisce che la Cina ha una sua cultura millenaria che procede coerente a sé stessa nei secoli, non si capisce la assoluta peculiarità del comunismo cinese che nulla aveva a che spartire con quello dell’Est Europeo.

Mao era un genio della politica che seppe buttare a mare l’oscurantismo feudale che aveva causato la decadenza spaventosa del suo paese dopo la caduta dell’Impero ,conservando la sostanza di quella filosofia- religione laica che si era elaborata nei secoli.

E così mentre il comunismo sovietico era condannato a perire sopratutto a causa del perverso dogmatismo che lo aveva ingessato, il “Mao pensiero” era sempre aperto alla sperimentazione di forme nuove e pronto a rimodellare modelli che non funzionavano con assoluto pragmatismo.

Dalla tradizione confuciana Mao non aveva espulso il concetto base di meritocrazia che aveva sempre improntato quegli esami imperiali posti a base della formazione della burocrazia imperiale, che Voltaire il padre dell’illuminismo aveva fortemente lodato, dopo averli studiati.

Non mi avventuro nei meandri della storia cinese nemmeno di quella contemporanea, il lettore potrà avvicinarcisi traendone grande piacere leggendo il libro di Madaro.

La seconda parte del libro del quale parliamo è costituita da una ulteriore serie di reportage datati diversi anni dopo il primo viaggio, quando l’autore era tornato in Cina con una delegazione di giornalisti italiani che comprendeva un Enzo Biagi che invece in Cina ci andava per la prima volta.

Siamo non solo negli anni del dopo Mao e della definitiva composizione della Rivoluzione Culturale ma in quella nuova Rivoluzione quando sotto la ferma guida di Deng Xiaoping veniva scoperto quell’unicum di socialismo aperto al capitalismo, che in pochi anni doveva portare la Cina a una serie di successi non solo economici forse unici nella storia per dimensioni e rapidità di realizzazione.

Si arriva quindi ai giorni nostri con una nuova ed ultima serie di reportage che ci testimoniano quanto abbia incredibilmente progredito quell’enorme paese.

Al punto che città di milioni di abitanti che Madaro descrive come nuovi assi portanti di un imminente ulteriore fortissimo sviluppo nemmeno si trovano su carte geografiche non aggiornate.

Ma questa è la Cina di oggi.

Le nozioni che si acquisiscono dal libro sono veramente moltissime e di notevole peso.

Direi però che dove il libro medesimo non fallisce e dove diventa insostituibile è nell’arrivare a trasmetterci per quanto possibile il senso dell’anima della Cina.

E’ come se Madaro ci consegnasse la chiave, la password per entrare in un universo che diversamente ci rimarrebbe precluso.

Ecco per arrivare a questo Madaro ha fatto bene a trovare il modo meno pesante possibile di partire dall’inizio, perché la Cina è quello che è per il fatto che le sue origini si perdono nella notte dei tempi.

Madaro giustamente ripercorre la storia parlandoci di imperi paralleli che sapevano l’uno dell’esistenza dell’altro, che si sono cercati ma che non risulta abbiano avuto la opportunità di incontrarsi come avrebbero voluto.

L’Impero Romano e l’Impero Cinese.

I senatori romani avevano il privilegio di vestire una toga bianca ornata di porpora e questa toga era di seta.

Ecco è detto tutto perché tutti sappiamo da dove veniva quello strano tessuto pregiato.

L’Impero Cinese aveva una tale estensione ed era dotato di tali ricchezze che a differenza di quello romano non aveva mai avuto nel suo DNA la spinta verso una espansione di conquista per la semplice ed elementare ragione che non ne aveva alcun bisogno.

Ecco questa prima osservazione è capitale perché la pluri- millenaria storia cinese non è storia di guerre di conquista.

La chiusura la lunghissima chiusura in sé stesso di quell’impero derivava dal fatto che era assolutamente autosufficente.

Ma tutt’altro che privo di cultura e di interessi culturali.

Senza di quella curiosità non sarebbero mai stati ricevuti né Marco Polo, né Matteo Ricci.

Era un impero forte che si difese dalle possibili invasioni dei barbari dal Nord con l’unica opera umana che si vede dalle stazioni spaziali, la Grande Muraglia iniziata nel 215 avanti Cristo.

Per resistere nei millenni doveva esserci una straordinaria forza di coesione.

Ecco un’altro elemento da cogliere che fa della Cina quello che è.

Questo elemento è di natura filosofica ed è essenziale perché è molto diverso dai principi fondamentali della nostra filosofia occidentale greco-romana cristiana, tutta basata sull’individuo, sulla priorità data alla persona.

La filosofia cinese è invece basata sulla priorità della comunità.

L’individuo trova la sua dignità non in sé stesso ma nella sua partecipazione alla comunità sociale.

Ecco questo è un punto sul quale fermarsi a meditare, perché il libro di Madaro lo spiega bene è inutile discettare di diritti umani e democrazia coi cinesi come se fossero dei barbari che vanno civilizzati se non si capisce che il loro punto di vista è diverso e diverso resterà.

Il dialogo è impossibile e addirittura inutile se non si approfondisce prima questo punto.

Del resto nelle nostre stesse radici filosofiche greche vediamo che il concetto di democrazia è stato sottoposto da Platone ad una analisi critica molto profonda, usando una logica stringente.

Probabilmente lo stesso Platone, come Voltaire sarebbe stato estasiato dall’applicazione rigorosa del principio della meritocrazia sacro alla storia cinese che non si discosta dal governo dei filosofi o dei sapienti che teorizzava Platone.

Madaro torna spesso su questo tema che, capisco sconcerta non poco perché non siamo abituati a fare questo genere di riflessioni.

Alla fine del libro il lettore acquisisce alcune dritte fondamentali ,che ben valgono la fatica di leggerlo:

- la Cina non ha nel suo DNA antichissimo il concetto di conquista e di invasione, non ce l’ha mai avuto e quindi tranquilli il pericolo giallo è un’invenzione propagandistica.

Ovviamente però la Cina stessa è conscia della sua attuale posizione di grande potenza e quindi contesta agli Usa la pretesa di essere il gendarme del mondo che vuole esportare la sua democrazia.

Vuole semplicemente vivere in un mondo multipolare e non monopolare.

-la Cina ha una sua millenaria filosofia che è diversa dalla nostra.

Per dialogarci dobbiamo cercare di conoscerla di capirla e di trovare gli elementi di vicinanza.

Leviamoci però dalla testa che i Cinesi siano disposti a convertirsi al nostro concetto di democrazia e di priorità dell’individuo.

-nel Dna della Cina che il Mao pensiero ha rilevato e acquisito c’è una plurimillenaria consuetudine alla sperimentazione ed alla riforma dei modelli in senso pragmatico.

Questo è un elemento utilissimo per dialogare coi Cinesi.

-tutt’ora per accedere alla cariche supreme e non del Partito Comunista Cinese occorre superare dei concorsi altamente selettivi e meritocratici, che derivano direttamente dai famosi esami imperiali.

Non trascuriamo quindi il fatto che incontrare una delegazione ufficiale cinese vuol dire trattare con tecnici al massimo livello di preparazione.

Per rimanere in Italia Ministri degli esteri come Fini o DiMaio in Cina proprio non ce ne possono essere.


venerdì 9 aprile 2021

Alexandria Ocasio-Cortez . A Biography by Laurie Collier Hillstrom – recensione

 



Un ottimo volumetto Greenwood Biographies redatto in uno stile quasi didattico fatto apposta per non fare perdere tempo al lettore fornendo l’essenziale,ma intendiamoci un essenziale scelto in modo accurato.

Ogni capitoletto è seguito non tanto da note ma da rimandi a link per approfondire gli argomenti.

Siamo finalmente nel mondo moderno.

E del resto il personaggio del quale si parla è la quintessenza della modernità non solo perché è una millenial, ma perché essendo la prima persona che….in una serie di settori è arrivata ai vertici istituzionali della politica americana con l’effetto di un tornado.

Più giovane congresswomen di tutti tempi.

Arrivata ad essere eletta con una maggioranza bulgara nel 14° distretto del Bronx, New York con un programma politico autenticamente socialista.

E’ nata da genitori portoricani di prima immigrazione e quindi si ritrova ad essere lievemente di colore ma abbastanza da non essere percepita come bianca in quella società ancora incapace di scrollarsi di dosso i pregiudizi razzisti.

E’ quindi inscritta di diritto sia nella minoranza dei cittadini di colore sia in quella dei Latinos.

Quando l’eterea figlia di Trump né criticò il presunto estremismo di sinistra , Alexandria non faticò a twittarle una risposta al vetriolo nella quale diceva che lei, a differenza di altri non aveva avuto bisogno di leggere delle condizioni dei lavoratori “second hand” ma le aveva sperimentate in casa sua e nel suo vicinato.

E’ noto infatti che per sbarcare il lunario aveva continuato a lavorare come bartender fino alle primarie che poi l’hanno portata al Campidoglio.

Leggendo la sua biografia si capisce che il fondamento del suo impegno politico è tutto qui, nell’aver sperimentato sulla sua pelle che nell’America del sogno americano ,che garantirebbe a tutti per definizione le medesime condizioni di partenza, le cose stanno in modo completamente diverso.

Dato che al contrario il destino di ogni americano sta scritto come scolpito sulla pietra una volta per tutte nello Zip,il codice postale che denuncia il quartiere nel quale uno è nato e che determina di fatto il destino di ognuno.

In quali scuole potrà studiare , in quali ospedali potrà essere curato, quali amici potrà frequentare.

Come altri leader progressisti nel mondo Alexandria ha capito che le porte verso l’ascensore sociale si aprono o si chiudono a secondo del livello di istruzione che uno riesce a conseguire.

In un sistema capitalistico liberal-privatistico stretto come quello americano c’è un blocco sistematico.

La scuola se riceve finanziamenti pubblici questi derivano dalle tasse sulle case.

Ne deriva che se il quartiere è di basso reddito, il gettito di quelle tasse sarà basso ed a scarsi mezzi poi corrispondono bassi livelli di offerta formativa, perché gli insegnanti bravi vogliono essere pagati proporzionalmente alle loro abilità come è giusto.

E’ il gatto che si morde la coda non c’è via di uscita a meno di cambiare il sistema.

Bisogna cambiare il sistema di finanziamento delle scuole con un sistema di “free tuitition” diversamente si cristallizza una situazione classista senza sbocco, questa è un po l’architrave della visione politica di Alexandria.

A stretto giro di posta subito dopo viene la richiesta di azzerare i debiti di studio.

Questi sono un altra stortura tipicamente americana, perché lì si fa finta che tutti i meritevoli possano accedere alla istruzione dei loro sogni, ma a patto che si indebitino pesantemente.

Si calcola che mediamente, dopo la laurea, ammesso che riesca a trovare lavoro, ogni ex studente dovrà versare almeno 300 $ al mese per almeno dieci anni di seguito alla banca che gli aveva concesso il prestito indispensabile per pagare le rette del college.

Quando vengono i periodi di vacche magre, è chiaro che quel debito pesa tanto da impedire ai giovani provenienti da famiglie non abbienti , di fare un mutuo per comprarsi una casa e peggio che peggio per avere figli.

Passando al mondo del lavoro Alexandria chiede la fissazione del salario minimo garantito ad almeno 15 $ l’ora per prima cosa ma per passare quanto prima a una forma di salario universale da versare a tutti i disoccupati da usarsi come corrispettivo di un impiego nel settore pubblico per lavori diremmo noi socialmente utili.

Ovvio che non può mancare in una visione politica come quella di Alexandria la richiesta di assistenza sanitaria gratuita per tutti quelli che non possono permettersi un’assicurazione.

Così come non può mancare un “New Green Deal”, cioè azioni concrete per contrastare con investimenti adeguati il cambiamento climatico bloccando per quanto possibile l’emissione di gas nocivi all’ambiente.

La richiesta di un completamento dei diritti civili poi, è quasi ovvia per una esponente di due minoranze che tra l’altro in certi stati stanno scalando la maggioranza già oggi.

In questo ambito ci sono ovviamente i diritti delle donne ed degli LGB.

Un attenzione particolare però Alexandria ha sempre dato alla condizione dei minori immigrati senza documenti o figli di immigrati senza documenti.

Last but not least per l’esponente di una generazione che era totalmente sfiduciata e disgustata dalla degenerazione del sistema politico americano, la richiesta di limitare drasticamente l’influenza lobbistica delle corporation, impedendo finanziamenti ai candidati ed ai partiti oltre un certo limite, a cominciare dalle lobbies delle armi.

Lei per dare il buon esempio li ha rifiutati e basta dimostrando che si può fare politica finaziandosi solo con una vasta platea di micro finanziamenti provenienti dai singoli sostenitori.

Ho riportato solo un elenco approssimativo, ma questa biografia va letta così com’è per gustarsi la ventata di aria fresca che viene dall’esperienza di Alexandria.

Aria fresca per cancellare il disgusto per l’aria fritta che proviene immancabile dalla corrispondente sinistra europea, che se vuole da Alexandria può imparare tutto quello che c’è da imparare.


venerdì 2 aprile 2021

Dan Morain A proposito di Kamala. Una vita americana – recensione

 





Ecco arrivata puntuale una buona biografia della nuova Vice Presidente americana.

Non è una biografia ufficiale o autorizzata anche perché il personaggio del quale si parla aveva già provvisto a scriversi una autobiografia.

L’autrice è una affermata giornalista molto ben inserita nell’ambiente, capace di attingere ad ottime fonti, che regolarmente cita nel libro.

Questo a mio avviso è un grosso vantaggio per il lettore , perchè obiettivamente il personaggio pubblico che si cerca un gost-writer per produrre una autobiografia, per obiettivo e corretto che sia è ben difficile che sia disposto a lavare i propri panni sporchi in pubblico, peggio ancora se al momento della redazione della biografia è ancora in corsa per qualche carica importante.

Figuriamoci poi nel caso in questione nel quale Kamala Harris è la più ovvia candidata democratica alle elezioni presidenziali del 2024, stante il fatto che Joe Biden risulta essere suo malgrado il più anziano presidente nella storia degli degli Stati Uniti e quindi non è sensato che pensi di poter concorrere a un secondo mandato.

Il personaggio è di primissima grandezza.

Ha a suo favore una serie di qualità che hanno contribuito a lanciarla così in alto.

Riesce simpatica alla gente sopratutto perché è dotata di una naturale empatia, tanto che la sua improvvisa risata ne è diventata la sua caratteristica più evidente.

E’ ben noto che i politici sono, perchè sono costretti ad essere degli autentici attori e quindi tutti, chi più chi meno recitano la parte del simpaticone così come viene individuata al momento dallo staff addetto alle loro strategie comunicative.

E quindi ogni politico è per buona parte un personaggio costruito artificialmente, che raramente riesce a mostrarsi come è nella realtà che lui solo conosce.

L’autrice però cita diversi episodi nei quali Kamala Harris si è spesa per dimostrare la sua vicinanza a persone che ne avevano bisogno dedicando loro del tempo assolutamente lontano dai riflettori e dai media, solo per adempiere a un suo imperativo morale.

Questo c’è da segnarselo sul taccuino , il personaggio ha una sua statura umana ed è capace di commuoversi senza bisogno di sfruttare tale sentimento per trarne immediato vantaggio mediatico.

Non è una qualità comune, le va riconosciuto.

Secondo asset a suo favore.

Ha un passato professionale tutto condotto per decenni nel campo di operatrice del diritto dalla laurea fino alla carica di Procuratrice Generale, oltre c’è solo la Corte Suprema per questo mestiere.

Ed è una che il suo mestiere lo sapeva fare e vi eccelleva anche per il livello di preparazione affinato negli anni e nei decenni.

Nel suo caso quindi la meritocrazia americana non è stata una favola.

Terzo genere di qualità che la favorisce e che in genere viene elencata per prima è il fatto che la Harris ha la pelle colorata ed è figlia di due indiani immigrati in America per migliorare la loro posizione da giovani.

Ecco la ragione per la quale elenco queste caratteristiche, di donna, cittadina di colore, immigrata anche se di seconda generazione e appartenente alla minoranza asiatica come terza e non come prima è perché la realtà non è esattamente come appare.

Dato per scontato che è donna e di colore, obiettivamente non può essere classificata come una povera immigrata.

Prima di tutto perché è immigrata di seconda generazione e poi perché i suoi genitori non erano affatto dei poveri diavoli.

Il padre era un alto funzionario del governo indiano e la madre una ricercatrice universitaria già formata e di un certo peso.

Questo va precisato, ma ciò non toglie che essere donna, di colore e appartenente a una minoranza sono cose ben diverse che essere maschio, bianco, protestante e laureato in una università della Ivy League.

Nel senso che per arrivare nello stesso posto occorre remare ben più forte.

L’America vera al di fuori degli stereotipi e delle leggende metropolitane non è solo ancora sinceramente razzista ma è anche parecchio classista.

E quindi onore al merito, per arrivare dov’è la nostra Kamala ha dovuto sudare le sette camice di prammatica.

Adesso però andiamo sul terreno di mezzo e poi su quello tendente al negativo.

Ma come, si potrebbe dire, come ha fatto un magistrato di carriera e quindi senza alcuna esperienza politica ad essere scelta come Vice Presidente ?

Errore di valutazione tipicamente italiano, perché non possiamo extrapolare cioè tradurre alla lettera in italiano istituzioni che sono profondamente diverse.

Perché, come è noto negli Usa gli Attorney, i corrispondenti dei nostri PM, sono magistrati e politici contemporaneamente, nel senso che vengono eletti insieme alle altre cariche pubbliche e che si devono sottoporre al meccanismo delle primarie di partito prima ed alle elezioni vere e proprie poi, presentando come programma politico i settori nei quali promettono di impegnarsi nella gestione della carica per la quale concorrono (es. : lotta alla droga ,oppure perseguimento anche della piccola criminalità, oppure lotta contro gli inquinatori dell’ambiente, oppure lotta ai crimini fiscali eccetera).

Diciamocelo sottovoce, la Harris che puntava altissimo e cioè direttamente alla Presidenza nelle primarie del 2016, avrebbe preferito arrivare a quella gara con un pitigree più nutrito e prestigioso, passando prima per la carica di governatore della California, ma non c’è riuscita.

Il libro non trascura certo la statura i meriti e le fatiche della Harris, ma è tutt’altro che una sviolinata a senso unico a suo favore.

Non risparmia affatto le annotazioni che favorevoli non sono.

Come procuratore la Harris è stata sì nel complesso guidata da una filosofia di fondo tendenzialmente progressista, ma è arrivata dove è arrivata anche perché si è sempre giocata le carte che aveva con molta accortezza esponendosi solo quando lo giudicava utile al conseguimento delle sue sempre elevate ambizioni e rimanendo neutrale o contraria anche sui temi tipici dei liberal se giudicava troppo impopolare appoggiarli in quel particolare momento.

L’autrice documenta ampliamene questo ricorso all’ambiguità forse inevitabile per chi vuol fare carriera e vuole farne tanta.

Diciamocelo chiaramente, la Harris ha sposato molte cause liberal di prima grandezza impegnandosi seriamente come quelle per il riconoscimento della parità dei diritti delle donne, degli LGB, l’accesso alle scuole di sufficiente livello per i non abbienti, contro il possesso indiscriminato di armi da guerra, la tutela dei minori eccetera.

Ma ha glissato su altre perché forse non poteva farne a meno per non rovinarsi la carriera, come ad esempio nei rapporti con la polizia, con la quale come procuratore non poteva tarpare le ali anche quando i comportamenti non erano certo esenti da critiche.

Il libro secondo me è un buon testo per capire sia il personaggio, sia la vita pubblica americana.

Ecco devo però confessare che questo ambiente della vita pubblica americana proprio mi ha sinceramente disgustato.

Qui da noi da buoni masochisti ci lamentiamo continuamente e ne diciamo di tutti i colori ai nostri politici che vediamo come corrotti fino al midollo.

Ma forse è molto meglio il nostro modo incasinato di fare politica rispetto alla finta assoluta trasparenza del sistema americano dove è di fatto ufficialmente pubblico in quanto reso noto al pubblico il prontuario di fatto per accedere alle cariche pubbliche.

Questo libro ci parla di 15 milioni minimo da spendere nelle primarie per concorrere alla carica di procuratore.

Figuriamoci per fare il senatore, il Governatore o il Presidente.

Le beghe correntizie del nostro CSM, messe in luce dal caso Palamara sono cose da educande rispetto al sistema americano.

Formalmente è trasparenza, ma scusatemi, che schifo.

Meglio Putin o Ximping?

No certo , ma troviamoci una via di mezzo.