giovedì 30 maggio 2013

Grillo ha perso: scampato pericolo per il regime dell’inciucio.




Il politico che si incavola non è un buon politico.
Per fare politica non è necessario essere spietati o cinici come era Andreotti, però bisogna saper essere e rimanere freddi altrimenti si sbaglia di sicuro.
Incavolandosi per la sonora sconfitta subita alle ultime amministrative Grillo ha peggiorato la situazione facendo quello, che un politico non dovrebbe mai fare: dare del fesso agli elettori.
Così facendo ha aumentato il risentimento dei suoi elettori delusi.
Non che quello che ha detto sia sbagliato in sé, tutt’altro.
È pacifico infatti che i ceti garantiti nel lavoro, come i pubblici dipendenti, i lavoratori a tempo pieno e tutti coloro che beneficiano della copertura di corporazioni, o di un vantaggio competitivo, come gli evasori eccetera, siano più portati ad accettare l’esistente e restii a cambiare, rispetto alle partite Iva, che fanno i conti perennemente al limite del rosso, ai cassintegrati, ai precari, agli esodati eccetera.
Ma che argomento del piffero è mai questo, che sostiene ora Grillo, la situazione sociale era questa, come sopra  descritto, anche quando nel febbraio scorso 8 milioni di italiani, compreso chi scrive, hanno votato per il movimento cinque stelle, e quindi non è per ragioni sociologiche che gli elettori che lo hanno votato prima sono rimasti a casa il 25 maggio scorso.
Ancora più debole è l’argomento usato da Grillo contro i media che aveva tutti messi per traverso.
Infatti erano tutti quanti contro di lui, anche prima perché i loro padroni, sono sempre quelli e li conosciamo.
Grillo compie un grosso errore, quando accampa scuse, invece che fare realisticamente autocritica.
Guai ad illudersi, in politica, che l’autobus possa passare due volte, se sbagli una scelta o non sfrutti un’occasione è difficile, che ti vengono concessi tempi supplementari.
È qui che i Grillini si devono interrogare.
Le occasioni  perse vanno richiamate e ci si deve riflettere sopra.
La débacle elettorale attuale e un segno di un forte dissenso del suo elettorato, verso l’eccesso di intransigenza e la totale mancanza di elasticità dimostrata in questi tre mesi.
D’accordo che tre mesi non sono pochi, ma sono pochissimi e che gli errori dei Grillini sono stati amplificati dai concomitanti errori di Bersani e soci di un PD  in disfacimento.
Ma il movimento cinque stelle non è riuscito a portare a casa nulla e questo è troppo poco.
Fare l’opposizione è più difficile che governare e dà meno visibilità, questo lo sappiamo tutti, ma il movimento cinque stelle costituisce una fortissima minoranza contro un governo penoso e squalificato.
Non mancano certo gli argomenti per ridicolizzare quotidianamente questo governicchio e le forze politiche logore e impotenti che lo sostengono.
Forza dunque, ma con ordine e con una strategia.
Ecco questo è il punto.
Invece che dare dei fessi agli elettori, occorre che Grillo si chieda qual è la ragione di fondo per un calo di consensi così consistente e repentino.
La gente probabilmente è diventata incerta nel riconfermare la fiducia nei cinque stelle proprio a causa di questo : la strategia che non è chiara per niente.
Gli elettori vorrebbero avere chiarimenti in proposito.
Ma davvero Grillo pensa che il suo movimento possa mirare da solo alla maggioranza assoluta, per creare da solo un nuovo sistema politico, oltre la democrazia rappresentativa e quindi superare i partiti tradizionali per basarsi invece sulla democrazia diretta usando il Web?
Se fosse così mille sarebbero le obiezioni da superare: il Web può essere facilmente manovrato, con il Web non si riesce a formare una classe dirigente, per votare sul Web occorre essere ben informati e così via.
Più pesanti ancora le obiezioni da superare sulla catena di comando del movimento, sulla sua trasparenza e democraticità, sul rapporto tutto da affrontare fra la gestione personalistiche e padronale di un uomo solo al comando, che appare all’elettorato sempre più sgradevole.
Ma sempre se così fosse e le tappe intermedie, sono previste o no?
Grillo è un autodidatta in politica, ma di sicuro sa benissimo che nella storia dei movimenti politici è emblematica la vicenda del comunismo.
Che è fallito nella sua realizzazione pratica sul campo, per il peccato originale presente nella teoria marxiana, che non si era premurata di sviluppare proprio il discorso delle tappe intermedie e del ruolo dello Stato nel periodo verso la realizzazione della rivoluzione proletaria.
Fatte le debite proporzioni, occorre che il movimento 5 stelle dia agli elettori due delucidazioni fondamentali:
1)-  si ritiene davvero di proporre un passaggio dal sistema rappresentativo, alla democrazia diretta? E si è così, con quali limiti e in quali termini.
2)-  si ritiene davvero verosimile puntare alla maggioranza assoluta per arrivare a un nuovo ordine, in un colpo solo, o si mettono in conto diverse tappe intermedie?
La strategia in politica è quello che distingue il dilettante o l’avventuriero allo sbaraglio, dagli statisti.
Grillo si deve chiarire le idee e darci delle risposte perché  delle scelte strategiche che poi derivano le scelte concrete compreso quella di fondo cioè si va  avanti nell’intransigenza assoluta oppure ci si  propongono delle tappe intermedie con necessità di cercandosi degli alleati?



venerdì 24 maggio 2013

La Chiesa è da intendersi come madre o come semplice mezzo? Grande Don Gallo. Ma se fosse riuscito a fare un passo oltre………




Se ne è andato a 84 anni uno dei più noti “preti da strada” italiani.
Nato sotto il cupo e trionfalistico pontificato tradizionalista di Pio XII, ha avuto almeno la soddisfazione di morire regnante quel papa Francesco, che ha cominciato ad aprire le finestre del Vaticano chiuse da decenni.
Ha iniziato la sua missione come un giovane pretino salesiano, lavorando nel riformatorio di Genova.
Dopo qualche anno i suoi metodi non furono apprezzati e fu allontanato.
Uscì dall’ordine salesiano.
L’uomo era attratto ovviamente dalla “cultura del fare” tipica dei figli di Don Bosco, ma non era certo tipo da digerire lo stile da caserma allora vigente.
Trovò poi la sua strada dedicandosi agli ultimi, che in una città come Genova  certo non mancavano.
Figuriamoci quali potevano essere i suoi rapporti con arcivescovi come l’ultraconservatore Siri, incattivito dal fatto di essere uscito cardinale da un conclave nel quale era entrato come papa (quello che ha eletto Giovanni XXIII) e di avere poi dovuto subire un Concilio, il Vaticano secondo, del quale non condivideva nulla.
Non meglio è andata con i suoi successori Tettamanzi e peggio ancora con i salesiano- politicante Bertone.
Poi con lo stile democristiano di Bagnasco invece ci vivacchiava.
Dotato di una grande carica umana, un carattere estroverso, un naturale carisma, nel giro degli anni la comunità di San Benedetto al porto è riuscito a farla diventare un punto di riferimento.
Colto quanto basta, non è mai stato un intellettuale.
Come la gran parte di questi preti d’azione e di trincea, la teologia per lui non era di alcun aiuto, semmai era un peso morto.
Inutile negarlo, con quel suo cappellaccio in testa, sciarpa rossa o arcobaleno, sigaro spento in bocca, era anche un personaggio facile preda dei conservatori di tutti i colori, che lo accusavano di narcisismo.
Ma i problemi veri cominciavano quando apriva la bocca.
Quando diceva di sentirsi sacerdote perché era convinto che Dio è antifascista, tirava un colpo che gli alienava subito la simpatia di metà degli italiani.
E così quando non si sottraeva, ma anzi prendeva la guida di cortei, manifestazioni, raduni di piazza pacifisti, ambientalisti, operai, eccetera, tirava un altro colpo alla categoria dell’Italia borghese, delle varie maggioranze silenziose, che concepiscono il proprio salotto come il maggior grado di partecipazione politica del quale sono capaci.
Appunto la politica.
Un prete che fa politica, per il farisaismo nazionale, se gli ideali politici che professa sono di sinistra, è considerato un sacrilego, ed è invece considerato una illuminata guida spirituale se le idee che pratica sono di destra o reazionarie.
Questo è quello che pensa gran parte degli italiani, anche se non è disposta a riconoscerlo.
A Don Gallo però non dispiaceva di essere diventato un personaggio pubblico, come non gli dispiaceva tirare le botte, che tirava, per prendere posizioni nette e senza diplomazia sui problemi politici e sociali.
Ma tutto questo gli serviva per tenere in piedi e fare crescere la sua comunità.
Se non fosse diventato a suo modo una celebrità, i suoi superiori   e i personaggi ai quali stava sulle scatole glì sarebbero passati sopra con lo schiacciasassi e allora addio comunità.
Ricordati i tratti del personaggio,  veniamo ora alle considerazioni di fondo, che più mi stanno a cuore.
Prima di tutto questa.
I preti da strada sono espressione di una stretta minoranza all’interno della Chiesa cattolica.
Se si facesse un sondaggio di opinione di questo tenore: ritiene che sia più autentico e vicino all’insegnamento di Gesù di Nazareth l’agire del tuo vescovo, parroco, curato, frate o suora, che conosci o quello dei vari Don Ciotti, Colmegna, Gallo eccetera e dei missionari in Africa?
Non ho dubbio che la quasi totalità risponderebbe a favore dei preti da strada e dei missionari.
E ci vuole poco.
Nonostante la diffusa impreparazione in materia religiosa degli italiani quattro idee sul messaggio evangelico ce le abbiamo tutti e se si fa la comparazione, 2 + 2 fa quattro per tutti allo stesso modo.
Questo mi pare evidente.
Ma se pensiamo che, come attestano gli studi di sociologia religiosa, il numero dei cattolici praticanti in Italia è in costante discesa e nelle grandi città è sceso intorno a una preoccupante 5%.
E che anche questo cattolicesimo residuale è più definibile come “religione civile”, per solennizzare le tappe della vita con i così detti “riti di passaggio” (battesimo, cresima, matrimonio, rito funebre) che non una religione vera e propria, nel senso di ricerca di un rapporto personale con Dio.
E che anche questi riti di passaggio tendono abbastanza rapidamente a lasciare il posto ai corrispondenti laici, tanto che nei matrimoni quelli civili sopravanzano ormai quelli religiosi.
Allora ci viene allora da chiederci come mai, di fronte a una crisi così clamorosa, la Chiesa  non fa nulla per cambiare, avvicinandosi all’agire e alle idee di questi preti da strada o dei missionari?
E va avanti invece con il solito tran tran, come se fossimo ancora secoli indietro, quando nella società prevaleva incontrastato un pensiero unico approvato dalla Chiesa?
In questa situazione, pur nutrendo personalmente una grandissima stima per questi preti da combattimento, sento anche un forte disagio nei loro confronti, avverto una ambiguità in questo loro coraggio forte, ma forse non sufficiente se non sa andare oltre a questa chiesa, che non è più credibile.
Mi chiedo cioè : non è che questi coraggiosi, che si dannano l’anima per una vita, senza che nessuno della gerarchia e del popolo cristiano ufficiale si degni di ringraziarli, di fatto con la loro azione autenticamente evangelica siano loro che tengono in piedi questa chiesa, ormai non più credibile come agenzia morale?
E se è così, non è che di fatto questi preti coraggiosi, senza volerlo, diventano un alibi, una foglia di fico, che nasconde le vergogne altrui?
Nei commenti più favorevoli e illuminati, che ho letto ieri a ricordo di Don Gallo, compreso quello del teologo progressista Mancuso, spesso ricorre questa frase: è stato osteggiato, deriso e perfino disprezzato dalla Chiesa ufficiale, ma è sempre stato graniticamente fedele alla Chiesa, sua madre.
Siamo proprio sicuri che questo atteggiamento sia un vanto?
Ebbene questo ragionamento proprio non lo digerisco, perché sono convinto che se non si riesce ad andare oltre a questa mentalità, il cattolicesimo non potrà avere un avvenire, ma finirà per deperire progressivamente fino ad arrivare all’irrilevanza completa.
Capisco benissimo la posizione personale e umana dello stesso Don Gallo, che quando, anche di recente, veniva pungolato su questi argomenti da interlocutori laici diceva: “ ma cosa volete che faccia di più, sono un vecchio prete di 84 anni, sono nato nella Chiesa e nella Chiesa morirò”.
Lo capisco umanamente, ma non condivido affatto l’argomentazione di tipo sentimentale e non razionale a favore della fedeltà a questa chiesa, per le ragioni che seguono:
1) come accennato in post precedenti, che il personaggio storico Gesù di Nazareth abbia fondato una sua chiesa è un’affermazione tutt’altro che pacifica, essendo basata su quasi nulla, come base scritturale.
La fondazione della Chiesa cattolica in realtà, sembra storicamente piu corretto, attribuirla a Paolo di  Tarso e questo però cambierebbe tutto sul piano della sua legittimità.
2)  l’argomentazione della teologia tradizionale a sostegno dell’autorità della gerarchia ecclesiastica e cioè quella della “successione apostolica ininterrotta” sta ancora meno in piedi, se affrontata sul piano dalla critica storica perché questa rivela che vi sono  personaggi, soprattutto fra i primi papi, dei quali è molto incerta addirittura l’esistenza, e poi c’è una serie successiva nella quale sono presenti diverse figure che la storia riconosce pacificamente come dei brutti ceffi.
Tutta la teologia tradizionale sulla Chiesa è fondata non su affermazioni, argomentare razionalmente, ma su ragionamenti “ab auctoritate” ( rivelazione, tradizione dogmatica ecc.) che oggi non accetta più nessuno in campo filosofico.
4)  La Chiesa definita in modo razionale è riconosciuta perfino in campo dottrinale, ma solo dopo il Vaticano II,  come  un mezzo e non come un fine, non come un valore in sé.
E allora si tratta di un mezzo lo si deve giudicare sulla base della suo funzionalità.
Cioè, se devo girare in città mi serve una cinquecento; se devo fare un viaggio lungo in autostrada ho bisogno di una cilindrata medio-alta; se devo andare in America devo prendere un aereo.
5) E’ del tutto evidente, e lo confermano gli studi di sociologia religiosa, che non c’è più una sola Chiesa monolitica, come nei secoli passati, ma che di fatto ci sono più chiese:
quella ufficiale; quelle che si sceglie a livello locale e che spesso non coincide con la parrocchia; per i più pensosi la chiesa di un religioso, scelto come guida spirituale di fiducia; quella dei preti da strada eccetera.
Gli studi di sociologia religiosa più recenti, da tempo, segnalano come diffusissima la tendenza crescente per la quale i credenti si confezionano personalmente e individualmente una religione fai-da-te, costruita sulla base di un copia e incolla, che ciascuno si assembla, incurante di ogni catechismo o dogmatico ufficiale.
6) in conseguenza delle considerazioni fatte sopra, la mentalità tradizionale, diffusissima fra i praticanti rimasti, che quella della Chiesa sia una concezione in senso sacrale- antropologica, come madre, è  una pia illusione e rappresenta un  voler  reiterare il proprio status mentale e psichico, proprio dall’infanzia, in quanto percepito come rassicurante, ma che in realtà non ha più alcun fondamento sostenibile, se non una sensazione soggettiva, che per definizione non fa testo e non dimostra nulla di obiettivo.
La “mala educazione” delle scuole di catechismo e peggio ancora dei seminari, “mala”  in quanto frutto di puro indottrinamento propagandistico, priva di qualunque spirito critico, e tanto meno di confronto con idee alternative, induce ad accettare in età adolescenziale un lavaggio del cervello, che può anche durare tutta la vita, se non lo si contrasta con un’analisi basata sulla critica razionale.
Ma il problema è che quando si fa questa operazione, si rischia di veder cadere tutto il proprio “bagaglio di fede”, proprio perché erroneamente costruito   su presupposti sbagliati, cioè su argomenti esclusivamente “ab auctoritate” come si è detto sopra (rivelazioni ,dogmatica e   argomenti razionalmente non documentabili).
La Chiesa non è sensato vederla come madre, la Chiesa è più ragionevole vederla come un mezzo, del quale ci si serve se e in quanto funziona per raggiungere un fine : il dialogo personale con dio e che quando non funziona più se ne cerca un altro.
Ammiro i preti da strada, ma non capisco proprio come mai non abbiano il coraggio di fare un passo in più, di andare oltre “questa” chiesa.
Fin dai tempi del concilio Vaticano secondo, sono rimasto personalmente convinto che la Chiesa avrebbe più probabilità di sopravvivere con soddisfazione per i suoi fedeli se  riconoscesse formalmente il pluralismo interno, che di fatto c’è di già da tempo, anche se non si vuole ammetterlo.
C’è già ed è anche istituzionalizzato almeno fin da quando si sono accettati più o meno “obtorto collo” i più svariati Movimenti.
Faccio solo un piccolo esempio: come fanno coloro che si riconoscono in un cattolicesimo evangelico tipo quello dei preti da strada ad accettare l’autorità arcivescovile di uno Scola, che vent’anni fa con Buttiglione e Formigoni faceva e fatturava corsi accelerati di politica per il Cavalier  Silvio Berlusconi e compagni di cordata?
Non dico affatto questo con spirito settario, al contrario.
Penso infatti che si debba riconoscere allo stesso modo la piena legittimità e diritto dei tradizionalisti di Cl di ritrovarsi e di esprimersi in una loro chiesa, che però non vedo cosa abbia a che fare con quella dei preti da strada, che è con tutta evidenza di altro segno.
Se ci fosse la tolleranza, che consentisse di poter usufruire di una chiesa officiata da Cl; una officiata dal preti da strada; una officiata in latino da coloro che sono rimasti a prima del Vaticano secondo, eccetera, il cattolicesimo sarebbe più forte e non più debole.
Inutile far finta che la Chiesa sia quella che nei fatti non c’è più.
Non c’è più la Chiesa, ci sono le chiese e le altre agenzie religiose e morali, comprese quelle del pensiero filosofico e scientifico laico e tutte con uguale dignità.
Il mondo è cambiato ed è cambiato molto in fretta.
Tutte queste agenzie hanno il diritto ed è buona cosa che esistano e che siano visibili nella loro diversità.
La gente deve poter andare a conoscerle per scegliere a ragion veduta e scegliere anche elementi dell’uno ed elementi dell’altro.
Cerchiamo di avere il realismo per capire, che tutto questo non fa parte di un futuro lontano o di scenari da fantascienza.
Questo è già quello che esiste oggi, solo che le istituzioni di potere cercano ferocemente di contrastarlo, preoccupate solo di auto conservarsi.
Non aiuta il cambiamento nemmeno  il nostro naturale conformismo che finge di non saperlo.
Sarebbe sciocco  lasciare deperire irrimediabilmente quelle che pur essendo ormai non più credibili sono tuttavia gli unici  punti di riferimento di un pensiero elevato per la gran parte della gente che pensa.
Per quella che non pensa, come diceva Martini,  purtroppo il problema di credere o di non credere nemmeno  si pone.




mercoledì 22 maggio 2013

Due partiti soli al comando per garantire la stabilità del governo : che barzelletta.





Il governo Letta è appena partito, ma che non sarebbe andato da nessuna parte lo si è capito subito.
Provvedimenti assunti ancora nessuno.
Anzi, ogni giorno un passo indietro sulla via della stabilità, perché quasi ogni giorno appare una proposta di leggi finalizzata a risolvere i problemi privatissimi della Cavaliere e relativa corte: indulti, amnistia, intercettazioni, associazione mafiosa, ecc, ecc.
I media dalla tv ai grandi giornali hanno ingannato i loro spettatori –lettori proponendo il pensiero unico secondo il quale l’unica soluzione politica possibile avrebbe dovuto essere il governissimo o  “governo di scopo”.
Il governo di scopo lo abbiamo avuto, ma quali sarebbero gli scopi concordati, nessuno si è degnato di dircelo ed ancora meno ci è stato detto con quali priorità erano stati messi in scaletta gli scopi medesimi.
Tanto che viene sempre più di sospetto, che non sia stato firmato nessun patto, con nessuna scaletta.
E che il patto vero sia stato: al Pdl il salvacondotto giudiziario per il Cavaliere, e al PD abbastanza sedie da placare i 1000 leaderini, tanto da evitare l’immediato sfarinamento di quel partito.
Intanto il senso di vuoto, di precarietà, di ansia e di sfiducia per il futuro aumentano.
Obiettivamente, nessuno si aspettava niente di più dal Pdl, dal momento che le uniche speranze per quel partito sarebbero le seconde file, che però hanno scelto in più occasioni di essere conigli sottomessi fino a quando il capo se sarà andato di sua volontà.
Il PD porta la responsabilità peggiore del disastro attuale.
Ha commesso l’ errore fatale da suicidio, inchinandosi agli astrusi e irreali disegni del vecchio Presidente, accettando quello che assolutamente non poteva accettare, cioè l’alleanza con Berlusconi.
Letta non ha voluto capire, che l’alleanza, oltre ad essere considerata di per sé ributtante dalla sua base e dai suoi elettori, era anche squilibrata fin dalla nascita, non essendo ragionevole mettersi nelle condizioni di accettare il perenne diritto di veto o meglio “diritto di staccare la spina” in qualsiasi momento a un Berlusconi braccato  dai tribunali.
Quale arma si è riservato Letta da giocare contro le minacce giornaliere di crisi di governo da parte di Berlusconi?
Pare solo nient’altro che una telefonata a Silvio o allo zio Gianni da parte del Quirinale.
È veramente un pochino tendente al nulla.
Sebbene abile, Letta, come tutta la corte degli  ex giovani del Pd riesce solo in tatticismi che  nascondono la totale assenza di una strategia a lungo periodo, basata su un qualunque pensiero.
Alla prova dei fatti, questi di leaderini si sono rivelati tutti quanti figli culturali e spirituali del compianto Belzebù Andreotti.
Unica loro idea: il potere per il potere, non per fare qualcosa di determinato nel quale si siano riposti degli ideali.
Quel partito si sta disfacendo, perdendo la faccia di giorno in giorno.
L’unico che ancora galleggia, ma che non si materializza mai, è il giovane Renzi.
Che ha però ha un difettuccio : per pescare a destra e a manca continua a non decidersi a dire da che parte pende e così facendo finisce per porsi anche lui come un politichino tutta tattica e niente strategie.
Né più né meno degli altri.
Anche lui appare sempre di più il figlioccio di Belzebù per cronica mancanza di spina dorsale e di coraggio.
Questo PD che è l’ultimo partito storico italiano sembra destinato all’estinzione.
Di questo c’è ben poco da rallegrarsi, perché il Movimento cinque stelle non sembra avere ancora la consistenza necessaria per inglobarsi la gran parte dell’elettorato di sinistra.
E il vuoto in politica è un disastro passeggero che di solito viene riempito dei peggiori.
Sarebbe il momento di mettere insieme non quel penoso comitato di saggi affrettatamente affastellato dal Presidente per prendere tempo, ma un vero comitato di salute pubblica, che comprenda  i più volonterosi e generosi della società civile, che ci sono, ma che non hanno visibilità e se ne stanno defilati ognuno nel suo studio.
Che si mettano insieme e si rendano visibili.
Grillo ha dimostrato la potenza e l’efficacia delle rete di Internet, ebbene che la usino.

giovedì 16 maggio 2013

Berlusconi non accetta di essere uguale a qualsiasi cittadino di fronte al suo giudice naturale. Questa è una ulteriore deriva del PDL verso la rappresentanza politica della cultura para- fascista




Il Capo non è un cittadino come gli altri, lui ha avuto i consensi  elettorali per essere il capo e quindi con questo è divenuto diverso da tutti gli altri e sopra la legge.
“Nessuna sentenza e nessuna prepotenza della magistratura potrà impedirmi di essere capo di un popolo che mi elegge con milioni di voti” disse Berlusconi al comizio di Brescia il 11-5-13.
La teoria per la quale un cittadino può anche essere un delinquente, che si è macchiato dei peggiori delitti, ad esempio contro la legittima forma costituzionale dello stato, come è stato nei casi dei due grandi dittatori europei del XX secolo, ma  nel momento nel quale viene confortato dal consenso elettorale, sarebbe mondato da ogni peccato è una teoria pericolosissima, che fa parte dell’armamentario della cultura fascista, che non è affatto morta e sepolta insieme al fascismo storico.
I precedenti storici dell’uso di questo ragionamento non sono esaltanti.
Così è stato per Mussolini  nelle elezioni politiche del 6 aprile 1924, quando il partito fascista prese il 60% (Popolari 10%, Socialisti 10%, Comunisti 4%, Liberali 3%  ecc.) e così è stato per Hitler  quando nel novembre 1932 prese il 33%  alle presidenziali, arrivando secondo dopo Hindenburg e quando nel novembre 1933 prese  il 43,9%, arrivando ovviamente primo.
La cultura fascista è sempre viva e vegeta anche oggi, assumendo ovviamente forme attuali molto diverse, rispetto quelle storiche, tanto che  studiosi e cronisti da tempo usano, ad esempio per il Lepenismo francese, il  termine para- fascismo, per distinguerlo da quello storico, che di per sé è irripetibile per definizione.
Oggi infatti le forme sono molto più soffici, dato che nessuno accetterebbe più quelle di allora, che oggi appaiono spesso più ridicole che tragiche, e anche questa è una pericolosa sottovalutazione dei rischi permanenti della eterna cultura fascista per le democrazie.
Lo si è già detto più diffusamente in vari post precedenti, ai quali rimando (10 giugno 2010 – 29 gennaio 2013- 1 aprile 2013), in Europa oggi c’è uno stato comunitario, l’Ungheria, dove è arrivato al potere con regolarissime elezioni il regime populista autoritario e clerico- reazionario di Orban, dove le garanzie, per chi la pensa diversamente, sono di fatto state soppresse e gli stati partner fanno finta di non saperlo e non reagiscono.
Quasi ovunque nel resto d’Europa  la eterna cultura fascista si esprime politicamente in formazioni politiche che navigano fra il 10 e il 20%, che evitano accuratamente saluti romani , simboli fascisti e discorsi troppo radicali, e si presentano  invece con  toni soffici, virili, ma  pacati.
Si buttano a raccogliere i disagi e le reazioni causate dalla globalizzazione, giocando sulla sempre più palese difficoltà delle classi politiche dei partiti tradizionali a governare in modo autorevole ed efficace.
Sono  partiti tagliati su misura per il borghese piccolo- piccolo, che però è orgoglioso della sua posizione sociale e dei suoi piccoli privilegi e che quindi li vuole difendere con le unghie e coi denti dalle insane pretese di socialità dei così detti “comunisti”.
I Fantozzi di tutto il mondo non leggono i giornali, se non quelli che esaltano la squadra del cuore o meno frequentemente il giornale di propaganda del proprio partito, ma  si inebriano invece di televisione, introitata in quantità industriale, non per essere informati di cosa succede nel vasto mondo, ma per essere rassicurati, che nel guscio nel quale si sono rinchiusi, proprio per difendersi da un mondo esterno, che non capiscono e che amano ancor meno, tutto vada nel migliore dei modi, come fra i protagonisti del Candide di Voltaire e che nessuno minaccerà il loro tesoretto di rassicuranti pregiudizi.
Con lo stesso meccanismo per il quale hanno aderito al partito, che beninteso non è nemmeno un partito e che quindi si definisce regolarmente diversissimo da tutti gli altri, sono generalmente cattolici rigidamente tradizionalisti ,che mai metterebbero in discussione quello che dice il papa o il prete di fiducia.
Sono tutte forme diverse del principio di “ricorso all’autorità”, cioè di rifiuto ad esercitare la propria autonomia critica, di rifiuto ad usare della propria responsabilità, cosa che richiede un quotidiano faticoso lavoro di discernimento,  per rifugiarsi nel più comodo mondo, dove tutto è già preconfezionato da altri e da un sistema di dogmi ai quali ci si sottomette.
Ovviamente sono anti- socialisti e quindi si rivolgono in modo preferenziale a una base di piccoli negozianti, artigiani, professionisti e con tutti costoro cavalcano il solito ritornello della impossibile pressione fiscale, provocata dai governi socialisti.
L’unica differenza fra la base di questi movimenti para- fascisti europei e quella del PDL è che in quelli è molto più consistente la componente dei dipendenti pubblici.
Il PDL, furbescamente, per cavalcare con una qualche coerenza la favola del partito personale dell’imprenditore arricchito, sedicente liberale, ha lasciato la cura di questa rappresentanza (il settore pubblico) ai partiti satelliti come la Destra, Fratelli d’Italia e soprattutto le componenti meridionaliste di Lombardo , Miccichè ecc.
Vedendo bene l’ampia platea di scontenti fra i ceti operai, hanno imparato a parlare efficacemente anche a loro, usando gli argomenti xenofobi (gli immigrati vi portano via il posto e quindi cacciamoli via).
Come portatori della cultura para- fascista, cercano regolarmente di acquisire consensi illudendo la platea meno preparata o informata, che gli odierni problemi ultra- complessi si possono risolvere con soluzioni elementari e quindi cavalcano l’anti- Europeismo e l’anti- Euro, l’antagonismo contro i cattivi Tedeschi come la panacea per superare la crisi economica.
Significativa l’ultra semplificazione  operata dal PDL con l’esibizione del regalino del tipo degli specchietti usati da Cristoforo Colombo, per ingraziarsi il  popolo, con la promessa della restituzione dell’Imu, populismo a buon mercato, ma efficacissimo sia sul piano simbolico sia su quello pratico.
In questi movimenti la figura del leader deve essere carismatica, forte e richiamare quella  del padre, importantissima tecnica questa, per manipolare l’opinione pubblica, utilizzando la teoria del transfer di Freud.
Trattandosi di una componente essenziale nell’armamentario della  cultura para- fascista riporto di seguito la definizione che si trova su Wikipedia :”Il transfert (o traslazione) è un meccanismo mentale per il quale l'individuo tende a spostare schemi di sentimenti e pensieri da una relazione significante passata a una persona coinvolta in una relazione interpersonale attuale. Il processo è largamente inconscio, il soggetto non comprende completamente da dove si originino tali emozioni, sentimenti e pensieri. Il transfert è fortemente connesso alle relazioni oggettuali della nostra infanzia e le ricalca”.
Berlusconi in Italia, Marie Lepen in Francia, Joerg Heider e successori in Austria, Victor Orban in Ungheria, Vlaams Blok  e Pim Fortuyn nei paesi fiamminghi, Christoph Blocher in Svizzera, Geert Wilders in Olanda, eccetera giocano tutti su questi meccanismi.
La cultura para- fascista non essendo ovviamente troppo compatibile con modo di pensare degli intellettuali, critico per definizione, ha da sempre poca diffusione fra le fasce più colte, fra le quali per passare occorre che le idee portate da quei movimenti abbiano una loro intrinseca validità razionale, e quindi questi movimenti che offrono idee debolucce e datate si giocano la conquista del consenso sull’efficacia nell’uso dei mezzi di propaganda.
E qui Berlusconi ha un vantaggio competitivo pazzesco, tanto pazzesco da essere del tutto incompatibile con le forme delle democrazie moderne, tanto che una legge dello stato italiano stabilisce la ineleggibilità di chi gestisce servizi pubblici in concessione come le frequenze televisive (n.361/1957), mai applicata per il miope  calcolo politico dei suoi avversari che hanno sempre pensato che sarebbe stato più utile per loro conservarsela come strumento di ricatto.
Sull’efficacia determinante della proprietà o del controllo di quasi tutti i mezzi di comunicazione per portare e riconfermare al governo un personaggio considerato un volgare buffone dai media e dalle cancellerie del  resto d’Europa, è inutile spendere ulteriori parole, provatevi a digitare Berlusconi buffone d’Europa su “Google immagini” e avrete una sterminata documentazione a vostra disposizione, rimando quindi a quanto esposto nel già sopra citato post del 10 giugno 2010.
Riporto solo i punti fondamentali che sottolineano come Berlusconi il sedicente liberale abbia impostato la sua propaganda per anni copiando di fatto  gli elementi fondamentali che erano della propaganda fascista:
- anzitutto la posizione di possesso o di controllo di quasi tutti i mezzi di comunicazione usata con abilità ha un peso determinante anche se la libertà si stampa è formalmente esistente è fuori discussione che diffondere la propria propaganda con i mezzi più seguiti ed efficaci come le televisioni quasi tutte al suo servizio non è ancora fuori dai binari della democrazia ma è già all’estremo limite;
Anche Mussolini aveva usato grande abilità nell’uso dei mezzi allora più efficaci come la neonata radio che arrivava anche nel più sperduti paesi;
-ma quello che è più inquietante è il fatto che le tecniche di propaganda sembrano ricalcate tante sono simili :
-parlare alla pancia e non alla testa
-parlare per slogan semplici  (credere, obbedire, combattere – non metteremo mai le mani nelle tasche degli italiani)
-fare richiami diretti o meglio inconsci  ai sentimenti ed ai pregiudizi e filtrare le notizie per dare un taglio di fondo che privilegi l’evasione strappando la gente dalle durezze dei problemi quotidiani
(Mussolini raggiungeva lo stesso scopo, se pure in scala ridotta per ragioni di sviluppo tecnologico, con le serie cinematografiche dei “telefoni bianchi”, la filosofia è la stessa).
E’ il vecchissimo trucco del “panis set circenses”
-preoccuparsi di “sentire il polso” del paese costantemente per potere manipolarlo in tempo utile (si pensi alla dipendenza di Berlusconi dai sondaggi quasi quotidiani, Mussolini con i mezzi di allora iniziava la giornata con un giro di telefonate ai prefetti con lo stesso scopo).
-“le folle non hanno bisogno di sapere ma di credere” diceva Mussolini e Berlusconi aveva fatto predisporre i suoi schemi interni di propaganda per gli attivisti- venditori proprio indicando come obiettivo un pubblico poco colto e poco reattivo al quale occorreva servire concetti semplici, semplici, se non  avrebbero capito
-creazione del mito dell’ “io sono uno di voi”, venuto dalla gavetta, nel quale ognuno si possa rispecchiare, un concentrato di tutti i vizi nazionali, ma uno che è riuscito e che quindi si deve presentare con la magnificenza dei palazzi e delle ville adeguate, per sottolineare lo stato che ha acquisito. (palazzo Venezia e Villa Torlonia un tempo, palazzo  Grazioli ed  Villa ad Arcore oggi).
E’ questa una tecnica irrazionale ma molto efficace, mirata ad indurre qualsiasi poveraccio ad illudersi che  se quello c’è riuscito, non c’è ragione che non possa riuscirci anche lui.
In psicologia cognitiva è indicata come la teoria “delle due corsie” (se uno è fermo in colonna in galleria, ma vede alla sua sinistra le altre auto nella corsia di sorpasso che vanno, per un meccanismo inconscio, non si ribella, ma si sente rassicurato che prima o poi toccherà anche a lui andare avanti)
-il culto della personalità del capo, il sempre giovane, l’icona del vitalismo, che si estrinseca in una attività sessuale fuori dal normale ed in una capacità di lavoro straordinaria (le luci di Palazzo Venezia che non si spegnevano quasi mai)
La persona del capo come elemento determinante e identificante ribadita con mezzo elementare ma efficace per il suo pubblico delle canzoncine di propaganda.
(Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza…il tuo canto squilla e va per Benito Mussolini –
Meno male che Silvio c’è, Viva l’Italia che ha scelto – chi non salta comunista è)
-il capo è il padre di tutti gli italiani, come si è già detto sopra, il padre rassicura ed è l’icona dell’autorità, colui che pensa anche per noi, è uno al quale si perdonano molti peccati perché è il padre,in lui sentimento,autorità e tradizione si fondono è veramente un simbolo efficacissimo, al quale ricorrono da sempre tutti i dittatori o  i populisti.
-l’estremizzazione della dialettica politica convincendo la gente che non si è contrapposti ad avversari normali, ma a nemici che ci minacciano.
Da qui gli atteggiamenti ripetuti di con i quali si invoca il complottismo contro “di noi” e si ricorre continuamente al vittimismo (le toghe rosse, la campagna di odio contro di “noi”).
Allora i nemici che complottavano erano i socialisti e si finì  col delitto Matteotti.
-il populismo berlusconiano per di più ha dei caratteri peculiari che sono anche peggio di quelli degli altri movimenti europei che alimentano la cultura para-fascita, che vengono poco stigmatizzati,  anche dai pochissimi giornali schierati all’ opposizione.
Mi riferisco al fatto che essendo il partito di Berlusconi nato come partito padronale, gran parte dei quadri inziali erano tratti di sana pianta dalle società del capo.
La cosa assolutamente anomala è che  tutt’ora cioè quasi vent’anni dopo, un numero molto elevato di quadri e di parlamentari sono direttamente o indirettamente a libro paga, nel senso che gestiscono attività economiche direttamente o indirettamente connesse con le aziende del capo, tipo agenzie di pubblicità ecc. o dal capo ricevono il pagamento di parcelle molto elevate come la schiera dei suoi avvocati trasferiti in parlamento.
Ne consegue che il grado di dipendenza e di subordinazione di costoro verso il capo non è di tipo politico ma prima ancora economico e questo quadra poco con le normali regole democratiche.
E allora, se le similitudini col fascismo storico sono così inquietanti, e gli elementi al limite fra la democrazia e il suo contrario crescono, siamo destinati a tornare al fascismo?
Per ora, evidentemente, no, perché il quadro complessivo delle istituzioni democratiche ancora regge, ma sarebbe sciocco sottovalutare, che in molti settori anche se la forma democratica sussiste è tutto tirato al limite estremo, solo un passo in più e siamo fuori.
Questa  è la situazione della cultura para -  fascista, che trova sbocchi in politica sempre più ampi.
Il tema specifico dei processi di Berlusconi e del suo tentativo di sottrarsi al giudice naturale, è uno degli elementi più pericolosi in questa deriva continua verso l’accoglimento progressivo di una cultura para- fascista.
Belzebù Andreotti ne ha fatte tante e grosse, ma gli sia dato almeno l’onore di avere affrontato processi con accuse altrettanto infamanti di quelli a carico di Berlusconi con grande dignità e soprattutto, questa è l’enorme differenza, senza fare uso del suo potere per uscire dalla  condizione di eguaglianza con gli altri cittadini di fronte alla legge.
Qui sta l’alimentazione della cultura para- fascista da parte di Berlusconi e qui sta l’aspetto tragico della cosa quando dobbiamo constatare che il suo popolo lo sostiene e lo esalta anche quando non si capisce del tutto se porta al limite le normali procedure della democrazia o se né già uscito.
Questo è l’elemento da monitorare.
Perché può anche darsi benissimo che il suo scopo sia banalmente quello privato di schivare processi e condanne e favorire le sue aziende, ma non si deve affatto trascurare il fatto che obiettivamente c’è una sequela di fatti da lui provocati che inducono la gente a sopportare o nel caso dei suoi seguaci a supportare azioni già più fuori che dentro dai normali canali democratici.
Cioè in parole semplici e piane si spinge obiettivamente la gente ad abituarsi a scenari che sono fuori dalle normali democrazie rappresentative e addirittura si spingono i seguaci ad accettare e difendere attivamente situazioni sempre più incompatibili con la democrazia.
Vediamoli questi fatti.
Si pensa di svicolare dal dovuto rendiconto alla giustizia utilizzando, abbiamo detto, il “transfer del padre”,  per mettere la figura del capo al di sopra di quelli che per le procure e i tribunali sono delitti e che invece i suoi fedeli  derubricano, come si dice con gergo avvocatesco  a “marachelle di uno stravagante riccone”, come dice il Vate di quel Regime, Giuliano Ferrara.  
Il principio dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge è brutalmente calpestato quando l’imputato Berlusconi usa il suo impero mediatico per fare precedere la requisitoria del pubblico ministero del processo Ruby da uno sceneggiato di due ore per anticipare le tesi  dell’arringa difensiva, che poi, come pura formalità, il suo collegio difensivo svolgerà in tribunale.
Dopo di questo fatto il suo processo non è più equo, l’imputato, che, come il Marchese del Grillo può permettersi di proclamare con una audience di più di 1 milione di persone “io sono io e voi non siete un c…” scippa a tutti noi la garanzia giuridica più elementare.
Le autorità di garanzia, Quirinale in testa   e il Presidente del governo dell’inciucio non hanno reagito se non e solo da parte di Enrico Letta con una debole frasetta di circostanza.
Solo in questi ultimi tempi le manifestazioni che si potrebbero qualificare come “eversive “ se non “adunate sediziose” si stanno moltiplicando da parte del PDL, con una regia stabilita a tavolino.
Si pensi alla intimidazione operata con la adunata del gruppo parlamentare del PDL al Tribunale di Milano.
Si pensi al già citato comizio a Brescia in chiave anti-magistratura, appena prima della requisitoria della Boccassini.
Si pensi all’insulto lanciato da Berlusconi in persona  a Enzo Tortora alle sue figlie e compagna.
Ed è facile prevedere questo che sarà solo l’inizio.
Queste forme di padronale arroganza con le quali Berlusconi sta degenerando nella cultura para- fascista sono ancora peggiori di quelle del normale arsenale europeo di tipo lepenista, sia a causa delle dimensioni inquietanti del suo seguito elettorale, sia a causa della influenza del suo apparato mediatico  che lo mette in condizioni di vantaggio competitivo sproporzionato e questo  solo fatto altera il gioco democratico.
Le altre formazioni populiste, para- fasciste europee  non godono del vantaggio di questi due elementi.
Se poi pensiamo che se il nostro non è ancora gravato da condanne penali definitive probabilmente perché ha potuto usufruire di leggi “ad personam”, che hanno stravolto ad arte i codici penale e di procedura penale a favore delle sue esigenze  processuali, vediamo che il principio  dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge è stato da tempo sistematicamente stravolto (se volete rinfrescarvi la memoria con l’elenco completo,eccolo:
E non consola affatto la constatazione che se il PDL, con alleati  vari compresi i neo fascisti aperti, è dato addirittura al 35%  il merito non è suo, ma è dovuto alla incapacità dei suoi avversari, perché così era stato anche nella Repubblica di Weimar e nell’Italia di Facta.
Ci stiamo avviando ad una situazione nella quale si fronteggeranno il para- fascismo berlusconiano da una parte e dall’altra un grillismo, che comincia a non bastare più per contenere la rabbia che monta di giorno in  giorno.
In mezzo:  una palude di screditati ex  partiti storici in disfacimento.
Si parla troppo poco della enorme massa di sfiduciati, scontenti, umiliati, che sono i senza lavoro, i male occupati in posizioni umilianti, le partite Iva cronicamente ridotte alla pura sopravvivenza senza margini né prospettive, i giovani che si sentono traditi e trascurati dagli occupati garantiti.
Se tutti costoro decidessero di scendere in piazza, non sarebbe per fare dei discorsi.
Strati crescenti di popolazione cominciano a rendersi conto, se pure lentamente ed in ritardo, di essere stati presi per i fondelli per decenni.
C’è ancora il benessere, ma sempre meno per tutti.
La disuguaglianza si allarga e molti ne hanno piene le tasche di pagare le tasse per quelli che le evadono e poi ti sfrecciano in fianco arrogantemente con i loro suv, spropositati nelle dimensioni e nei prezzi.
Queste quotidiane arroganti ostentazioni di simboli di stato saranno sempre più avvertite come provocazioni da un sempre maggiore numero di persone.
Il ricorso alla piazza dei berluscones per motivi così palesemente privati e senza alcun legame, anzi in contrasto con l’interesse pubblico, in questo momento di disgregazione e di grande sofferenza sociale, potrebbe essere il primo, ma catastrofico errore di valutazione del vecchio capo.
Perché la loro andata in piazza potrebbe essere interpretata come un provocazione -invito a chi coltiva una rabbia feroce, ma finora repressa, a trovare il modo di scaricare le loro frustrazioni nel più  ancestrale e primitivo dei modi.
E cosa è sempre successo, non solo in Italia, quando si sono presentate situazioni del genere, di caos, di cultura para fascista in crescita da una pare, e di rabbia popolare dall’altro, che prima o poi finiscono per confrontarsi?
Qualcuno, di colore politico indefinibile, ha giocato   in passato con prontezza la carta del terrore, per provocare la presunta reazione popolare, usata come albi per l’adozione immediata di metodi duri per riportare la famosa “sicurezza nelle strade”, argomento principe sempre usato dalle destre di tutto il mondo per coprire le peggiori nefandezze.
Ho letto con raccapriccio, ma non con sorpresa, ieri mattina su un giornale, la rievocazione non casuale del golpe operato dai colonnelli greci del 21 aprile 1967, un giorno qualunque alle due di notte.
Allora tutto successe in Grecia perché la gente aveva avvertito che la democrazia formale, ma corrotta e inconcludente aveva permesso troppe cose che non avrebbe dovuto permettere.
Oggi in Italia dopo vent’anni di regime consociativo costruito sull’alleanza mascherata ma di fatto in atto da lunga data fra berlusconismo e un finto centro sinistra, ha cancellato non solo la presenza di una opposizione vera, ma anche, a giudizio di molti studiosi, di una opinione pubblica.
Alla degenerazione della classe politica dovrebbe normalmente sopperire una viva società civile.
Ma purtroppo ci ritroviamo con una  società civile  popolata  da tanti, troppi comandanti Schettino.
Una società civile che ha dimenticato il suo diritto- dovere di reagire alla sopraffazione e all’ingiustizia.
Si pensi al caso di tre giorni fa a Milano- Niguarda.
Un cittadino esce di casa, viene preso a  pugni e se ne torna a casa senza curarsi di rivolgersi alla polizia.
Poco dopo un altro cittadino poco lontano si becca una sprangata che lo mette a terra e che avrebbe potuto ammazzarlo, rinviene e se ne torna a casa senza denunciare.
Come si fa a non pensar male di fronte a fatti del genere.
Con una società del genere, politici senza scrupoli sono autorizzati a fare quello che vogliono.















giovedì 9 maggio 2013

Italiani, tenete la schiena dritta! Disse anni fa un saggio Presidente, ma quasi nessuno l’ha preso sul serio.




Londra : aprile scorso, commemorazione di Margareth Thatcher alla Camera dei Comuni.
I banchi dei laburisti (tutta l’opposizione di Sua Maestà) sono deserti in segno di vistoso aperto ed educato dissenso.
Milano : maggio, Consiglio Regionale  Lombardo, commemorazione di Giulio Andreotti.
Un solo consigliere ha la dignità di uscire dall’aula, si chiama Ambrosoli, è il figlio dell’avvocato liquidatore della Banca Privata Italiana di Michele Sindona, assassinato dalla cricca P2,Ior ecc, commentato al tempo da Andreotti, amico e patron di Sindona con un gelido e indegno: se l’era cercata, gli altri tutti presenti a schiena piegata.
Al minuto di silenzio per la medesima commemorazione negli stadi una parte del popolo fischia, gli altri a schiena curva.
Roma : aprile, votazioni per la fiducia al governo dell’inciucio PD- Berlusconi, (governo definito nemmeno ipotizzabile e indegno dal Pd in campagna elettorale).
Si assenta un solo deputato del PD, Pippo Civati, tutti gli altri presenti e votanti a favore della fiducia a schiena piegata.
Italia : celebrazioni del 25 aprile, anniversario della liberazione del paese dal nazi-fascismo.
In innumerevoli città la commemorazione viene celebrata con omelie di sindaci o esponenti del Pdl di Berlusconi, che risulta essere il partito più votato dai fascisti italiani, perché li ospita direttamente nelle sue liste o con essi è dalla fondazione alleato in modo organico e nemmeno le rappresentanze partigiane ritengono opportuno o doveroso andarsene.
Questa è l’Italia dei mille comandanti Schettino, che ritengono troppo gravoso prendersi le proprie responsabilità.
Onore alla famiglia Andreotti che ha imposto un servizio funebre privato, se loro non avessero fatto questo esercizio di buon senso, avremmo visto tutto il Vaticano e tutta l’Italia politica presente a schiena curva per rendere omaggio a quel Belzebù ,del quale evidentemente si ritengono figli.

“il nostro fratello Giulio, assolto da ogni colpa, partecipa alla gloria di Dio”





Queste sono le parole pronunciate dall’officiante al funerale di Giulio Andreotti.
Ho l’impressione che anche un bimbetto di catechismo sia in grado di rendersi conto che in queste parole così altisonanti qualcosa non quadra proprio, tanto per cominciare, come può un prete arrogarsi il dritto di sostituirsi al giudizio di dio?
Nel caso particolare, ci sarà certo stato anche l’eccesso di entusiasmo per i potenti, che affligge in particolare la chiesa italiana e la induce così spesso a straparlare a loro favore, ma ci sono anche delle debolezze estreme nella teologia cattolica tradizionale su questa materia, per altro, così importante.

Ci sono almeno due punti di debolezza non superabili, se non ci si decide a cambiare la formulazione teologica tradizionale con qualcosa di più sensato:
Come sempre nel campo della teologia, anche in questa delicatissima materia si è avuta la presunzione di costruire nei secoli delle cattedrali teoriche sulla base di scarsissimi elementi scritturali.
Talmente scarsi nel Vecchio Testamento, che nel campo della esegesi biblica ebraica si ritiene da sempre che non sia affatto pacifico né agevole trovare nella bibbia degli argomenti, che appoggino con sicurezza la teoria della immortalità dell’anima, figuriamoci allora definire una dettagliata teoria del giudizio.
La teologia cattolica, senza disporre di niente di più, a livello scritturale nel Nuovo Testamento, se non pochi accenni indiretti (resurrezione di Lazzaro, scambio di parole col buon ladrone) si è lanciata nella definizione di un giudizio “particolare” al momento della morte, sostenendo che, subito dopo la dipartita, l’anima riceverebbe la ricompensa, la dannazione o l’avvio in un percorso di purificazione (Catechismo della Chiesa Cattolica canone 1021 e seg.-1030 e seg.- 1035 e seg. “dopo la morte discendono immediatamente negli inferi”).
Quindi il buon prete, sincero e probabile incauto ammiratore di Andreotti l’ha sparata grossa affermando addirittura : “partecipa alla gloria di dio”, sul piano del giudizio storico, ma forse non altrettanto sul piano teologico, dove sull’argomento ci si scontra contro definizioni inverosimili, incoerenti e in contrasto fra di loro.
Se prendiamo per buona la definizione dottrinale del “giudizio particolare”, sorge questo primo bel problemino :

1- se il sacerdote X assolve e comunica il fedele Y e questo passa a miglior vita, dio è tenuto ad aprirgli le porte del paradiso nel giudizio particolare?
Il canone 1470 del medesimo Catechismo parla direttamente del sacramento della confessione come “anticipo del giudizio divino”.
Se fosse così, già il “giudizio particolare” sarebbe una formalità umiliante per la dignità di dio, perché in contrasto con qualsiasi definizione dei suoi attributi.
Oppure, al contrario, c’è da ritenere, che al momento del giudizio particolare, salti la legittimazione della mediazione sacerdotale (anche questa tutta basata su costruzioni teologiche debordanti,  appoggiate su debolissime  pezze d’appoggio scritturali), e che quindi , seguendo la massima del diritto romano elementare “ubi maior, minor cessat” , ci si dovrebbe rimette, come vorrebbe il buon senso, al giudizio di dio, che ovviamente potrebbe essere in contrasto a quello sacerdotale.
Se non è così, per difendere il potere della chiesa, occorrerebbe che dio avesse la bontà di emettere ogni volta un giudizio non in contrasto con quello del suo mediatore, per evitare che la teoria della delega di mediazione porti a esiti paradossali, se non illogici come questo.
Per la teologia cattolica tradizionale non è un problema teorico di poco conto, perché se si ammettesse che dio, essendo l’essere perfettissimo, come definito da tutti i catechismi, per sua natura sarebbe ovviamente in grado di vedere anche quello che il sacerdote non ha visto, e quindi di dare un giudizio anche in pieno contrasto con quello del sacerdote.
Ma questa è una via non percorribile perché se la si percorresse  si darebbe un colpo mortale alla credibilità di tutta la teoria della mediazione-delega  sacerdotale, che definisce il ruolo del sacerdote  come titolare di “esercizio dei sacri misteri”, in nome di dio.
Non sviluppo ora questo aspetto per ragioni si spazio, basti dire però che le definizioni teologiche in materia fanno largo ricorso ai concetti di spirito e di mistero e sono invece molto caute nei dettagli.
Come è noto non esiste alcun fondamento scritturale sicuro su presunte deleghe e mediazioni affidate da dio a una classe sacerdotale, mentre al contrario, dal N.T. si evince un atteggiamento molto critico del Cristo sulla casta sacerdotale del suo tempo.
La stessa istituzione della chiesa, se si usano i criteri correnti più elementari di esegesi (presenza dell’affermazione in più evangelisti, affermazione ripetuta o concetto ripreso o meglio sviluppato in altri passi, sua concordanza con l’insieme del messaggio evangelico, sua consistenza logica, presenza nelle fonti più antiche ecc.) ha un fondamento debole, figuriamoci quindi ricercare il fondamento nel dettaglio dei singoli presunti poteri delegati.  

2- Come sappiamo la teologia cattolica tradizionale non si è limitata a definire il “giudizio particolare”, con  gli esiti, sopra descritti, ma, in ossequio ad altri passi scritturali, è stata costretta a definire anche l’esistenza di un successivo “giudizio definitivo”, al ritorno di Cristo, nel giudizio finale (quello dipinto da Michelangelo, per intenderci, Canone 1038 e seg.).
Nasce così un pasticcio imbarazzante, nel quale si avvita una teologia arrogante, che troppo spesso non va d’accordo con la logica.
Ed allora, se come abbiamo visto, il “giudizio particolare” rischia di apparire come una pura formalità, se il fedele e il sacerdote hanno fatto quanto prescritto, figuriamoci la consistenza del “giudizio finale”, che appare ridotto a pura ridondante scenografia.
Ricordo che il mio, pur quotato, insegnante di religione del liceo, per cercare di arrabattarsi fra queste contraddizioni ci ripetè l’ escamotage proposto dalla teologia tradizionale, che consiste in questo argomento debolissimo : che il giudizio finale sarebbe necessario alla fine dei tempi per valutare le conseguenze delle azioni avvenute nel frattempo (fra il giudizio particolare e quello finale) e fece l’esempio delle presunte nefandezze, operate da Lutero, che potrebbero essere viste solo alla fine dei tempi, per essere valutate in tutte le loro conseguenze.
Argomento debolissimo, perché ridurrebbe l’autore del “giudizio particolare” a uno che o non sa cosa sta facendo o che non ha abbastanza autorità per farlo.
Dal momento che il cristianesimo si definisce fino alla noia un monoteismo è lecito per lo meno ipotizzare o definire che il dio che opera il giudizio particolare sia il medesimo attore di quello finale, di dio ce n’è uno solo.
Si possono scrivere dei trattati¸ come si sono scritti, per elencare gli attributi di dio, ma è assolutamente pacifico che dio è universalmente concepito come una entità che conosce il futuro, essendo definito come onnisciente.
Se invece si ipotizzasse il giudizio finale come un vero giudizio e quindi con possibilità di ribaltare la mediazione sacerdotale nella confessione e poi quello particolare, si finirebbe ancor peggio, da un punto di vista logico.
Ci troviamo quindi di fronte alla incongruità della formulazione di un giudizio addirittura a tre livelli : quello del sacerdote come mediatore o delegato che interviene col sacramento della penitenza, quello particolare e quello finale.
Non se ne esce, o si ipotizza solo la possibilità di tre giudizi uniformi, cioè identici, ed allora tutta la costruzione dei tre livelli di giudizio sarebbe inconsistente, insensata, oppure si ipotizza la possibilità di tre giudizi veri e propri e quindi con la potestà di cassare ognuna delle sentenze precedenti, ma allora il sistema a tre livelli ridicolizzerebbe addirittura la dignità di dio, perché sarebbe come riconoscere che lo stesso dio si era sbagliato in uno dei due giudizi precedenti e questa evidentemente sarebbe una insensatezza.
E’ sconcertante rilevare come la teologia tradizionale offra argomenti così poveri in materie di questo spessore e importanza per i fedeli.
E’ facile dire che allora occorre mettere mano a nuove formulazioni della teologia cattolica, ma il compito è parecchio difficile.
Perché per secoli si è prodotto nulla, tutto va ripensato su nuove basi.
E’ talmente radicale la revisione che occorrerebbe fare in questo campo, che è il caso di chiedersi se ne varrebbe la pena o se non sia più produttivo lasciare perdere la teologia e rivolgersi più sensatamente alla filosofia.
Non è un caso che la storia del cristianesimo sia attraversata da secoli dal filone della mistica, cioè da coloro che hanno sempre inteso che il rapporto con dio debba essere diretto , senza mediazioni né sacerdotali né teologiche.
E’ inutile ricordare che una corposa fila di mistici è stata posta all’onore degli altari, anche se probabilmente i fedeli non pratici di teologia non colgono il grave imbarazzo della chiesa gerarchica per queste riconoscimenti.
Le più recenti correnti teologiche sono spesso arrivate alla conclusione che tutta la teologia vada riscritta non solo perché andrebbe orientata non più sul principio di autorità ma sulla ricerca filosofica, sul confronto con le acquisizioni della scienza e così via.
Ma soprattutto hanno sottolineato, che, se si parte dalla concezione di dio come spirito e non dalla concezione infantile antropomorfa del vecchio con la barba, occorre superare la visione tradizionale di un dio persona e avvicinarsi invece alla visione delle filosofie e religioni orientali, molto più antiche del cristianesimo, basate appunto su una concezione di dio come  impersonale.
Se si pensa a questi orizzonti, la vedo dura per i pochi fedeli rimasti, che stando alle indagini in materia sono sopravvissuti perché si sono assemblati una loro teologia personale e quindi sono impermeabili alle mille incongruenze della teologia tradizionale.
Non è un caso che le agenzie religiose, che oggi hanno maggior successo e sviluppo nel mondo , cioè quelle evangeliche, si presentino senza riferimenti dogmatici- teologici, ma accentuando gli aspetti esistenziali di esperienza.
Nelle loro celebrazioni cercano l’effetto della seduta psicanalitica, la liberazione dell’inconscio.
Al di là degli aspetti esteriori a volte folcloristici o dello sfruttamento anche economico a volte operato da furbastri pastori (come è sempre accaduto del resto, anche in casa cattolica) non è detto, che queste tendenze non seguano delle linee, che meriterebbero un serio approfondimento, cioè che non siano più vicini loro a una  proposta del rapporto con dio adatto all’uomo moderno ,che non quello delle agenzie tradizionali, forse ormai decotte.
E i fedeli?
Mi sembra che la cosa funzioni come in politica, se si documentassero un po di più, si accorgerebbero che oggi sono più liberi ed hanno più opzioni, che anni fa nemmeno si sognavano.
Con un po’ di pregiudizi in meno e molti strumenti in più vivrebbero meglio, o almeno questo è il mio parere personale.

martedì 7 maggio 2013

Il Divo Giulio, fra Richelieu e Belzebù. Difficile interpretare in modo più inquietante l’ambiguità del potere




Nessuna intenzione di associarmi al coro delle beatificazioni postume in favore di Andreotti.
Ma trovo doveroso dire per prima cosa che di fronte all’attuale teatrino della politica sul quale recitano da vent’anni  personaggi penosamente mediocri, Andreotti navigava su un altro pianeta.
A mio parere per capire chi era questo singolare personaggio, occorre situarlo principalmente negli anni ‘60/’70, quando la DC non era al potere, era il potere, tutto il potere.
E lui ne era il Gran Sacerdote.
Il potere senza aggettivi richiede la celebrazione di riti e liturgie che lo pongano ben al di sopra del teatrino quotidiano della politica.
E lui infatti era più di chiunque altro di casa nel tempio.
Era l’uomo del Vaticano per antonomasia, nel senso che, anche se non portava formalmente la porpora, era accolto come un pari al di là del Tevere.
Cosa questo significhi nel senso di potere in quegli anni è facile dedurlo.
Ma in quegli stessi anni il potere reale si reggeva su un’altra colonna ancora più potente oltre al Vaticano.
E infatti lui era di casa anche a Washington.
Non sapeva praticamente pronunciare una frase in inglese, ma nessuno era ben visto in America come lui, era il loro uomo, sicuro e affidabile.
Da oltre atlantico arrivavano di conseguenza anche i dollari del finanziamento per le attività della Balena Bianca e anche questo era un elemento non trascurabile.
Come tutti i grandi cultori e gestori del potere, Andreotti sapeva usare e coltivare sistematicamente le tecniche appropriate.
Si governa solo con una “rete”, come si dice oggi, continuamente.
La rete di relazioni tessuta da Andreotti era solidissima.
Era noto che il nostro conoscesse bene il segreto, che faceva la potenza dei Fouchez, il ministro di polizia passato dalla Rivoluzione a Napoleone senza problemi di coscienza, come dei “ministri di polizia” di tutti i tempi : l’archivio.
Un archivio smisurato ed aggiornato, con tante schedine contenenti vita, morte e miracoli di tutti, sui quali poter trovare elementi per ricattare o più semplicemente per riscuotere il dovuto a seguito dei favori elargiti.
L’archivio privato di Andreotti era leggendario e temuto.
Per stare in argomento, la gestione del potere comportava la frequentazione che Andreotti aveva con particolare gusto con i servizi segreti e con le persone con le greche sulle spalline, tanto che ogniqualvolta si materializzava uno dei tanti “misteri d’Italia” il suo nome come quello di chi ci poteva starci dietro era il primo ad essere nominato.
Il suo culto del potere era talmente palpabile, che è passato per decenni, gestendo le massime cariche dello stato, senza avere quello che nella logica democristiana era il titolo per potere essere in quei posti, infatti la sua corrente all’interno della DC c’era ma non contava quasi nulla sul piano dei numeri.
Altro elemento che lo rendeva non comparabile con i politici di oggi è il fatto che pur essendo uomo di potere era contemporaneamente uomo di cultura solida, e intellettuale per passione, come testimoniano i suoi libri e i suoi articoli, il nostro era infatti giornalista di professione.
Il suo bagaglio intellettuale veniva fuori nelle sue proverbiali manifestazioni di una arguzia molto singolare, battute al vetriolo, che nascondevano il fatto di avere assimilato quella tipica cultura popolare romanesca.
Aveva però la capacità di pronunciarle con la medesima non chalance con la quale ci si scambiano battute fra gentlemen nei club inglesi.
Abbiamo elencato fin qui le qualità possedute dal Richelieu, ma in Andreotti era indubbiamente anche intrecciata la compresenza di Belzebù, diversamente non sarebbe mai stato  Andreotti, così diverso da tutti gli altri.
L’assassinio del giornalista di inchiesta Mino Pecorelli, la contiguità con la banda della Magliana, la contiguità con la mafia.
Era stato accusato di cose semplicemente orrende per decenni.
Per questo si è creato nel tempo quel fascino torbido intorno al suo personaggio.
Il potere è ben noto è la più potente delle droghe.
Non si riesce a spiegare diversamente se non come quell’inebriamento del potere, che impedisce di essere razionali, il suo vezzo di frequentare anche gente assolutamente infrequentabile, da romano fino al midollo aveva voluto conoscere anche la Suburra.
Ha occupato per decenni il potere, ma si sarà arricchito in proporzione come si riterrebbe ovvio oggi?
Se si giudicasse dal suo stile di vita, notoriamente più che sobrio , si direbbe che anche se i soldi li avesse fatti, non se ne sarebbe fatto certo un gran chè.
Eppure il suo nome compare fra quelli poco raccomandabili dei correntisti dello IOR, e così  la leggenda nera continua ad alimentarsi.








lunedì 6 maggio 2013

Il presidentissimo starebbe coltivando discretamente un disegno di lungo periodo in grado di mettere insieme una DC più forte di prima




Ieri Antonio Padellaro, sul Fatto che dirige, ha lanciato questa ipotesi interessante.
A prima vista sembra inverosimile, ma non lo è se solo si pensa alla storia e alle caratteristiche del Presidente, infatti dire che Napolitano è un ex comunista è estremamente riduttivo e  non descrive per  niente la sua storia politica.
Occorre aggiungere che nella storia del PCI prima era stato amendoliano e poi migliorista, cioè sempre aveva aderito all’ala destra del PCI, quindi per circostanze tipicamente italiane, è stato il più a destra dei comunisti, assomigliando più a un democristiano di centro- destra che ai suoi compagni.
Ben inteso in tutto questo non c’è nulla di cui vergognarsi.
Si tratta solo di una posizione al limite, rispettabile come le altre.
Specularmente ed all’opposto è esistita per esempio nel PCI la pattuglia dei cattolici- comunisti, anche questi assolutamente al limite e più che rispettabili.
In ogni caso occorre ancora riconoscere che se veramente il presidentissimo fosse guidato da questo disegno strategico, solo per elaborarlo occorrerebbe un’intelligenza politica di qualità e soprattutto la capacità di fare progetti a lungo termine, cosa quasi inesistente in questa classe politica.
In che cosa consisterebbe questa strategia e soprattutto perché potrebbe essere del tutto verosimile?
La prima ragione sta nel fatto che il pentolone della politica italiana ha fatto saltare il coperchio. Cioè stiamo vivendo un momento politico in cui tutto è possibile mentre nel ventennio o trentennio precedente tutto era rimasto ingessato e immobile, nel senso che alle elezioni che si succedevano i movimenti, gli spostamenti fra le  forze politiche erano dell’ordine dell’1,2 %, il 3% era considerato un terremoto.
Il secondo elemento di verosimiglianza sta nel fatto che uno dei partiti cardine del sistema politico attuale, il PD è esploso al punto che praticamente non esiste più come forza unitaria e nessuno sa come andrà a finire, cioè se tutto si chiarirà in una scissione con centro destra interno (da Fioroni a Veltroni a D’Alema a Renzi) da una parte e centro sinistra interno (prodiani e ex sinistra PCI) dall’altra. 
O, molto più probabilmente, una divisone trasversale giovani- vecchia guardia, senza più rispecchiare le vecchie componenti ex sinistra Dc ed ex PCI.
Dall’altra parte c’è il partito di Berlusconi, il PDL, un PDL, in crescita che ha recuperato, stando si sondaggi, probabilmente soprattutto recuperando gli ex elettori andati a Monti-Casini-Riccardi ed ora delusi.
E’ chiaro a tutti, o perlomeno a chi sappia guardare alle cose con un minimo di distacco e di razionalità, che la leadership di Berlusconi è per mille ragioni a fine corsa, soprattutto per fatto che in quel partito c’è una generazione di mezzo scalpitante, che non è assolutamente di qualità, ma che ne farebbe anche a meno di dover leccare il capo alla mattina, al pomeriggio ed alla sera ed è da tempo in attesa di un’occasione per potere liberarsene, tanto più che nel settore destra –moderata non hanno al momento concorrenti credibili.
Anzi può essere loro di aiuto il fatto che sia attualmente in corso all’interno di quel partito un movimento di chiarificazione nel settore della destra- destra , dove i fascisti ed ex fascisti, che numericamente  sono molto consistenti, soprattutto a livello di presenza territoriale, si stanno riorganizzando per dare vita a una forza autonoma, ritenuta da loro più dignitosa e producente della sottomissione al vecchio satrapo.
Il PD, lo abbiamo detto è al momento in uno stato confusionale assoluto e questa è l’unica ragione per la quale il governo Letta può avere un ragionevole periodo di vita, se pure breve.
Alla nomenclatura del PD, anche se parzialmente rinnovata dalle primarie, andrebbe bene tutto purché si conservino poltrone e relative prebende, tant’è che sono tutti andati in questo governo con Berlusconi che fino a tre giorni prima avevano qualificato come indecente e improponibile.
Ma non essendo del tutto deficienti non possono non sapere che la base sul territorio è in rivolta aperta, i quadri dei circoli nelle varie province,  sanno benissimo che se i vertici nazionali vanno con Berlusconi gli elettori del partito spariscono.
Il gioco quindi non paga più, a che servirebbe conservare le poltrone nazionali, con la prospettiva che alla prima tornata elettorale quando vai in un circolo o in una piazza se non ti menano i tuoi che hai fatto infuriare, sei già fortunato?
E’ chiaro che comunque vadano le cose, nel PD la vecchia classe dirigente è fuori.
I 101 conigli che alle elezioni presidenziali hanno lanciato il sasso, ma non hanno da allora avuto il coraggio di dire : siamo stati noi,  sono la pietra tombale di una nomenclatura.
Anche perché qualsiasi presunto furbo non può violentare l’aritmetica e tutti sappiamo almeno fare di conto.
Il conto dice che se allora i Renziani hanno apertamente votato Chiamparino e quelli del Sel hanno trovato il loro trucco per farsi riconoscere, all’appello mancano solo di dalemiani e quindi quei 101 non possono essere che loro.
Ecco perché il piano strategico del presidentissimo, ammesso che ci sia davvero, sembra verosimile e destinato probabilmente ad avere successo.
Perché c’è questo gregge di vecchie figure calanti e di giovani rampanti, che hanno tanta voglia di arrivare, ma non sanno dove andare a parare e quindi se si trovano una autorevolissima e ovviamente solo confidenziale  indicazione, comincerebbero a farci sopra i loro piani e la cosa si avvia.
La strategia sarebbe questa : in prospettiva mettere insieme il centro destra del PD e la generazione di mezzo del PDL, con aggiunta dei residui montiani-casini-riccardiani.
Verrebbe fuori qualcosa di vistosamente corposo e competitivo, senz’altro candidabile al governo come forza di maggioranza relativa.
E’ più che ovvio che in questo disegno il posto per Berlusconi semplicemente non c’è.
Forse le procure hanno più fans dietro  le quinte di quanto appaia al di fuori.
Sarebbe una operazione storica : restituire al centro destra la sua dignità e centralità, dopo tutto l’infangamento, che ha subito dalla anomala parentesi del berlusconismo, principale responsabile del declino italiano, che non è solo economico, ma è anche declino morale come calo di dignità.
Per finire mi preme riportare un’altra indicazione importante, che ho afferrato in una trasmissione economica di stamattina sempre a proposito del futuro della nostra situazione politica.
La comunità del business internazionale da tempo non vuole neanche più sentire parlare di Berlusconi , non per le ragioni di politica italiana, alle quali è del tutto disinteressata, ma ovviamene per ragioni di business.
Il ragionamento è questo:  l’Italia è il terzo paese al mondo per valore di bond statali sul mercato e il mercato come è noto vuole stabilità ed aborre elementi di disturbo.
Berlusconi al governo è una mina vagante per i mercati ,come dimostra la sua conduzione politica precedente e quindi se gli italiani riescono a toglierselo dai piedi bene, diversamente la comunità del business, cioè le multinazionali, faranno da sole con i propri potentissimi mezzi, basta che tolgano  da Mediaset la pubblicità dei loro grandi gruppi e Berlusca è finito.
Interessante.


venerdì 3 maggio 2013

Il Governo Letta ha tre giorni ma fa già pena. Se va avanti così la democrazia rischia.




Il governo delle larghe intese, che gran parte degli italiani considera il governo dell’inciucio con l’impresentabile Berlusconi, il responsabile del declino italiano, è sembrato a prima vista che fosse stato  assemblato in modo furbo da un abile nipotino della balena bianca, quale è Enrico Letta.
Purtroppo però l’elenco dei sottosegretari è un tale concentrato di personaggi decotti o impresentabili ,che basta quello a far capire che questa classe politica non ha ancora capito cosa sta bollendo in pentola nel paese reale.
Come se non bastasse sono arrivati subito due micidiali ultimatum del domatore del circo, l’aulico Berlusca : l’abolizione dell’ Imu subito e senza storie  ,come fosse la priorità assoluta e la bicamerale per rifare la costituzione ,che deve essere presieduta beninteso dal PDL e cioè sempre dal solito domatore.
Letta è stato incauto a non voler capire che fare un governo ,che di fatto è presieduto da Berlusconi era una follia.
Se andrà avanti così ,come è probabile, sarà uno spettacolo penoso quello che dovremo sorbirci, e pericolosissimo  in una situazione sociale, come quella attuale ,nella quale la rabbia sociale potrebbe esplodere ormai in qualsiasi momento.
Non pare che nemmeno l’opinione pubblica si sia resa conto appieno, che se i dati ufficiali certificano una disoccupazione giovanile al 40% come media nazionale, questo significa che al sud si viaggia intorno a un 60% e queste sono cifre che fotografano un disastro che è già in atto.
Non parliamo di quanto indica la Caritas sull’aumento esponenziale della povertà fra ceti che solo poco tempo fa erano classe media.
Licenziati, esodati, cassintegrati, partite IVA in perdita cronica sono un esercito già ora e sta crescendo a vista d’occhio.
La gente, queste cose le soffre, le sa per esperienza o se le sente raccontare e poi vede in televisione il solito teatrino di politici ,che saranno anche stati scelti in parte con le primarie, ma che vengono avvertiti come lontanissimi dai problemi reali del paese.
Un governo già nato male e una opposizione, che per ora non è in grado di rappresentare una alternativa credibile di governo sono elementi, che indeboliscono di per sè la democrazia.
Purtroppo l’elenco di quello che non va non è ancora finito perché va valutato un’altro elemento importante oltre al marasma economico, sociale e politico.
Si tratta del fatto che da oltre un anno stiamo sperimentando e per di più con insuccesso, forme politiche che sono già di emergenza.
Era di emergenza il ricorso al “governo dei tecnici” e non dei politici di Mario Monti; è di emergenza il ricorso al “governo delle larghe intese” attuale, è di emergenza la rielezione alla massima carica dello stato di un presidente parecchio anziano ,per la prima volta nella storia trattenuto per  un secondo mandato, ed è di emergenza il modo con il quale il medesimo presidente ha gestito il suo ruolo in questi ultimi anni cioè tirando fuori ed al limite tutti i possibili elementi da repubblica presidenziale, che la nostra costituzione consente.
Formalmente non siamo ancora usciti dal quadro costituzionale, ma siamo già da tempo al limite estremo.
La costituzione dei paesi democratici non prevede, che in caso di impasse politico totale si possa ricorrere a un commissario straordinario.
Giustamente non è considerato compatibile con gli ordinamenti democratici, per la semplice ragione che la democrazia è una macchina dotata di marcia indietro, mentre le dittature la marcia indietro non ce l’hanno, quando ci sono non ci si esce con un voto che non c’è più o che è truccato.
Gli antichi romani in questi casi ricorrevano al “dictator”, ma come suona male per fortuna questa parola oggi.
Non c’è nella storia un solo caso di dittatura salvabile ad una analisi storico- razionale, ma si sa che ci si può cascare ugualmente.
Alle scorse elezioni ci siamo giocati forse l’ultima carta, quella di Grillo.
Grillo è realmente il nuovo non compromesso col passato.
Temo però che gli manchi una cosa purtroppo essenziale : il tempo.
Grillo sembra non aver capito che vanno anche bene tutte le cose che propone, va bene il suo personale politico giovane,nuovo e pulito.
Purtroppo però oggi la situazione è drammatica, quando il paese è pieno di disoccupati non c’è il tempo materiale per fare campi scuola per le matricole, occorre incidere subito perché può saltare tutto.
Le carte nell’ambito della democrazia ce le  siamo giocate tutte, abbiamo detto, ma non è vero, perché in realtà le abbiamo giocate tutte meno una.
Quella che la costituzione attuale indica come la strada maestra.
La costituzione attuale infatti prevede come unico strumento in caso di impasse politico il ricorso al voto ad oltranza.
Il Presidente attuale, incensato da tutti i media, come se fossimo già sotto a un regime a pensiero unico, ha ritenuto di non farvi ricorso,assumendosi una grave responsabilità.
E’ assurdo però pensare di rischiare il caos dopo una serie di espedienti di emergenza,senza almeno provare ad imboccare la strada maestra.
Se andiamo avanti così la democrazia deperisce , perde credibilità ed a un certo punto non viene più avvertita come indispensabile.
Andare a votare ora ? ripetono i nostri tromboni negli editoriali di tutti indistintamente i giornali,salvo quello di Travaglio,  ma cosa ne sarebbe del PD ?
E chi se ne frega del PD, sarebbe trattato come si è meritato, il paese è più importante del PD.
Vincerebbe Berlusconi.
Forse, è possibile, ma non è affatto certo  e se fosse anche così, meglio  che si prenda direttamente le sue responsabilità l’originale, che l’imitazione mascherata dalle foglie di fico col governicchio Letta.
Questa è la democrazia, se la vogliamo ancora e la vogliamo a oltranza.