giovedì 31 dicembre 2020

Vittorino Andreoli : le sorgenti del sogno - recensione

 





Vittorino Andreoli è uno scienziato fra i più noti al grande pubblico perché usufruisce del fatto di essere diventato un personaggio a seguito delle innumerevoli apparizioni televisive che ha avuto per decenni.

Oggi è “solo” un ottantenne ma appare molto meno di frequente.

Qualche anno fa teneva banco solo lui e ogni volta che c’era da commentare un avvenimento spesso un delitto efferato o inspiegabile tutti sapevamo che al telegiornale ci saremmo trovati davanti la sua singolare figura con quella pettinatura alla Albert Einstein, che lo ha fatto diventare familiare ovunque.

Anche perché ,contiamocela giusta ,visto che parliamo di psichiatria ,nell’immaginario collettivo, quando uno pensa a uno “strizza-cervelli” se lo immagina proprio con le fattezze alla Vittorino Andreoli.

Ma il tempo passa inesorabile ed oggi lo psichiatra di riferimento dei media è diventato probabilmente il più giovane Massimo Recalcati della Statale di Milano, anche lui bravo come divulgatore scientifico.

Andreoli ha comunque un curriculum accademico di primissimo ordine incentrato sul Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Verona passando però anche da Cambridge e Harvard.

Per decenni si è dedicato meritoriamente anche alla divulgazione scientifica con una lunga serie di volumi.

Questo sull’origine dei sogni è un agile volumetto di novanta pagine.

Un volumetto che si lascia leggere bene ma che richiede un certo livello di attenzione e concentrazione perché la materia non è proprio da lettura d’evasione.

Una delle pietre miliari della psicanalisi è “l’Interpretazione di sogni” di Sigmund Freud del 1899 e quindi è inevitabile che quando ci si trovi davanti a un’opera sui sogni si sia portati a pensare a quella.

Andreoli da subito chiarisce che il suo lavoro non riguarda l’interpretazione dei sogni ma la loro origine da analizzare sulla base di una ricerca basata su esperienze verificabili in gran parte da quanto accade in materia a ciascuno di noi.

E qui sta il grande interesse del libro.

Quanto a Freud l’autore rende rispettoso omaggio al fondatore della moderna psicanalisi, ma nei fatti ne demolisce pressoché totalmente le teorie a cominciare dal concetto principale che sta nel riferimento all’Inconscio.

Non mi avventuro volutamente nel riassumervi il significato che Freud dava all’inconscio, perché Andreoli lo fa ovviamente molto meglio di me e quindi troverete questo argomento nel libro.

L’autore in breve fa presente che le moderne tecnologie consentono di stabilire ormai con precisione quali sono le aree del cervello nelle quali avvengono i fenomeni che in lui si formano, ma che in nessun posto si è trovata la sede dell’inconscio di Freud.

Rispettosa, ma pesantina l’argomentazione a carico del Maestro.

Demolendo senza dirlo apertamente alcune delle leggende metropolitane che sono comunemente condivise l’Autore per esempio ci dice che il pensare di ricorrere al sogno come a una terapia liberatoria, interpretando correttamente o strampalatamente Freud è pericolosissimo, tanto che in psichiatria si usano farmaci per inibire i sogni perché si verificano dei casi in cui il risveglio dopo un incubo che abbia riproposto un trauma, anziché dare l’effetto di svegliarsi liberati fa sì che ci si svegli con alterazioni psico fisiche che possono arrivare fino all’infarto.

Attenzione anche all’uso senza specifica indicazione della melatonina oggi usata a casaccio perché una dose non calibrata su specifiche esigenze può portare addirittura ad alterazioni della psiche.

Interessante e perfino divertente il fatto che l’autore basi tutte le sue argomentazioni ragionando su esperienze concrete.

E quindi leggendo il libro veniamo a conoscere cosa sogna Vittorino Andreoli.

Per esempio ci racconta che gli capita di sognare di trovarsi in un ambiente non conosciuto molto vasto con una porta che conduce a una area che immette in acqua mare o lago.

Lui si immerge e nuota con molta destrezza usando sopratutto la forza delle braccia e va lontano molto lontano fino ad arrivare quasi al buio e ad avvertire che i muscoli delle braccia fanno male a causa della durata dello sforzo.

Peccato che, ci confessa l’Autore, lui non abbia mai saputo nuotare, non ami affatto l’acqua e in acqua ci sia stato l’ultima volta da bambino.

Questa esperienza di sogno per dire che l’esperienza onirica è spesso legata a qualche accadimento che è stato richiamato alla memoria prima di addormentarsi o che abbia esercitato una influenza sensibile sulla propria psiche, una preoccupazione, una emozione positiva o negativa.

Nel sogno si va in un territorio dove la forma di coscienza permane ma è di tipo diverso rispetto ai momenti di veglia.

Andreoli ci spiega da par suo cioè da formidabile divulgatore scientifico da cosa è costituito il cervello, delle famose sinapsi, cioè le unioni complesse e plurime fra i neuroni, della rete che si forma fra i neuroni eccetera.

Ci fa capire che se sono nate le neuroscienze è perché l’attività del cervello consiste in un attività di tipo elettrico che come tale è misurabile e individuabile.

Sappiamo che lo strumento classico per queste misurazioni è l’elettroencefalografo e Andreoli lo cita ma ne mette in evidenza i limiti che consistono in una sua non precisione e approssimazione perfino nel segnalare il momento della morte e questo sinceramente suscita qualche apprensione.

Non si trova però in questo libro nemmeno un accenno a tutte quelle tecniche di “imaging” che usando apparecchiature recenti e sofisticate riescono a misurare i fenomeni cerebrali in modo talmente straordinario da far ipotizzare che non sia azzardato usarle un giorno per individuare addirittura cosa stia pensando in quel momento un’altra persona.

Ma può essere che ne abbia parlato in altri libri.

Peccato però perché l’argomento è di grandissimo interesse.




lunedì 28 dicembre 2020

Jim Al Kalili “il futuro che verrà” recensione

 





Come di consueto nelle mie recensioni riporto per estratto la voce di Wikipedia relativa all’autore.

Jim Al Kalili professore di fisica teorica all’Università del Surrey è nato a Bagdad ma vive in Inghilterra dal 1979.

E’ noto al grande pubblico sopratutto per la sua attività come divulgatore scientifico, tramite diverse produzioni edite dalla BBC.

Conduce la rubrica La vita scientifica sul canale 4 della medesima BBC.

E’ presidente della Associazione Umanistica Britannica,che “rappresenta le persone che hanno deciso di vivere serenamente senza religione né superstizione, che tra l’altro sostiene l’abolizione dei privilegi goduti dalle religioni in ambito legale e sui media”.

Traducendo in italiano tutto questo se mi posso permettere ci vedo una evidente sintonia con la galassia radicale.

Iniziando a parlare del libro non posso nascondere che durante la lettura mi veniva spontaneo confrontare le argomentazioni esposte con quelle sui medesimo argomenti che ritroviamo nella trilogia di Yuval Noah Harari.

Harari non è uno scienziato come Al Kalil è uno storico e la differenza di approccio fra i due sta proprio in questo.

Harari in più di una occasione mi ha dato l’impressione di tendere un po’ a farsi prendere la mano dando per scontate certe sue previsioni e deduzioni come se fossero dimostrate forse per sorprendere e destabilizzare il lettore stroncando le sue opinioni correnti.

Tanto per fare un esempio cito il discorso di Harari sulla presunta inevitabile scomparsa dell’ “io”.

Al Kalil da fisico qual’è azzarda molto meno o non azzarda praticamente mai, dato che previsioni e deduzioni le enuncia solo accompagnandole con la citazione della loro verosimile probabilità sulla base delle conoscenze scientifiche dimostrabili.

Harari sopratutto quando enuncia la “pars destruens” delle sue argomentazioni ,mirata a fare traballare e cascare i pregiudizi correnti compie a mio avviso un lavoro meritevole per aprire la mente dei lettori.

Ma se ci rivolgiamo alla enunciazione degli scenari futuri più probabili e vicini, il lavoro di Al Kalil è senz’altro più accurato e attendibile.


Questo libro è una raccolta di saggi di specialisti nei vari settori dall’intelligenza artificiale alla robotica alla bioingegneria alla fisica quantistica, ovviamente interpellati da Al Kalil, che direttamente si limita a contribuire con il saggio conclusivo che coglie un po’ di sorpresa.

Perchè a differenza degli altri autori che si occupano dell’argomento “futuro” si scrolla di dosso ogni pregiudizio scaramantico e apertamente affronta il tema dei possibili scenari apocalittici.

Cioè non solo le possibili evenienze distopiche, ma quelle apocalittiche pure e semplici.

Da una eruzione tipo Pompei operata però da un maxi-vulcano come quello di Yellostone ,all’impatto con un meteorite o addirittura con una cometa, ad emissioni solari di tipo catastrofico.

Tutte cose purtroppo scientificamente possibili, delle quali però è praticamente impossibile verificare la probabilità.

Per la nostra salute mentale allora focalizziamoci saggiamente sul bicchiere mezzo pieno e godiamoci ancora una volta il panorama dei favolosi scenari futuri fondati su tecnologie che in gran parte già esistono e che quindi non sono questionabili sul “se mai si potranno applicare” ma solo sul “quando”.

Di grandissimo interesse ad esempio il saggio sulle prospettive dei viaggi interplanetari.

Per andare su Marte ci vuole quasi un anno.

Probabilmente è troppo e quindi si stanno studiando forme di propulsione diverse da quelle usate oggi.

Elon Musk dovrà pazientare un po’, anche se il suo impulso è forse determinante per convincere tutti che la conquista dello spazio non è una chimera.

La robotica ha raggiunto livelli di diffusione a costi contenuti dei quali non ci si rende ancora conto.

Nella assistenza familiare come baby sitter o come badante per esempio.

Concordo pienamente con Al Kalil quando dice che i problemi etici (i bimbi e gli anziani non possono prescindere da un rapporto affettivo con chi si occupa di loro) oltre a quelli pratici (cancellazione di posti di lavoro) inducono a concentrarsi non sulla ricerca del robot umanoide tutto fare o capace di espletare tutte le mansioni di una baby sitter o di una badante, ma solo su un formidabile ausilio per espletare compiti limitati come per esempio sollevare correttamente persone allettate per metterle in poltrona o in una vasca da bagno.

Anche questo libro solleva il tema della città del futuro che dovrà essere smart e quindi completamente riprogettata.

Il concetto di proprietà verrà completamente rimodulato.

Non avrà più senso ad esempio avere una macchina di proprietà se si pensa alla percentuale ridicola di uso effettivo.

Le strade per cambiare direzione sono molteplici dal car sharing al funzionamento senza guidatore, fino all’avveniristico ma possibile radicale miglioramento del trasporto pubblico impiegando una specie di razzo che corre in un tubo, capace di unire città lontane con la cadenza e i tempi di percorrenza usuali in una metropolitana.

Non può mancare la prossima rivoluzione dell’assistenza sanitaria fruibile anche nei paesi meno dotati di mezzi, con l’impiego a tappeto della tele medicina, nel campo diagnostico mettendo a disposizione banche dati immense che renderebbero le diagnosi enormemente più accurate, o con la possibilità di consultare i migliori specialisti di una materia anche dalla parte opposta del mondo in collegamento telematico.

Per non parlare della tele chirurgia anche impiegando robot molto più precisi nei micro-movimenti di qualsiasi umano.

Con il dovuto realismo questo libro parla anche, anzi parte proprio dall’esame del problema demografico.

Argomento quanto mai spinoso perché considerato politicamente scorretto e divisivo.

Se mettiamo i piedi per terra però non possiamo non sapere che non ha alcun senso pensare che le condizioni attuali del mondo sviluppato possano essere condivise da chi la lotteria biologica ha messo a vivere nei paesi meno sviluppati, per la semplice ragione che gli specialisti hanno fatto due calcoli dai quali hanno dedotto che per dare il medesimo livello di vita a tutta l’umanità attuale occorrono le risorse di tre pianeti Terra e non di uno solo.

Questa è l’evidenza, ma come si fa ad andare a dire agli abitanti del terzo mondo che solo loro devono finirla di fare figli?

E’ un problema etico obiettivamente serio, ma quanto meno va messo in discussione senza nascondersi dietro a un dito, anche perché una delle ovvie e macroscopiche conseguenze di questa situazione consiste nell’altrettanto enorme e irrisolto problema delle migrazioni incontrollate.

Un libro del genere non poteva non parlare di “machine learning”, di “singularity” e di “transumanesimo”.

Per singularity gli specialisti del settore intendono il momento storico che si verificherà non solo quando la potenza computazionale di computer sopravanzerà in modo irreversibile l’intelligenza umana, ma anche il punto quando il processo di autoapprendimento delle macchine tramite intelligenza artificiale doterà le macchine medesime di facoltà molto simili alla coscienza di sé.

A questi punti la cosa più verosimile sarebbe una ibridazione fra uomo e macchina con un superamento della biologia come la conosciamo oggi.

E’ chiaro che il punto nel quale si arriverà è quello che Harari chiama l’Homo Deus e che rappresenta la vetta di tutte le argomentazioni sul futuro.

Verosimile? Possibile? E quando?

I pareri dei vari specialisti divergono su questi parametri.

L’inventore della singularity Raymon Kurzweil vedeva questo punto storico estremamente vicino.

Harari non si sbilancia troppo sui tempi ma ritiene l’evento praticamente sicuro e inevitabile.

Al Kalil è più pragmatico.

Ritiene la cosa possibile e verosimile ma non si pronuncia sui tempi e sopratutto si interroga sugli enormi problemi etici e filosofici che comporterebbe una simile evenienza.

Mi sembra che tenda ad affrontare questo problema come ha fatto relativamente alla robotica, cioè invitando a non concentrarsi su un diverso tipo di uomo che ibridando la propria biologia con parti cibernetiche inorganiche diventi ormai altra cosa diversa dall’Homo Sapiens, ma piuttosto ci si limiti ad accontentarsi di usare queste forme di ibridazione ormai possibili per migliorare in modo sorprendente la macchina umana in modo progressivo.

Libro di enorme interesse, che si lascia leggere bene pur essendo scritto da specialisti.





venerdì 18 dicembre 2020

Christopher Skaife : Il signore dei corvi - recensione

 



Libro singolarissimo questo e non potrebbe essere diversamente visto che l’autore non è altri che quel signore nella incredibile divisa da Ravenmaster di Sua Maestà che appare nella copertina dell’edizione inglese.

La tradizione della real casa inglese è assimilabile a una vera religione civile e quindi leggendo il libro vedrete che quella divisa, ogni parte di essa compresi ovviamente i colori sono tutti simboli di qualcosa per identificare qualcosa : il reggimento, la mansione, il grado, le decorazioni, eccetera.

L’autore si descrive come un qualunque monellaccio da strada di Dover, sì proprio la città delle famosissime bianche scogliere, che avrebbe benissimo potuto diventare anche un delinquente, a causa della sua decisa vocazione a provarle tutte, se non avesse per caso avuto l’opportunità di arruolarsi nella fanteria del reale esercito britannico ancora giovanissimo nell’età della prima adolescenza, come è stranamente consentito in quel paese.

Da quel momento come per ogni militare di professione la sua famiglia è divenuta l’esercito, il che da un punto di vista pratico significa che si è trovato a vivere per breve tempo in ogni angolo della terra, acquisendo ovviamente un buona preparazione militare, che lo ha portato a scalare tutti i gradini riservati ai sottufficiali fino a comandare un plotone come sergente, ma a dover faticare sul versante di una istruzione scolastica così dispersa fra le varie basi militari dell’ex impero britannico nelle quali è brevemente vissuto.

L’autore ci dice anche che nel corso della sua carriera militare si è trovato a seguire corsi non proprio da forze speciali, ma qualcosa di simile.

Ci troviamo quindi di fronte a una specie di Rambo, addestrato a cavarsela in qualunque situazione sul campo.

Uomo di muscoli, addestramento e astuzia.

Proprio così, ma allora, mi chiedo come ha fatto una persona con queste abilità più di tipo fisico che intellettuale riuscire a scrivere un libro brillante e ben fatto,come questo?

Perchè questo è un libro scritto decisamente bene a metà fra la divulgazione scientifica e la buona narrativa storica e anedottica e quindi fra la narrativa e la saggistica e quindi difficile da manovrare.

E’ chiaro che l’autore quando dopo anni di carriera militare si è trovato ad essere assunto come Yeoman Warden alla Torre di Londra ha provato realmente, come dice nel suo libro a provare una forte passione per quello che si trovava a fare, e questa passione è stata la molla di tutto.

Il singolare lavoro consisteva nell’ essere un tramite fra i custodi di un bene culturale forse più di ogni altro simbolo della storia inglese dato che il complesso di antiche fortificazioni della Torre risale al tempo dei Romani e un pubblico di turisti di ogni cultura e provenienza che visita quei luoghi con numeri assimilabili a quelli dei più gettonati santuari mariani.

Non trascuriamo poi l’elemento che rende ancora più attraente quei luoghi : il mito, le leggende.

Tanto per fare un esempio è ben noto che dall’esecuzione di Anna Bolena è sorta la narrazione del suo fantasma che da allora si aggirerebbe nei meandri della antica fortezza.

Fortezza, prigione, forziere che custodisce i gioielli della Corona e gli omaggi di ogni genere che nel corso dei secoli i visitatori illustri provenienti da ogni parte dell’impero portavano ai Monarchi inglesi, compresi animali esotici di ogni genere.

Ma è chiaro che il vero protagonista di questo libro non sono tanto gli umani quanto l’animale simbolo di tutte le storie sulla Torre cioè i corvi della specie Raven in inglese, non volgari crow o peggio normali cornacchie.

Odino o Thor, le divinità Vichinghe non si sarebbero mai serviti di una volgare cornacchia per comunicare coi mortali, ma solo di un corvo reale, cioè di un volatile poderoso, quanto a becco,artigli,struttura fisica ed apertura alare, splendido e unico piumaggio di un nero più nero del nero.

E qui viene fuori il fascino perfino ambiguo di questi oggi rari volatili, che non sono solo belli per per la loro possente struttura fisica, ma sono temibili e temuti fin dall’antichità, perché come le civette sono associati al mondo dei morti ,come anche a quello degli dei che li avrebbero usati come messaggeri simbolici.

Ma la ragione più profonda del fascino che godono i corvi sta nell'essere contemporaneamente icone di morte e di vita.

Tutti ricordiamo infatti l'antichissimo mito del diluvio presente non solo nella narrazione biblica con il corvo che viene inviato in avanscoperta fuori dall'arca e che o non ritorna a dimostrazione che ha trovato la terra ferma o torna con un rametto nel becco a dimostrazione che la terra è vicina e quindi che l'umanità è salva.

Se cercate raven su wikipedia una voce vi dice che si tratta di un animale selvatico che si ciba di carcasse.

Il nostro Sergente Skaife senza privarsi delle sue abilità da Rambo deve aver passato ben tanto tempo ad osservare come un appassionato naturalista i comportamenti e le abitudini dei suoi corvi della Torre e poi altrettanto tempo a leggersi delle belle pigne di libri sull’argomento, per poter scrivere un libro come questo.

Senza parlare degli innumerevoli riferimenti storici che deve conoscere il personaggio che non solo comanda i guardiani dei corvi imperiali della Torre di Londra, ma che dopo avere accudito a questi splendidi animali deve fare da cicerone alle autentiche folle dei turisti che quotidianamente visitano questi luoghi.

Non anticipo nulla per non privare il lettore del piacere di assimilare le mille cose sorprendenti e singolari che sono custodite in questo libro, se non i due principi che l’autore ci dice che abbiano ispirato la sua filosofia nel rapportarsi a questi volatili unici.

Primo principio non pensare neanche lontanamente di antropomorfizzare il rapporto coi corvi, cioè con un linguaggio più terra terra non mettere in atto nulla che possa far pensare a un tentativo di addomesticare i corvi reali come si fa coi pappagalli o le cornacchie e i merli.

Si tratta di animali selvatici che devono e vogliono rimanere selvatici.

Secondo questi volatili hanno una ritualità innata, che va assolutamente rispettata rapportandosi a loro e se questa non viene rispettata alla lettera, questi animali diventano incontrollabili.

Questo significa che la loro giornata è ritmata da fasi e procedure fisse che si ripetono giorno dopo giorno.

Sono animali territoriali e quindi va rispettato lo spazio che si sono scelti come territorio loro.

Sono animali fra loro di norma socievoli che vivono in coppia per di più generalmente monogama.

Non è facile farli riprodurre.

Hanno una vista molte volte superiore alla nostra e quindi per loro è facilissimo tenerci d’occhio anche quando non li vediamo.

Pare che abbiano una memoria di ferro con conseguente capacità di ricordarsi di eventuali sgarbi da parte nostra, che si legheranno al dito indefinitamente.

In compenso se si riesce a instaurare una buona relazione con loro rimarranno fedeli ad essa.

Vivono più a lungo di quanto normalmente si pensa.

Ah, dimenticavo.

Ma forse lo sappiamo già tutti.

Il loro fascino sta forse principalmente nella leggenda secondo la quale se lasciassero la Torre di Londra, con loro finirebbe la Monarchia britannica.

E quindi si capisce perché la real casa è disposta a mantenere un apparato logisticamente impressionante per accudire con la massima cura ai 7 corvi reali che risiedono e svolazzano presso il complesso della Torre di Londra che si trova quasi sul Tamigi a pochi passi dell’altrettanto famoso London Bridge, sì proprio quello con le due torrette, che si può aprire per far passare le navi più grandi.

Il punto di forza di questo libro a mio parere sta nella capacità che ha avuto l’autore nel saper offrire al lettore un gran quantità di nozioni di comportamento animale di quella particolare specie di volatili e di storia inglese ricorrendo a brevi narrazioni basate sulla sua vita coi corvi della Torre, intercalati da una altrettanto grande quantità di aneddoti inerenti alla storia della quale ogni pietra della Torre è portatrice.

Forse avrebbe potuto evitare le elencazioni delle classificazioni scientifiche di quegli animali.

Ci sta bene invece l’ampio elenco dei brani letterari che in qualche modo parlano dei corvi.

Probabilmente avrebbe contribuito a dare al libro una ulteriore attrattiva un uso più moderno delle immagini, usate con troppa moderazione.

Forse l’autore aveva la preoccupazione di cadere nell’equivoco della guida turistica, mentre il libro è di tutt’altra specie.

Il risultato comunque è veramente soddisfacente.



mercoledì 9 dicembre 2020

Vito Mancuso : “Quattro maestri” recensione

 



L’ultimo libro di Vito Mancuso segna il definitivo e formale distacco dell’autore dal Cristianesimo e se si pensa che questo filosofo teologo è stato a suo tempo ordinato sacerdote si capisce quanto questo significhi in termini anche di coraggio personale.

Anche se bisogna aggiungere che l’abito talare l’ha vestito per ben poco tempo fino a quando ha dovuto riconoscere che dei dogmi del “depostum fidei” erano più quelli che gli apparivano privi di un minimo fondamento logico, di quelli che condivideva e ne ha tratto le dovute conseguenze.

Per sua fortuna incassando l’appoggio non solo morale di quella grande anima del suo Arcivescovo di allora, che era quel Cardinale Martini che aveva troppo stima dei soggetti pensanti, per non capire che la vivissima intelligenza di quel suo giovane prete, andava coltivata anche a costo di perdere un chierico per guadagnare un intellettuale che prometteva molto se lasciato alla sua libertà di ricerca.

Oggi si definisce post-cristiano riconoscendo con questa onesta dichiarazione l’enorme peso che l’eredità della cultura cristiana, impastata nelle nostre radici lascia a chiunque viva nei paesi occidentali e questo succede anche per chi non è mai stato sacerdote e magari non ha neanche avuto simpatia per questa categoria di persone.

Mancuso con questo libro dice in modo articolato che è ormai giunto il tempo di distinguere bene fra religione e spiritualità proprio per non rischiare di buttare via come si dice anche il bambino con l’acqua sporca.

Fuor di metafora, se le religioni sembrano non avere verosimilmente una possibilità di futuro, sarebbe una follia lasciare affondare questo nostro mondo nel nichilismo senza fare alcuno sforzo per riaffermare il primato dell’etica e della giustizia attraverso appunto il coltivare la spiritualità senza bisogno di appoggiarla ad alcun apparato delle religioni storiche.

Basterebbe appoggiarci all’altrettanto enorme eredità della filosofia classica, visto che anche lei per nostra fortuna impasta le nostre radici.

Ma opportunamente Mancuso, come altri grandi intellettuali di formazione cattolica,allarga il campo visivo verso le tradizioni religiose e culturali orientali che possono fornire altrettanti validi punti di riferimento.

Non per mettere insieme una improbabile nuova religione con elementi multicolori di tipo sincretistico, ma per lasciare alla libertà di ricerca individuale la facoltà di prendere spunti di meditazione o di riferimento anche in queste importantissime culture oltre che nella filosofia classica.

Ecco allora venire fuori i quattro maestri che sono in ordine di apparizione del libro : Socrate, Buddha, Confucio e Gesù.

Attenzione, Gesù, cioè il personaggio storico Joshua ben Jossef e non il Cristo della fede, costruito a tavolino da San Paolo e arraffato da Costantino per farne instrumentum regni con quella montagna di dogmi sopravvenuti e accumulati per secoli che col Gesù storico hanno poco a che fare.

Di fronte a tali nomi sarebbe penoso se cercassi di fare un riassuntino.

Abbiamo davanti un libro di oltre cinquecento pagine di limpido e illuminante pensiero e quindi non immiseriamone il contenuto.

Mi limiterò quindi ad accennare al particolare “taglio” col quale l’autore affronta i quattro maestri.

Mancuso ha avuto la fortuna di iniziare la sua attività accademica al fianco di due filosofi e spiriti liberi come lui del calibro di Massimo Cacciari e di Roberta de Monticelli, ma i suoi libri non sono saggi accademici e il suo successo editoriale è dovuto anche a questo.

Questo libro, pur essendo documentatissimo e dotato di una bibliografia e note di ottimo livello è scritto per essere letto dal grande pubblico.

Socrate

Ne consegue che non ci parla di Socrate come fanno i manuali di storia della filosofia di cara e simpatica memoria dei nostri studi liceali, ma per la verità riesce a dirci quello e anche qualcosa di più, e sopratutto riesce a presentaci la figura storica di quello che è riconosciuto come il padre della nostra cultura occidentale.

Figura storica nel senso di storia viva come fortunatamente la si intende oggi.

Di Socrate ci dice come era di persona bello o brutto, per intenderci era più che brutto.

Ci dice, udite udite che in vita sua aveva anche dovuto lavorare e duramente come facciamo tutti per sbarcare il lunario come non era affatto costume dei grandi intellettuali dell’antichità.

Moglie e figli.

Cosa mangiava, che attitudini sessuali aveva (singolari si direbbe).

E ovviamente sopratutto come la pensava.

Navigava alto, se no non sarebbe stato Socrate, ma amava perdutamente l’uomo e l’umanità e credeva fortemente nella capacità di noi tutti di elevarci con lo studio per arrivare alla vita più degna che si possa vivere sulla terra per gustare il massimo di felicità conseguibile.

Se c’è stato un maestro nella storia e per di più con la convinzione di avere avuto dal Cielo la missione del maestro come un comandamento, questi era lui.

Buddha

Personalmente non avevo una grande conoscenza delle filosofie orientali se non quella derivante dalla lettura di alcuni libri del Dalai Lama e quindi ho trovato di grandissimo interesse la decisione di Mancuso di inserire fra i maestri proposti alla meditazione dei suoi lettori ben due delle figure fondamentali di quell’universo culturale : Buddha e Confucio.

Il libro del quale parliamo da la precedenza al più radicale dei due.

Il forte interesse che si è manifestato negli anni recenti per il Buddismo qui in occidente sopratutto fra i giovani e gli scienziati ha colto di sorpresa i nostri preti, che hanno reagito affrettandosi a dire con tono condiscendente che il Buddismo non è nemmeno una religione, ma solo una morale e che Buddha nemmeno credeva in dio.

Giudizi sommari e superficiali per disfarsi di un concorrente con poco sforzo.

Ma Buddha merita di più perché il suo pensiero è tutta una tensione per aiutare l’umanità a non essere infelice.

Come per Socrate anche per Buddha il punto di partenza è l’uomo e la sua condizione, che lo stesso Buddha vede con preoccupata costernazione come una preda della sofferenza che cerca di avvilupparlo da tutte le parti.

Concentrato in questa ottica constata che il problema di dio è secondario e quindi lascia sospeso il giudizio sulla sua esistenza e consistenza.

Il modo di ragionare di Buddha pragmatico e filosofico, riscuote con tutta evidenza una particolare simpatia da parte dell’autore, perché chiaramente lo aiuta nella sua transazione da un cattolicesimo istituzionale dal quale sentiva l’esigenza di staccarsi per le troppe falle logiche del suo costrutto.

Lo si capisce per esempio quando dice che la presunta rivelazione cristiana, i tre sola di Lutero (sola fides ,sola gratia, sola scriptura) o il principio di autorità (dio,creazione,sacrificio di Gesù,resurrezione e divinizzazione, chiesa gerarchica e dogmi) sarebbero dei non sensi assoluti per il pensiero del Buddha basato sulla assoluta libertà di pensiero, fiducia nella capacità dell’uomo di raggiungere il superamento della sofferenza fino al Nirvana con le sue sole forze.

Non è agevole accostarsi al Buddismo per chi proviene da una diversa tradizione culturale, ma la cosa può diventare addirittura entusiasmante quando si scopre come ha fatto Mancuso che risolve i problemi fondamentali dell’uomo senza passare per rivelazioni,dogmi,scritture, istituzioni, chiese.

Il “ gnothi sauton” conosci te stesso inciso sul frontone del tempio di Delfo, divenuto il mantra del pensiero occidentale lo ritroviamo nella sostanza alla base del pensiero buddista che si situa temporalmente quasi nel medesimo periodo storico.

Ma non nel cristianesimo che arriva quattro secoli dopo e che pone il suo fulcro tutto sul dio personale e creatore che non pare avere una buona opinione della sua creatura uomo ,che infatti senza la sua grazia si perderebbe miseramente.

Non mi avventuro nelle descrizioni della ruota della vita che gira e ritorna, la ruota del Karma,che trova nello stesso asse la ruota dentata del Dharma che l’uomo può far muovere se lo vuole a spirale verso l’alto uscendo dai cicli delle rinascite per conquistare l’illuminazione del nirvana.

O nell’altro concetto chiave del buddismo della genesi interdipendente, linguaggio al quale non siamo abituati ma nel cui significato ci ritroviamo immediatamente quando ne scopriamo la incredibile vicinanza con il “panta rei” tutto scorre di Eraclito.

Buddha lascia in sospeso il problema dell’esistenza di dio perché ritiene che la eventuale risposta non servirebbe a risolvere il vero problema pratico dell’uomo e cioè il superamento della sofferenza, ma chiaramente dichiara la non esistenza dell’anima.

Questa affermazione mette in crisi uno dei capisaldi della nostra cultura occidentale e quindi è opportuno il chiarimento che ne dà Mancuso quando sostiene che Buddha coerentemente col suo pensiero nega l’esistenza di quello che si può definire io psichico,in quanto entità in costante trasformazione rivolto alla prioritaria ricerca del piacere narcisistico che è considerata la principale fonte di sofferenza per il buddismo , ma non nega certo l’esistenza di un sé capace di esercitare la sua libera volontà firmando ogni proprio atto con “l’intenzione” altro concetto chiave di questa filosofia.

L”impermanenza” di ogni sostanza non toglie il fatto che il concetto di Karma o azione si fonda sulla convinzione che ogni nostra azione o pensiero da qualche parte rimane incancellabile aumentando o diminuendo l’energia positiva che le nostre azioni buone o cattive generano secondo l’intenzione che le ha fatte nascere.

Confucio

E veniamo a Confucio, personaggio che ha ispirato la bellezza di venti secoli di impero cinese ma che in occidente non trova colpevolmente posto nei manuali di filosofia.

Mancuso dice che se Socrate rappresenta la figura del maestro e Buddha quella del medico, Confucio non può essere visto se non come il politico.

La sua è infatti una religione civile.

Come gli altri due maestri sopra citati , ma come vedremo non Gesù, Confucio nutre grande fiducia nella capacità dell’uomo di scandagliare la propria interiorità per trovare lì la capacita di migliorare e realizzare sé stesso con le sue sole forze senza ricorrere ad alcuna rivelazione né all’autorità di alcun dio esterno.

Come Buddha Confucio è un pragmatico che crede nella libertà dell’uomo e della ricerca.

Quella che la tradizione orientale chiama il Tao, la via, per Confucio sta principalmente non nella meditazione ascetica come in Buddha, ma nello studio sistematico.

Confucio per usare un termine oggi di moda dovrebbe essere ritenuto il precursore del concetto di meritocrazia.

A differenza di Buddha non crede nell’uguaglianza degli uomini,perchè studiando ne scopre le evidenti diversità e su questa base insegnava che attraverso lo studio sistematico è possibile per tutti raggiungere l’aristocrazia dello spirito, che è il suo ideale.

Confucio non è certo animato da idee liberali o progressiste.

Il suo ideale non è un futuro progressivo, ma il mito di un passato ritenuto meglio del presente perché idealizzato.

Vede l’individuo capace di realizzare sé stesso solo come parte di un insieme di una relazione proficua con gli altri.

La priorità è una società ben gestita politicamente, non l’individuo.

La buona gestione della politica la si ottiene applicandosi a interpretare i rapporti sociali seguendo quelli che Confucio chiama i “riti”.

Che non sono cerimonie liturgie laiche o semplici manifestazioni di conformismo, ma sono un usufruire della saggezza antica praticando i rapporti sociali manifestando gentilezza e uniformandosi alle norme di condotta riportate dalla tradizione.

Come ad esempio il lutto di tre anni, norme abbastanza dettagliate perfino nell’alimentazione anche se Confucio mangiava di tutto e per di più sembra che alzasse un po il gomito nel bere birra o qualcosa di simile.

Ma il suo insistere nell’osservanza dei riti è forse accostabile all’invito di Aristotele di perseguire la virtù facendone un “abitus”, cioè l’indicazione di un mezzo utile per praticare la virtù in modo sistematico.

Per la verità devo ammettere che non mi risulta del tutto chiaro dall’esposizione in proposito di Mancuso cosa Confucio intendesse per riti, forse non è agevole ricavarne il concetto dai “dialoghi” che sono l’opera dalla quale ricaviamo le basi del pensiero di Confucio.

Mancuso li commenta asserendo che Confucio era sì un politico conservatore per definizione, ma che che i riti non erano invito al conformismo e che il suo essere conservatore non riduceva la sua assoluta fiducia nelle capacità di ognuno di elevarsi alla nobiltà che intendeva a livello spirituale e quindi non per nascita o per ricchezza.

Il suo ideale era l’armonia e per un politico questa andava declinata come società ordinata, pacifica.

Gesù

Ed eccoci al quarto maestro che stante il passato personale e professionale di Mancuso non poteva che essere Gesù.

Si è accennato sopra come l’autore si pone oggi col cristianesimo, cioè nel senso di un superamento

definitivo.

Ho trovato di particolare interesse questo ultimo capitolo anche perché nessuno di noi può ignorare l’enorme influenza che il cristianesimo ha avuto sulla nostra storia e quindi più o meno direttamente a seconda della storia di ognuno anche su noi stessi.

Temo però che la lucida analisi di Mancuso sulla distinzione netta fra Gesù di Nazaret e il Cristo della chiesa risulti difficile da affrontare sia per i pregiudizi che la gran parte di noi ha assorbito dall’indottrinamento subito non solo da fanciulli, sia diciamolo pure per la pacchiana e spesso voluta ignoranza delle più elementari nozioni di teologia della quale si soffre in Italia.

Ma lo sforzo di Mancuso è ugualmente meritorio.

Mancuso ricorre a un esempio visivo efficacissimo quello della piramide rovesciata, questa è l’operazione che ha operato la chiesa nella storia.

Al vertice c’è il Gesù storico.

Il suo pensiero è semplice e lineare e lo si può elencare in pochi concetti fondamentali :

il discorso della montagna, il padre nostro, il famoso precetto detto della regola aurea (non fare gli altri quello che non vorresti che fosse fatto a te) e poco altro.

Punto fermo la sua convinzione che quello che chiamava il Regno di Dio fosse imminente e consistesse in qualcosa di assolutamente drammatico e tragico.

Chi non si fosse convertito in fretta si sarebbe dannato eternamente.

Il Gesù vero quello della storia credeva nell’inferno, perché nel suo riferimento che era l’ebraismo c’era un dio che privilegiava la giustizia all’amore e quindi non era disposto a concede più di un’altra occasione a chi si fosse comportato moralmente da reprobo.

Prevedendo come imminente la fine di questo mondo con un intervento diretto di dio che non avrebbe distrutto il creato ma avrebbe distrutto questa era del mondo per farne partire un’altra nella quale non ci sarebbe però stato posto per chi non si fosse convertito in tempo.

Il pensiero del Gesù vero era assolutamente radicale e apocalittico perché vedeva vicina la fine del mondo così come era e quindi non riteneva che avesse senso procreare o fare sesso, fare soldi, fare carriera eccetera.

Purtroppo però Gesù si sbagliava perché il mondo non sarebbe finito.

Sbagliandosi ha messo in grave difficoltà i discepoli che si ritrovarono spiazzati.

Cosa potevano fare?

Ammettere l’errore del maestro profeta e andare avanti a predicare il suo messaggio non parlando più di imminente fine del mondo o come?

Sappiamo solo che Giacomo uno dei capi più carismatici del primi cristiani proponeva di andare avanti a usare il contenuto della predicazione di Gesù per farne la base di una nuova setta nell’ambito dell’ebraismo.

Prevalse invece nell’ambito delle prime comunità la costruzione mentale di Paolo di Tarso che si inventò l’idea della divinizzazione di Gesù per farne il Cristo cominciando a costruirci sopra i primi gradoni della piramide.

Il messaggio allora non era più : attenzione sta per arrivare la fine del mondo ed è imminente l’avvento del Regno di Dio, convertitivi altrimenti per voi sarà pianto e stridor di denti,

ma diventa : la salvezza per voi è già venuta dal sacrificio dell’agnello di dio morto in croce e resuscitato per liberarvi dai vincoli del peccato originale dei vostri progenitori che fra l’altro ha fatto sì che nella condizione umana apparisse la morte, ma questa salvezza vi può venire dispensata solo se seguirete le prescrizioni della gerarchia della chiesa.

Purtroppo con l’invenzione del cristianesimo è anche cominciata la strumentalizzazione della religione che divenne ben presto con Costantino instrumentum regni e da qui la degenerazione nel corso della storia con il libro nero del cristianesimo (persecuzione dei presunti eretici, crociate,guerre di religione,inquisizione, schiavismo tollerato pedofilia,ecc.).

Così la salvezza non è più opera della libertà umana come aveva insegnato Gesù, ma diviene un atto unilaterale di dio e sulle capacità dell’uomo incombe un cupo pessimismo (nel quale sguazzerà Sant’Agostino altro costruttore della piramide).

Mancuso non mi convince sinceramente quando dice : dopo la manifestazione dell’errore di Gesù di credere fermamente nella prossimità della fine del mondo, cosa dovevano fare le prime comunità cristiane per sopravvivere? Hanno sbagliato a seguire l’invenzione di San Paolo del cristianesimo ?

Cioè la fondazione del cristianesimo ha rappresentato un tradimento del messaggio di Gesù?

Mancuso risponde con un incomprensibile no,e dice che si trattò di un processo necessario.

Qui non riesco proprio a seguirlo anche perché questa sua opinione non viene appoggiata da alcuna adeguata spiegazione e mi sembra in evidente contrasto logico con tutto il discorso che aveva prima fatto sul Gesù storico, che chiaramente considera come quello autentico.

Peccato perché l’analisi complessiva della figura di Gesù che troviamo in questo libro costituisce una buona sintesi della lettura ormai seguita da decenni da gran parte degli studiosi e il contrasto fra il Gesù storico e l’invenzione ex novo del cristianesimo col Gesù della fede era stata delineata in modo netto e ben appoggiato da documentazione adeguata.

Tra l’altro Mancuso nella elaborazione della sua teologia per alcune migliaia di pagine delle opere precedenti aveva finalmente fatto ampio ricorso ai dati scientifici incontestabili che contrastano in modo insuperabile con la dogmatica cattolica (la piramide) non ultima l’evoluzione con la datazione della storia dell’universo dal big bang a noi.

Questo processo ha evidenziato il fatto che l’apparizione del Sapiens è avvenuta in un’epoca estremamente recente se ci riferiamo al metro da usare guardando a queste epoche e che il racconto fondamentale nella dogmatica cattolica che fa derivare l’apparizione della morte come conseguenza del presunto “peccato originale” , con l’apparizione del Sapiens non ha il minimo senso dato che è assolutamente certo che le cose stanno diversamente nel senso che la vita e la morte sono nate insieme nella dialettica che tiene insieme l’universo.

E quindi se la “creazione” della morte come una pena accessoria del peccato originale è un’invenzione senza fondamento ,allora anche il peccato originale è un’invenzione senza fondamento,la divinità di Gesù, il suo sacrificio morte e resurrezione, la fondazione della chiesa, gerarchia e sacramenti sono tutte cose prive di fondamento.

Oh, queste cose non le dico io, le scrive Mancuso e quindi come faccia a poi a dire che l’invenzione del cristianesimo da parte di san Paolo e seguaci non sia da intendersi come un tradimento del messaggio del Gesù storico proprio non lo capisco.

Il Gesù storico non è stato il figlio di dio, non è stato il Cristo della fede, ma un profeta (che significa uno che parla in nome di dio) escatologico – apocalittico che usava un linguaggio molto duro e diretto con un registro di fondo fortemente radicale e rivoluzionario che essendo ben radicato nella tradizione culturale ebraica aveva come riferimento il dio biblico che metteva la giustizia davanti all’amore e che quindi aveva ben chiara l’idea della dannazione eterna dei reprobi.

Non era affatto il dolciastro “buon Gesù” della nostra infanzia e dei nostri nonni.

Facciamocene una ragione e seguendo l’indicazione di Mancuso consideriamo il Gesù storico un valido maestro fra altri altrettanti validi maestri, Socrate,Buddha e Confucio.

Senza dimenticarci che come Mancuso sussurra dobbiamo sempre e comunque riferirci al quinto maestro che è nel nostro io più profondo che dobbiamo imparare a conoscere e a costruire.

E così torniamo al nosce te ipsum di Socrate.





sabato 14 novembre 2020

Recensione : Non sprechiamo questa crisi di Mariana Mazzucato

 




L’autrice è una delle teste d’uovo dell’economia che più si sono messe in luce in questi ultimi tempi.

Il suo profilo su Wikipedia recita : è un economista italiana con cittadinanza statunitense e spiega che è figlia di un fisico italiano che nel 1972 si è trasferito con la famiglia a Princeton avendo trovato un posto in quella Università.

La Mazzucato studia negli Usa e diventa professore di economia alla New York University per poi passare ad altri incarichi fin quando approda alla London Business School e poi arriva alla cattedra RM Philips in Economics of Innovation in SPRU dell’Università del Sussex e infine all’University College London alla cattedra di economia dell’innovazione e del valore pubblico e diventa la fondatrice direttrice dell’Institute for Innovation and Pubblic Purpose IIPP.

Nel marzo di questo 2020 entra nella task force di Giuseppe Conte per predisporre il così detto piano Colao, che però non firma e quindi verosimilmente non condivide.

Persona di evidente carattere.

Il suo orientamento nel mondo dell’economia è di aperta critica alla prevalente ideologia neoliberista.

I titoli dei suoi libri che l’hanno resa nota anche al grande pubblico già fanno capire di cosa stiamo parlando : Lo stato innovatore del 2014; Ripensare il capitalismo 2017;Il valore di tutto, chi lo produce e chi lo sottrae all’economia globale 2018.

Il libro del quale stiamo parlando ha un primo pregio del tutto evidente, e cioè è molto agile trovandosi al filo delle 100 pagine.

I capitoli sono piuttosto brevi quasi tutti firmati dalla Mazzucato ognuno con un collaboratore diverso e questo fa pensare che il libro sia una raccolta di saggi assemblati ovviamente per il vasto pubblico dei lettori, ma anche per essere usato come un vademecum per i politici che devono trovare idee innovative per far fronte alla sfida totalmente nuova che ha presentato loro la pandemia in atto del Covid 19.

L’idea centrale dalla quale si diparte la riflessione della Mazzucato è che la politica economica che quasi tutti i paesi avanzati hanno seguito dopo la crisi del 2008 definita “di austerità” è stata erronea nel senso che non ha affatto prodotto un veloce ritorno allo sviluppo e sopratutto ha fortemente indebolita la capacità degli stati di far fronte a eventi imprevedibili globali come l’attuale epidemia.

A partire dagli anni 80 i governi si sono orientati a fare un passo indietro per lasciare spazio alle imprese.

L’idea che fosse lo stato almeno ad orientare le direzioni di sviluppo dell’economia veniva considerata una innominabile oscenità.

Si è seguito il principio di privilegiare il pareggio di bilancio ispirando la politica economica degli stati a quella familiare, commettendo così un errore di valutazione pesante.

Si è data di conseguenza priorità a ridurre il debito pubblico considerandolo un peccato di cui pentirsi.

Il nemico pubblico numero uno era l’inflazione.

Seguendo questi principi si è proceduto a privatizzazioni selvagge,tagli pesanti della spesa pubblica in sanità istruzione e ricerca, outsourcing, delocalizzazioni.

Nel privato si è spinto sulla finanziarizzazione dell’economia privilegiando la ricerca della massimizzazione dei dividendi per gli azionisti invece che su investimenti ricerca e innovazione.

Si è affrontata la crisi del 2008 inondando il mondo di liquidità senza condizionare la concessione di aiuti e crediti a un uso per finalità di sviluppo sistemiche, come ad esempio contribuire a un un economia sostenibile in termini di inquinamento atmosferico.

Arrivati a dover affrontare la presente pandemia del Covid 19,gli stati si sono trovati così gravemente indeboliti dalla nefasta politica economica precedente e rischiano di ripetere i medesimi errori fatti nel post 2008, cioè dare aiuti a pioggia e senza condizioni utili per costruire una nuova politica economica centrata sull’innovazione.

Occorre per la Mazzucato superare il pregiudizio anti -interventismo della stato installato dal Tatcherismo, perché il vero motore della modernità, compresa quella che ha cambiato la faccia del mondo a partire dalla Silicon Valley è stato l’intervento statale con finanziamenti di elevatissimo importo.

Come aveva già spiegato in modo dettagliato nel suo precedente saggio intitolato “Lo stato innovatore”, la Mazzucato chiarisce che paradossalmente è proprio uno stato largamente ispirato al liberismo come gli Usa che ha operato negli anni un decisivo finanziamento della ricerca orientata all’innovazione partendo dal settore militare.

È poco noto ma Internet è nato da un ingente investimento del Pentagono per far comunicare i satelliti e da Internet è nato tutto quell’enorme cambiamento incentrato sull’uso del Web.

Più precisamente l’investimento è venuto dalla Darpa Defense Advanced Research Projects Agency.

Lo stesso tipo di intervento ha fatto in Gran Bretagna il Government Digital Service, e il programma Yozma in Israele.

Dall’algoritmo delle funzioni di ricerca di Google. Ai touch screen , al Gps, al riconoscimento vocale, alla Tesla di Elon Musk, l’investimento iniziale è giunto dal settore pubblico dice la Mazzucato.

Così come l’esistenza dei farmaci più innovativi è legata all’investimento in ricerca del National Institutes of Health, che spende la bellezza di 40 miliardi all’anno nel settore sanitario.

Come è attiva sempre nel settore sanitario la Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (Cepi).

Sembra che i propagatori del neoliberismo non abbiano mai letto la loro bibbia che dovrebbe risiedere nel pensiero di Adam Smith il cui ideale di ”libero mercato” intendeva libero dalle rendite ma non dall’intervento dello stato.

Le Business School statunitensi hanno spinto la dottrina del New Public Managment secondo la quale bisignava trasferire nel pubblico l’idea base sulla quale è fondata l’economia del settore privato risiedente nella ricerca del profitto.

E quindi secondo questa teoria occorreva tradurre “profitto” con “ricerca dell’efficienza” declinata tra l’altro nella definizione in singoli obiettivi sul riuscito raggiungimento dei quali premiare economicamente i funzionari pubblici.

Ma il risultato dell’applicazione di questa metodologia è stato ovunque un più o meno clamoroso flop che ha portato alla fine a nient’altro che a una sempre più largo uso dell’outsorcing ritrovabile in modo ben visibile ad esempio nella svendita della sanità pubblica a favore del settore privato.

Vediamo oggi quanto sia stato disastroso questo andazzo quando gli stati si trovano scoperti ad affrontare l’emergenza della pandemia a causa dei tagli di organici e di finanziamenti avvenuti a favore del privato.

Così come la strategia dell’outsourcing appaltando ai privati servizi prima gestiti dal pubblico non hanno dato benefici di risparmio di risorse.

L’applicazione di queste politiche non ha affatto diminuito i costi del settore pubblico, ma in compenso lo ha depotenziato in modo pericoloso.

Ma se superiamo il pregiudizio tutto ideologico contro l’interventismo dello stato in economia, come può lo stato medesimo comportarsi in modo virtuoso?

Secondo la Mazzucato usufruendo dell’ enorme opportunità offerta dalla attuale emergenza.

Per rispondere a questa emergenza gli stati stanno mettendo a disposizione cifre mai viste prima e di per sé questo è un fatto largamente positivo.

Ma è essenziale legare questi aiuti crediti e finanziamenti a condizionalità precise ispirate a una strategia di innovazione che si ispiri prima di tutto a un Green Deal.

Alcuni stati questo lo stanno già facendo.

La Francia ad esempio condiziona gli aiuti al fatto che le aziende riceventi non abbiano sedi in paradisi fiscali per evadere il pagamento delle tasse.

Lo stesso l’Austria.

Lo stesso la Danimarca che chiede alle aziende riceventi di porsi come obiettivo strategico non solo la remunerazione degli azionisti con dividendi come priorità, ma l’interesse di tutti gli stakeholders, cioè i portatori i interessi.

In questo modo ad esempio Air France ha ricevuto aiuti consistenti dal governo francese ma condizionati a ridurre le emissioni di Co2 in modo significativo.

La Nuova Zelanda è una storia di successo da quando ha cambiato rotta dalla politica dell’outsourcing precedentemnete praticata assumendo un etica di servizio e di cura nei servizi pubblici con la predisposizione di un budget per il benessere.

L’Alaska paga ai cittadini un dividendo di cittadinanza attraverso il Permanent Fund legato agli introiti per l’estrazione del petrolio.

Il Governatore della California Gavin Newsom sta studiando il versamento ai cittadini di un “dividendo dati”.

Cioè spiega la Mazzucato deve esserci un modo perché i cittadini si sentano partecipi dei benefici di uno stato investitore di prima istanza.

Una lode dalla Mazzucato arriva anche alla Germania che ha saputo tenere un settore della sanità pubblico debitamente finanziato, del quale oggi si scoprono tutti i vantaggi, così come gli istituti a favore del sostegno ai lavoratori in difficoltà come il Kurzarbeit cioè la riduzione di orario di lavoro automatica a carico dello stato per evitare licenziamenti.

Occorre cioè trovare il modo di costituire fondi dei quali i cittadini siano azionisti e dai quali possano ricevere una forma di dividendo di cittadinanza.

Oppure possano per esempio usufruire di un ritorno degli ingenti investimenti pubblici nella ricerca farmaceutica.

Che i vaccini diventino gratuiti e che i prezzi dei medicinali siano ridotti tenendo conto dell’investimento pubblico iniziale.

Brevetti e licenze sono un ostacolo all’innovazione in questo campo dice la Mazzucato, ma non avanza suggerimenti specifici.

E poi c’è l’enorme campo dello sfruttamento dei dati personali.

La Mazzucato propone che gli stati intervengano con loro piattaforme pubbliche per la raccolta e la gestione dei dati.

Utilizzando anche quelli esistenti, la Mazzucato fa l’esempio dei dati generati da Google Maps, Uber etc affermando che l’utilizzazione di questi dati sarebbe essenziale per migliorare il trasporto pubblico anziché essere semplicemente monetizzati.

Finito il libro mi verrebbe da dire : finalmente qualcosa di sinistra, scritto non dal solito politichino di scarso studio, ma da una autentica autorità accademica.

Ma probabilmente nominando il termine sinistra non faccio un favore alla Mazzucato.









venerdì 6 novembre 2020

“Eretici ed eresie medioevali” di Grado Giovanni Merlo recensione

 




testo inglese alla fine


Dopo avere suggerito la lettura del saggio del Prof Merlo, storico medievalista della Statale di Milano, sulle streghe era giocoforza allargare il campo visuale all’altro saggio che il medesimo autore ha dedicato ad un argomento collegato strettamente col primo e cioè quello delle eresie medievali.

E’ noto che in Italia ma non solo i fedeli cattolici rimasti da sempre non sentono alcuna necessità di approfondire le basi teorico – culturali della loro religione e quindi sanno poco o niente di storia della chiesa.

Di conseguenza sarebbe sorprendente per loro scoprire che quello che loro pensano quando riflettono un po sui mali e le magagne della chiesa di oggi, coincide spesso perfettamente con quello che otto o nove secoli fa i così detti “eretici” pensavano con tanta convinzione da scegliere di finire sul rogo piuttosto che abiurare a quelle loro medesime idee, che chiaramente prendevano maledettamente sul serio.

Probabilmente chi non ha mai studiato nulla sull’argomento è convinto che le eresie consistessero in accese discussioni su alcuni dogmi adducendo argomentazioni astruse.

Non è così, anche se qualcosa del genere c’era ma non era quello che contava, cioè non era questa la ragione vera per la quale gli eretici erano qualificati come tali.

Il Prof. Merlo in questo libro come in quello sulle streghe chiarisce che la lotta feroce che la Chiesa ha condotto contro i presunti eretici era basata su molto più concrete ragioni di potere , cioè di politica e non di pensiero o di religione e non da dispute teologiche.

Queste c’erano ma erano la foglia di fico che nascondeva una realtà che era altra.

Ancora e sempre da allora ad oggi a guidare il gioco erano soldi sesso e potere, altro che la Santissima Trinità.

Belle le storie che ci vengono narrate in questo agile libretto ,quelle di Pierre de Bruis, del Monaco Enrico. di Arnaldo da Brescia, dei Catari o Albigesi, di Pietro Valdo di Lione, di Ugo Speroni, degli amalriciani, di Giovanni di Ronco, di Gherardo Segarelli, Armanno Pungilupo, Guglielma la Boema per finire con Fra Dolcino da Novara.

Tutti nomi finiti purtroppo nel dimenticatoio salvo i due movimenti presunti ereticali che hanno più attecchito e che si sono più diffusi nel 1100 e nel secolo successivo cioè quelli dei Catari e quello dei Valdesi, durati questi ultimi abbastanza da poter confluire secoli dopo nella Riforma Protestante e tuttora vivo e vegeto se pure nei limiti che nei quali la secolarizzazione ha ridimensionato le religioni.

A chi volesse approfondire l’argomento sopratutto sui Catari o Albigesi, consiglierei la lettura illuminante del libro che ha portato finalmente a un successo anche di vendite il nuovo modo di scrivere la storia di storici come il francese Jaques Le Goff a cominciare da “Montaillou Catari e cattolici in un villaggio francese” ma poi tutta la produzione dello stesso autore.

Tutti questi movimenti dal più minuto al più consistente come seguito, rappresentavano un po' l’esplosione del malcontento nei confronti di un clero che non si mostrava per niente degno, e comunque lontanissimo dal messaggio evangelico.

Insomma il popolo cristiano aveva già formulato dentro di sé gran parte delle famose 95 tesi che Lutero apporrà ben quattro secoli dopo sulla porta della cattedrale di Wittemberg dando vita alla Riforma Protestante.

Comportamenti simoniaci,vita nel lusso guidati dalla ricerca di denari, sfruttamento delle funzioni ecclesiastiche per far soldi, vita privata dissoluta da parte di gran parte dei chierici, nessun a poco interesse per l’espletamento della loro missione eccetera eccetera.

Dalla reazione alla vita indegna di gran parte del clero incompatibile con la loro missione e i loro voti, si arrivava a sognare il ritorno ai tempi dei primi cristiani, quando la chiesa era una comunità di fratelli che si aiutavano fra di loro e le funzioni di guida erano poco o niente strutturate in gerarchie istituzionalizzate.

Dove la sorgente e il fondamento della fede era il messaggio lasciato da Gesù senza bisogno di dogmi e di interpretazioni, cioè quel modo di pensare e di essere cristiani che di lì a poco frate Francesco testimonierà : la ricerca del Vangelo “sine glossa”, senza interpretazioni più o meno capziose, per farlo girare dalla propria parte a difesa dei propri interessi e sopratutto degli interessi costituiti delle classi che detenevano il potere civile ed ecclesiastico.

Molti dei movimenti “ereticali” del Medioevo arrivavano a negare del tutto la necessità e l’utilità di una mediazione da parte di un qualsiasi sacerdozio, immaginiamoci poi da parte di una chiesa istituzionalizzata e gerarchizzata in combutta e a sostegno del potere politico.

A leggere di questi personaggi per lo più del tutti sconosciuti viene però da dirsi, ma questa è storia medievale lontana o è storia di oggi ?

Non siamo forse ancora più o meno sostanzialmente allo stesso punto se pensiamo all’esistenza dello IOR cioè una banca vaticana che non si capisce cosa centri mai col messaggio di Gesù.

Fosse solo quello, andrebbe ancora bene, ma poi simonia, carrierismo, pederastia, sesso soldi e potere sembrano essere le principali occupazioni di non pochi componenti della curia romana anche di primissimo piano, è cronaca quotidiana di oggi.

A quei poveri illusi fra i fedeli rimasti che si beano affermando, ma la chiesa è durata due mila anni,e questa sarebbe la prova della sua bontà e che non hanno il coraggio di farsi passare il libro nero della storia della chiesa, mi chiedo, ma chi sono i veri vincitori alla prova della storia della storia?

Dalla lettura di libri come questo del Prof.Merlo mi sembra che coloro le cui vite ci vengono narrate e che sono finiti sul rogo, sono stati quelli che il potere ha sopraffatto novecento anni fa pensando di averli condannati all’oblio.

Ma non è andata così.

I veri vincitori della storia sono loro perché le idee per le quali hanno addirittura sacrificato la vita, sono ancora le idee che sono alla base della nostra cultura della modernità e dei diritti umani e i veri perdenti sono quelli che allora formalmente hanno vinto.

La chiesa gerarchica e istituzionale che allora li ha mandati sul rogo perché non sapeva contrastare le loro idee in modi più civili e cioè contrapponendo ragionamento a ragionamento, oggi è ancora viva oggi formalmente è vero.

Ma in che condizioni ?

Se non si contano nemmeno più i casi di abusi sessuali da parte del clero e se l’Obolo di San Pietro viene usato per fare speculazioni finanziarie quando non è sperperato da faccendieri in gonnella?

E quel papa Francesco che si bea d’avere scelto perfino nel nome l’ideale di Frate Francesco e non sa o non vuole affatto liberarsi del potere temporale dei soldi e degli apparati di potere , non si renderà conto che anche uno dei più grandi santi della sua chiesa proprio Francesco d’Assisi al di là della retorica pauperistica che tutti conosciamo è proprio lui il grande perdente di questa storia?

San Francesco è una figura singolare perché pur non essendo affatto un santo che la gente invoca per andare a chiedergli favori e miracoli come capita quotidianamente al suo confratello Sant’Antonio da Padova che secondo le statistiche è in assoluto il più gettonato, è universalmente ritenuto forse l’unico santo autentico per la coerenza e la radicalità della sua vita.

Eppure Francesco è vero ha fatto di tutto per realizzare il suo sogno di testimoniare uno stile di vita autenticamente evangelico, ma poi alla fine si è lasciato irretire dalla tela tessuta dalla chiesa istituzionale che aveva il solo e solito scopo di “normalizzare” il movimento francescano, castrandone la spinta sperimentalista al di fuori delle gerarchie e istituzioni in gran pare corrotte ieri come oggi, è lui il simbolo dei veri sconfitti.

Gli storici lo sanno benissimo, come Francesco ha accettato l’imposizione della “regola” rivista e corretta dalle gerarchie papali il francescanesimo è diventato un’altra cosa e Francesco ha perso la sua battaglia.

Lo stesso ci racconta il Prof. Merlo è capitato con i movimenti presunti ereticali descritti nel libro del quale stiamo parlando.

La Chiesa ha fatto di tutto per “normalizzarli” inserendo i suoi membri ai quali riusciva a fare il lavaggio del cervello in uno dei due ordini mendicanti ufficiali del tempo Francescani e Domenicani.

Si poteva essere pauperisti per la gerarchia della chiesa, ma solo ben inquadrati nei movimenti pauperisti ufficiali, che accettavano la sottomissione alla gerarchia medesima, cioè rinunciavano a pensare con la loro testa.

E naturalmente dovevano far finta di non vedere le vergogne dell’alto clero.


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"Heretics and medieval heresies" of Grado Giovanni Merlo

review

After having suggested the reading of the essay by Prof Merlo, a medievalist historian of the State of Milan, on witches it was necessary to widen the field of vision to the other wise man than the same author dedicated to a topic closely connected with the first, namely that of heresies

medieval.

It is known that in Italy but not only the Catholic faithful who have always remained do not feel any need to deepen the theoretical - cultural foundations of their religion and therefore know little or nothing about history of the church.

Consequently it would be surprising for them to find out what they think when

reflect a little on the evils and flaws of the church today, often coincides perfectly with

what eight or nine centuries ago the so-called "heretics" thought with such conviction from

choose to end up at the stake rather than abjure their very ideas, which clearly

they took damn seriously.

Probably those who have never studied anything on the subject are convinced that the heresies consisted of heated discussions on some dogmas by giving abstruse arguments.

Not so, even if there was something like that but it wasn't what mattered, that is, it wasn't this

the real reason why heretics were qualified as such.

Prof. Merlo in this book as in the one on witches makes it clear that the fierce struggle that the

Church led against alleged heretics was based on much more concrete reasons than

power, that is, of politics and not of thought or religion and not of theological disputes.

These were there but they were the fig leaf that hid a reality that was another.

Again and always from then to today to guide the game was money, sex and power, other than the

Holy Trinity.

The stories that are told in this agile libretto, those of Pierre de Bruis, of Monaco, are beautiful

Enrico. by Arnaldo da Brescia, by the Cathars or Albigensians, by Pietro Valdo di Lione, by Ugo Speroni, by the amalriciani, by Giovanni di Ronco, by Gherardo Segarelli, Armanno Pungilupo, Guglielma la Boema to finish with Fra Dolcino da Novara.

All names unfortunately ended up in oblivion except for the two alleged heretical movements that they have taken root more and that they have spread more in 1100 and in the following century that is those of the Cathars and that of the Waldensians, the latter lasted long enough to be able to merge centuries later in the Protestant Reformation and still alive and well, albeit within the limits that the secularization has debunked religions.

For those wishing to deepen the subject especially on the Cathars or Albigensians, I would recommend reading illuminating the book that finally led to a sales success also the new way of

to write the history of historians such as the French Jaques Le Goff starting with “Montaillou Catari and Catholics in a French village ”but then all the production of the same author.

All these movements from the smallest to the most consistent as a sequel, represented a

little bit the explosion of discontent towards a clergy who did not show themselves at all

worthy, and in any case very far from the Gospel message.

In short, the Christian people had already formulated within themselves most of the famous 95 theses which Luther placed four centuries later on the door of the cathedral of Wittemberg giving life to the Protestant Reformation.

Simoniacal behaviors, life in luxury guided by the search for money, exploitation of functions

ecclesiastics to make money, dissolute private life on the part of most of the clerics, no by little

interest in carrying out their mission, etc., etc.

From the reaction to the unworthy life of a large part of the clergy incompatible with their mission and theirs votes, we came to dream of returning to the times of the first Christians, when the church was a community

of brothers who helped each other and the leadership functions were little or nothing structured in

institutionalized hierarchies.

Where the source and foundation of faith was the message left by Jesus without the need for

dogmas and interpretations, that is, that way of thinking and being Christians that a little later a brother Francis will testify: the search for the Gospel "sine glossa", without more or less interpretations specious, to make it turn on its side in defense of its interests and above all of the interests constituted of the classes that held the civil and ecclesiastical power.

Many of the "heretical" movements of the Middle Ages went so far as to deny the necessity altogether the usefulness of mediation on the part of any priesthood, let's imagine then on the part of an institutionalized and hierarchical church in league and in support of political power.

To read about these mostly unknown characters, however, one must say, but this is it

distant medieval history or is it today's history?

We are perhaps not even more or less substantially at the same point if we think about existence

of the IOR, that is a Vatican bank that does not understand what ever centers with the message of Jesus.

If only that, it would still be fine, but then simony, careerism, pederasty, money and sex

power seem to be the main occupations of quite a few components of the Roman curia too

of the highest order, it is daily news today.

To those poor deluded among the remaining faithful who blessed themselves by affirming, but the church lasted two thousand

years, and this would be proof of his goodness and that they do not have the courage to pass the book black history of the church, I wonder, but who are the real winners to the test of the history of

history?

From reading books like this by Prof. Merlo it seems to me that those whose lives come to us

narrated and who ended up at the stake, were the ones that power overwhelmed nine hundred years he does thinking he has condemned them to oblivion.

But it didn't happen that way.

The real winners of history are them because the ideas for which they even sacrificed the

life, are still the ideas that are the basis of our culture of modernity and human rights e

the real losers are those who then formally won.

The hierarchical and institutional church that then sent them to the stake because it did not know how to fight their ideas in more civilized ways, that is, by contrasting reasoning with reasoning, it still is today alive today formally it is true.

But under what conditions?

If the cases of sexual abuse by the clergy are no longer counted and if the Pence of St. Peter

is it used for financial speculation when not squandered by skirt-clad fixers?

And that Pope Francis who is happy to have chosen even in the name the ideal of Brother Francis and not he knows or doesn't want to get rid of the temporal power of money and power apparatuses at all, yes he will realize that even one of the greatest saints of his church is Francis of Assisi on the other side beyond the pauperistic rhetoric we all know, is he really the big loser of this story?

St. Francis is a singular figure because although he is not at all a saint that people invoke

to go and ask him for favors and miracles as happens every day to his brother

Sant'Antonio da Padova, who according to statistics is the most popular by far, is universally known

considered perhaps the only authentic saint for the coherence and radicality of his life.

Yet Francesco it is true he did everything to realize his dream of witnessing a style

authentically evangelical life, but then in the end he let himself be ensnared by the cloth woven by institutional church which had the sole and usual purpose of "normalizing" the movement Franciscan, castrating the experimentalist thrust outside the hierarchies and institutions in much seems corrupt yesterday as today, he is the symbol of the real losers.

Historians know this very well, as Francis accepted the imposition of the revised "rule" and

corrected by the papal hierarchies, Franciscanism has become something else and Francis has lost his battle.

Prof. Merlo tells us the same happened with the alleged heretical movements described in the book

we are talking about.

The Church did everything to normalize them by including its members to whom il was able to do the brainwashing in one of the two official Franciscan mendicant orders of the time

Dominicans.

One could be pauperistic for the church hierarchy, but only well framed in the movements

official pauperists, who accepted submission to the hierarchy itself, that is, they renounced

think for themselves.

And of course they had to pretend not to see the shame of the high clergy.