martedì 30 giugno 2015

Grecia : ecco cosa succede quando i popoli si affidano all’infantilismo radicale





Chi in Italia si sta stancando delle difficile navigazione del governo Renzi e torna a sognare la sua sostituzione con l’ennesimo “grande semplificatore” è servito.
L’infantilismo radicale profuso da Tsipras e Yarufakis negli incontri con i loro pari europei ha dimostrato che quando ci si intestardisce a voler risolvere problemi complessi con politici improvvisati abili nella prontezza a sparare battute populiste ma niente più, si finisce in “braghe di tela” come si diceva anni fa.
Gli italiani si sono fatti una cultura sugli abili affabulatori che promettevano di risolvere tutto schioccando le dita.
Ricordate il :”ghe pensi mi” dell’ineffabile Berlusca all’assemblea di Confindustria di alcuni anni fa?
E’ bastato ? Temo di no se vediamo la crescita tumultuosa nei sondaggi dei consensi ai Salvini, ai 5Stelle e perfino un quasi recupero di una Forza Italia ormai inesistente politicamente.
La lezione greca è talmente dura (anche se il peggio deve ancora venire) che le persone più ragionevoli dovrebbero convincersi che votare “di pancia” invece che “di testa” sono due cose molto diverse, anche e soprattutto nei risultati.
Una volta tanto mi è piaciuto il commento che ha fatto sui fatti greci il nostro Renzi nell’intervista apparsa questa mattina sul Sole 24 ore”.
Dice Renzi in sostanza : capiamo che i Greci non ne possano più di tanti anni di malgoverno, ma non possono assolutamente pensare di potere sottrarsi alle regole che valgono per gli altri paesi comunitari.
Ed in particolare : se con la riforma delle pensioni abbiamo eliminato per sempre le “baby pensioni” , non lo abbiamo fatto per far sì che i Greci possano andare avanti a conservarle.
Oppure se col Jobs Act abbiamo riformato il mercato del lavoro, non lo abbiamo fatto perché i maggiori industriali greci continuino a non pagare le tasse.
In altre parole, siamo umanamente vicini ai Greci che sono finiti in povertà o al ceto medio che si è trovato cacciato decenni indietro nella scala sociale , però ci fa anche specie che gli stessi Greci non riescano a togliersi il paraocchi che impedisce loro di vedere che questo governo neoeletto è sarà anche un governo di sinistra, magari anche radicale, ma è anche un governo che nelle cose concrete vuole lasciare le cose come sono e non vuole o non sa innovare.
L’economia greca ci scrivono gli inviati dei nostri giornali, è tutta in mano a pochi oligarchi.
Non si può stare in Europa in queste condizioni, quando la regola principale che vale per tutti i paesi membri è l’esatto contrario : aprire le economie nazionali al mercato, mettendo tutti i settori in condizioni di libera concorrenza.
Riconosciamo tutti il peso che i Greci hanno sopportato in anni di politica di austerità, anche perché se pure in misura meno feroce abbiamo subito anche noi le stesse manovre, ma è letale il fatto che gran parte dei Greci, non so perché se male informati o sviati da pregiudizi ideologici, non vogliano riconoscere che alcune cose vanno fatte e anche in velocità su pensioni, fisco, mercato.
Diversamente non si fa politica di sinistra, si fanno solo pasticci, che peggioreranno drammaticamente tutto.
La Grecia sta molto peggio di noi e di altri paesi mediterranei non tanto ben messi come noi, perché rispetto a noi è molto carente in settori economici fondamentali.
In particolare la Grecia non ha quasi nulla di economicamente consistente da esportare.
In queste condizioni come potrà fare ripartire il meccanismo dello sviluppo economico?
Se esce dall’Euro e torna alla dracma, potrà offrirci le sue grandi bellezze turistiche a prezzi stracciati, ma basta questo?
E’ un discorso simile a quello che si sta facendo in questi giorni sulla Tunisia ,colpita dal recente attentato del terrore islamico.
Anche per la Tunisia il turismo è una risorsa intorno al 10% del Pil, ma può bastare a fare partire economicamente un paese?
Ma torniamo a noi.
Sarà sufficiente vedere a quale disastro hanno portato il loro paese i radicali di Siriza per convincere i nostri elettori più aperti alle sirene populiste che è meglio lasciar perdere con chi in Italia propone l’uscita dall’Euro come la soluzione di tutti i mali ?
Si spera, si spera che i sondaggi che verranno fatti dopo il fallimento greco diano segnali di novità su questo fronte.
Quello che mi da più fastidio in questo momento politico è lo sfruttamento subdolo di quello che formalmente sarebbe lo strumento principe della democrazia : il ricorso al referendum.
La mia impressione è che si tratti, ovunque lo si invochi, di una strumentalizzazione voluta da chi conta sulla disinformazione e impreparazione degli elettori.
Europa si, Europa no ;Euro si, Euro no, non sono argomenti da referendum, perché presuppongono che gli elettori abbiano acquisito troppi elementi di analisi che sono troppo complessi e troppo specialistici.
Non possiamo pretendere in altre parole che la cassiera del supermercato ci risolva in quattro e quattrotto un’equazione con dieci o quindici incognite.
Ma questo invece è quello che sta sotto a un referendum su quelle materie.
E quindi non c’è affatto da plaudire alla bella pensata di chi ricorre “allo strumento principe della democrazia”, perché mi sembra che le cose stiano molto diversamente e cioè che chi vi ricorre sa benissimo di mettere in moto un meccanismo per prendere “per i fondelli” i propri elettori, per arraffare il risultato che il politico di turno pensa di ottenere spingendo i suoi elettori medesimi a seguire i suoi slogan semplicistici “di pancia”, tanto per cambiare.
E’ quello che ha fatto incautamente Tsipras ed è quello che sta progettando di fare il più compassato Cameron in doppio petto.
E’ cinico dirlo, ma speriamo che i guai molto pesanti della Grecia ci inducano a ragionare su questi problemi con la dovuta serietà, e facendo uno sforzo supplementare di informazione e di documentazione.



giovedì 25 giugno 2015

Il Papa verde





Abbiamo conosciuto da sempre il papa in bianco, abbiamo conosciuto il papa nero (così è sempre stato definito il Generale dei Gesuiti) ,andando indietro nella storia, sembra che agli inizi usasse il papa  rosso, adesso ci si è presentato il papa verde.
Che l’ultima enciclica di papa Francesco lo qualifichi  per questo titolo non ci sono dubbi.
Il pontificato di questo papa si era presentato da subito  come orientato decisamente soprattutto verso
Il ritorno all’originale sensibilità sociale del messaggio evangelico ed a una contestuale  scarso interesse verso le questioni dottrinali.
Si è da tempo anche rilevato che  il nuovo papa fosse particolarmente portato a valorizzare la prassi, cioè gli atti concreti rispetto ai così detti  interventi magisteriali.
E infatti l’autorità morale del papa è tale da dare immediatamente al suo modo di muoversi ed agire  un significato simbolico, che la gente percepisce meglio delle fromulazioni dottrinali.
Vorrei fornire un primo commento alla nuova enciclica non andando  oltre ad una  riflessione non sui singoli punti  trattati, ma solo in via preliminare sul senso e sulla efficacia di  una enciclica sull’ambiente e sulla  dottrina sociale  della chiesa  oggi.
Cominciamo quindi sull’uso  dello strumento “lettera enciclica”.
L’enciclica è un classico strumento usato per  esercitare l’ autorità magisteriale, che come è noto rientra sotto l’ombrello del discutibile dogma della presunta “infallibilità pontificia, sancito dal Concilio Vaticano I, solo se il papa scrive di trattare argomenti ritenuti verità di fede.
E dal momento che, con tutta evidenza, gli argomenti trattati dalla “dottrina sociale” sono per loro natura legati ad analisi e considerazioni storiche di non facile valutazione sotto l’aspetto “tecnico scientifico” questo fatto fa si che si è sempre considerata la medesima dottrina come materia non rientrante nella copertura della presunta infallibilità pontificia, pur rientrando ovviamente a pieno titolo nel campo delle pronunce magisteriali.
Chiarito il senso della veste formale dello strumento “enciclica” occorre però valutare la sua efficacia pratica.
E qui sorge il primo problema, perché è universalmente riconosciuto all’interno del mondo cattolico che
le encicliche finiscono per non essere più lette seriamente nemmeno dagli addetti ai lavori , pur rimanendo utili come strumento per fissare storicamente la posizione dell’autorità papale.
Quindi buono strumento  d’archivio  per  gli  storici  futuri, ma  strumento non più  efficace per  diffondere il pensiero del papa.
Per qualche giorno i giornali  parlano  delle encicliche riportando con titoli ad effetto solo uno o due dei problemi trattati , riportandoli in modo più o meno superficiale e portando ogni testata acqua al proprio mulino ideologico, e poi tutto finisce in biblioteca.
E’ utile allora che i papi oggi, ricorrano alle encicliche ?
Francamente ne dubito molto, e nel caso particolare di papa Francesco avevo scritto più volte su questo blog, che la strategia che mi sembrava azzeccata ed efficace di questo papa fosse quella di esprimersi con la prassi, con le azioni e non con pronunciamenti più o meno dottrinali.
Avevo scritto più volte che a mio parere (che può essere ovviamente sbagliato) la chiesa cattolica ha accumulato un ritardo incolmabile sul piano della revisione della montagna dottrinale che la stessa chiesa ha ritenuto di costruire nei secoli.
Che questa montagna di teorie e pronunce dogmatiche non è mai stata sostenuta da una adeguata  base di argomentazioni logicamente appoggiate ed argomentate, e che quindi queste non sono più spendibili nel mondo moderno, tanto che le chiese vanno svuotandosi a ritmo sostenuto in tutte quelle parti del  mondo nel quale il livello della scolarizzazione e della cultura diviene elevato e quindi non ci si accontenta più di rifugiarsi nella fede (voler credere in qualcosa di non dimostrabile), ma si pretende la conoscenza e cioè si da credito solo ad affermazioni sostenibili sul piano delle argomentazioni logiche.
Quand’anche un papa avesse il coraggio di pronunciare l’abolizione anche solo dei dogmi più incerti e traballanti sul piano della logica, la reazione probabilmente sarebbe controproducente.
Sulla base di queste considerazioni avevo quindi da tempo sostenuto che papa Francesco, da subito presentatosi come papa non in continuità, rispetto ai suoi predecessori, ma  con una forte volontà di innovare sarebbe stato tanto più efficace nella sua azione, quanto più si sarebbe espresso con la prassi e non invischiandosi in dispute dottrinali.
La palese insostenibilità di tanta parte della  dogmatica cattolica, avevo scritto ,finirà per cadere nell’oblio per consunzione.
Come nel campo della legge positiva degli stati moderni, certe norme anche se non vengono abrogate esplicitamente, diventano obsolete, cioè perdono valore quando nessuno , autorità comprese, fa più riferimento a loro.
Devo rilevare che papa Francesco, ha quasi sempre seguito questa strategia vincente.
Ma non sempre.
Si è infatti impantanato nel “Sinodo sulla famiglia” che nella lunga ed estenuante fase preparatoria non è riuscito a cavare un ragno dal buco nemmeno nella questione minima della “comunione di divorziati”, dimostrando che la quasi totalità delle persone coinvolte dia l’impressione di non avere mai fatto la fatica di leggere le solidissime opere che i sociologi della famiglia hanno sfornato in questi ultimi decenni per descrivere cosa è la materia  del loro discutere, cioè cosa è la famiglia oggi, non quella di ieri che non esiste più da tempo, essendo finita da decenni la civiltà contadina che la supportava con le linee che aveva allora.
Ma allora queste persone, sicuramente nella massima buona fede ed animati dalle migliori intenzioni, di cosa parlano, se dimostrano di non essersi studiata la realtà della quale vogliono parlare?
E cosa produrrà questo consesso che sembra un’orchestra nella quale ognuno suoni uno spartito diverso dall’altro?
Verrà fuori probabilmente il solito pateracchio col quale si ribadisce la validità di principi tradizionali da tempo insostenibili, superati però da una provvidenziale prassi “misericordiosa”, cercando di salvare capra e cavoli, dando però un’impressione penosa di impotenza.
Che utilità può avere una tale operazione se non quella di diminuire ulteriormente il prestigio e l’autorevolezza delle gerarchie ecclesiastiche?
Non avrebbe il papa fatto meglio a incoraggiare di fatto i preti che “misericordiosamente” già oggi usano il minimo di buon senso che ci vuole per ammettere di fatto anche i divorziati alla comunione senza andare a
Incoraggiare con un Sinodo formale, le solite discussioni sul “sesso degli angeli” di medioevale memoria, che oggi suscitano solo disagio e irritazione in quasi tutte le persone moderne.
E a che a servirà questa nuova enciclica?
Che papa Francesco sia uomo di idee evangeliche socialmente avanzate, o se vogliamo parlare in termini “populistici” sia un “papa di sinistra” l’avevamo capito da soli, anche se non avesse dato alle stampe questa nuova enciclica.
Chiunque abbia una cultura nelle materie sociali (economia, sociologia, teorie politiche ecc.) almeno di base, sa che le teorie  alle quali questo papa si è ispirato per scrivere questa nuova enciclica circolano da decenni (e sono quelle di Rifkin, Krugman, Vandana Shiva, Stiglitz ,Amartya Sen, tanto per fare due nomi) e sono gli attrezzi da lavoro dei politici e degli operatori sociali di orientamento progressista in qualsiasi parte del mondo.
Il papa, probabilmente in modo imprudente, si avventurato anche oltre  nella “terra incognita” delle “teorie della decrescita” considerate quasi universalmente strampalate in campo accademico, ma di questo parleremo analizzando il documento nel merito.
Ma allora perché un papa ritiene di entrare nel merito di argomenti discutibili, facendoli propri con un documento molto articolato?
Evidentemente perché ritiene che queste linee di pensiero più si  avvicinano al messaggio evangelico, rispetto ad altre od a quelle ideologicamente opposte.
E’ una scelta comprensibile soprattutto se si realizza il fatto che questo papa viene e si ritiene espressione di quel “terzo mondo” o mondo “in via di sviluppo” che ha problemi e sensibilità molto diversi dai nostri.
Il papa ritiene che l’avvenire della chiesa si giochi praticamente tutto da quelle parti, (essendo la partita in occidente quasi persa).
Rispetto le considerazioni implicite nella strategia di questo papa, ma quest’enciclica nei suoi panni non l’avrei scritta e non perché non condivida le idee che sostiene, che anzi ho fatto mie da decenni.
Non l’avrei scritta per una serie di ragioni :
Come già detto sopra perché l’ enciclica si sta dimostrando sempre più  inefficace, come strumento di diffusione delle idee.
Poi perché forse l’essenziale in materia di “dottrina sociale” è sostanzialmente già stato detto  dai suoi predecessori e soprattutto da Paolo VI.
Perché le idee esposte dal papa sono già ben note, assimilate e usate come base ideologica da tutti i movimenti politici progressisti di tutto il  mondo da decenni e quindi non sono particolarmente originali.
Perché avventurarsi in affermazioni su argomenti particolari in campo socio-economico-politico è un’operazione discutibile, perché la materia è di per sé in costante evoluzione e quindi mal si presta alla formulazione di giudizi, che potrebbero essere smentiti dal mutare delle condizioni socio-economiche, sulle quali quegli stesi giudizi sono basati.
Sinceramente sono convinto che il papa avrebbe fatto meglio a continuare nella strategia dei gesti , dei fatti concreti in evidente contrasto e discontinuità col passato ,anche prossimo.
Faccio un esempio evidente.
Tutti i giornali di   destra o di sinistra hanno quasi unanimemente dato il massimo risalto alla recentissima affermazione del papa ,  molto critica nel riguardi delle banche e del loro salvataggio pubblico, usando risorse che sarebbe stato più proficuo usare per fini sociali.
Questa affermazione è chiaramente piuttosto avventata e discutibile perché si avventura in un giudizio basato su argomenti tecnici che non sono affatto pacifici né di tutta evidenza e che quindi non sembrano proprio consoni ad una pronuncia papale.
Ma al di là  delle considerazioni su quella affermazione, a me sembra che avrebbe avuto ben maggior risalto non una pronuncia teorica su un terreno discutibile, quanto dei fatti assunti su casi concreti, di competenza proprio del Vaticano.
Tutti sappiamo dalle informazioni di stampa che la tentata riforma della banca vaticana il famoso IOR , sulla quale il papa è impegnato da tempo, non sta andando affatto bene e che i vecchi marpioni che la usavano per fare gli affari loro, continuerebbero a farli, come se niente fosse.
Se il papa avesse avuto il coraggio di fare un gesto eclatante come ordinare la abolizione dello IOR, allora sì che il mondo avrebbe capito tutto quello che c’era da capire, altro che dedicarsi un’enciclica che non leggerà quasi nessuno.
A che serve scrivere un’enciclica auspicando una maggiore sensibilità sociale e ambientale, se nel terreno di sua stretta competenza il papa non riesce a superare quella che agli occhi di tutti appare  come una autentica mostruosità.
Mi spiace, perché papa Francesco rappresenta una grande speranza per un'umanità che dispone di pochissimi leader credibili , ma c’è una contraddizione nel suo agire.
Non serve a nulla predicare anche bene, ma poi non sapere agire per realizzare quelle idee.
Comprendiamo le enormi difficoltà che incontra, ma insomma è il papa e dispone di un potere immenso.
Che se ne fa il Vaticano di una banca?
Una volta ci raccontavano che serviva per esercitare le sue opere di carità.
Oggi sappiamo che le opere di carità consistevano nel tenere conti correnti segreti a servizio dei peggiori politici , alimentati dagli affari nei quali si cimentano abitualmente quei politici, nella migliore delle ipotesi ,o  nelle attività di lavanderia dei soldi depositati da esponenti mafiosi nella peggiore delle ipotesi.
Se il papa fosse stato capace di eliminare il marcio di casa sua almeno nelle sue espressioni più vistose e più conosciute e fonte di scandalo, avrebbe ottenuto un risultato concreto assolutamente eclatante, avrebbe dato quell’esempio che serve di monito per i corrotti e di incoraggiamento per gli onesti.
Con questa ultima enciclica rischia di dare senza volerlo un segnale di debolezza e di scarsa efficacia.
Il Sinodo della famiglia e ora questa enciclica  sono due operazioni  che rischiano di riportare il papato di Francesco nella palude di woytiliana e ratzingeriana memoria.
Sul piano degli atti concreti  la gente ha capito  benissimo che questo papa sta lottando contro un sistema di corruzione esteso e radicato nella curia vaticana, ma passa il tempo e si vista qualche giubilazione ,ma non sembra esserci la capacità di mettere mano a quella riforma radicale della curia, che non è riuscita nemmeno al Concilio di Trento cinque secoli fa, quel concilio che ha pontificato su tutto, ma che di fronte al potere delle porpore cardinalizie si è arrestato.
Abbiamo assistiti disgustati per l'ennesima volta a quanto emerso da intercettazioni telefoniche di una delle porpore che prendeva disinvoltamente per il naso il pontefice sui conti della finanza vaticana relativa alla sanità vaticana.
Già, che se ne fa il Vaticano della gestione diretta di ospedali?
Forse non è finito il medioevo ,quando gli “ospitali”  messi su da preti e monaci erano la prima e unica forma di assistenza pubblica?
Forse non esiste un sistema di welfare pubblico ormai da 60 anni?
E poi, visto che la tesi centrale di quest'enciclica risiede nell'affermazione che il peso del maltrattamento dell'ambiente causa conseguenze negative che ricadono in modo disuguale sull'umanità, pesando tutto sui poveri, che se ne fa il Vaticano della più vasta rete di proprietà immobiliari d'Italia, costituita per lo più da conventi svuotati da tempo o usati solo per millesime parti?
Non è forse vero che se il papa si fosse avvalso del potere di unico sovrano assoluto rinascimentale rimasto per imporre l' impiego di quelle proprietà, sia pure parziale, per ospitare innanzitutto quelle disgraziate comunità cristiane costrette a fuggire dal medio oriente o dall'Africa musulmanizzati con la forza, avrebbe fatto un atto più efficace di qualsiasi enciclica?
E potremmo andare avanti sul medesimo spartito.
In Vaticano viene praticata la raccolta differenziata dei rifiuti e il consumismo è stato sostituito dalla sobrietà?
Eccetera, eccetera.
L'enciclica, lo vedremo analizzandola nei dettagli dice cose molto interessanti, condivisibili e utili per l'umanità se venissero applicate, ma le stesse cose le dicono anche gran parte dei politici del mondo e poi agiscono in altre direzioni.
Almeno dal papa ci aspetteremmo più fatti e meno belle parole.




giovedì 11 giugno 2015

Come sono piccoli i presunti grandi del G7





L’altro giorno ho preso in mano l’ennesimo libro dedicato all’anniversario della Grande Guerra e mi ha colpito il titolo, centratissimo per descrivere con tre parole probabilmente una delle cause della tragicità di quell’evento : Grande guerra, piccoli generali.
Poi, leggendo le cronache del recentissimo vertice dei leader mondiali chiamato G7 (sarebbero di più, ma per il momento Putin è stato messo ufficialmente in castigo dietro la lavagna) mi è tornato in mente quel titolo e ho trovato una spiacevole affinità nel contrasto fra coloro che a un certo momento sono i grandi della terra, e la terribile inadeguatezza delle loro politiche.
Dopo le due guerre mondiali abbiamo avuto la fortuna di godere di un lungo periodo di pace, che però era caratterizzato da una divisione secca del mondo in due blocchi contrapposti divisi dalla così detta cortina di ferro, tanto che il periodo medesimo è stato denominato periodo della guerra fredda.
Il blocco comunista da una parte e il così detto Occidente a guida americana dall’altra.
Tutto era retto da quello che era chiamato l’ equilibrio del terrore nel senso che vi era uno schieramento contrapposto di missili a lunga gittata armati di testate nucleari, capaci di distruggere completamente e più volte l’intero pianeta.
Non era una cosa simpatica, ma ha funzionato piuttosto bene per decenni, nel senso che ognuna delle due parti sapeva che l’attacco di sorpresa all’avversario era reso impossibile dai sistemi tecnologici moderni di detenzione e che un attacco improvviso sarebbe stato immediatamente seguito da un contrattacco di tale capacità distruttiva da rendere impensabile e inverosimile una simile eventualità.
Poi lo sviluppo della storia ha voluto che i regimi comunisti dell’Est collassassero su loro stessi per la consunzione del sistema.
E si arrivò all’evento che prima ognuno avrebbe considerato del tutto inverosimile : la caduta del muro di Berlino nel novembre 1989 senza che si fosse sparato un solo colpo di fucile.
Evento fausto, ma che cambiava radicalmente tutta la situazione geopolitica.
Prima si viveva in un mondo bi-polare, da quel momento si pensava di essere arrivati a un mondo uni-polare, con una sola grande potenza, gli USA.
E gli Usa ne approfittarono lanciandosi in guerre insensate come quelle dei due Bush culminate nell’occupazione militare di Iraq e Afganistan e intervenendo come poliziotti del mondo in ogni parte che ritenessero di loro interesse.
Più recentemente però i politologi hanno cominciato a parlare forse a sproposito di crisi irreversibile degli Usa come potenza uni-polare e dell’avvento di un mondo multi- polare.
E almeno in parte oggi le cose stanno realmente così, nel senso che nessuno oggi può ignorare le dimensioni e la potenza di due giganti nascenti : Cina e India e dell’Asia in generale.
Nessuno però può trascurare il fatto che gli Usa sono comunque i detentori di una potenza militare calcolata in cinque volte quella di tutti gli altri messi insieme e quindi parlare di crisi irreversibile degli Usa come grande potenza, è un discorso che può indicare una linea di tendenza, ma non certo la realtà in atto.
Quindi è vero che ci sta avviando verso un mondo che probabilmente diverrà multipolare, ma attualmente gli Usa rimangono l’unica grande potenza mondiale.
In Europa le cose stanno più o meno nello stesso modo.
Nel senso che nonostante gli sforzi di aspiranti comprimari come Francia e Inghilterra, in Europa comanda incontrastata la Germania e gli altri seguono, più o meno borbottando.
Non è certo una novità dire che in un certo periodo storico siano esistite potenze regionali egemoni ed a volte potenze egemoni a libello globale.
Se andiamo indietro alle nozioni che ci sono rimaste dalla nostra carriera scolastica, ricorderemo di sicuro che ogni qualvolta prendevano piede potenze regionali o addirittura potenze globali egemoni, i migliori statisti partivano puntando alla “politica dell’equilibrio”, mirante cioè a creare contrappesi al potere della potenza allora egemone, perché questo potere fosse arginato con contrappesi, in modo che non debordasse fino a fare i comodi di uno stato alle spese degli altri.
E in effetti oggi si vede in atto a livello di politica internazionale qualcosa di molto simile alla politica dell’equilibrio che abbiamo sopra evocata.
Gli Usa cercano di convincere con le buone o con pressioni economiche gli alleati ad adottare misure per contenere il potere della Cina in Asia e della Russia in Europa.
Peccato però che l’interesse dei paesi europei sia completamente diverso rispetto a quello degli Usa.
I primi segnali di ripresa dell’economia europea, sono tutti legati alle nostre esportazioni in Asia ed all’Est Europa, folle sarebbe seguire gli Usa andando contro i nostri interessi più elementari.
Le sanzioni imposte dagli Usa contro la Russia per la questione ukraina ci sono costati addirittura una contrazione del 60% nell’esportazione in Russia dei nostri prodotti alimentari, sarebbe folle prolungarle.
I governi democristiani descritti da chi non sa nemmeno di cosa parla, come succubi degli Usa e dell’Alleanza Atlantica, hanno sempre anteposto gli interessi delle nostre industrie alla politica Usa di potenza, vedi gli investimenti Fiat, Eni etc. in Russia negli anni della prima repubblica.
Allora almeno gli Usa mostravano di sapere cosa volevano e quindi trattare con loro era più facile.
Oggi, Obama lascia veramente esterefatti a causa della sua costante politica ondivaga, segno purtroppo di incapacità congenita a prendere decisioni all’altezza del ruolo che l’America vorrebbe giocare.
In Medio Oriente non ha mai avuto una linea, e la sostituzione della Clinton al Dipartimento di Stato era avvenuta proprio a causa del “decisionismo” tipico della Clinton, contrapposto all’eterna vuota ponderazione di Obama.
Oggi si è imbarcato in un tentativo di accordo con l’Iran, che potrebbe anche andare bene, se quello non fosse il partner più imperscrutabile della regione, a causa della complessità bizantina del suo sistema di potere.
Ma se si sceglie un partner in quella regione, come ovunque, vuol dire portarsi appresso i suoi alleati ed anche i suoi nemici giurati.
E invece Obama sembra voler salvare capra e cavoli ed essere alleato contemporaneamente dell’Iran shiita e dell’Arabia Saudita sunnita, cosa palesemente senza senso.
Ed ancora più senza senso se si deve mettere in gioco anche l’eterna alleanza con Israele.
Obama avrebbe bisogno di almeno un paio di lezioni sulla logica aristotelica e del principio di non contraddizione.
Non parliamo della sua folle politica verso Iraq e Siria.
Il suo insistere nel pervicace insensato errore di voler mettere insieme gli Shiiti di Bagdad, i Sunniti ex fedeli di Saddam di Falluja e i Curdi di Erbil.
Non è possibile ricostruire l’Iraq senza Saddam, quel paese è finito con la distruzione del potere di Saddam, oggi esistono sono tre entità che si parlano solo col kalasnikov e che quindi vanno lasciati in pace nella loro divisione irreversibile.
In Europa, la bonomia che la furbissima Signora Merkel è riuscita a costruirsi non ha veramente nulla a che fare con la strategia politica da quella che sembra la versione tedesca della “casalinga di Voghera”, ma che ricalca la grande politica dei grandi statisti tedeschi del passato.
La Germania riunificata è di gran lunga il più grande e potente paese d’Europa e quindi fa il suo mestiere di potenza regionale egemone.
Gli altri volonterosi comprimari (Inghilterra,Italia,Francia,Spagna ecc.) hanno solo una via da seguire per evitare che la Germania faccia i propri esclusivi comodi a spese loro, ed è seguire la tradizionale sperimentata strategia politica dell’equilibrio.
Il contrappeso che i veri statisti del passato si erano studiati per realizzare questa politica era esattamente l’Unione Europea, che va ripresa e potenziata ai danni del super potere tedesco.
Renzi non è uno sciocco ed ha capito che ,ammesso che riesca a rimanere in sella, la sua battaglia vera è a Bruxelles che deve andare a combatterla, non a Roma, e subito a settembre.
Certo che il quadro che abbiamo preso in esame non è esaltante.
E’ vero che i problemi sono complessi, più complessi di quelli del passato, ma è anche vero che non si vedono all’orizzonte né dei Richelieu, né dei Metternich, né dei Cavour; ma neanche dei De Gasperi, degli Adenauer o dei Mitterand.


giovedì 4 giugno 2015

Il matrimonio gay che sta entrando nel diritto positivo quasi ovunque sconcerta le chiese




Il risultato col quale i cittadini del paese tradizionalmente più cattolico del continente europeo, l’Irlanda, hanno approvato con larghissima maggioranza l’introduzione nel loro diritto di famiglia del matrimonio gay
ha sorpreso per la velocità con la quale un paese un tempo tradizionalista cattolico, a volte fino all’oscurantismo, ha sposato  fino in fondo i principi dei diritti umani, che la chiesa cattolica ha subito, più che accettato nel primo dopoguerra.
Ed è comprensibile che questo sia avvenuto, perché, va bene la millenaria capacità delle gerarchie ecclesiastiche di cambiare opinione, affermando solennemente di non cambiare nulla, ma di aggiornare solamente la formulazione dei sacri principi, ma è stato un bel salto quello fatto fare alla chiesa dal Concilio Vaticano II passando nello spazio di meno di un solo secolo dalla condanna assoluta dei diritti umani elencati nel “Sillabo” di Pio IX come opera del demonio,alla loro accettazione quasi piena.
Oggi, però dover confrontarsi addirittura con la legalizzazione a pieno titolo dei matrimoni gay, è qualcosa di sconvolgente per le gerarchie cattoliche ed anche per una larga parte dei fedeli, per una serie di ragioni.
Prima di tutto c’è un problema di conoscenza da affrontare, e questo è un problema che nulla ha a che fare con la religione.
Si tratta infatti semplicemente di avere o non avere conoscenza dei dati scientifici circa l’essere gay.
Confermato ovviamente il dato che in natura essere gay non è la norma, ma è uno status minoritario, in passato questo dato di fatto veniva assunto in modo arbitrario come elemento sufficiente per sentenziare che si sarebbe trattato di una patologia, di una devianza, di un vizio coltivato da pervertiti e che comunque non ci sarebbero stati esempi in natura di comportamenti gay al di fuori della specie umana.
Chi vuole documentarsi può andare a cercare tutti i casi di popolazioni animali nelle quali i comportamenti gay esistono da sempre.
E quindi sentenziare che l’essere gay sarebbe “contro natura” come ha sempre fatto in passato la chiesa cattolica, e la società civile ha accettato in modo acritico, è una tesi insostenibile perché contraddetta dalla conoscenza scientifica.
La chiesa come è noto fonda gran parte della sua etica sul concetto di “legge naturale” confondendo il piano scientifico, con quello filosofico e teologico.
Confusione che oggi complica ancora di più le cose per chi come le gerarchie cattoliche ritengono di dovere continuare a sostenere la validità di un’etica sessuale, che è stata da sempre sballata sul piano della coerenza razionale , fondata[GM1]  in gran parte sulle elucubrazioni del presunto santo Antonio de Liguori, che oggi appaiono talmente  insensate da fare dubitare persino dell’equilibrio mentale del suo autore.
Ne abbiamo già parlato su questo blog e quindi non riprendo l’argomento.
Ma, al di là  della teologia sballata sull’etica sessuale, la chiesa deve affrontare  l’equivoco della  presunta legge naturale, come interpretata dalla chiesa medesima.
E poi collegati con questo discorso ci sono questioni di grandissimo peso che sono sempre lì in attesa di un aggiornamento che non viene mai :
-fare i conti con l’accettazione della modernità nel senso di  filosofia illuminista;
-fare i conti con la scienza almeno a livello di accettazione della teoria dell’evoluzione con tutto  quello che comporta in termini di anti-dogmatismo, relativismo eccetera;
-fare i conti con i diritti umani da accettare nella loro interezza e non solo fino a dove non collidono con le rimanenti resistenze della chiesa medesima.
Sono argomenti che si tengono uno con l’altro.
La filosofia che ha elaborato i diritti umani è basata sul concetto di supremazia dell’individuo persona rispetto allo stato, alle chiese ed a tutte le altre forme di aggregazione sociale.
E’ questo il punto più sensibile che si è sviluppato più velocemente nella cultura condivisa del moderno mondo ,almeno  occidentale, ed è questa la base concettuale assimilata dagli irlandesi che hanno votato come si è detto sopra.
Dopo lo shock del voto irlandese, che faranno ora le chiese?
Faranno muro contro muro per difendere le loro posizioni tradizionaliste?
Sembra invece che si stiano muovendo proprio nella direzione opposta, e cioè verso una accettazione di fatto, cercando come sempre in passato  di salvare capra e cavoli ,tergiversando per un po’ di tempo, fino a quando dovranno constatare che la gente è andata troppo avanti rispetto alle posizioni tradizionali della chiesa, che finirà per adattarsi alla modernità per sopravvivere.
Ma non sarà facile, perché la chiesa su questo tema ha dei problemi quasi kafkiani.
Soffre di contraddizioni brucianti.
E’ sempre stata la prima a demonizzare la posizione dei gay, ma pur mancando studi di sociologia religiosa un po’ su tutto il fenomeno gay, sono  nello stesso tempo le istituzioni che fra il proprio clero regolare (frati e suore) e secolare (preti) contano una percentuale di gay largamente superiore a quella media della società civile.
Come mai la  chiesa in questa situazione di particolare sofferenza al suo interno ha sempre mantenuto l’anatema contro i gay?
Ovviamente a causa dei riferimenti biblici presenti soprattutto nel libro del Levitico.
Chi ha una qualche dimestichezza con la Bibbia, sa però che prima di tutto, almeno dal Vaticano II in poi l’ermeneutica è entrata seriamente nello studio della teologia biblica e che quindi è passato il concetto che la bibbia medesima non è un libro storico, ma che le sue enunciazioni vanno intese in senso metaforico.
Tra l’altro il libro del Levitico è quello meno letto durante le liturgie perché è quello che contiene in assoluto la maggiore quantità di affermazioni insensate.
Di conseguenza questo tipo di ostacolo non può che essere superato o in via di superamento, come sono state superate tutte le esaltazioni misogene sulla inferiorità della donna e tutti i numerosi incitamenti alla violenza, anche di carattere sanguinario.
L’ostacolo principale non è quindi nella Bibbia, ma nella filosofia.
O si accetta la modernità e la filosofia illuminista o non la si accetta.
E la chiesa non riesce a fare passi in avanti su questo campo.
Intendiamoci, come ha illustrato  Vito Mancuso in un articolo molto documentato su Repubblica la settimana scorsa, anche le altre religioni si trovano spiazzate.
Mancuso cita un intervento del tutto contrario all’accettazione dei gay da parte del Dalai Lama del 2006, completamente ribaltato da una aperta accettazione nel 2014.
L’Islam è la religione più contraria di tutte, tanto che molti stati che hanno adottato la shaahria contemplano la pena di morte per i gay.
Vi è apertura nel mondo protestante, però più in quello europeo che in quello americano.
In conclusione il problema è tutto qui : se si accettano pienamente i diritti umani si deve accettare la dignità della persona prescindendo da etnia, cultura, religione, status sociale e quindi anche orientamenti sessuali.
Questa è la filosofia di riferimento per il mondo moderno, ma non è ancora quella della chiesa.
Per la società italiana siamo probabilmente spaccati esattamente a metà e quindi per i matrimoni gay ci vorrà ancora un po’ di tempo.




martedì 2 giugno 2015

Renzi umiliato dai dissidenti interni non può più far finta di niente, o li caccia o si accorda



Va bene che la politica attuale sarebbe “nuova”, “trasversale” e soprattutto diversa da come si intendevano“destra” e “sinistra”, ma non si era mai visto che delle fazioni di minoranza presentassero liste contrapposte a quella ufficiale del partito, del quale sono tesserati, facendo regolarmente perdere le elezioni al partito medesimo , come è successo in Liguria, senza che vengano buttati fuori.
L’art 49 della Costituzione recita :" tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale".
E’ chiaro che la parte più rilevate di quest’articolo è quella che recita “con metodo democratico”.
A oltre sessant’ anni dalla promulgazione della Costituzione purtroppo però il Parlamento non ha mai legiferato per specificare cosa si deve intendere in pratica per rispettare il dettato costituzionale.
E’ ridicolo constatare che per esempio le assemblee di condominio o quelle dei soci delle società commerciali dispongano, da quando sono sorte, di una regolamentazione dettagliata per via legislativa ed i partiti, che sono entità ben più importanti, navighino ancora nel vuoto e nella nebbia, e quindi costantemente a rischio schianto.
Essendoci i precedenti della regolamentazione delle assemblee, sopra citate, ben rodati e funzionanti, ci vorrebbe veramente poco, anche solo per copiarne le linee principali.
Stante la peculiarità e l’importanza dei partiti, si lasci loro la possibilità di autogestione, formulando ognuno il proprio statuto, come del resto capita per i condomini coi regolamenti, che si approvano in autonomia.
Naturalmente nell’ambito delle linee generali stabilite dalla legge.
Ma lo si faccia, perché diversamente si sarà costretti a vedere oscenità ancora peggiori di quelle attuali.
Che una minoranza, come la così detta sinistra del PD, pretenda di avere diritto di veto sulle deliberazioni della maggioranza, non è neanche lontanamente democrazia, anzi è il suo contrario.
Che un partito ,talmente radicato, da ricevere più del 20%  come sono i 5Stelle, non abbia e pretenda il diritto di non avere uno statuto dettagliato, è una scempiaggine inimmaginabile ed è il contrario preciso della democrazia, che può essere tollerata solo perché esiste e perdura il vuoto legislativo  del quale stiamo parlando.
Il PD, se pure con un ritardo ingiustificabile, ha cominciato a parlarne ed ha fatto una sua proposta.
Meglio tardi che mai.
I cittadini elettori hanno il sacrosanto diritto di sapere che il partito che votano,più o meno turandosi il naso, non è il salotto nel quale si esibiscono i teatranti di turno a loro piacimento, ma è una struttura seria, almeno quanto un condominio, una società commerciale o la Canottieri Olona.
Nel quale ci siano regole precise per assumere deliberazioni in modo da garantire, legalità, trasparenza e rispetto delle minoranze.
Rispetto delle minoranze, significa pari dignità, e garanzie per tutti gli aderenti di esprimere le proprie valutazioni.
Però poi, raccolte le libere valutazioni di tutti, si vota e si decide.
Nel condominio, se la maggioranza decide per esempio di sostituire la caldaia del riscaldamento a combustione con una più moderna caldaia a condensazione, si sostituisce la caldaia, non ci si ferma perché c’è una minoranza contraria, perché  così dispongono le regole del gioco più ovvie, quando una deliberazione è stata assunta nei modi di legge, deve essere eseguita e la minoranza non alcun potere di veto, anzi nel condominio deve pagare il dovuto comunque, diversamente l’amministratore può provocare a suo carico un decreto esecutivo.
Di conseguenza in un partito una minoranza che non accetta le candidature scelte nei modi di statuto, non può presentare una lista contrapposta, perché questo costituisce una violazione palese delle regole del gioco.
Renzi ha subito la dissidenza aperta di Civati, Cofferati e soci, e in modo occulto di tutto lo schieramento dei vecchi baroni, un tempo rossi, in un modo poco consono alla fama di rottamatore e decisionista che costituisce praticamente tutto il suo patrimonio di immagine.
Non può nascondersi dietro al fatto formale che Civati e Cofferati ed altri sono ufficialmente usciti dal PD, perché tutti sanno che i voti, che hanno fatto perdere la Liguria a Renzi,(pochi e sotto alle  aspettative dei promotori) andati a Luca Pastorino ,candidato sostenuto da Civati, Cofferati e c. in Liguria, sono la misura di quasi tutto lo schieramento  della così detta sinistra , cioè della vecchia guardia del  PD.
Renzi non è ancora ricorso alle espulsioni, perché se lo facesse non gli tornerebbero più i conto in parlamento, e questa sua prudenza la si può anche capire, ma non può pensare di andare avanti, come dice e ripete fino al 2018, con una parte del partito che agisce  regolarmente come se fosse un altro partito, senza  ritenere di avere l'obbligo di  sottomettersi alle deliberazioni  della maggioranza, nè un vincolo di lealtà verso il partito del quale ha la tessera e dal quale ha avuto onori e prebende per una vita intera.
Purtroppo in Italia  per vent’anni  Berlusconi è sempre andato avanti senza degnarsi di  celebrare regolari congressi nel partito che ha fondato, con liste e candidati contrapposti ed è così riuscito a vendere ad un elettorato poco informato la panzana che i partiti sarebbero superati  e che di loro si può fare tranquillamente a meno.
E’ come se in un condominio un amministratore furbo e scaltro riuscisse a convincere i condomini a stare pigramente a casa loro, che le assemblee sono superate e che per amministrare il condominio basta solo lui, così si evitano inutili liti e discussioni.
E’ una scemenza colossale, eppure gli italiani ci sono cascati e ricascati.
Così adesso si sono disabituati a considerare i partiti  come l’unica istituzione possibile per partecipare all’amministrazione della “casa comune”, della “res publica” e come l'unica garanzia per loro di potersi ritrovare a ricadere in esperienze totalitarie.
Anzi si sono convinti che quello che è pubblico fa anche un po’ schifo e che è inefficiente e corrotto per definizione.
Berlusconi non era certo un’aquila in politica e quelle poche idee contradditorie ed elementari che esprimeva le aveva tutte copiate dai peggiori Repubblicani americani.
E infatti il suo amico W.Bush  dopo avere ridotto ai minimi termini le strutture pubbliche, comprese alcune di prima necessità, come la protezione civile, quando New Orleans è stata invasa dalle acque ha scoperto con sorpresa ,che non era in grado di fare nulla, perché le strutture di intervento non c’erano più.
Così per mesi l’amministrazione americana ha dovuto mostrare al mondo la sua impotenza e la pochezza del suo leader.
Finito il berlusconismo per consunzione, in Italia stanno avendo il vento in poppa i così detti “movimenti anti- sistema” di Salvini e di Grillo.
Renzi, lo si è ripetuto in molti articoli precedenti, gioca tutto il suo successo sull’immagine di rinnovatore e di “castiga matti”, cioè dell’uomo capace di decidere quelle cose, che chi lo ha preceduto non era stato capace di fare e di riportare disciplina in un paese rimasto allo sbando per troppo tempo.
Però, se nelle azioni pratiche lo stesso Renzi va in contraddizione rispetto a questa immagine , è finito.
Di conseguenza non può mostrare di essere in balia della sua minoranza.
O la costringe alla scissione, o la butta fuori, o va alle elezioni, o,cosa più intelligente, si accorda con la parte più pensante e responsabile, ma non può andare avanti vivendo alla giornata, perché così invece di essere Renzi, sembra ridursi nelle vesti degli inconcludenti Letta e predecessori e la gente non lo seguirà più, se non darà un segnale forte di capacità di leadership.
Lo si vede con l'ormai penoso declino di Berlusconi   : nei "partiti personali" se va in crisi l'immagine del capo è la fine.
Berlusconi c'è riuscito nell'impresa di scendere dall'oltre 40% del '94 e seguenti all'attuale 10%.
Renzi ci rifletta, così è la politica, o come dice in modo aulico, la chiesa "la gloria mundi" : oggi sugli altari, domani nella polvere.
Solo che vorremmo, nel caso prendesse la decisione sbagliata, evitare di seguirlo, dato che di polvere negli ultimi decenni ne abbiamo già mangiata abbastanza.
Siamo sinceri, anche per nostro demerito, pigrizia, mancanza di informazione, di partecipazione, eccetera.