martedì 25 agosto 2015

Il “Don Abbondio” dei funerali Casamonica scuote la credibilità della chiesa, ma non fra i “fedeli”



La vicenda dei funerali Casamonica è stato un fatto orripilante, ma è servito almeno a fare aprire gli occhi per discutere su una vasta gamma di questioni importanti, interessanti il potere civile, ma anche la chiesa.
Una di queste è senz’altro lo stato della chiesa in Italia nel senso del livello di fiducia e di credibilità sul quale può ancora o non può più contare.
Ora, qualsiasi sia la nostra posizione di adesione o meno verso la chiesa, non possiamo tacerci che su questa vicenda le figure ecclesiastiche, responsabili di quelle istituzioni ,siano riuscite a sparare una serie di scuse e giustificazioni ,che il fondatore del cristianesimo avrebbe bollato quanto meno per “farisaiche”.
Anche se facessimo finta che non mentivano, sapendo di mentire, non potremmo comunque non rilevare le evidenti contradizioni nelle quali sono incorsi.
Il meno attrezzato di furbizie ecclesiastiche, che è risultato essere il povero Don Abbondio della situazione, ha recitato la parte che riteneva fosse da lui richiesta.
Vengono alla mente inevitabilmente le formidabili parole dei “promessi Sposi” relative a casi di questo genere :”sopire, troncare, Padre molto reverendo, sopire, troncare”.
Solo che nei Promessi Sposi i due interlocutori erano il Conte Zio e il Padre Provinciale dei Capuccini, forse a quel livello il sopire ,troncare può funzionare, ma a livello di Don Abbondio
naufraga.
In prima battuta l’ argomento a giustificazione portato sia dal parroco che dal Vicariato, è stato questo : solo dio può sapere se anche il più incallito malfattore si pente all’ultimo momento e quindi la pietà vuole che il funerale religioso sia celebrato.
Il ricorso all’autorità di dio e quindi al sacro è corretto secondo la teologia tradizionale, ma di scarso senso nel mondo moderno, se usato in questo contesto.
Ma soprattutto cozza contro la logica più elementare, perché se quello fosse il criterio principe da applicare a questi casi, allora non si spiegherebbe perché è previsto dal diritto canonico che in certe circostanze gravi il funerale può venire rifiutato, tanto che è stato rifiutato proprio in quella chiesa da una presa di posizione pubblica del Vicariato nel “caso Wembly”, anche questa volta in barba ad ogni “pietà” e ad ogni logica, se si pensa che la prassi consolidata era da tempo favorevole a celebrare i funerali nei casi di suicidio.
Ammesso e non concesso affatto, che Wembly fosse un peccatore per avere chiesto di staccarlo dai macchinari che lo tenevano in vita artificialmente, perché mai ,seguendo quell’argomento prima enunciato, non avrebbe potuto pentirsi all’ultimo momento e quindi non avrebbe potuto beneficiare della “pietà” invocata dal nostro Don Abbondio?
E poi se usciamo da quegli irritanti farisaismi, che insultano l’intelligenza di tutti, come mai il parroco della chiesa nella quale per diritto canonico e cioè ,in base alla residenza, si sarebbe dovuto celebrare quel funerale, una volta interpellato dai parenti e dopo avere sentito quel cognome ben noto, si è rifiutato di celebrare il rito ?
Manzoni ,in qualche modo cerca di circoscrivere le mancanze di Don Abbondio dicendo, come è noto, che chi nasce senza coraggio, non se lo può inventare, ma il nostro parroco è ricorso ad argomenti alla Don Abbondio, addirittura caricaturali.
Nell’intervista pubblicata oggi da Repubblica esordisce dicendo che non avrebbe risposto nulla perché i suoi superiori gli avevano tassativamente imposto di non parlare più, ma poi parla eccome.
Meglio per lui se avesse taciuto.
La prima affermazione è veramente scioccante : nessuno mi aveva comunicato quale fosse l’identità reale del defunto.
Apprendiamo quindi che bisognava comunicargliela l’identità del defunto, non era lui, il parroco, che avrebbe dovuto conoscere chi a lui si rivolgeva e in caso contrario informarsi bene.
Se si fosse informato avrebbe dovuto chiedersi da buon prete-impiegato, come probabilmente si ritiene, se il suo collega che per diritto canonico era quello competente per territorio si fosse rifiutato di celebrare quel rito, come in realtà era avvenuto.
Questo sarebbe stato suo dovere, come diligente prete- impiegato.
Se poi si fosse trovato accecato dalla paura, avrebbe sempre potuto scaricare la patata bollente sul Vicariato ed aspettare la risposta di quello prima di dare il consenso.
Forse a questo ci sarebbe arrivato persino Don Abbondio, che non vi aveva ricorso perché nel ‘600 la logistica delle comunicazioni avrebbe scoraggiato il ricorso all’Arcivescovo.
Il nostro poi ha svicolato  su quello che per lui è sempre stato l’argomento che taglierebbe la testa al toro : io sono responsabile solo di quello che succede dentro la chiesa e dentro la chiesa tutto è stato ineccepibile.
Formalmente sarebbe un argomento spendibile, solo che forse ritenendolo debole lo ha rafforzato con particolari ridondanti, come : c’era pieno di confessati (come se fossimo ancora ai tempi di Carlo Borromeo quando si compilava il certificato di confessione, con valore anche nel civile) e tanti si sono comunicati.
Ma poi il cadutone si verifica nell’ultima risposta.
Domanda : e i cartelloni che raffiguravano il defunto praticamente nelle vesti da papa?
Il nostro risponde che non aveva paura, ma che i collaboratori l’avrebbero consigliato di non toglierli “per non fare innervosire nessuno”.
Hai hai, qui cade tutto.
Allora sapeva di chi si trattava e che sarebbe stato meglio non fare ” innervosire” gente di tale fama, perché quelli “menano” se si è fortunati, se no finisce peggio.
Trovare un Don Abbondio, non è bello, ma nel numero ce né e ce ne saranno sempre, come capita in qualsiasi ambiente sociale.
Però  ai guai procurati da quel tipo di preti  dovrebbe sopperire, in una grande citta ,una organizzazione che evidentemente non c’è.
Consultare il Vicariato in casi dubbi dovrebbe essere stabilito come un obbligo tassativo, a ognuno le proprie responsabilità.
Il nostro parroco non ha certo esercitato la virtù della prudenza, ma forse un po’ di coraggio l’avrebbe trovato se ci fossero regole che automaticamente coprono i poveri parroci avocando la competenza all’autorità superiore, in casi di potenziali pericoli per i parroci stessi.
Questa vicenda ha diviso come sempre il mondo cattolico.
Si sono visti “fedeli” sul sagrato della chiesa la domenica successiva con cartelli che esprimevano la loro indignazione, ma c’erano anche parecchi “fedeli” senza cartelli che intervistati dicevano che secondo loro il parroco aveva fatto bene a fare quello che ha fatto.
E anche questo non mi sorprende, perché questa di prendere le parti del proprio prete a prescindere da qualsiasi “prova” di comportamento non corretto è il modo di fare tipico di chi è abituato a “sacralizzare” tutto ciò che si riferisce alla chiesa andando ben oltre la teologia o il semplice buon- senso.
Per questo tipo di fedeli, qualsiasi evento che possa turbare o scuotere la propria fede, va allontanato alla svelta.
Perfino nei casi più eclatanti di pedofilia si sono viste schiere di “fedeli” difendere strenuamente il proprio prete, perché era il loro prete-impiegato che avrebbe loro aperto le porte del paradiso al momento opportuno.
Papa Francesco ha chiaramente ancora molto lavoro da fare.


venerdì 21 agosto 2015

La chiesa che ha negato i funerali a Welby e non sa negarli a un “padrino”, può anche chiudere bottega, a meno che non cacci quel parroco Don Abbondio




Leggo dal sito on line dell’Espresso Repubblica : “La chiesa che ha celebrato le sfarzose esequie di Vittorio Casamonica, esponente dell'omonimo clan della malavita romana, è la stessa che nel 2006 negò il rito funebre al simbolo della lotta per l'eutanasia”.

Quel signore è accusato di usura,racket e traffico di stupefacenti.

Giriamola come vogliamo, ma se Mons.Galantino, che ha l’autorità di parlare a nome della chiesa Italiana, evidentemente perché qualcuno quell’autorità gliela ha data, parla e straparla quotidianamente come un politico fra politici spesso e volentieri usando un linguaggio da bar sport,   dopo il fatto agghiacciante del mega-funerale religioso di un padrino esaltato come tale dai suoi accoliti non interviene ora cacciando il parroco che quei funerali ha celebrato……

Ognuno prosegua la frase come si sente di fare.

A mio parere però su questo fatto la chiesa italiana, che proprio oggi, guarda caso, proprio oggi e nella persona sempre di Mons.Galantino, ritorna a timbrare il cartellino al Meeting di Rimini, di quella CL, che ritiene evidentemente di poter uscire immacolata da una breve quaresima, dopo i noti fatti di Formigoni e C., è attesa a un momento della verità determinante, da giocarsi proprio sulla reazione o meno a questo fattaccio eclatante del mega -funerale del padrino romano.

La sociologia della religione, che studia i fenomeni e il comportamento religioso in Italia e che misura periodicamente le percentuali di fedeli rimasti alla chiesa cattolica, ha ricavato dalle sue analisi la conclusione che l’unico legame effettivo fra la chiesa e la gran parte della popolazione italiana con la chiesa è la celebrazione dei così detti “riti di passaggio” :battesimo, cresima, matrimonio, funerale.

Alcuni di questi sono in forte contrazione, come il matrimonio religioso, soppiantato da quello civile, ma gli altri e soprattutto il funerale sono stabili, a quanto pare però, anche perché, non esistono, al momento, alternative civili, che però  cominciano a comparire.

Lo stesso rito del funerale, un tempo tutto incentrato su una severa spiritualità, oggi è stato parecchio rimaneggiato per renderlo più “moderno” e “appetibile” laicizzandolo in modo abbastanza radicale e discutibile, con l’inserimento (caso unico fra i riti cattolici) di un discorsetto preparato da un familiare o da un amico che, sale all’ambone e tesse, nel modo che crede, le lodi del defunto, parlando, magari anche esclusivamente, di cose che c’entrano come i cavoli a merenda con il significato religioso di quella celebrazione.

E’ evidente che introducendo queste novità non irrilevanti la chiesa si è preoccupata di appropriarsi e di  prevenire oggi si direbbe quel “format” che si adotterebbe in una cerimonia puramente laica.

Cioè  la chiesa ha addirittura voluto riportare dentro la chiesa quello che prima, nel caso di funerali di cittadini che hanno avuto un qualche ruolo nella società civile si faceva fuori con un discorsetto di un  qualche notabile sui gradini della chiesa, per marcare la differenza fra momento religioso e momento civile.

Oggi la evidente paura di perdere fedeli ha indotto chi poteva farlo non solo a mettere insieme le due cose,  ma ad  ampliare il momento del ricordi “civile” al “fedele qualunque”, dando la parola al familiare o amico che volesse farlo e naturalmente la cosa è stata interpretata come l’occasione per affermare una sorta di “status symbol”, come dire, in una famiglia come la nostra è giocoforza celebrare il defunto con un discorso d’occasione.

Stando così le cose, risultano ancora più pietose le giustificazioni addotte da quel povero Don Abbondio che regge oggi la Parrocchia San Giovanni  Bosco (come si sono ridotti ultimamente i Salesiani!) di quel  quartiere romano, dove si sono celebrate le esequie del padrino.

A quanto riferisce il Messaggero di stamattina, quel parroco avrebbe detto che lui non sapeva nulla, cioè non sapeva che dietro a quel cognome pesantissimo si celasse  un notissimo padrino, ma e qui siamo al disastro morale, anche se lo avesse saputo, la pietà lo avrebbe costretto a celebrarlo.

Ecco uscire la concezione terribile della chiesa come ufficio o come negozio, contro la quale, tanto per citare un nome, si era scagliato cinque secoli fa l’agostiniano Martin Lutero, purtroppo senza seguaci in Italia, né allora, né ora, o più recentemente il teologo Eugen Drewermann.

Chiamo il prete, gli chiedo di offrirmi il sacramento, lo pago e sono a posto.

Se la chiesa lasciasse credere di essere questo, tanti saluti, sarebbe una realtà del tutto irrilevante per l’uomo moderno  scolarizzato, quel tanto che basta per avere acquisito un minimo di senso critico.

Sono un padrino, benissimo, allora mi pago un funerale degno di un padrino con carro a sei cavalli, musica del padrino, elicottero che lancia petali di rosa, maxi-manifesti sui muri della chiesa, sui quali è ben chiarito, che il paradiso me lo sono comperato e quindi mi spetta.

Questa è una farsa non è un funerale religioso.  Ma non ha nessuna importanza che lo dica io, è Galantino e i suoi superiori, in quanti responsabili di quelle istituzioni religiose, che lo devono dire.

Ma i guai per la credibilità della chiesa italiana non finiscono qui, se si ricorda che quella medesima parrocchia romana aveva rifiutato il funerale di Wembly, malato terminale di sclerosi multipla che dopo anni di inutili e protratte sofferenze aveva trovato il modo di farsi staccare dai macchinari che lo tenevano artificialmente in vita, cosa che dovrebbe rientrare fra i diritti umani elementari in qualsiasi paese civile.

Ma allora non c’era papa Francesco e il grande capo dei vescovi italiani era il Card. Ruini, che aveva imposto il divieto di quel funerale.

Vede quindi il povero “Don Abbondio” di questo caso, che la “pietà” che lui ha citato come ultima ratio, va e viene come una fisarmonica, secondo la politica che praticano al momento gli eminentissimi cardinali, come si faceva ai tempi dei Borgia e buona notte ai Vangeli e a quello che c’è scritto.

Aspettiamo Galantino e superiori al varco, a loro la parola.


mercoledì 19 agosto 2015

Le feste dell’Assunta



Anche chi non è o non è più un  gran frequentatore di  liturgie non può non imbattersi  in quelle  feste, che vengono celebrate nei giorni  di  Ferragosto in tutti i borghi d’Italia e che si richiamano alle celebrazioni religiose dell’Assunta.
Feste originate dalla tradizione cattolica, che ha permeato per secoli il nostro paese e che tutt’oggi in epoca di modernità e  di secolarizzazione avanzata, nessuno  si sognerebbe di cancellare, perché ormai dall’ambito religioso sono transitate nel costume civile  di moltissime comunità.
Inutile chiedersi, per esempio, che relazione ci sia oggi  fra il Palio  di Siena. come lo vivono  contradaioli  e turisti, e la celebrazione religiosa dell’Assunta.
Probabilmente non c’è nulla  di più che la  condivisione della data, ma questo non ha nessuna importanza, tutte le cose di questo mondo sono in perenne movimento, quello che c’è oggi è per definizione diverso da quello che c’era ieri, ma, non per questo, si  abbandonano le proprie radici.
La dimostrazione di questa affermazione la  si può ritrovare nella incredibile commistione  che si crea in ogni borgo fra le celebrazioni sacre dell’Assunta, che precedono le celebrazioni civili  e quelle marcatamente laiche o  civiche o di puro spettacolo  ed evasione.
I telegiornali locali ci mostrano perfino la rinascita e il proliferare  in queste occasioni di qualcosa di simile alle vecchie balere animate da complessini, spesso locali o, in mancanza, da un quasi virtuoso della fisarmonica o della più moderna tastiera.
E questo sviluppo civico-festaiolo è quello che interessa alla stragrande maggioranza della gente, che ormai, sempre più raramente, si sorbisce la precedente parte religiosa, con esibizioni, per la verità, sempre meno  esaltanti dei parroci di turno sul tema della “spiegazione” del dogma dell’Assunta.
Anche perchè sul tema c’è poco da spiegare.
Pochi dogmi come questo sono infatti pure “invenzioni” della gerarchia clericale.
Non cercate la narrazione dell’assunzione di Maria nei Vangeli, perché non la potete trovare, semplicemente perché non c’è il minimo accenno.
Per di più questa “invenzione” è estremamente recente.
Gli storici si sono chiesti perché mai Pio XII il  1 novembre del 1950 si sia lanciato in questa arrischiatissima definizione dogmatica firmando la costituzione apostolica “Munificentissimus Deus” : “Noi……pronunziamo, dichiariamo e definiamo essere dogma da Dio rivelato che: l'immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo.
Perciò, se alcuno, che Dio non voglia, osasse negare o porre in dubbio volontariamente ciò che da Noi è stato definito, sappia che è venuto meno alla fede divina e cattolica”.
E, questi storici, hanno a loro volta “arrischiato” delle risposte :
Quella che riscuote più consensi è questa.
Pio XII era uscito molto malconcio dalla seconda guerra mondiale, durante i cinque anni della quale, si era notoriamente distinto più per gli eclatanti silenzi, che per qualsivoglia presa di posizione.
Si erano consumate alcune delle peggiori nefandezze della storia e lui parlava d’altro e per di più con toni poetici, irritanti e poco  sensati in quelle circostanze.
Per venirne fuori in qualche modo, ha scelto la via della “miglior difesa è l’attacco”, che in termini clericali si declina affidandosi al  “trionfalismo”, delle celebrazioni di massa, sfruttando l’enorme desiderio che aveva allora la  gente, di celebrare il fatto prima di tutto di essere sopravvissuti a quell’inferno e la conseguente voglia di andare oltre e ricostruirsi una vita vivibile.
Pacelli ,allora non ancora papa ma Nunzio in Germania, inviato dal suo predecessore Pio XI, ha vissuto abbastanza in quel paese per vedere quanto quella chiesa pre-nazismo era animata o ammalata di trionfalismo.
Le processioni e  le manifestazioni di massa si sprecavano.
In pochi anni  passare dalle processioni, alle parate ed alle adunate di massa, è stato un processo  avvenuto nella più assoluta continuità.
E questa è tra l’altro la ragione per la quale al Concilio Vaticano II la maggioranza dei Padri ha esplicitamente posto il superamento di ogni atteggiamento “trionfalistico” della chiesa, come una priorità di quel Concilio.
Hitler, come tutti i dittatori, aveva capito benissimo e per tempo quello che c’era da copiare nei rituali della chiesa cattolica e in pratica ha dovuto solo cambiare insegne, per un popolo che era già stato sufficientemente “diseducato” da un uso non appropriato della religione.
Quando è toccato   governare a Pio XII, alla fine della  guerra , questi ha ritenuto di poter giocare la stessa partita e passare all’incontrario da parate e adunate,  ancora a solenni processioni, benedizioni, anni santi eccetera.
Per far questo, oggi diremmo, con la massima copertura mediatica possibile, ha pensato di rispolverare la devozione mariana, portandola a livelli parossistici, scommettendo sul fatto che la cosa avrebbe raccolto un gran favore popolare e si  è “inventato” il dogma dell’Assunzione.
Se vogliamo vedere la cosa dal punto di vista della risposta popolare, non c’è dubbio che abbia avuto una bella pensata, anche perché, lungo per i secoli, dal periodo apostolico in poi, la devozione popolare aveva quasi anticipato la credenza nell’assunzione di Maria, ad esempio col mito della “dormizione di Maria”, ritrovabile delineata in moltissime icone, precedenti di secoli la definizione dogmatica di Pio XII.
Ma questo non toglie che il presunto dogma, non abbia la minima base scritturale.
Eppure, perfino il Concilio di Trento, che cinque secoli prima, aveva pronunciato definizioni dogmatiche su ogni aspetto del “credo” cattolico, si era imposto come regola ferrea di non definire nulla che non avesse una sicura e precisa base scritturale.
Certo che a sentire le omelie, che vengono pronunciate all’Assunta, si resta abbastanza sconcertati.
Ho sentito quella del papa, per il quale nutro la massima stima e ritengo  che abbia il merito di avere almeno momentaneamente stoppato una decadenza della chiesa, prima irreversibile, ma veramente non mi aspettavo di sentire riproposti argomenti così poveri.
Anche perché non erano argomenti, erano solo la riproposizione dei racconti mariani, che sono appunto storie, narrazioni, miti.
La gerarchia cattolica del resto tende sempre a debordare, anche oltre ogni buonsenso, quando propone le “devozioni” mariane.
Ricordo  quando da ragazzo ho visitato il santuario di Loreto e sono trasalito quando ho trovato scritto sulla presunta “santa casa” l’inverosimile scritta “verbum caro hic factum est” e pur essendo allora dirigente di associazioni cattoliche mi sono detto “ma questi sono usciti di testa a far credere alla gente una cosa del genere, quell’ “hic” è una follia.
E infatti, con la solita ambiguità, la chiesa non ha mai, nemmeno una sola volta, riconosciuto queste, che teologicamente sono definite “rivelazioni private”, cioè i presunti fatti miracolosi di Luordes,Fatima, Loreto eccetera, per intenderci, come portatrici di un qualche ampliamento della rivelazione, come risulta dalle scritture, ma le ha approvate, quando le approvate, solo come pie credenze e pratiche non in contrasto con la rivelazione, punto.
Però di fatto ha giocato sull’equivoco del termine “rivelazione”, che significa anche presenza di un personaggio divino o celeste, lasciando credere  di fatto,  che se si trattava di apparizioni di personaggi celesti, come la Vergine, quelle fossero vere “ rivelazioni”.
Il popolo dei fedeli  non è mai stato nè sensibile, né aduso a misurarsi con le sottigliezze teologiche, e intanto prendeva lucciole per lanterne, con solenni benedizioni della gerarchia, che le riserve teologiche se le teneva per sé, pensando di mettersi così la coscienza a posto.
Tenendo conto anche di tutte le esagerazioni nelle pratiche mariane, è verosimile che il fedele di oggi possa ancora ritenere di individuare una qualche relazione fra quelle storie mariane e le propria vita?
Ne dubito, anche se ognuno fa le scelte che crede.
Questo papa è popolare, non vi è il minimo dubbio.
La sua strategia è ormai chiara : usare della sua grande popolarità come corazza per poter togliere l’enorme potere, che la curia si è costruita da secoli, e riportare la chiesa alla sua ispirazione evangelica, lontano dal potere e dalle ricchezze.
Per riuscirci, sostiene la sua popolarità promuovendo alcuni aspetti   del cattolicesimo tradizional- popolare, compresi alcuni piuttosto  discutibili.
La proclamazione del Giubileo è un colpo da maestro, se il papa fosse un politico, lo si dovrebbe però ascrivere   alla categoria dei “populisti”, per avere messo in atti quel meccanismo, che gli porterà  davanti folle immense,  per mesi e  mesi di seguito, altro che l’Espo!
Intrattiene rapporti cordiali e pubblici con personaggi più che discutibili, come quel Kiko Arguello e Carmen Hernandez, fondatori e leader dei Neocatecumenali, che governano quell’ enormi movimento- setta  di massa, assolutamente “ad libitum”,  per trarne una luce riflessa, ma con tutti i rischi annessi e connessi alla frequentazione di personaggi imprevedibili e assolutamente non trasparenti.
Gli si attribuisce la volontà di trasportare le spoglie di Padre Pio in San Pietro durante le celebrazioni del Giubileo.
E qui ci risiamo, con personaggi estremamente popolari, ma contemporaneamente estremamente controversi.
Ho avuto la ventura di conoscere quel Vescovo, Mons. Maccari ,che ha avuto il resto della sua vita rovinata, dal fatto di avere consegnato a Papa Giovanni un rapporto nettamente negativo sulla figura di Padre Pio, rapporto commissionatogli dal papa stesso, e posso confermare che era persona assolutamente affidabile ed equilibrata, tanto che papa Giovanni aveva fatto proprie le  conclusioni ivi indicate.
Sugli argomenti che vengono definiti di bioetica , Papa Francesco ripete né più né meno le posizioni tradizionali, senza nulla aggiungere, né innovare, e questo sorprende non poco.
Si capisce che Papa Francesco ha difficoltà e resistenze enormi da superare per far tornare almeno un poco la chiesa alla sua originale ispirazione evangelica, questo è ben chiaro a tutti.
Certo che si sta muovendo con una strategia spesso veramente spregiudicata, come dimostrano i  fatti sopra citati.
Se questo cedere  a quello che in politica viene definito populismo,   è il prezzo da pagare per tentare di vincere le resistenze di curia e conservatori, si può anche dargli credito, se pure a malincuore.
Fatto sta però, che questo “populismo”, se pure calcolato  e diretto a un fine nobile, temo che non faccia bene affatto alla maturazione di un popolo cristiano, ridotto nei numeri e pochissimo educato.
Spingerlo a prestare fede agli aspetti più miracolistici e mitici del “credo” cattolico, significa in pratica favorire la sua propensione  a coltivare gli aspetti già troppo infantili e acritici della fede, mentre  questo popolo, avrebbe invece bisogno di diventare a un certo  momento adulto, cercando di verificare la propria fede usando logica e senso critico e quindi sbarazzandosi dell’inverosimile.
E quindi scartando piuttosto che favorire il miracolismo  , aprendosi al confronto con le altre credenze religiose, la filosofia e soprattutto la scienza.
Da quest’orecchio purtroppo, lo si è visto anche dall’analisi dell’enciclica sull’ecologia, questo papa sembra non sentirci molto, o ritenere non prioritari questi argomenti.
Peccato perché farebbe molto bene alla verifica razionale della fede cattolica ad esempio il confronto, oggi possibile per tutti, con le religioni orientali, molto più “relativiste” e tolleranti, con tutti i vantaggi che derivano da queste posizioni.
Il recente attentato a un tempio nel centro di Bancok in Tailandia era diretto significativamente a un tempio induista (dedicato a Brama), che però era notoriamente visitato da folle di buddisti.

E’ un fatto su cui  vale la pena di meditare.

mercoledì 12 agosto 2015

L’intervento di Mons. Galantino sull’ accoglienza ai migranti



“Piazzisti da quattro soldi che pur di raccattare voti dicono cose straordinariamente insulse”.
Queste le parole che il Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana ha pronunciate alla Radio Vaticana.
Se le avesse dette nel corso di un qualunque talk show politico, dove il conduttore spinge ogni ospiti a spararla più grossa di quello intervenuto prima di lui, quelle parole sarebbero state appropriate, ma dette alla Radio Vaticana e da chi riveste di fatto il ruolo di rappresentante dei vescovi italiani, sono  veramente da cartellino giallo.
La chiesa italiana è la presenza più benemerita nell’accoglienza pratica ai migranti, potendo contare su strutture territoriali estremamente estese.
Fa quello che deve fare per il fatto che fa semplicemente quello che Gesù Cristo ha chiesto che facciano i suoi seguaci.
Anche a Gesù Cristo , ci dicono i Vangeli è scappata qualche parolina inusuale tipo “razza di vipere” o altro per esempio quando ha scacciato i mercanti dal tempio.
Ma si trattava di altro contesto ed il “peccato” condannato era un uso improprio della religione.
Gesù di Nazareth, pur avendo idee abbastanza precise in materia non è mai entrato in polemica diretta col potere.
Tanto meno a gamba tesa, perché questo è contrario allo spirito ed all’ispirazione generale del suo messaggio.
Come di consueto, quando una figura istituzionale esce dai binari, i suoi superiori, o semplicemente i suoi consiglieri , o lui stesso a mente fredda,lo inducono a ritornare velocemente su quanto affermato cercando di rimediare in qualche modo.
E questo è successo regolarmente anche nel caso di quella dichiarazione non proprio evangelica, però come sempre “la toppa è stata peggio del buco” come recita un proverbio veneto e nessuno crede che quelle parole non fossero state dirette a partiti ed a personaggi politici particolari, come Mons. Galantino ha cercato di far credere.
Quelle parole erano sbagliate radicalmente per il tono da bar sport.
I politici possono usare quelle parole, il rappresentante dei vescovi no, perché se lo fa vuol dire che si mette a fare politica anche lui e per di più al livello di quelle forze politiche che cercano la frase ad effetto che tocchi le corde emotive degli ascoltatori e quindi , come si dice comunemente “parlano alla pancia” e non “alla testa”.
Quel tono sfottente e arrogante viene usato comunemente anche dal direttore di Avvenire, giornale della Cei, nella polemica anti – Lega e anti 5 Stelle, ma anche in questo caso a mio avviso si sbaglia e non si costruisce un bel nulla.
Lo ripeto, tutti sappiamo che la chiesa in tutte le sue articolazioni sta compiendo un’opera benemerita nell’assistenza pratica ai migranti, supplendo alle inefficienze ed alle carenze dello stato e degli enti locali.
Il Presidente della fondazione Migrantes, che è la branca della stessa Cei che ha il compito specifico di occuparsi del coordinamento delle iniziative in questo settore, calcola in 15.000 il numero di migranti assistiti direttamente dalle varie istituzioni facenti capo alla chiesa italiana.
Non è poco, anche se si  potrebbe fare molto di più, stante il fatto che il Vaticano detiene la più grossa proprietà immobiliare d’Italia.
Ma l’assistenza ai migranti comporta indirettamente la necessità di entrare in scelte politiche implicite e in problematiche complesse, che non si possono trattare con la scure in mano come ha fatto Mons.Galantino.
Innanzi tutto c’è un problema molto grosso interno alla chiesa stessa.
Le indagini demoscopiche in materia hanno messo in evidenza il fatto che la popolazione italiana risulta essere quella più razzista dell’Europa a 28 paesi.
Questo solo fatto è l’indice di un evidente fallimento realizzato dalla chiesa italiana nel decenni precedenti, perché quanto meno non ha saputo far passare nel popolo dei fedeli nemmeno le idee più elementari del messaggio evangelico.
Se i fedeli si accostano alla chiesa per gestire nella loro intimità il loro presunto passaporto per l’al di là,  e se ne fregano dei fratelli, il messaggio cristiano a loro non è pervenuto, su questa affermazione ci possono essere pochi dubbi.
Il Corriere della Sera la settimana scorsa ha riportato una serie di interviste molto interessante ai (pochi) parroci e preti della diocesi di Milano che hanno accolto il recentissimo appello del loro Arcivescovo ad aprire parrocchie e conventi per aiutare i migranti.
Bravo Scola, meglio tardi che mai.
Queste interviste hanno concordemente descritto una situazione molto ,ma molto problematica, dovuta al fatto che questi parroci di buona volontà, hanno da subito incontrato forti resistenze e difficoltà proprio dal popolo dei loro fedeli, nell’adottare iniziative a favore dei migranti.
I fedeli, evidentemente non sono diversi dal resto degli Italiani e conservano nel loro intimo gli stessi pregiudizi allevati da tutti quanti, come dicono i sondaggi, sopra citati.
Questo dato di fatto evidentemente è del tutto ignorato o sorvolato dal rappresentante dei vescovi Mons. Galantino, e dal direttore di Avvenire, perché se ne avessero avuto coscienza, avrebbero dovuto, prima di prendersela con Salvini o gli altri capi popolo,  che non sono loro interlocutori ,avrebbero dovuto abbandonare l’arroganza per fare innanzi tutto un atto di umiltà  e riconoscere che la chiesa ha supportato per decenni personaggi e ideologie  , lontane, molto lontane dal messaggio evangelico, come dimostrano i fatti che sopra si sono citati, e questi sono i risultati dell’avere a lungo seminato il loglio invece del grano, per usare le parole delle parabole evangeliche.
E poi ci sono le implicazioni politiche indirette, ma reali, come si era scritto nell’articolo precedentemente dedicato al problema dei migranti il 22 luglio scorso.
Anche gli  esponenti della chiesa, fateci caso, non usano più la dizione generica immigrati, ma quando parlano di assistenza usano il termine molto più restrittivo di “richiedenti asilo”.
Per chiarirci le idee, in Germania, per essere richiedenti asilo bisogna dimostrare di avere subito direttamente una qualche forma di persecuzione, non basta dire : vengo da un paese dove c’è la guerra.
Ho parlato della Germania perché in quel paese si amano le regole mentre da noi si ama pasticciare con regole confuse e contradditorie, al punto che nessuno pare oggi in grado di affermare con sicurezza se il reato di immigrazione clandestina è ancora in vigore o no, come hanno scritto tutti i giornali nei giorni scorsi.
Ebbene, come si era detto nell’articolo sopra citato, accogliere un “richiedente asilo” per il nostro stato significa fare una dichiarazione di aperta ostilità al regime politico in vigore in quello stato.
Di questo non si parla mai, ma occorre ricordarsi che anche queste scelte implicite sono politiche e che come tali avranno conseguenze, per esempio sui nostri connazionali residenti in quei paesi o alle ditte che con quei paesi lavorano.
E poi, come scrive giustamente Galli della Loggia, sul Corriere di oggi, come mai Mons. Galantino e soci ritengono opportuno polemizzare direttamente con certi politici nostrani e non spendono una parola per stigmatizzare il comportamento indegno di tanti regimi africani, che sono la vera causa dell’esodo biblico in atto?
Entrano a gamba tesa nella politica spicciola nostrana, ma nascondono timidamente il dito se sono costretti dalla realtà a fare scelte politiche internazionali di peso?
Il loro livello istituzionale richiederebbe un comportamento esattamente inverso.
E poi non facciamo e soprattutto non facciano finta di non sapere che dietro all’assistenza ai migranti si celano realisticamente anche gli aspetti affaristici legati all’uso  dei generosi finanziamenti europei e  dove girano i soldi si aggira notoriamente anche la coda del diavolo.
E poi, al di là della geopolitica, al di là  della capacità o meno di predicare il Vangelo invece che di fare affermazioni da bar sport, vogliamo anche da parte della gerarchia cattolica fare un semplice uso del buon senso e dire prima di tutto agli immigrati : Vi salviamo dall’annegare in mare, ma vedete bene che non potremo mai accogliervi tutti, non perché non sia materialmente possibile, ma perché non ce la sentiamo di dire alla nostra gente di togliersi tutto quello che serve per accogliere tutti quanti voi, se lo facessimo non verrebbero neanche più in chiesa i fedeli rimasti.
Se questo discorso non hanno il coraggio e il buon senso di farlo oggi, lo dovranno necessariamente fare domani e in condizioni di attrito con i migranti peggiori di oggi.


lunedì 10 agosto 2015

Matteo Renzi e la politica estera



Non è una novità. In qualsiasi parte del mondo quando si chiede ai  cittadini – elettori  quali sono i settori nei quali vogliono vedere il loro governo più impegnato, immancabilmente rispondono : lavoro, economia, sicurezza e la politica estera rimane in coda o molto in coda.
Questo perché le implicazioni delle scelte di politica estera sulla vita di tutti giorni non si percepiscono con immediatezza, ma in realtà influenzano moltissimo i settori sopra elencati.
I politici queste cose le sanno e se ne approfittano, lasciando poco del loro tempo dedicato alla politica estera.
In Italia questo succede si direbbe per lunga tradizione, tanto che i politici arrivati a gestire le cariche più elevate, raramente hanno speso il tempo necessario per imparare l’inglese, senza la padronanza del quale non si fa proprio politica estera e al giorno d’oggi si potrebbe dire che è ben difficile fare politica in generale se non si ha lo strumento principe per ricavare informazioni dal Web.
Per loro e nostra fortuna il paese ha sempre potuto contare su un apparato tecnico, il corpo diplomatico, di grande qualità, secondo solo a quello della Banca d’Italia, che ha saputo coprire le falle della propria classe politica.
Matteo Renzi, come tutti sappiamo, disgraziatamente assomiglia a Berlusconi anche per il fatto di essere come politico praticamente figlio di nessuno.
Non è nato politicamente in una sezione di partito, non ha assimilato una ideologia, o la storia di una componente politica radicata nel paese, non ha condiviso i miti, ma anche le grandi speranze di qualcuno  dei padri della patria con le loro ben definite visioni strategiche per costruire il futuro.
Come Berlusconi si è dato qualche dritta molto generica e sembra più che altro vivere alla giornata.
Ero andato a sentirlo nei suoi giri in camper per l’Italia quando ha voluto concorrere alle primarie del PD.
Su  due ore di show, ci aveva propinato lunghi filmati di discorsi di Obama, evidentemente il suo modello di riferimento, con qualche accenno anche a Tony Blair, il suo  secondo  modello di riferimento.
Curiosamente quei filmati erano proposti nella lingua originale e quindi gli spettatori si erano convinti del fatto che Renzi con l’inglese fosse a livello di dieci e lode e non di  un misero sei, come si è verificato dopo.
Un’altra illusione sulla visione in politica sociale ed estera l’aveva data, quando appena eletto sindaco di Firenze si era recato al Convento di San Marco a meditare nella cella occupata a suo tempo da quel visionario della politica che era stato il suo predecessore Giorgio La Pira.
La Pira era proprio il contrario di Renzi, tanto la sua vita e non solo quella politica era quasi dedotta dalle grandi visioni ideali alle quali si ispirava e nelle quali credeva con estrema determinazione.
Degli anni di “preparazione alla politica” di Renzi si cita solo una militanza negli Scout.
Meglio che niente, ma non certo niente di determinante, dato che il giovane pare non sia mai andato oltre diciamo allo scout semplice e non sia mai pervenuto nemmeno alla responsabilità di guidare un gruppo.
Peccato perché vista l’estrema difficoltà che sembra incontrare nel rapportarsi ai compagni di partito che la pensano diversamente da lui, gli avrebbe fatto un gran bene vivere il confronto coi militanti che si svolgeva nelle sezioni, dove il modello dell’”uomo solo al comando”, che oggi lui impersona, avrebbe suscitato un istintivo fastidio per l’inevitabile richiamo ai rituali  del ventennio fascista.
Avrebbe capito che non si può essere di centro- sinistra legnando continuamente tutte le icone della sinistra e della sua storia politica.
Avrebbe capito che si possono perdonare alleanze spurie con le destre solo se molto delimitate e per raggiungere obiettivi importanti.
Avrebbe capito che è “nel sociale”, cioè in mezzo  alla propria gente che si trova la carica e la giustificazione per fare le proprie battaglie, non trescando continuamente con finanzieri e industriali di dubbia apertura e comprensione verso la  classe lavoratrice.
Avrebbe capito che in politica estera non basta essere amici del Presidente Usa, di turno.
Amico degli Usa “certificato” era stato in primis Giulio Andreotti , che però  non ha lasciato un  gran ricordo di sé né a livello popolare, né nei libri di storia.
Se Renzi avesse mai riflettuto seriamente su quali erano stati i principi ispiratori di Giorgi La Pira in materia di “politica mediterranea”, invece di stare a Roma, al ritorno dal Giappone, avrebbe immediatamente volato al Cairo per sedersi vicino ad Al Sissi all’inaugurazione del raddoppio del Canale di Suez la settimana scorsa.
Al fianco di Al Sissi ed al posto d’onore c’era Hollande e non poteva essere diversamente, stante il fatto che storicamente l’Egitto è entrato nella conoscenza approfondita dell’Occidente solo dopo la ben nota spedizione di Napoleone e il canale porta sempre storicamente la firma della Francia prima di ogni alta.
Ma al suo fianco avrebbero dovuto assolutamente esserci i primo ministri di Italia, Spagna e Grecia.
E’ la geografia e la geopolitica che lo impone.
Ma non c’erano ed hanno perso un’occasione storica, perché in politica i simboli contano più della realtà.
Al Sissi aveva bisogno di celebrare un momento solenne per  rilegittimarsi nei confronti del mondo e del suo popolo.
Al Sissi, politicamente rappresenta l’unica grande nazione araba che rifiuta e combatte fattivamente l’Islam estremista[GM1] .
E’ l’unico capo di governo che si è permesso di parlare di necessità di attuare una riforma radicale della religione islamica.
Nelle celebrazioni della settimana scorsa ha avuto l’accortezza di introdurre nella scenografia alcuni richiami alla storia antica del suo popolo risalenti al tempo dei faraoni.
Lunghe antiche trombe erano suonate da figuranti vestiti in costume egizio- antico.
Come si fa a non capire l’estremo coraggio di un capo arabo che osa fare una cosa considerata estremamente blasfema dall’interpretazione corrente dell’Islam politico, cioè presentare implicitamente come riferimenti politici epoche che non sono musulmane.
Questo coraggio di Al Sissi andava supportato da statisti appena appena competenti e dotati di una qualche visione.
Ma cosa parliamo a fare di Europa che non funziona e di Germania che sta sottomettendo ai suoi diktat i paesi dell’Europa meridionale, noi compresi, se quando c’è l’occasione di dimostrare al mondo che l’Europa mediterranea esiste, noi non ci siamo proprio.
Hollande, non solo era andato a sedersi al fianco di Al Sissi, ed anche questo conta, ma gli aveva appena venduto alcuni Rafales, cioè aeri caccia di ultima generazione.
Noi avevamo dato il nostro fattivo contributo alla lotta all’Isis mandando ai Kurdi nel nord dell’Iran delle casse di fucili tecnicamente scaduti, dei quali non avevano nessun bisogno, dal momento che avevano chiesto armi pesanti anti carro, e neanche glieli abbiamo dati direttamente, ma abbiamo soggiaciuto alla sceneggiata di inviarli direttamente al governo inesistente dell’Iraq perché li distribuisse benignamente lui, altro che caccia-bombardieri di ultima generazione.
Beffa nella beffa, Renzi ha mandato alla cerimonia sul Canale a rappresentarlo la Ministra della Difesa, naturalmente a mani vuote, nemmeno il Ministro degli Esteri.
Questa è politica estera da dilettanti.
Al Sissi, rappresenta oggi l’unica scelta sensata per combattere fattivamente l’estremismo islamico e diciamolo pure, per poter conservarci un qualche posto al sole in Libia, perché Al Sissi foraggia e arma l’unica forza militare di una qualche consistenza in Libia, quella del generale Kalifa Aftar.
Ma se Renzi è incapace di scegliere, non ci sarà posto per noi e per l’Eni, ma piuttosto per la Francia e per la Total.


giovedì 6 agosto 2015

Renzi e la riforma della pubblica amministrazione





Noi facciamo le riforme, gli altri non avevano fatto niente.
Oppure : nessuno ha fatto tante riforme tutte insieme come stiamo facendo noi.
Questo è il mantra ripetuto da Renzi e soci.
Come sempre la realtà  non è mai tutta bianca o tutta nera e quindi anche in questo caso qualcosa di buono c’è, nel senso che le leggi delega con le quali Renzi “fa le riforme” contengono effettivamente dei punti innovativi:
Fermiamoci alla riforma della pubblica amministrazione messa in cantiere l’altro ieri.
Il numero telefonico unico (112) per tutte le emergenze.
PIN unico per accedere ai servizi della P.A.
Il silenzio assenso che costringerà la P.A.  ad accelerare i tempi.
Bollette e multe pagabili col credito telefonico fino a un certo importo.
Il Pra (pubblico registro automobilistico che passerà dall’Aci alla Motorizzazione.
I Forestali che passeranno parte ai Carabinieri e parte ai Vigili del Fuoco.
Taglio drastico del numero di Prefetture e di Camere di Commercio.
Ruolo unico dei dirigenti apicali, nuove norme sui concorsi, valutazione e licenziabilità degli stessi.
Si tratta di innovazioni effettive, però solo enunciate.
Perché questo è il punto.
Alla legge di indirizzo devono seguire dei  decreti attuativi che calino nella realtà il disegno generale e senza quei decreti attuativi quel disegno rimane un annuncio con lo stesso valore delle grida manzoniane.
La ministra alla partita ci dice che da mesi i suoi collaboratori stanno preparando quei decreti, speriamo sia vero.
E poi, fatti i decreti la riforma è fatta?
No, le cose non funzionano così, perché una volta fatti i decreti occorre disporre di un meccanismo con degli organi funzionanti, con il quale il governo sia in grado di verificare l’attuazione pratica della legge.
E’ qui che sono caduti i predecessori di Renzi, perché pare che questa classe politica (e quella che l’ha preceduta) non si rendano minimamente conto del fatto che senza un apparato di pubblica amministrazione efficiente e competente nessun governo governa.
La pubblica amministrazione non è un corpo estraneo, la pubblica amministrazione costituisce i terminali del governo, cioè fra il governo e la pubblica amministrazione ci deve essere un sistema di comunicazione costante.
Questo legame organico oggi non lo avverte né la classe politica, né l’opinione pubblica, fruitrice dei servizi della pubblica amministrazione.
Perché in Italia, ma non solo, è particolarmente difficile vedere un politico che sappia svestire la casacca o l’abito del partito di appartenenza, quando va ad assumere il ruolo istituzionale del quale è rivestito (sindaco, deputato, ministro che sia) e quindi la gente è portata, per un corto circuito logico a riversare sulle istituzioni il discredito e la disistima che si è guadagnata la classe politica.
Il fatto contingente che Renzi abbia voluto assommare le cariche di Presidente del Consiglio e di Segretario nazionale del suo partito, peggiora ulteriormente le cose.
L’ulteriore fatto che il medesimo Renzi  si presenti all’opinione pubblica come “l’uomo solo al comando” è ancora un ulteriore elemento peggiorativo.
Quindi la riforma della pubblica amministrazione non si fa proprio solo con delle leggi, perché la pubblica amministrazione va governata giorno per giorno, minuto per minuto.
Va governata non significa affatto che vada occupata dai partiti, e qui sta l’equivoco.
Per funzionare bene la pubblica amministrazione ha bisogno di consistere in un staff di persone tecnicamente competenti e quindi che siano  state assunte in ragione della loro competenza e non imposte da dai cacicchi di partito, che siano promosse in base alla valutazione dei loro meriti-  risultati raggiunti e non per imposizione dei medesimi cacicchi di partito.
La pubblica amministrazione in Italia funziona male non perché sia composta da “fannulloni”, ma perché è stata devastata dalla intromissione dei partiti.
E’ così che i dirigenti sono diventati degli “yes man” dei politici e non dei tecnici dotati della dovuta autonomia di giudizio.
Per far funzionare la P.A. occorre sganciarla dalla politica- partitica- clientelare, ma questo evidentemente non si può fare con delle leggi.
Uno dei pochi organismi “pubblici” italiani, dotata di prestigio anche a livello internazionale per l’alto livello tecnico posseduto dal suo organico è la Banca d’Italia, che è ,guarda caso, una delle pochissime istituzioni sganciate dal potere politico e quindi dalle lottizzazioni partitiche.
E’ su un modello simile che dovrebbe essere modellata la P.A.
Purtroppo la “riforma” renziana è ispirata da una filosofia assolutamente inversa.
Nel senso che di facciata vorrebbe accentuare il lato “manageriale” dell’intero organismo, ma che contiene misure per asservire ancora di più la P.A. alla politica- partitica.
E’ nei dettagli, come sempre che si nasconde la coda del diavolo e in questa riforma un dettaglio che nasconde il diavolaccio partitico è la scelta veramente folle di escludere la valutazione del voto di laurea dal punteggio di un candidato a ricoprire un posto dirigenziale nella P.A.
Questo significa abbandonare di fatto il criterio più obiettivo che ci possa essere per valutare la competenza e il merito di un candidato per lasciarlo alla mercé del giudizio della commissione di concorso, nella quale imperano i membri politici-partitici, fatto, che si cerca di nascondere con la solita foglia di fico di qualche professore universitario, naturalmente scelto perché compiacente.
Ma non basta, l’altra pensata ugualmente folle è quella di imporre la continua rotazione dei dirigenti apicali, in modo che nessuno di fatto abbia il tempo di acquisire una adeguata specializzazione sul campo.
Questo è  puro populismo, dato in pasto a quella parte dell’opinione pubblica che non è abbastanza informata per capire cosa significa.
E così si fa credere che ruotando i dirigenti si estirperà la corruzione.
Solo questi due innovazioni disastrose sono sufficienti a fa pensare che ci troviamo davanti a dei dilettanti allo sbaraglio, che buttano là provvedimenti senza avere una minima filosofia ispiratrice.
Rimarrà forse il 112 unico.
Dopo il ventennio berlusconiano del resto autorevoli commentatori hanno detto che l’unica realizzazione che la gente si ricorderà di quel periodo, lasciata ad arricchimento dei posteri sarà la “patente a punti”.
Non dimentichiamo poi, che parecchie delle norme contenute nella “riforma delle P.A.”  di Renzi sono costituite da norme già in vigore a seguito delle precedenti riforme ,poi attuate solo in piccola parte da Brunetta e prima di lui, da Bassanini.
Il primo ci ha lasciato almeno i tornelli per fare timbrare il cartellino agli statali, ed il secondo le “autodichiarazioni”, che non sono poca cosa, ma certo non sono riforme della P.A.
Ci sarebbe poi molto da dire sulla “punizione” della figura del prefetto, che invece rappresenta anche da un punto di vista funzionale la presenza del governo nel suo insieme a livello locale.
Ci sarebbe da dire sulla abolizione della figura del “segretario comunale” , che garantiva la presenza di una figura autonoma dalla politica- partitica locale, essendo proveniente da un concorso e da una graduatoria a livello nazionale.
Almeno il segretario garantiva un minimo di controllo di legalità preventivo sulle delibere dei comuni.
Ora più nulla, semmai interverrà la magistratura, ma dopo a buoi già scappati.
E poi il caso incredibile della abolizione del Corpo Forestale dello Stato.
Una forza di polizia a difesa del territorio e dell’ambiente che negli anni aveva raggiunto un grado di specializzazione estremamente elevato ed apprezzato.
Non riesco a biasimare il commento ad hoc apparso sul sito di Beppe Grillo “regalo alle eco- mafie”.

Non generalizziamo, ma questa riforma mi sembra veramente una bella schifezza.