venerdì 26 dicembre 2014

Romano Prodi  è una risorsa ma non per fare il presidente



Chi segue questo blog, sa che in passato  si sono manifestate perplessità tutte le volte  che le vicende della politica italiana inducevano qualcuno a proporre di riciclare il personaggio Prodi per incarichi politici prestigiosi.
Personalmente,  sono stato fra quelli che  a suo tempo si erano recati a fare la fila ai  seggi  delle prime primarie del PD per votare Prodi.
Si era nel pieno dell’era berlusconiana e si  vedeva in Prodi  la persona giusta  ,seria e adatta a fare finire l’indegno carnevale del berlusconismo.
Purtroppo, poi, le cose non sono  andate come  si desiderava che andassero, anche per i limiti evidenti che il personaggio ha dimostrato di avere.
Romano Prodi è un professore di economia, che  ha al suo attivo una produzione accademica di primissimo ordine.
Le sue pubblicazioni sui “cluster”, cioè i distretti industriali (lui in particolare ha studiato quelli   romagnoli delle piastrelle) sono fra le opere italiane più note e stimate nel mondo.
Il personaggio ha al suo attivo anche  un  forte radicamento nel meglio del pensiero politico che ha ispirato i cattolici democratici, o per usare un termine più terra –terra, la sinistra democristiana  ed il cattolicesimo sociale, in generale.
Purtroppo però, gli sono mancate due cose fondamentali  per un politico  di alto livello : prima di tutto  non ha carisma.
E questo, come è noto, è una qualità che o si ha o non si ha, perché è una dote naturale, che difficilmente  uno ,se pure intelligente , si può  costruire a freddo.
Secondariamente è semplicemente un disastro in comunicazione.
Proprio non ci ha mai attaccato.
E’ sempre stato lontano anni luce anche dal livello  minimo.
Si diceva scioccamente, che sopperisse a tutto il fatto che fosse un uomo   baciato dal  destino, perché dotato di straordinaria fortuna.
Come tutte le volte nelle  quali si invoca la fortuna, come qualsiasi altra presunta entità irrazionale, che indirizzerebbe le nostre sorti,  si  invocano pure stupidaggini e infatti le vicende casuali della politica lo hanno più volte castigato duramente.
Ma comunque la si pensi, il bilancio della sua esperienza politica non è stato affatto positivo anche per suoi limiti intrinseci.
Uscito però dal giro degli incarichi politici, anche per una  sua scelta precisa,è avvenuto che il segretario  generale  dell’Onu lo  avesse messo in evidenza come altri ex primi ministri, dotati di proprie abilità particolari, per  avvalersene, impiegandolo in incarichi  internazionali.
Gli è stato quindi assegnato il compito di seguire le vicende africane, per incarico appunto della segreteria generale dell’Onu, e qui  il nostro ha messo  in campo le sue conoscenze ed  abilità di economista  per studiare con tenacia la situazione di quel continente, anno dopo anno.
Mi sono laureato a suo tempo con una tesi sulla politica degli stati dell’Est Africa, nel periodo immediatamente seguente alla loro  indipendenza ed ho poi sempre cercato di aggiornare quelle  conoscenze e  quindi presumo di saperne qualche cosa su questa materia, che non è purtroppo molto conosciuta.
Con questo  bagaglio,  sono rimasto allibito, quando,  poco più di un mese fa, ho ascoltato Prodi  parlare di politica  africana in una  sede accademica  ed ho avuto ampio modo di constatare il suo livello di conoscenza di quei problemi.
Non pensavo che si potessero prendere quegli incarichi con tale serietà ed impegno.
Ecco, questi sono i ruoli tagliati apposta per quel personaggio.
Oggi, la politica non si può fare assolutamente più come la si faceva ieri, perché la realtà sulla quale  intervenire è diventata  estremamente complessa.
Non facciamoci ingannare dalle banali semplificazioni delle quale  sono pieni i Talk Show televisivi.
Quelle soni cose da teatrino.
Oggi la politica vera è cosa da tecnocrazie ad alto livello.
I politici  non sono affatto tecnocrati ad alto livello, ma di quelli  si  devono necessariamente avvalere, diversamente sarebbero condannati ad apparire delle nullità buone a nulla.
Questa è una nuova realtà moto difficile  da digerire, anche perché configge abbastanza pesantemente con i concetti classici di democrazia rappresentativa.
Ma è difficile rappresentarsi oggi la politica in modo diverso, a meno che non si preferisca farsi eternamente raccontare delle favole, che non hanno più riscontro  con la realtà vera.
In questa nuova situazione, governare con le burocrazie  ministeriali,  organizzate con organigrammi, pensati  nell’ottocento è un sistema che gira inevitabilmente a vuoto.
Bisogna innovare in modo radicale, ma proprio per questo è difficile dire come.
Del resto, questo è un problema comune a tutti gli stati moderni.
Occorre sperimentare e trovare i sistemi adatti.
Nel campo della politica interna, per esempio, si  è detto più volte, che  occorre ricorrere a figure nuove come sono i commissari, incaricati di portare a compimento opere o riforme particolari.
In politica estera  questo tipo di figura appare ancora più necessaria.
Si pensi , per rimanere in Africa, alla situazione complicatissima della Libia, che per per, per nostra disgrazia è anche una materia di primario interesse nazionale, perché è da lì che viene la gran parte del nostro petrolio.
Ecco dove Prodi ed altre figure come la sua diverranno in futuro assolutamente indispensabili.
Per affrontare situazioni del genere ci vuole l’esperto di alto livello, dotato di comprovati titoli e competenze  in campi particolari o particolarissimi.
Il politico dovrà inserire queste competenze in una  visione strategica di insieme, ma non è certo lui che può sbrogliare matasse di questo genere.





venerdì 19 dicembre 2014

Cosa hanno in comune  Papa Francesco ed Angelo Scola?



Di papa Bergoglio si parla  parecchio.
Probabilmente è avvertito come l’unico leader mondiale di caratura adeguata alla sua carica, gli altri sono avvertiti invece o come leaderini, inadeguati da sempre, o  astri sulla via del  tramonto.
Di Bergoglio non stupisce la  carica di novità, perché questa anzi è la ragione del suo successo, ma piuttosto  colpisce l’astio, la cattiveria, la slealtà del fronte, che si è formato  negli ambienti curiali per ostacolare il suo lavoro  di pulizia e di rinnovamento.
Le chiese da decenni si svuotano progressivamente perché la gente ha avvertito ed avverte i fatto che la chiesa-istituzione  non sa più parlare all’uomo moderno, perché non va più dove la gente medesima pensa, che la  dovrebbe portare il messaggio originario del suo fondatore, ma è tutta impegnata in sostanza a difendere il  proprio potere di casta, se non in molti casi, di setta.
Gli scandali ricorrenti a sfondo sessuale e finanziario  hanno poi non poco contribuito a screditare l’istituzione.
Papa Francesco è arrivato dal Sud America portando uno stile del tutto nuovo e contro corrente.
Povertà e servizio sono le parole chiave del nuovo pontificato.
Totalmente indigeste per chi era abituato a identificare il suo ruolo nelle istituzioni clericali come un mezzo per  legittimare agi e spesso lussi indecenti e indecorosi, spesso accompagnati a vizi  praticati in modo sistematico.
La reazione alla novità di papa Francesco era ovvio che ci sarebbe stata.
Del resto ,come molti commentatori ricordano, la stessa cosa si era verificata quando i medesimi ambienti di curia,  negli anni ’60, si sono trovati davanti alla novità inaspettata di un Giovanni XXIII, che diceva cose per   loro insensate.
Anche c’era sorpresa e disappunto, ma mi sembra che, il capofila dell’opposizione di  allora a papa Giovanni, che era stato  il vecchio e mal ridotto Card. Ottaviani, prefetto del Sant’Uffizio, rappresentasse più un sussulto di medio evo, espresso in assoluta buona fede, state la sua formazione ed universo culturale, che  non una fazione di potere  stle ed astiosa.
Oggi le ragioni del potere mi sembrano molto più evidenti  di allora.
C’è prima di tutto l’astio per il potere perso o non  mai pervenuto, come si riscontra nelle posizioni del pontefice mancato,  Angelo Scola, che imprudentemente, aveva sopravvalutato quanto gli sussurrava, fino a convincerlo, una cordata che si era formata in suo favore prima e poi durante l’ultimo conclave.
Come si è detto sopra, anche ai tempi  del concilio, era risultata evidente la divisione in anime diverse e contrapposte all’interno della chiesa, anche se allora, negli ambienti clericali, la trasparenza non era ancora ed  affatto  considerata una  esigenza virtuosa e quindi le cose raramente venivano fuori subito.
Anche allora però, ad esempio, era possibile  ad un certo punto consultare le due linee teologiche del tutto divergenti riportate in due riviste : quella “progressista” costituita da “Concilium”  dove scrivevano Congar, Kueng, Rahner, Shillebeeck, le vere menti del rinnovamento teologico, e  quella ultra-tradizionalista “Renovatio”, dove scrivevano Siri, Baget Bozzo e poi la tradizionalista classica “Communio” un po’ più pacata di  Joseph Ratzinger.
Anche allora Siri si sentiva, e storicamente era, il papa mancato.
Allora però, obiettivamente, il movimento del rinnovamento era ben più radicale e radicato.
Oggi moltissimi non ricordano nemmeno più il fervore delle “comunità di base”, si pensi all’Isolotto a Firenze.
C’era una miriade di circoli intellettuali,  che editavano la loro rivistina.
C’era una sperimentazione liturgica, che  faceva trasalire.
E, purtroppo, ci fu un  papa che  ebbe sì il  merito di salvare il salvabile del Concilio, ma che per età e formazione fu, prima, spaventato dal movimento di rinnovamento e poi fu letteralmente terrorizzato dall’idea di trovarsi a non riuscire più a controllare quanto gli  si muoveva intorno.
L’idea forse più radicale erivoluzionaria  di  quel Concilio, quella dell’accettazione  di un pluralismo teologico e liturgico,  fu bloccata, anche con durezza da Paolo VI, finendo di fatto qualificata come eretica.
Oggi c’è il papa rinnovatore, ma purtroppo però, rispetto ad allora, il gregge si è nel frattempo paurosamente assottigliato.
 Le parrocchie languono, salvo laddove forniscono servizi,  per altro utilissimi,  che lo stato e la società civile non sanno  provvedere  ( luoghi di aggregazione per i giovani, attrezzature sportive e per la  gestione del  tempo libero, oltre ad assistenza sociale vera e propria).
Ma il “mondo cattolico” soprattutto a livello  di intellettuali è praticamene scomparso.
I “movimenti”, non certo in crescita, nemmeno loro,  rappresentano  sempre più sette auto-referenziali che  parti di  una chiesa.
In questo auditorio, divenuto vuoto, risuona la voce organizzata dell’opposizione a  papa Francesco.
I preti di strada e i pochi parroci attivi non hanno bisogno di nessun  auditorium perché sono bravi a tirarsi su le maniche più che a parlare.
Per la verità, non è un gran che il discorso dei vari Scola e compagni di cordata, ma facciamo uno sforzo per individuarne le linee.
Scola ha dato una lunga intervista al Corriere, ed in particolare al patinatissimo Aldo Cazzullo, dove è  stato   esplicito,  nella misura i cui sa essere esplicito e sincero, un  cardinale nelle sue condizioni, col suo passato e con il  suo bagaglio culturale, cioè non lo è  stato affatto.
Scegliere, come ha fatto Scola in quella intervista, di affermare di essere  sicuro che papa Francesco si opporrà alla comunione  ai divorziati, significa ricorrere  a un vecchio armamentario  dialettico- retorico, perché con tutta evidenza con quell’affermazione voleva dire altro e cioè voleva lanciare  un  ricatto e un alto là, rivolti al papa medesimo.
E’ come se avesse detto al papa : ti avvertiamo,  guarda che un papa non può permettersi di contraddire alla dottrina tradizionale della chiesa sul matrimonio  e quindi come papa sei obbligato ad opporti alla comunione ai divorziati.
Quello che irrita e spaventa, da parte di questi, che sono pure uomini di chiesa, non è la mancanza  di  argomenti  spendibili, quando riducono il  cristianesimo a una elencazione di norme di divieto, basate sulla presunta autorità  di una rivelazione, tutta da sostenere e da interpretare  con l’impiego dell’ermeneutica.
Avevamo già parlato su questo argomento  abbastanza diffusamente in un articolo precedente (19 settembre 14) trattando del  libro dei cinque cardinali (Muller, Burke, Caffarra, Brandmuller, De Paolis) diretto a bloccare proprio la proposta  della  comunione ai divorziati e quindi per l’esposizione e la confutazione di quelle tesi, rimando il lettore all’articolo sopra-citato.
Quello che mi preme sottolineare adesso  è la penosa impressione che da la totale mancanza di partecipazione umana, verso i fratelli, che emana dall’intervista di  Scola.
Non c’ l’uomo di chiesa, c’è l’impiegato, il manager dell’istituzione, se pure di alto grado.
C’è un’autorità che si sente prima di tutto nel ruolo il giudice istruttore.
E’ agghiacciante leggere per esempio nell’intervista a Scola ,che i fautori della concessione ai divorziati di comunicarsi, quasi “operano una separazione fra dottrina, pastorale e disciplina” che ridurrebbe l’indissolubilità del matrimonio a idea platonica, con gravi danni per l’educazione delle giovani generazioni.
Quando è ovvio che la linea pastorale possa non coincidere affatto con la ripetizione formale di una dottrina specifica, o peggio della “disciplina” relativa (il termine militaresco scelto e usato da Scola rivela una mentalità terribile),perchè la distinzione rispetto alla pura dottrina prescrittivi è  assolutamente il senso stesso del termine “pastorale”, inteso appunto come applicazione pratica di una dottrina astratta.
Terribile è pure la riproposta, fatta da Scola, del fariseismo che la materia si porta con sè, secondo il quale, allargando i cordoni della  sacra  Rota, si potrebbe risolvere tutto.
In pratica si introduce il “divorzio cristiano” e così si  supera il problema alla radice.
Scola riesce poi ad aggravare ulteriormente la estrema debolezza delle sue argomentazioni , mostrando  di credere, che  il ricorso alla Rota sia gratuito, solo ricorrendo  all’avvocato  d’ufficio, beninteso solo per i non abbienti.
Quando nei duri  recenti discorsi di papa Francesco sia alla Rota che alla Suprema Segnatura (tribunale di appello), si era   parlato della necessità di arrivare al più presto a  procedimenti senza contropartita di danaro, sic et simpliciter, non di non  abbienti e di abbienti.
Ma a Scola l’idea del gratuito non sarà piaciuta.
Sinceramente, pur non aspettandomi nulla di buono da Scola e compagni di cordata, non mi aspettavo che  volesse riproporre esplicitamente ,tale e quale, il peggiore armamentario ideologico, che aveva strombazzato per  decenni l’allora presidente della Cei Card.Ruini, con i brillanti risultati pratici, che Scola conosce benissimo, per di più sperperando ingenti capital, che la gente aveva offerto, pensando che andassero in opere di carità e di assistenza.
E invece nell’intervista ricompaiono ancora “i valori –principi non negoziabili” ,che lo le leggi dello stato dovrebbero includere tali e quindi (e qui siamo a dimostrare la stessa apertura mentale degli sceicchi dell’Arabia Saudita che  impongono la shaharia come legge dello stato) con l’avvertenza minacciosa , che se non li includessero, i cattolici  sarebbero vincolati ad esercitare l’obbiezione di coscienza.
Ma il vertice della doppiezza Scola lo raggiunge quando afferma che comunque nella chiesa deve prevalere sempre il primato petrino, chiosando maliziosamente ,non ostante lo stile molto personale di questo nuovo papa.
Si lascia quindi andare ad una affermazione sorprendente :il nuovo papa èun  lationo-americano e “noi non eravamo adeguatamente informati” della cultura e della teologia   di quella regione.
E’ sorprendente quel “noi”, anzi è offensivo nei riguardi di quella pur vasta opinione cattolica che conosceva e seguiva le Conferenze teologiche di  Medellin, che svilupparono nei dettagli nuove proposte adatte a quelle regioni, anche non se piacquero affatto a Ruini e Woitila.
Tutto sommato, però, non mi aspettavo che chi la pensa come Scola avesse la poca responsabilità di riproporre il ritorno ad un passato, che quasi  tutti riconoscono oggi come fallimentare per la chiesa.
Lo stile di papa Francesco è veramente radicalmente diverso.
Sull’aereo che lo riportava in Italia dal Medio  Oriente ha confessato apertamente a decine di giornalisti ,che  l’opposizione dei conservatori c’è, ma che a lui non dispiace affatto che sia venuta alla luce e che non operi nascosta nell’ombra.
E’ pur sempre un’ammissione pesante, è come dire : sarebbe  peggio se operassero nell’ombra, con un non detto consequenziale : “dato che prima operavano nell’ombra”.
“Ci sono resistenze, ma dobbiamo essere rispettosi con loro e non stancarci  di spiegare e dialogare, senza insultare o sparlare”.
Questa mi è piaciuta, perché è come dire con belle parole : sono un po’ duri di comprendonio, ma se abbiamo la pazienza di dialogare con loro e di farli ragionare, magari in un domani, capiranno.
Anche se quell’accenno del papa allo “sparlare” è un po’ inquietante e raggelante.
Il migliore e più autentico Bergoglio, però, è venuto fuori nell’intervista che il papa ha dato nei giorni scorsi ad una giornalista di Buenos Aires ,Elisabetta Piquè, sua vecchia conoscenza, sul quotidiano argentino “la Nacion” , riportata con il titolo : “Alle persone risposate neghiamo sette cose. Così sembrano scomunicati di fatto”.
I divorziati risposati, infatti, non possono essere padrini di battesimo, non possono leggere le letture a messa, non possono distribuire la comunione,non possono insegnare il catechismo, oltre a non poter fare la comunione.
Non possono fare i padrini di battesimo,ma lo possono fare i politici corrotti, se regolarmente sposati,  e questo non lo dico io, ma l’ha fatto notare il papa in quell’intervista per evidenziare il fatto che in questa materia : “Bisogna aprire un po’ di più le porte”.
Ecco che significa impegnasi  nella pastorale, più che nella ripetizione formale della dottrina.
Ecco quello che gli Scola non vogliono capire.
Questo papa è bene incardinato  nella cultura e nella prassi della  sua Compagnia e quindi eviterà di  contraddire formalmente il principio della indissolubilità del matrimonio, gli Scola stiano tranquilli.
Ma lo farà non perché tema Scola e compagni di cordata, ma perché sa che nel più vasto mondo  in via di sviluppo, che  conosce bene, è opportuno  tenere ben fermo il criterio della  famiglia tradizionale, perché questo fa parte integrante di quella  cultura.
Cercherà rimedi  pastorali, che potrebbero anche contemplare la comunione ai divorziati ma a certe condizioni , in un particolare contesto o percorso per  chi ne fosse interessato, per ri-testimoniare la comunione di costoro con la comunità dei fedeli.
Lo sconcerto e lo sconforto che da il vedere riproporre tesi che i tempi hanno dimostrato infelici, infeconde ,ma soprattutto il penoso spettacolo di vedere uomini di chiesa che   sembrano incapaci prima di tutto di  amare  l’umanità dell’uomo, nella sua battaglia quotidiana, anche quando questi si trova in situazioni complicate, ma oggi diffusissime, mi ha fatto  tornare alla mente il famosissimo racconto del “grande inquisitore” nei Fratelli Karamazof di Dostojewsky.
Cristo ritorna sulla terra ed il grande inquisitore, riconoscendolo pur facendo finta  di non capire chi sia, lo apostrofa dicendogli : ma tu che  sei venuto a fare ? Torna da dove sei venuto.
Qui ci siamo noi, la tua presenza ci destabilizza, o meglio destabilizza il nostro potere sull’istituzione.
E’ la metafora della chiesa- istituzione, che arriva al limite estremo di aberrazione fino a cacciare il suo fondatore, se questo si ripresentasse perché temerebbe di essere sbugiardata e  che le si chieda conto della sua incoerenza.
Fino alla terribile domanda finale, che l’autore non teme di porre : ma il grande inquisitore crede in Dio?





giovedì 11 dicembre 2014

In uno sceneggiato televisivo l’ultima riuscita ricerca di Liliana  Cavani su Francesco d’Assisi



Viene spontaneo chiedersi come mai una intellettuale laica, come la Cavani sia  stata talmente intrigata dalla personalità storica di Francesco d’Assisi da essere arrivata a condurre  una lunga ricerca pervenuta, con lo sceneggiato appena trasmesso da Rai 1, ben al terzo film a lui dedicato.
Ma non è  difficile rispondere al quesito, posto sopra.
Quasi al termine della prima puntata dello  sceneggiato del quale stiamo parlando, la risposta me l’ha fornita Bruno Vespa quando annunciava la sua imminente puntata di Porta a Porta, tutta dedicata a Medjugorie  e dintorni.
Vespa, con la sua usuale disinvolta furbizia, sembrava dire ai telespettatori : seguitemi fra dieci minuti e vedrete come vi farò commuovere.
Ebbene, la chiave di lettura della Cavani, che viene da una cultura diversissima rispetto a quella di Vespa, vuole rappresentare esattamente il contrario : guardate  il mio film e vedrete come vi farò ragionare.
La ragione, contro la  fede miracolistica.
Il Francesco della Cavani, che ritengo corrisponda fortemente a quello storico, non vuole  fare commuovere nessuno, ma invece vuole convincere.
Convincere del fatto che è possibile tornare a riproporre il messaggio  nudo  del fondatore del cristianesimo, sfrondandolo dal peso di  montagne di teologia dogmatica  ed altrettante montagne di errori e infedeltà commessi dai suoi chierici e dalle sue gerarchie, che lo hanno stravolto, rendendo la chiesa sempre meno credibile e svuotando le chiese.
La storia è arcinota e quindi bene ha fatto la Cavani a conservare un canovaccio minimale, ma a costruire il film approfondendo solo gli episodi, che sono la colonna portante dell’eredità di Francesco.
Mi ha colpito molto l’interpretazione che la Cavani ha fatto dare da Francesco stesso a un seguace che si disponeva ad andare riluttante e pieno di vergogna a predicare in un ambiente nel quale era ben conosciuto, al fattore della nudità.
L’interpretazione del fatto più eclatante delle varie storie di Francesco :il ricorso volutamente provocatorio alla nudità.
A chi si presenta senza abiti arriva immediatamente la reazione sbeffeggiante di amici a conoscenti : ma sei matto? Credi di essere bello?
La provocazione, pur essendo forte, ha una sua ragion d’essere radicale e innegabile, è forse la metafora più efficace per dire a tutti, io sono uguale e te e tu sei uguale a me.
I vestiti, sono invece la metafora  di ceto e cultura che ci dividono.
Ma senza i vestiti, che a quell’epoca, molto più di oggi, qualificavano le divisioni, siamo tutti umani  allo stesso modo ed in modo evidente, come era all’inizio dei tempi.
Francesco doveva trovare il modo per parlare di fratellanza in modo radicale.
La chiesa nelle liturgie ufficialmente predicava anche allora come sempre anche la fratellanza, ma la pratica era esattamente il contrario, di quella proclamazione.
Le gerarchie erano corrotte e dedite ad arricchire le loro famiglie nobiliari, per altro già ricche e potenti.
I preti facevano  i loro affari, sbrigavano le liturgie e facevano più gli impiegati del potere politico che i pastori dediti alla sorte ed  al benessere delle loro greggi.
In altre parole non erano più per niente credibili e la gente si lasciava andare al ritorno al miracolismo animistico ancestrale, se pure furbescamente battezzato dai riti cristiani.
Il messaggio evangelico era contraddetto tutti i giorni prima di tutto dai suoi chierici, che pure dovevano essersi resi conto che avevano portato la  chiesa a uno dei punt i più bassi  della storia.
Era quindi difficilissima la vita anche per i robusti e determinati visionari come Francesco, che quel messaggio volevano ripresentare nella sua semplice nudità.
Avevano di fronte un muro per niente disposto a mettere in discussione i propri privilegi, potere  e ricchezze, accumulati in completo disprezzo di quel messaggio.
Immaginiamoci andare dalla curia romana a parlare di povertà.

Era una follia, era la parola che proprio non volevano sentire pronunciare.
E, in effetti, la battaglia a favore della povertà, Francesco storicamente l’ha persa e non poteva essere diversamente, perché il  sistema non poteva consentire che nemmeno un piccolissimo ramo della  chiesa vivesse  in assoluta povertà, perché quello sarebbe stato un atto d’accusa permanente nei  confronti delle ricchezze delle gerarchie  e dei chierici e ancora di più sarebbe stato un mettere  in discussione la struttura del potere e della  società, alla quale struttura la chiesa faceva da guardiana in quanto sistema di controllo delle coscienze, per conto del potere civile e del suo.
Anche un  minimo esponente della chiesa non poteva andare in giro vestito da straccione o dormire in una capanna, perché quello stesso comportamento avrebbe messo in discussione il potere del sistema.
E questo infatti disputavano i cardinali quando Francesco si era convinto di dovere andare dal papa a Roma a  chiedere una sua autorizzazione.
Senza di quella sarebbe stato considerato un  eretico a rischio della vita stessa.
L’autorizzazione in realtà non c’è mai stata, perché la regola poi approvata non era quella di  Francesco, ma quella di Elia, che Francesco non condivideva e bene a fatto la Cavani a non nascondere il sostanziale fallimento di Francesco su questo punto.
L’ordine francescano si è storicamente costituito su regole addomesticate, che stravolgevano il pensiero di Francesco, ma quello era il prezzo da pagare per la  sua sopravvivenza.
O così o sul rogo.
Molto efficace la scelta della Cavani di  accentuare con un importantissimo dettaglio visivo e di abbigliamento  la differenza fra  i vestiti  da straccione o da pastore dei discepoli più stretti di Francesco e quelli invece dei conventuali che portavano il loro saio ben ordinato ed uguale per tutti.
Conventuali che parlavano già un’altra lingua Francesco vivente, quando, per esempio, gli dicono : noi dobbiamo parlare anche ai colti e per parlare con loro debbiamo studiare sui libri e parlare latino.
Ecco il salto che Francesco, fosse stato per lui non avrebbe mai voluto fare.
Lui voleva che si facesse riferimento solo al Vangelo e senza commenti.
Passare allo studio ed all’uso della teologia, la vedeva come una forma di tradimento della purezza del messaggio.
Ma questo concetto era assolutamente irricevibile per la gerarchia, esattamente come irricevibile era quello della povertà.
Perché la teologia dogmatica era usata per scardinare il messaggio originario a favore del potere della gerarchia.
Ed anche questa battaglia del solo Vangelo nudo, Francesco, storicamente, l’ha persa completamente, e quindi giusto e doveroso era metterlo in evidenza, contrariamente a quello che fanno le  ricostruzioni zuccherose della vita di Francesco, fatte per commuovere e non per far capire chi era stato veramente quel personaggio.
Mi ha colpito parecchio anche l’episodio di Francesco che scappa a gambe levate  quando vede per la prima volta la folla che si era radunata per vederlo e sentirlo parlare.
Bellissimo. Come il Gesù storico, suo riferimento  assoluto, Francesco ha temuto e aborrito la tentazione del potere.
Come il Gesù storico, Francesco era uomo dotato di forte carattere e di evidente carisma.
Facile fare il capo-popolo con quelle caratteristiche.
Solo che la gestione  del potere  era tutto il contrario di quello che Francesco voleva fare, non sfuggiva alle responsabilità di guidare i seguaci, ma temeva come la peste la istituzionalizzazione del potere.
E, tanto per cambiare, anche questa battaglia il Francesco storico l’ha persa, ma non si può negare che anche quella l’abbia combattuta e con determinazione.
Immagino l‘estrema difficoltà per una sofisticata intellettuale laica come la Cavani trovarsi nella necessità di dover parlare dell’indicibile, come è l’argomento delle stimmate.
Lo fa in modo misurato e con il taglio giusto, quando fa dire a Chiara, che constata l’evento : ecco, lo ha tanto amato, che ha voluto essere uguale a lui, anche in questo.
E’ il modo giusto che non è quello di imporci di credere a un prodigio, a un miracolo oggettivo, che per chi crede  nel primato della ragione non esiste.
Ci presenta un fatto : Francesco è soggettivamente testimone di una situazione che desidera e che accetta.
Non è necessario che gli altri credano.
Molto interessante la continua dialettica  Francesco – Elia (amico, consigliere, avvocato che tiene i rapporti coi  potenti e che materialmente redige la regola che sarà approvata).
Il fondatore da una parte  e il futuro capo, che istituzionalizzerà un movimento, che il fondatore non desiderava affatto istituzionalizzare.
Sembra proprio di ripercorrere la storia della chiesa  primitiva : Gesù, il  fondatore, che non amava istituzioni , potenti e ricchi, e che  secondo molti storici non ha  mai, in realtà, fondato nessuna chiesa e il fondatore effettivo della chiesa cattolica, come istituzione  : Paolo di Tarso.
Il secondo che, in buona fede quanto si vuole, tradisce in gran parte il messaggio originario.
Un’ultima annotazione.
La Cavani, accentua per la prima volta la promiscuità fra  i seguaci originari di Francesco, che fossero maschi o che fossero donne, in nome del principio cardinale  del  francescanesimo che è quello della fratellanza, che non può fare distinzioni nemmeno di genere.
Questa era senza dubbio l’intenzione originaria di Francesco.
Mai prima c’erano state ricostruzioni, che pure con sobrietà e delicatezza abbiano saputo illustrare quali situazioni  si sarebbero create in pratica.
Molto bene h fatto la Cavani a provare a descriverle quelle situazioni, perché anche quella promiscuità era estremamente coerente al francescanesimo.
L’istituzione chiesa gerarchica ha naturalmente fatto perdere a Francesco anche questa estrema battaglia, ma è giusto mettere bene in evidenza il fatto che lui l’aveva fatta e  che il tempo e la storia gli hanno dato pienamente ragione, anche in questo campo, facendoci apparire ancora più straordinaria la  testimonianza storica di Francesco d’Assisi.
Come abbiamo visto la storia ha riservato una sorte molto singolare a Francesco,
Questo  uomo ha formalmente perso tutte le battaglie, che ha combattuto  con determinazione nella sua vita, ma ha vinto la guerra, nel senso, che la gente nel corso dei  secoli lo ha percepito e lo percepisce tuttora come il mortale che ha fatto di più per avvicinarsi e riproporre la figura e il messaggio del fondatore del cristianesimo.





giovedì 4 dicembre 2014

Sfascio romano col timbro del neo-fascismo sociale



Era perfino riuscito a  rendersi  simpatico Alemanno quando  con  piglio decisionista si presentava come l’incarnazione dell’ala “sociale “ del neofascismo, che vive in mezzo alla gente e  della gente si occupa.
Ed era in effetti spesso presente come sindaco e della gente si occupava parecchio, soprattutto quando si agitava per  trovare un posto di lavoro ad una marea di persone.
Buon per loro, ma non certamente per l’equilibrio dei bilanci e l’efficienza dei servizi di una metropoli con problemi ed opportunità uniche al mondo.
Se le  accuse che la procura addebita a questa cupola mafioso-fascista verranno confermate si dimostrerà che il neofascismo “sociale” a Roma era andato ben al di là delle buone intenzioni.
Diventare collaterali della mafia, della criminalità organizzata, dei servizi più o meno deviati è ben altra cosa della sensibilità  sociale.
Ma non  facciamo finta di sorprenderci più di tanto.
Chi si tiene informato dovrebbe sapere bene che non è affatto la prima volta che a Roma si muovono in sintonia queste cloache sotterranee di malaffare, per quanto sia sconvolgente constatare al loro presenza.
E’ appena stato proiettato  dalla tv di stato lo sceneggiato sulla vicenda di Ambrosoli, che metteva ben in luce le trame che allora venivano mosse da Andreotti, Sindona, la mafia e il Vaticano.
Chi se ne fosse  dimenticato, avrà avuto modo di rinfrescarsi la memoria.
Ci avrà trovato quel lato nero del potere, nel senso di sottobosco col piglio manageriale della destra neo fascista,  con potenti appoggi oltre Tevere, ma soprattutto con agganci nell’organizzazione criminale principe di Roma, la  famosa banda della Magliana, che si gioca tutto per compiacere e poi per condizionare anche pezzi da novanta della politica mettendoli a libro paga, senza avere alcun interesse a distinguere fra destra, sinistra e centro.
Non possiamo che essere inorriditi, anche se, obiettivamente, come italiani, ci ritenevamo  e ci riteniamo migliori dei politici,  che ci hanno governato, usando anche  quei metodi.
Siamo inorriditi proprio per la sovrapposizione di due cose che non stanno insieme : la dignità unica al mondo per storia e per cultura di una città  come Roma, e i metodi da politici centro- africani, usati dalla cupola, svelata dalla Procura.
Eppure si tratta di gente che in Campidoglio ci era arrivata con un largo suffragio popolare.
E se questo non bastasse, nella rete degli inquirenti sono finiti parecchi esponenti del centro-sinistra, a fare compagnia agli uomini della destra.
Alcuni personaggi come Mussolini sono stati  dileggiati dalla storia, che è venuta dopo i loro, probabilmente in parte a torto, per il fatto che si è fatta acriticamente,  nel giudicarli, di ogni erba un fascio.
Per loro la condanna è stata pressoché unanime.
Inquieta vedere però, che altri personaggi, non meno tenebrosi come l’ Andreotti, evocato dall’ambiente del quale stiamo  parlando, siano riusciti a conservare un’aura di rispettabilità, che probabilmente non si meritano affatto.
Se vent’anni e più, dopo che Andreotti aveva dovuto abbandonare il giro delle poltrone, anche per banali ragioni anagrafiche, risputano trame di potere che sembrano uscire dai risvolti della sua peggiore biografia, la cosa è scioccante.
Oggi che il suo fantasma viene di nuovo evocato da questi fatti di cronaca giudiziaria viene spontaneo chiedersi come abbia potuto esistere nella recente storia d’Italia un simile politico che seppe  frequentare sia il meglio della classe politica degasperiana, alta  e rispettabile coi suoi successori, spesso di alo livello; sia addirittura la mafia della quale è stato dichiarato contiguo fino a una certa data da una sentenza passata in giudicato; sia finanzieri lestofanti ,come Sindona; il gusto di avere contatti con gente infrequentabile come l’entourage della Magliana; e poi lo stomaco per andare alla sera a fare una bella conferenza sullo Spirito Santo, oltre Tevere, applaudissimo da una schiera di cardinali, in gran spolvero.
Nella commedia umana, si vede che era necessario avere anche un personaggio che sapesse incarnare quello che viene dottamente definito “il gusto demoniaco del potere”.
Per lui, che per altro, era persona di intelligenza sicuramente parecchio superiore alla media ed uomo di cultura, come testimoniano  i suoi libri, il tipo umano onesto “senza se e senza ma”, come Ambrosoli, era un marziano, col quale non riusciva a relazionarsi, non riusciva sinceramente a capire come potesse anche solo esistere, una persona senza prezzo, andava in corto circuito, il suo subconscio sul potere non lo tollerava.
Se il potere diventa il vero dio di riferimento, del quale inevitabilmente ci si ritiene sommo sacerdote, la politica diviene il male assoluto.
E a quanto pare a  Roma più di qualcuno ci è ricaduto.
Questa volta pare non esserci coinvolto il Vaticano, forse il lavoro di ramazza di papa Francesco è stato più incisivo di quello che appare al di fuori.
Ma che brutto spettacolo.
Sarà magari anche per un giustificabile shock iniziale, ma mi sembra che la prima reazione dei due “castiga- matti” del momento,  Matteo Renzi e Matteo Salvini, non sia stata proporzionata alla gravità dei fatti.
Anzi in Renzi ho avvertito qualche scontato appello al garantismo che mi è apparso sovrabbondante date le circostanze.
O  forse si da già per scontato che la magistratura giudicante abbia veramente e deliberatamente cambiato indirizzo e che adesso assolverà tutti per mancanza di prove abbastanza certe, come ha vaticinato questa mattina l’ immoralista per vocazione, Giuliano Ferrara ?
Questa invece potrebbe essere  un’occasione da non perdere per Renzi ora che gli viene offerto  su un piatto d’argento l’opportunità di lasciare il fioretto, per passare a una più risolutiva accetta.
C’è molto da tagliare.




mercoledì 3 dicembre 2014

La gente non si accontenta più di un energico decisionista, oggi cerca ormai il castigamatti e Salvini sembra il tipo giusto a un numero sempre maggiore di persone



Dopo decenni di malgoverno o di semplice s-governo, oggi l’Italia  ha accumulato una tale mole di problemi che ha poco senso pensare che possano essere risolti con i metodi usuali.
Qualsiasi problema, in qualsiasi settore, oggi, non è risolvibile con una  semplice aggiustatura, perché dovunque ci si rigiri ci si imbatte in problemi sistemici.
Sarà politicamente scorretto parlarne apertamente, ma, come si è già accennato in articoli precedenti, oggi chiunque sia chiamato a governare, se vorrà combinare qualcosa, dovrà introdurre  elementi supplementari  di autorità se non proprio di “autoritarismo”.
Non saprei come esprimermi diversamente per dire che occorre adottare una filosofia generale  ispirata al principio di ristabilire l’autorità dello stato  su quella di corporazioni, lobby, mafie, caste, regioni finite fuori controllo ex municipalizzate eccetera, organi giurisdizionali le cui funzioni sono attualmente debordanti come Cassazione e Tar, eccetera.
Non è un caso che all’orizzonte della politica siano apparsi  ed abbiano conquistato il primo e secondo posto nella fiducia degli Italiani, due giovani rampanti, che si contraddistinguono principalmente dal volere buttare nel cestino della storia vecchie  classi dirigenti, vecchie sceneggiate, vecchi costumi.
Ambedue sono individui molto energici, ambedue hanno premura, ambedue sono poco propensi alle trattative.
Ma che succede arriva un “duce”?
Bando ai riferimenti ad un passato che , anche se qualcuno volesse ,non potrebbe ritornare mai, ma non  facciamo finta di non capire, la gente oramai vuole qualcuno capace di rimettere ordine veramente.
Pericoloso?
Beh, in parte  si,ma la situazione è quella che è.
Oggi, al di là della buona volontà ed alla caratura delle singole persone, nel caso in cui Renzi fallisse, nessuno troverebbe sensato ricorrere a personalità come Monti o Letta, o peggio ancora ad esponenti anziani del vecchio sistema, come si è fatto in un passato ancor molto recente.
Le cose e la sensibilità dell’opinione pubblica hanno fatto un altro salto in avanti.
Più passa il tempo senza che si faccia nulla e più l’impressione è che la gente invochi senza mezzi termini, non più solo un decisionista, capace di fare le riforme, perché questo probabilmente  non  basta  più, oggi la gente, ho la  sensazione, che cominci a invocare  il “castiga-matti”.
L’ascesa nella fiducia degli elettori di Salvini, sta diventando impressionante ed è inversamente proporzionale  al fatto che Renzi stia segnando il passo.
Renzi certo sembra in   grado di dare più garanzie, per quel poco di collegamento con le tradizioni  politiche del suo partito che non lui , ma i suoi elettori ancora evocano, nel loro immaginario collettivo; per  le eterne paure dei moderati di sempre, che già hanno fatto un uovo fuori dal cesto votando per lui, ma che sarebbero molto imbarazzati a votare Salvini, per la stessa ragione per la quale non erano riusciti a votare Grillo un anno fa.
Però , anche i moderati quando si vedono davanti agli occhi lo stato che si arrende sistematicamente di fronte alle occupazioni della  case popolari di Milano e casi analoghi.
Quando, giusto o sbagliato che sia, avverte con sempre maggiore fastidio  la presenza crescente dei “diversi” che una immigrazione non governata da nessuno  ci mette intorno.
Quando il ceto medio più recente che da una generazione era riuscito a fare il salto dalla condizione operaia a quella borghese si trova ora  ricacciato indietro.
Quando il popolo delle partite Iva al quale i conti fanno sempre più difficoltà a tornare, si sente abbandonato.
Quando la colonna portante della borghesia costituita dal ceto impiegatizio statale o no, si vede apertamente sbeffeggiata come  improduttiva e parassitaria.
Quando moltissimi avvertono di non contare più niente.
Quando succedono tutte queste cose insieme, i manuali di storia dicono che sale la domanda politica diretta ad invocare  l’avvento del “castiga-matti”.
Renzi in teoria potrebbe soddisfare a questa domanda, tanto che di fatto ci ha costruito sopra la  sua fortuna politica fino ad oggi.
Si è presentato nel modo più opportuno per interpretare quella parte.
Oggi però, in mancanza di realizzazioni sostanziali sta cominciando a recedere.
Fino  a  quando i suoi avversari si riducevano a un  Berlusconi allo sbando ed a un Grillo, capace solo di abbaiare alla luna, avrebbe potuto permettersi di tirare le cose per le lunghe.
Non più oggi , quando lui scende e Salvini sale e si avvicina.
Salvini non è più quel ragazzone sbracato, che girava per le periferie di Milano a sbeffeggiare immigrati e napoletani, cercando di rivitalizzare un partito debilitato dalle ridicole megalomanie del cerchio magico di Bossi, usando ancora il vecchio e logoro repertorio di  quel partito.
Salvini si è lasciato intelligentemente folgorare sulla via di Parigi,  dove Marine Lepen, aveva lavorato per anni a buttare nella spazzature il vecchio armamentario neo-fascista di suo padre, per sostituirlo con un’ offerta politica, di destra sì, ma adeguata ai tempi.
Ed allora siamo arrivati al “contr’ordine compagni” non si parla più di padania ,federalismo , indipendenza del nord eccetera, ma oggi si parla di un nuovo partito nazionale.
Magari  restando ancora  in Europa, ma in un Europa delle patrie,  come del resto è  sempre stata interpretata dall’Inghilterra e dalla Germania della Merkel, che ha addirittura messo questi limiti ben chiari in Costituzione, dando alla sua Corte Costituzionale potere di veto su qualsiasi iniziativa comunitaria, considerata troppo invasiva.
Purtroppo alla LePen ed a Salvini potrebbe riuscire quello che Renzi non ha il coraggio o la forza di fare, e cioè denunciare il famoso tetto del 3%, che impedirà per sempre all’Italia di crescere.
Con chi si può alleare Renzi per fare un’operazione del genere?
Ad un Hollande al 15%, che non sa neanche più come si chiama,ma  che ha timore reverenziale della  Germania?
A Rahoy, allievo prediletto dei falchi tedeschi, che ha fatto diligentemente i compiti a casa da loro  imposti,ma che è rimasto con una disoccupazione doppia della nostra, che è tutto dire?
Salvini ha imparato in fretta che per far politica nel mondo di oggi, occorre uscire dal pollaio di casa  e cercarsi alleati determinati e potenti all’estero.
Ed ecco l’altro riferimento cardine di Salvini e la LePen, quel  Putin,  che  a suo volta ha assoluto bisogno di alleati di peso per togliersi la camicia di forza che gli stava cucendo intorno la Germania della Merkel con i suoi satelliti nordici fanaticamente anti-russi, Polonia e Baltici in testa.
Prossimo passo i Repubblicani americani?
Se riusciranno a convincerli che hanno ripudiato le idee neofasciste, probabilmente si, e questi come alleati sarebbero veramente dei pezzi da novanta.
Questa volta Renzi si trova per la prima volta ad avere un  avversario al suo livello, ma con in  mano carte anche migliori delle sue.
Salvini ha imparato molto in fretta anche il fatto che per ora per far politica bisogna essere il più possibile sul teleschermo e infatti vi sta dilagando  e per disgrazia di  Renzi,  ne esce bene e sa presentarsi con quel tanto di moderato,di educato e di assennato che basta,  senza dovere abbandonare la grinta, che è il suo punto di forza irrinunciabile.
E’ chiaro però che se moltissima gente ha  votato  alle europee per Renzi solo ed esclusivamente perché, a torto o ragione, lo aveva ritenuto l’ultima spiaggia, quelle persone medesime per votare, in un domani Salvini, dovrebbero sentirsi veramente alla disperazione.
Perché questo ragazzo è abile a indossare i panni richiesti per l’occasione e sta molto attento a stare a tavola rispettando l’etichetta, ma il suo universo culturale, probabilmente non è molto diverso da quello del suo compagno di partito, senatore Borghezio, che fino a ieri frequentava apertamente i neofascisti di tutta Europa, senza vergognarsene ed anzi dando a vedere di essere perfettamente a suo agio.
Però la crisi c’è ed è destinata a durare ed allo stesso modo  lo sfascio di questo stato c’è  e non si muove.
E dunque se Renzi ce la farà, sarà meglio per tutti, ma se fallisse, Salvini è lì che lo incalza e da vicino.