giovedì 30 luglio 2015

Renzi sta affondando lentamente







Il rottamatore decisionista che non ha la capacità  di mandare a casa Marino e Crocetta è una contraddizioni di termini troppo evidente che non è sottolineata abbastanza dai media, che continuano ad avere la tendenza a non trattare troppo male chi è al potere.  
Eppure per spiacevole che sia, occorre prenderne atto.
Se Marino, per onesto che sia, non ha mai saputo governare decentemente Roma, probabilmente perché non la conosce abbastanza e Crocetta, quand’anche fosse vittima ,come pare, di una bufala giornalistica, della quale gli autori risponderanno di  fronte alla giustizia, sta governando la Sicilia in modo sgangherato e disastroso, e Renzi non ha il coraggio di cacciarli via subito tutti e due,  allora di fronte al giudizio della sua gente, si presenta  come un Letta qualunque, avviato ad essere avvinghiato dalla palude.
Attenzione, perché abbiamo ancora sotto gli occhi l’esperienza di venti anni di berlusconismo, che sono stati venti anni di galleggiamento di una classe politica incapace, appunto nella palude del non saper far nulla.
Se un politico si rassegna a tirarla in lungo, perché scopre di non sapere affrontare i problemi  di punta, per lui è finita.
Molti dicono, va bene Renzi è in chiara difficoltà, ma non ha alternative, chi preferirebbe Salvini Il cui partito ha puntellato Berlusconi per vent’anni, o Grillo che ormai è presente da anni con un potere elettorale enorme ma non ha saputo portare a casa pressoché nulla?
Devo dire onestamente che anch’io mi sono parzialmente riconosciuto in questa posizione in questi ultimi mesi, perché mi sembrava assurdo che il progetto di rinnovamento di Renzi potesse naufragare e che il paese perdesse anche questa occasione per risorgere.
Sono però del parere che in politica l’errore peggiore che si possa fare è quello di non voler vedere, quello che non ci piace.
A questo punto il Renzi che non sa cacciare Marino e Crocetta è uno che sta già annaspando nella palude.
Bene hanno fatto valenti commentatori come ad esempio Sabino Cassese con tutto il suo prestigio  accademico a sottolineare sul Corriere che se è vero che Renzi ha spregiudicatamente inseguito Berlusconi, prendendo a prestito alcune sue linee guida per portargli via così fette significative di elettori, ha però avuto il merito ,alcune cose, di realizzarle, mentre Berlusconi non è stato capace di realizzare nulla.
E’ vero che se Renzi vuole prima di tutto fare prioritariamente alcune riforme di struttura, come addirittura quella costituzionale del  Senato, lavoro, pubblica amministrazione,  fisco eccetera, queste sono riforme complesse che richiedono tempi di realizzazione non brevi e che non mostreranno effetti immediati ad esempio sulla crescita del Pil e dell’occupazione.
E questa è la ragione perché chi  cerca di non ragionare “di pancia”, ma in modo più freddo e razionale lo ha sostenuto fino a qui.
Ora però Renzi, che pure si è scelto alcuni collaboratori di grande qualità tecnica, comincia a dare l’impressione di uno che arranca in affanno e sta perdendo visibilmente lucidità.
Non può pensare di ripetere il giochino elettorale perfetto del “bonus” di 80 €, promettendo l’abolizione della Tasi sulla prima casa e poi altri tagli fino a 50 miliardi.
Sarebbe bello se potesse riuscire, ma perché la gente dovrebbe credergli, quando ha già sperimentato 
lo stesso gioco delle tre carte lo ha già fatto da Berlusconi : io vi tolgo l’Imu dalla prima casa, però poi con addizionali comunali e regionali prima e con l’introduzione della Tasi dopo, vi riprendo la stessa somma con gli interessi.
Perché dovremmo crederci?
Perché Renzi a differenza di Berlusconi è un rinnovatore decisionista.
Questa è la risposta che ci viene suggerita, ma non funziona, perché se Renzi non sa cacciare gli incapaci come Marino e Crocetta, il re diventa nudo e il giochino si rompe.
Ieri poi è venuta la mazzata di mezzo PD (evidentemente quello renziano di stretta osservanza che vota al Senato per respingere la richiesta di arresto di un personaggio incredibile come Azzolini.
Questa è veramente la goccia che fa traboccare il vaso.
Renzi sta girando a vuoto e sottovaluta la capacità degli avversari di strappargli parti consistenti del suo elettorato.
Attenzione a prendere sottogamba un Salvini come se fosse un mero ripetitore delle idee arretrate di quel trombone del  fondatore del suo partito.
I tempi sono molto cambiati da allora.
La Lega si è radicata e si sta aggiornando.
Certo che non ha affatto buttato via i cavalli di battaglia classici della sua storia, primo fra tutti : gli immigrati a casa loro e noi padroni in casa nostra.
I nostri intellettuali da salottino della vecchia sinistra al caviale conoscono benissimo cosa dicono i sondaggi di opinione in proposito di immigrazione e sanno che è anche grazie alla reazione provocata da  anni ed anni di  vuoto buonismo predicato da loro che siamo il popolo più razzista d’Europa, e quindi questo argomento va ben soppesato e valutato bene da chi vuol fare politica in Italia.
A questo tradizionale argomento leghista si collega strettamente la percezione di un aumento di insicurezza, dovuto al forte incremento dei reati di furto nelle abitazioni, che toccano tutti.
Altro argomento che per chi fa politica è folle sottovalutare.
La destra di Salvini non è più solo la destra becera che per decenni è rimasta sempre uguale a sé stessa del via gli immigrati e riapriamo i casini.
E’ anche una forza politica che fa delle proposte di peso, anche perché dimostra di avere capito che per aggiornarsi si deve cercare consiglieri e tecnici di buon profilo.
Ed ecco allora che si cominciano a vedere delle proposte politiche nuove e ben articolate.
Innanzi tutto la “flat tax”  al 15% non è affatto una boutade, se gli economisti hanno calcolato che avrebbe il medesimo impatto di 50 miliardi in meno delle promesse di taglio di Renzi con la differenza che l’impatto su consumi ed economia della flat tax sarebbe immediato e vistosissimo a differenza dei tempi lunghi e incerti legati agli annunci di Renzi.
La recente proposta , poi, del ristabilimento del servizio militare o civile obbligatorio ,fatta da Salvini, commentato con sussiego dai media filo-governativi è anche questa tutt’altro che una boutade e copre un campo sul quale Renzi non solo non ha fatto nulla, ma nemmeno ha avanzato proposte di un qualche significato.
Cosa facciamo per riassorbire la fetta di disoccupazione giovanile strutturale impressionante, che si porta dietro l’Italia?
E’ ridicola  la risposta di Renzi secondo la quale il jobs Act potrà fare miracoli in futuro.
Su questi argomenti Salvini e i 5 Stelle sono per Renzi pericolosamente sempre più vicini, mentre Renzi è sempre più lontano dalla realtà.
Ieri al Senato leghisti e 5Stelle hanno votato compatti a favore dell’arresto di Azzolini ed hanno sostenuto le stesse cose, e non è la prima volta che si verificano situazioni del genere.
In politica come nella vita i pregiudizi e le ideologie sono i peggiori consiglieri e spingono per uscire dalla strada maestra, dell’analisi razionale.
Ma la forza dei fatti spesso è quella destinata a prevalere.
Se Salvini e Grillo in un futuro ormai prossimo si accorgessero di pensarla allo stesso modo su parecchi dossier, cercherebbero fino all’ultimo di fregarsi a vicenda, perché la politica non è cosa da educande, ma alla fine troverebbero il modo per far convergere le forze senza bisogno di ridicoli incontri in streaming.
A questo punto Renzi tornerebbe a Firenze.
Il problema ora è che per evitare di tornarci non si appresti a moltiplicare le iniziative indecenti, come ha fatto col salvataggio del partitino di Alfano, facendo votare a favore di Azzolini.
Non vorrei che una volta aver constatato che al Senato la maggioranza non ce l’ha proprio nemmeno arruolando il neonato gruppo di Verdini, si accingesse a fare uscire dal frigorifero il povero Berlusconi, che pur di scampare San Vittore è ormai  oramai disposto a  digerire qualsiasi rospo.
Berlusconi ridotto a fare qualsiasi cosa, unito a un Renzi, disposto pure a fare qualsiasi cosa pur di rimanere a Palazzo Chigi, sarebbe una prospettiva da film dell’orrore.
Non mi piacerebbe per niente essere nei panni del Presidente Mattarella, ma ormai è bene che il Quirinale elabori un piano B per il dopo Renzi.

Inutile dire che in questo caso gli consiglierei di non ripetere affatto la linea del suo predecessore, ma di portare invece il paese alle urne appena possibile.

mercoledì 22 luglio 2015

Emigrare è un diritto non si discute, ma perché il pensiero unico deve esaltarlo come un valore? Scappare può essere l’ultima ratio, ma non è un’azione eroica




Analizzando i numeri degli immigrati ospitati nei singoli paesi, si può rilevare che effettivamente non è vero che in Italia saremmo sommersi dagli immigrati.
E’ vero però che per una serie di ragioni la gente percepisce questo fenomeno con crescente preoccupazione e fastidio.
L’inefficienza e la mancanza di programmazione e di idee del politico competente (il Ministro Alfano) non fanno altro che dare ulteriore fuoco alle polveri.
Non meno irritante e controproducente è il pensiero unico sostenuto più vistosamente dalla solita sinistra al caviale, secondo il quale sarebbe nostro ovvio dovere tenere aperte le porte a prescindere dal numero e dal tipo di immigrazione.
Pochi giorni fa abbiamo visto internet inondato dal video della lezione di educazione civica impartito da Frau Merkel che ha fatto piangere la famosa ragazzina palestinese la quale, dopo avere espresso il suo grande desiderio di rimanere in Germania, si è sentita pacatamente rispondere dalla Cancelliera: ma vedi bene che non possiamo accogliervi tutti!
In Germania i politici ritengono ancora loro dovere esporre e fare rispettare le regole.
Fosse così anche da noi!
Quello che mi meraviglia però in questo ormai lungo dibattito sulle ondate migratorie è la filosofia che sembra esserci dietro, secondo la quale sarebbe ineluttabile prepararsi a migrazioni bibliche dai paesi poveri a quelli ricchi, il tutto fondato sul presupposto che tutti quelli che la pensassero diversamente sarebbero da qualificarsi come rozzi ignorantoni, razzisti e anche un po’ fascisti, ma soprattutto ignoranti.
Ecco, la penso diversamente sul problema immigrazione e non credo affatto di ignorare i termini del problema.
-prima di tutto non condivido, ed anzi giudico un offesa all’intelligenza della gente il mantra che vuole considerare un valore, un titolo di merito, il fatto stesso di emigrare dal proprio paese.
Mai prima nella storia lo scappare dal proprio paese in difficoltà è stato giudicato come un merito, a meno di non pensare per esempio all’esilio, per definizione temporaneo, scelto dagli anti-fascisti ,che andavano all’esteno per continuare la lotta contro il regime in modo più produttivo e per prepararsi meglio al ritorno.
Nelle attuali ondate migratorie non si vede nulla di tutto questo.
Si dice : scappano perché nei loro paesi c’è la guerra.
Va bene lo capisco, però le guerre si possono anche combattere.
La democrazia e la libertà nella storia sono arrivate perché qualcuno ha giudicato di dovere, se necessario, dare anche la vita, pur di lasciare un paese migliore ai propri figli e nipoti.
Scappano perché diversamente sarebbero perseguitati dai loro avversari politici?
Tutti convinti antifascisti?
Ne dubito fortemente e dubito ancor più fortemente che Alfano sia capace di porre in essere un qualunque sistema sensato ed efficiente per individuare nella massa i rifugiati per documentabili ragioni politiche, dare ospitalità a questi e rispedire a casa gli altri.
Certo che per mettere mano a situazioni come queste bisogna prendere delle decisioni politiche forti.
Occorre conoscere bene le situazioni dei singoli paesi e scegliere la fazione da appoggiare e quella da contrastare.
Ma non buttiamoci sempre a capofitto nel masochismo nazionale.
L’Italia ha esperti di Africa e Medio Oriente di alto livello, in grado di “consigliare” un governo che decidesse di prendere l’iniziativa in questi campi.
Non mancano le conoscenze, manca la volontà politica.
Non si dica che non facciamo nulla perché ci mancano i soldi.
Chi sa di cosa sia veramente la cooperazione internazionale sa benissimo che non si tratta affatto di una grande Caritas laica, ma che i finanziamenti che si danno in questi casi sono quasi sempre una partita di giro: noi vi diamo un finanziamento di 10 milioni e voi li spendete per costruire la tale infrastruttura naturalmente tramite imprese italiane.
Non è carità pelosa, perché nulla centra con la carità, è solo politica, per chi la sa fare, e i nostri partner europei, in questo campo se la cavano benissimo, dal periodo coloniale in poi.
Se poi spendessimo dei soldi per finanziare l’educazione universitaria in Italia delle classi politiche africane ecc. questi sarebbero soldi spesi bene, sempre come fanno da sempre i nostri cugini europei e come noi non sappiamo fare.
Ci aveva provato con successo Fanfani, a fine anni ’60, poi ha proseguito in modo disastroso Craxi, buttando via un sacco di soldi.
Quello che voglio dire è che è una cosa penosa il fatto che questa attuale classe politica più che mediocre con la sua carenza di idee e con conseguente mancanza di iniziative, ha convinto la gente che l’immigrazione sia soprattutto proprio un problema di carità, di buon cuore, di assistenza.
C’è ovviamente anche questo, ma per degli statisti o anche dei semplici politici appena appena capaci, questi dovrebbero essere soprattutto problemi politici, ed in politica non si da niente per niente, perché questa è la natura della politica.
Se riconosci lo status di rifugiato a chi fugge dal regime del Generale X, automaticamente ti dichiari alleato del Colonnello Y, suo avversario, la vogliamo capire?
Vogliamo parlare pubblicamente di queste cose o andiamo avanti a fingere che sia tutta una grande Caritas?
E se implicitamente l’Italia si dichiara alleata del Colonnello Y, prima di tutto ne deve essere consapevole, e poi si deve porre il problema se ne vale la pena e se è il caso di aiutarlo dando una mano agli esuli della sua parte, che abbiamo ospitato o magari anche di fornirgli qualche sistema di armamento.
O è tutta una farsa e nessuno pensa alle implicazioni politiche di queste scelte?
Certo che mette i brividi pensare a un dibattito parlamentare anche solo nel chiuso delle commissioni esteri fra le forze politiche che si schiererebbero col Generale x e quelle che si schiererebbero col Colonnello Y.
Abbiamo politici che quando venivano intervistati a sorpresa dai giornalisti delle Iene dimostravano chiaramente di ignorare perfino la geografia.
Ma, speriamo bene.
I recenti fatti (rapimento di quattro tecnici italiani) in Libia hanno riportato l’attenzione sulla situazione di quel paese.
E’ una situazione al limite, ma proprio per questo è particolarmente significativa.
Non per essere cinici, ma quando un paese è tanto allo sbando da non esistere nemmeno più come stato, se una potenza esterna fosse governata da autentici statisti (per fare un esempio nostrano mi tocca andare indietro fino a Giolitti) questi troverebbero facile inserirsi per fare il proprio gioco perché saprebbero di avere la quasi sicurezza che gli altri attori internazionali, nemmeno se ne accorgerebbero delle loro trame, tanta è la confusione che vi regna.
Questo è il momento giusto, per chi ci sa fare.
Si faccia pure finta di dare appoggio a quel povero pellegrino di Leon, che il Segretario dell’Onu ha incaricato di fare dialogare gli pseudo-governi di Tripoli e di Tobruk, con risultati nulli e contro- producenti, ma si facciano invece le proprie scelte fra le fazioni in lotta.
Si scelga per esempio di appoggiare l’ex generale di Gheddafi, Kalifa Haftar, alleato dell’egiziano Al Sissi e lo si armi contro l’Isis e i Fratelli Musulmani del governo di Tripoli, tanto a questo punto la Libia non è in grado di fornire quasi più né petrolio né gas.
Ogni scelta è ovvio non sarebbe indolore, né di tutto riposo, ma dimostrerebbe almeno che l’Italia ha un piano e che non è una vuota spettatrice, non ostante i molti soldi che il nostro paese ha investito in Libia nel passato.
Rimanendo alle considerazioni sui rifugiati, è vero che ,ammesso che si possa seriamente appurare che si tratta veramente di rifugiati- perseguitati politici, ci sono dei tempi tecnici per identificarli e poi per trovar loro una sistemazione.
Ma non è possibile che le nostre famiglie nelle quali la metà se non più dei giovani sono senza lavoro, possano stare a vedere centinaia o migliaia di persone per le quali lo stato coi nostri soldi spende 35 Euro al giorno ( che significano esattamente 1.050 al mese) per periodi anche molto lunghi ad annoiarsi a far niente.
Non è moralmente tollerabile una cosa del genere, qui non c’entra essere di destra o di sinistra, qui c’entrano solo elementari considerazioni di buon senso.
Che dovrebbero fare accettare l’idea ovvia, che prima si debbono prioritariamente trovare i soldi per dare ai nostri giovani un salario di cittadinanza, e poi , ma solo dopo, si useranno altri soldi per i rifugiati.
D’accordo che non è così semplice perché per i rifugiati si usano soldi stanziati ad hoc dalla UE, ma i politici sono li apposta per fare il loro mestiere e non possono fare cose percepite come insensate.
Poi, come dice Frau Merkel, per coloro (in numero limitato) che si possono ospitare devono valere delle regole precise e cioè deve essere chiara l’accettazione da parte loro di una serie di doveri e la prioritaria volontà di integrarsi.
-dal problema immigrati perché richiedenti asilo, passiamo poi se pure in sintesi al problema immigrati per ragioni economiche.
Si è finalmente quasi elaborata la conclusione che per coloro che arriveranno d’ ora in poi per ragioni economiche, non c’è più posto e che quindi occorrerà attrezzarsi per rispedirli indietro.
Ma anche qui si stenta a formulare un giudizio sensato, che non sia prigioniero di un buonismo di maniera sempre più irritante e insopportabile.
Ci hanno costretti a considerarli tutti eroi.
Onore all’estremo coraggio o incoscienza che dimostra chi si sottopone alle traversie delle traversate del deserto e poi all’imbarco sui barconi.
Ma nel giro del tempo abbiamo imparato a fare quattro conti.
Si dice, anzi lo dichiarano gli interessati che quei viaggi costano loro alcune migliaia di Euro a testa.
Cifre di un importo non trascurabile per noi, ma enormi se valutate al livello del costo della vita nei loro paesi di origine.
Penso che sia lecito chiedersi se quei soldi investiti in attività economiche anche solo agricole elementari (pozzo e asino, che è la forza motrice dell’Africa) non sarebbero molto più utili per lo sviluppo economico del pianeta, che non una badante o un manovale in più in Europa.
Questa linea di discorso diventa ancora più solida se si pensa al peso del fattore umano.
E’ a conoscenza di tutti coloro che abbiano familiarità con un immigrato extra-comunitario che quelli che emigrano sono i migliori ,i più determinati dei loro paesi di origine, che con quella emigrazione perdono pezzi della loro colonna vertebrale.
E’ sensato favorire anche solo culturalmente sui media questo tipo di emigrazione, giudicandola inevitabile, come il susseguirsi ineluttabile delle stagioni?
Forse sarebbe il caso di studiarsi un po’ meglio il fascicolo.
Ma ci rispondono i soloni soprattutto della sinistra buonista al caviale : ma questa è la globalizzazione, è ineluttabile.
Ma quando mai. Si sono governate perfino le invasioni barbariche, figuriamoci se non è possibile governare le emigrazioni.
Prima occorre però elaborarsi una filosofia, una strategia a lungo periodo.
Che almeno si cominci a considerare il problema senza arrestarsi davanti a tabù presunti intoccabili.

Perchè se scoprissimo che il buonismo al caviale trionfante nasconde solo la convenienza di prendersi forza lavoro a basso prezzo e ad alta natalità, che almeno i teorici del buonismo vengano allo scoperto e ce lo dicano apertamente.

giovedì 16 luglio 2015

L’accordo con la Grecia ha lo stesso senso dei “maiali che volano”







Questa  espressione colorita , che corrisponde esattamente al modo di dire italiano  " gli asini che volano” è comparsa  sul blog di  Varufakis a commento  di quel documento.
Ora, è vero che  fra tutti gli attori  comparsi nelle infinite riunioni tecniche e politiche dei vertici comunitari di  questi giorni per lo più inconcludenti , quello che è riuscito a fare più danno per il suo paese è stato proprio il  “ torbido Varufakis”, come lo  descrivono le  rivistine di gossip, ma la sua battuta è ugualmente buona.
Per fortuna che il caso ha  voluto che l’accordo  con la Grecia fosse annullato sui media mondiali dal ben più corposo  accordo sul nucleare iraniano, questo si destinato a passare alla storia come una delle grandi tappe che hanno mutato gli equilibri geopolitici del nostro tempo.
Almeno così  quel carosello di personaggi europei  che brillavano più per la loro  modesta statura, che per le loro idee o capacità politiche, sono stati costretti a fare  i conti con la realtà vera.
Per la quale la questione greca aveva le dimensioni  di  una fornica  e niente più.
Era un affare che gente di  ben altra capacità e visione avrebbe sbrigato da anni con molte meno spese ed oneri per tutti.
Era un affare che non poteva assolutamente portar via tutta l’assurda quantità di tempo cheha assorbito.
Difficile che la passino liscia di fronte alle loro opinioni pubbliche, perché la gente ha sicuramente capito che la tiravano indecentemente in lunga   semplicemente perché non sapevano che pesci pigliare.
E alla fine  non hanno vinto  né loro né la Grecia  né nessun altro, ma ha prevalso il potere geopolitico vero, quello degli Usa, che oltre tutto, impartendo le  indicazioni- ordini, non  hanno affatto  nascosto di essere stati  molto scocciati dal tempo perso in Europa per un  simile affare.
Ora l’accordo c’è, ma non è nulla di risolutivo, né tantomeno è un capolavoro diplomatico.
E’  solo un modo per guadagnare tempo, ma piuttosto che andare a cadere nel burrone del Grexit  per pura insipienza, meglio quell’accordo che niente.
Se vogliamo prendere sul serio Varufakis, non certo come politico, ma come intellettuale e accademico, campi nei quali  presenta credenziali adeguate, la sua battuta “tranchant” sull’accordo è azzeccata.
Perché da un punto di vista tecnico quell’accordo   non sta in piedi, nel  senso che solo con quelle misure la Grecia non ha la minima possibilità di risollevarsi a meno che non  scoprano il petrolio o qualcosa del genere.
Forse a causa della stanchezza e della noia, si è voluto personalizzare la commedia creando personaggi a tinte forti, con risultati che hanno ancora di più falsificato la realtà dei fatti.
Inutile dire che personaggio protagonista principe era la cattivissima Merkel, che perfino un  diffusissimo organo di stampa del  suo paese,la Bild, ha messo in prima pagina in fotomontaggio con l’elmetto ovviamente chiodato di Bismarke e sotto la scritta “cancelliera di ferro”.
Peccato che la Merkel ha fatto visibilmente una pessima figura, perché se all’inizio i commentatori dicevano che lei e Wofang Scheuble , suo ministro delle finanze, ma soprattutto segretario di fatto della ancora potente Democrazia Cristiana tedesca, giocavano a recitare la parte del poliziotto buono la prima e del poliziotto cattivo, il secondo, poi è apparso chiaro a tutti che a comandare non era la cancelliera ma il ministro-segretario ombra.
Stendiamo un velo pietoso  sulla  posizione  del Presidente francese, che nonostante tutti  gli sforzi di  imitare Mitterand nell’inventarsi dei continui bilaterali con la Merkel, per cercare di trasmettere l’immagine di una supposta posizione paritaria con la cancelliera, non riusciva a nascondere il fatto di essere espressione di una socialdemocrazia finita in frantumi e in assoluta  crisi di idee.
Stendiamo un altro pietoso velo su quello che avrebbe dovuto interpretare la parte dell’altro grande fra i paesi mediterranei la Spagna.
Rahoy nessuno l’ha visto o se l’hanno visto e  fotografato, nessuno si è mai accorto della sua presenza, né tantomeno è mai apparsa una sua posizione.
Che dire del nostro Renzi?
Volenteroso, ma ha finito per formalizzare il  ruolo marginale di un paese che oggi non conta assolutamente per quello che è per storia, popolazione e dati economici.
Forse Renzi veniva da giorni bui nei quali si evidenziava la crisi strutturale del suo partito e questo non gli consentiva di meglio che accodarsi alla Germania, come ha fatto.
Certo è che non ha brillato un gran che.
Molto meglio è uscito l’inglese Cameron che per di più non partiva affatto in pol position, impersonando la parte del  più euroscettico dei grandi.
Ma ha avuto la furbizia di riproporsi nella parte più tradizionale giocata dal suo paese in politica estera, quando tira fuori la solita “special relationship” con gli  Usa e di fatto ha fatto il portavoce autorizzato degli interessi americani.
Non tirerò fuori una sola Sterlina, ma voi guardatevi bene dal buttare fuori la Grecia, perché Obama non vuole per ragioni strategiche evidenti e voi che siete membri della Nato, lo sapete bene.
Non è stata affatto una posizione originale ma almeno aveva un capo e una coda.
Con quell’accordo, che verrà verosimilmente ratificato dai parlamenti che devono farlo, tutto si sposta in vanti e sopratutti i soldi ricominciano a viaggiare verso la Grecia.
Ma i problemi sono ancora tutti lì.
Capiranno i Greci, cosa c’era dietro alla cattivissima battuta di Madame Lagarde (FMI) :” adesso che ci mandino qui a negoziare degli adulti”.
Anche questa è stata un’ottima battuta, perché riassume tutta una filosofia.
Il popolo greco non sembra ancora abbastanza informato da prendere adeguata coscienza del fatto che ora tocca a loro riformare alla radice il loro stato per portarlo nella modernità.
Arroccarsi nelle sciocche invocazioni di inesistenti complotti o rifugiarsi nel vittimismo invocando presunti nemici che ce l’avrebbero con loro, non risolverà nessuno dei loro problemi.
E l’Europa?
Va bene che i politici ovunque tendono a fare casta, a non salire sugli autobus, a non andare ad ascoltare la gente vera nei mercati eccetera, ma mi sembra impossibile che non si siano resi conto del fatto  che hanno fatto una pessima figura e che questo pesa molto quando si va a votare.
Ora ci vuole più  Europa politica, lo capiscono  tutti , ma è difficile articolare il discorso.
Occorre più visione, occorre non avere paura di pensare in grande.
Non avranno trasalito questi politici europei quando hanno visto un Obama, che finora non aveva certo brillato più di loro, che letteralmente prendeva il volo all’improvviso mettendo a segno due cambiamenti epocali col ravvicinamento a Cuba e poi addirittura all’Iran?
I media di tutto il mondo ci hanno riferito che risulta dai sondaggi che la gente sia negli Usa, sia nel resto del mondo non è affatto d’accordo sugli accordi per il nucleare iraniano.
Ma Obama, anche contando sul fatto di non dovere più  rispondere a nessuna successiva elezione, ha guardato lontano e ha pensato di rivolgersi alla storia e non alla gente, troppo poco informata per pensare in grande e a lungo periodo.
Rischiare di essere impopolari, ma servire un progetto di lungo respiro.


giovedì 9 luglio 2015

Secondo commento all’enciclica di Papa Francesco sull’ambiente
Bene la trattazione dei temi ambientalisti seguendo il metodo scientifico.
Incoerente invece la riproposizione  di tutta la teoria tradizionale dell’”intelligent design”, come se Darwin e la cosmologia tradizionale potessero stare insieme



Le prime “encicliche sociali erano dirette secondo  l’uso del tempo  “ai Nostri Venerabili Fratelli”, cioè in prima persona ai componenti delle gerarchie  ecclesiastiche più elevate.
Papa Giovanni ha poi rotto la  prassi costituita cominciando a rivolgersi anche “agli uomini di buona volontà” e la  cosa era apparsa come una novità straordinaria.
Papa Francesco su questo piano si è presentato davvero come un uomo moderno che parla  agli altri uomini moderni e lo fa nell’unico  modo possibile  per essere capito e ascoltato, cioè evitando accuratamente di  far discendere dall’alto quello  che vuole  comunicare.
Al punto che arriva a dire in alcuni punti : molti scienziati dicono che…
Questo è proprio il salto che occorreva fare.
Per l’apparato della gerarchia ecclesiastica  adottare come criterio di approccio quello dell’esposizione e dell’esame di una serie di dati scientifici comporta una forzatura della propria forma mentis e della propria cultura.
E infatti le prime encicliche sociali (ma non solo loro) denunciavano chiaramente quanto le gerarchie si trovassero  impacciate e imbarazzate a trattare simili problemi, perché in qualche modo avvertivano che non era possibile trattare di salari sindacati e scioperi usando il solito linguaggio e da un punto di vista metodologico il solito metodo deduttivo, al quale  sempre si rifà la gerarchia ecclesiastica, quando agisce o parla in veste di  “magistero”.
Ricordiamo brevemente come funziona il metodo deduttivo, universalmente usato nelle pronunce di carattere teologico o nel  campo  della morale.
In tutti questi casi i papi si rifanno prima di tutto all’autorità della “Scrittura”, e quindi citano cose dice la Bibbia al tale e talaltro  versetto.
Poi il ricorso alla scrittura viene corroborato dal “costante e conforme” insegnamento della “Tradizione”e qui la via maestra è la citazione del deliberato in materia di uno o più Concili Ecumenici.
Infine è di prammatica attualizzare nel tempo il discorso citando l’insegnamento del “mio” o dei “miei Venerabili Predecessori”.
Solo nei tempi più vicini si fa cenno ai deliberati di Consessi in ausilio all’autorità pontificia come possono essere Sinodi o Conferenze episcopali.
Completato il riferimento alle autorità sopra elencate è di prammatica descrivere il fenomeno nuovo o “moderno” che in genere veniva avvertito come un pericolo deprecabile.
Dopo di che come in un’equazione viene da sé la condanna o la messa in guardia sui quei fatti “moderni” senza risparmiarsi l’accenno alle inevitabili sanzioni a carico di chi non si uniformasse alla “sana dottrina”.
E’ chiaro che l’abituale metodo deduttivo è fondato su questo presupposto ideologico di fondo.
Noi siamo i fortunati depositari dell’unica rivelazione vera e dell’unica scrittura vera che ci hanno rivelato la verità intera e definitiva sul mondo e sulla vita e quindi qualsiasi fatto nuovo la storia ci presenti non ci resta altro che cercarne la soluzione deducendola da quella verità inconfutabile perché basata su una autorità inconfutabile.
Questo metodo collide in modo insanabile col metodo scientifico sul quale si base il mondo moderno e di conseguenza la gerarchia ecclesiastica (si prenda ad esempio tutto il magistero di papa Ratzinger) cerca di salvare capra (tradizione)  e cavoli (modernità) , o usando parole diverse, che dicono la stessa cosa : fede e scienza.
Papa Ratzinger con la sua costante polemica contro il concetto di “relativismo” ha ripetuto fino alla noia uno ed un solo argomento che non aveva inventato lui come teologo, ma che è stato enunciato chiaramente ottocento anni fa dal teologo principe della Chiesa Cattolica, Tommaso d’Acquino proprio e non per caso nella “disputa prima” del primo libro della Summa Teologica.
In poche parole l’argomento è questo : la scienza e la filosofia ci conducono ad apprendere la “conoscenza” delle cose, che come tale è basata su una possibilità di dimostrazione matematica o logica di un certo assunto.
Ma ci sono moltissime cose che vanno oltre la “conoscenza” verificabile dall’osservazione di fenomeni materiali, e sono quelle cose che si collocano negli ambiti della fede, alla quale si perviene per adesione dell’animo e per intuizione a partire dagli insegnamenti della Rivelazione.
Quindi tutto ciò che richiede dimostrazione materiale o logica, e Tommaso intende riferirsi più alla filosofia che alla scienza, deve essere subordinato alla teologia.
E si arriva così alla famosa definizione  “filosofia ancilla theologiae”.
E’ l’antitesi esatta della modernità, delle sue filosofie e del metodo scientifico.
E’ un postulato che ha retto per secoli e che la chiesa non riesce ad abbandonare ed anzi reagisce al modo di ragionare moderno  bollandolo come mondo del “relativismo” contrapposto al mondo delle presunte “certezze assolute”.
Ho  dovuto fare questa lunga digressione perché occorre per forza ricordare questi concetti per capire perché da sempre il “magistero” ecclesiastico fa ricorso al metodo deduttivo.
Si tratta, come abbiamo visto, di un problema di sostanza, non di solo metodo.
Papa Francesco in questa enciclica innova in modo abbastanza drastico, deviando ampliamente dal metodo deduttivo.
Va detto che anche i suoi più diretti predecessori avevano intuito che la materia dei fenomeni sociali costringe all’analisi di situazioni spesso in movimento che sconsigliano prese di posizione drastiche come quelle che invocano la copertura della presunta “infallibilità pontificia”, perché o i fenomeni possono cambiare o l’analisi sulla quale si fonda il giudizio potrebbe essere non corretta, trattandosi di materie complesse.
Papa Francesco però supera molto spesso gli seccati che i suoi predecessori non avevano ritenuto opportuno superare.
Per esempio Paolo VI per primo ha manifestato nelle sue encicliche sociali un aperto e inusuale elogio alle acquisizioni della scienza moderna, ma non era certo arrivato a costruire un enciclica come quella di papa Francesco di fatto basata sul un riassunto delle posizioni più condivise in campo scientifico accademico sull’ambiente e sulle teorie socio- economiche dei pensatori (tutti progressisti) che su di queste hanno lavorato.
Ancora anche Paolo VI per la prima volta aveva manifestato interesse ed apprezzamento per quello che altre religioni e culture possono avere elaborato a favore dell’umanità intiera.
Anche Paolo Vi aveva fatto accenno ai problemi del degrado dell’ambiente a causa di una cattiva gestione da parte dell’attività umana e aveva intuito la necessità di fare riferimento su questi temi alla politica nelle sue forme più alte a cominciare possibilmente da quella elaborata in sede di organizzazioni internazionali.
Ma appunto si era trattato di accenni, se pure illuminati.
Ma papa Francesco entra abbondantemente nei dettagli su questi temi.
E’ la prima volta per esempio che in un enciclica papale si trovano lunghe citazioni di un Patriarca della Chiesa Ortodossa.
Sul rapporto con scienza, la differenza di metodo è ancora più vistosa, perché quest’enciclica, come abbiamo detto sopra è nella sostanza un riassunto puntuale di quello che sull’ambiente si pensa nel mondo scientifico.
E qui siamo alla radicale discontinuità nel metodo, perché fare riferimento alla scienza va benissimo, ma significa avere ben chiaro che questo significa riconoscere di navigare nelle acque inesplorate per la chiesa che la cui navigazione è fondata per definizione sul principio del “relativismo”.
Dove non esiste il concetto di verità, ma solo quello di acquisizione condivisa dal numero più largo di scienziati, sulla base dell’analisi critica delle loro opere scientifiche usando i protocolli riconosciuti come validi in quel mondo, ma sempre soggetta a un futuro possibile superamento.
Per un papa, rifarsi a questo metodo è un po’ un modo di varcare il Rubicone, non si può sottovalutare la portata dell’adozione di un tale metodo.
Siamo in universo radicalmente diverso rispetto a quello della deduzione di tutto da Scrittura, Tradizione e Magistero.
Però c’è un prezzo da pagare.
E’ chiaro che in quest’ottica il papa deve essere consapevole di non potere più pretendere di dispensare verità assolute, e di essere approdato nel campo del “relativismo”  dove non si cercano verità di fede, ma si cerca semplicemente di capire come gira il mondo.
Se un papa si mette in questa prospettiva, è come si accettasse implicitamente di rappresentare “un’agenzia di pensiero” che si mette umilmente a confronto  e insieme alle altre per  fornire risposte di conoscenza all’umanità.
Si tratta quindi di  una posizione ben diversa rispetto a quella  tradizionale che vedeva il papa  per definizione a pontificare sulle verità assolute, che presumeva di avere da dispensare.
Personalmente ritengo che questo atteggiamento  metodologico sia l’unico possibile per garantire la sopravvivenza delle  religioni nel mondo moderno, come più volte si è accennato in questo blog.
All’uomo moderno è improponibile dispensare come presunta verità definitiva la mitologia dell’una  o dell’altra religione che inevitabilmente si  proclama come l’unica detentrice dell’unica vera “rivelazione”, anche perché non si può sfuggire alla  ovvia considerazione, che  questo tipo di atteggiamento è del tutto  incompatibile con pacifica convivenza ed è anzi la base ideologica delle guerre di religione, come insegnano secoli  e secoli di storia.
Tutt’altro che facile però fare evolvere  la cultura religiosa dei fedeli rimasti che sono stati  indottrinati fin da ragazzi in una cultura religiosa di tipo tradizionalista- fondamentalista.
Questa considerazione però rende ancora più apprezzabile  la prospettiva aperta da papa Francesco.
Ancora una volta non posso non ricordare i primi accenti lungimiranti in questa direzione avanzati da Paolo VI , quando ci teneva a presentarsi umilmente come “esperto di umanità” piuttosto che come dispensatore di  verità assolute.
La strada per arrivare a papa Francesco è stata lunga ed è stata costellata di vistosi dietro- font, soprattutto ad opera del pontificato di papa Woytila, sempre prigioniero della cultura teologica decotta sulla quale si era formato.
Papa Francesco nella prima enciclica veramente tutta sua ha scelto di correre il rischio di un essere capito da chi in buona fede trova rassicurante potersi sentire fra i fortunati prescelti dall’unica vera religione.
Certo però che  risulta palesemente inverosimile mantenere quel tipo di posizione nell’attuale mondo globalizzato, quando, a meno di non vivere in un borgo isolato, si incontra gente di tutto il mondo e quindi di tutte le religioni e di tutte le culture, solo mettendo un piede fuori di casa.
Passare da un atteggiamento di ostilità preconcetta verso le altre religioni e culture, per passare a una posizione molto più umile e meno arrogante  che accetti di vedersi su una posizione di pari dignità per  essere di aiuto all’umanità comporta una autentica rivoluzione culturale.
Papa Francesco è stato probabilmente molto scaltro a impostare la sua nuova prospettiva metodologica scegliendo una materia con considerevoli risvolti “tecnici”, come è il discorso sull’ambiente.
In questo modo si trova già in un ambito tipico da “mondo moderno” con tutte le sue caratteristiche.
Sarebbe stato improponibile, dal punto di vista della gerarchia cattolica, usare quella prospettiva parlando di argomenti strettamente teologici e si sarebbe subito impantanato nelle solite diatribe dottrinali che non interessano più nessuno se non i pochi addetti ai lavori.
Ma papa Francesco con molta scaltrezza lancia la nuova prospettiva che sopra si è descritta in uno strumento tipico magisteriale come è un enciclica.
Sembra veramente in esercizio di tipica furbizia “gesuitica” partire da argomenti “tecnici” e “moderni” , ma per farci sopra un discorso prettamente religioso.
Tutto si legherebbe in una argomentazione coerente se il papa si fosse limitato ad enunciare la necessità di tornare a una ispirazione evangelica e basta.
Cioè invitare a ritornare alla prospettiva del messaggio evangelico basilare, che tutti capiscono immediatamente per dare la priorità  all’impegno verso i poveri e gli emarginati, gli “ultimi” nel linguaggio evangelico, questa avrebbe potuto essere  la base teologica -  magisteriale di tutta l’enciclica, coerente con tutto l’impianto di un discorso sull’ambiente condotto quasi con corretto metodo scientifico.
Perché il discorso sull’ambiente e il degrado ambientale non procede fine a sé stesso, ma è tutto impostato per dire che non tutti gli uomini sono  penalizzati da quelle conseguenze, ma che coloro che pagano il prezzo più alto sono proprio i poveri e gli emarginati, non certo i ricchi e i benestanti, che hanno i mezzi per potersi difendere.
Tutto bene quindi se papa Francesco si fosse fermato qui.
Ma non è così, perché non se lo ha fatto seguendo delle sue personali convinzioni e un suo disegno strategico, oppure se è stato costretto ad accettare chissà da quali pressioni esterne, il papa ha ritienuto di inserire quasi a metà  dell’enciclica un corposo paragrafo che è in totale contraddizione col “discorso quasi scientifico” che percorre tutto il resto dell’enciclica.
E’ come se nel bel  mezzo di un discorso estremamente innovativo, avesse fatto inserire un capitolo che riassume perfettamente la dottrina tradizionale sull’universo del suo predecessore Joseph Ratzinger.
Non mi dilungo nell’esposizione di questo capitolo ora, basterà dire che si tratta della riproposizione puntuale della dottrina tradizionalista dell’”intelligent design”.
Tutti abbiamo sentito parlare da decenni delle contrapposizioni radicali che si sono verificate anche con modi eclatanti nelle università sopra tutto anglosassoni.
Da una parte la scienza “ufficiale” rappresentata dalla quasi totalità degli  accademici di queste materie che sostengono l’assoluta inconfutabilità da un punto scientifico della darwiniana “teoria dell’evoluzione” ulteriormente rafforzata dagli studi più recenti, dall’altra tutto il mondo della cultura tradizionalista fondamentalista che la contesta frontalmente invocando una lettura sostanzialmente letterale della Bibbia.
Papa Francesco è vero cerca di evitare di essere assimilato a questo  filone di pensiero affermando esplicitamente che la Bibbia va letta usando la dovuta ermeneutica interpretativa, ma nella sostanza non fa altro che ribadire punto per punto  le affermazioni dell’”intelligent design” che, occorre sottolinearlo, viene considerato del tutto incompatibile ed il contraddizione con la teoria dell’evoluzione darwiniana dalla quasi totalità del mondo accademico della materia.
In altre parole se uno vuole farsi una sua idea sulla cosmologia, non può scegliere di adottare una percentuale di evoluzionismo sommata a una percentuale di “intelligen design” per salvare capra e cavoli, perché si tratta di due teorie che sono una l’antitesi dell’altra.
L’evoluzionismo è una teoria scientifica che esclude in modo categorico di poter ritrovare nello studio delle varie fasi dell’evoluzione un qualunque “disegno finalistico”.
E al contrario ritiene che  sia dimostrato e dimostrabile il fatto che tutto il lunghissimo processo di evoluzione è avvenuto per variazioni assolutamente casuali e senza che sia riscontrabile alcuna direzione finalistica che abbia orientato le variazioni in un senso invece che in un altro.
Punto.
Tutt’altra cosa è l’”intelligent design” che non è  affatto una teoria scientifica contrapposta o contrapponibile all’evoluzione, perché non è basata né può essere basata su alcuna possibilità di dimostrazione.
Questo discorso è’ ritenuto una “ispirazione di fede” ,e come tale è una forma di “wishfull thinking” cioè di voler credere a qualcosa senza avere alcuna possibilità di dimostrarla né di argomentarla almeno da un punto di vista logico.
E’ assolutamente necessario per chi vuole essere cattolico andare a ricercare argomentazioni atte a salvare capra e cavoli?
La maggioranza probabilmente ritiene di sì.
Oltretutto è talmente saldo il peso  delle formulazioni tradizionali che ci sono state a suo tempo impartite e sulle quali siamo stati indottrinati senza troppi scrupoli, che anche uno dei teologi progressisti più noti, come Vito Mancuso, che pure in tutta l’espirazione del suo pensiero ha indicato la necessità di innovare profondamente proprio sulla cosmologia, non è riuscito a non voler tentare tenacemente di trovare argomentazioni a favore di una direzione finalistica della evoluzione.
Quando però anche lui accetta di confrontarsi in dibattiti al dovuto livello con scienziati evoluzionisti, si trova suo malgrado a mal partito, perché regolarmente gli viene rinfacciato quello che del resto sa benissimo e cioè che la scienza moderna non lascia al momento alcuno spiraglio nemmeno minimo per poter intravvedere un disegno finalistico nell’evoluzione.
Sinceramente non capisco perché papa Francesco abbia deciso di inserire nell’enciclica la riproposizione dell’”intelligent design”, come se avesse un senso mettere insieme mele e pere facendo credere che siano tutte mele.
Non è corretto.
Nell’enciclica si citano lodandole le affermazioni della maggior parte degli scienziati in materia di ambiente
E come si è detto si tratta di un fatto nuovo e di un metodo di approccio ai problemi del tutto nuovo per un papa.
Ma proprio per questo non si capisce perché il papa non abbia avvertito la necessità fare un discorso un po più articolato o corretto o semplicemente più comprensibile per chi non sia uno stretto addetto ai lavori.
Se l’enciclica è diretta a tutti allora sarebbe stato necessario esporre un momentino cos’è l’evoluzione secondo la scienza e cos’è l’”intelligent design”  per chi ritiene di adottarlo.
Sarebbe stato necessario e doveroso aggiungere poi onestamente che l’uno collide con l’altro.
Ma nella formulazione dell’enciclica si finge che le due cose possano tranquillamente stare insieme senza creare problemi.
Mi sembra veramente un modo di procedere scorretto e poco produttivo, perché in questo modo tutto il discorso “moderno e scientifico” sull’ambiente finisce per perdere gran parte della sua credibilità.
Il papa con questa formulazione contradditoria e un po’ pasticciata, raccoglierà certo dei generici plausi per avere contribuito a spingere la gente a prendere coscienza dei gravi problemi ambientali, ma niente di più.
Perché  per gli uomini moderni e soprattutto quelli di orientamento progressista, come avevo già  accennato nel  precedente commento generale, le argomentazioni del papa sull’ambiente erano già note e assimilate da decenni.
Se però si trovano a leggere l’esaltazione dell’”intelligent design”, non potrebbero fare a meno di prenderla come una mazzata e probabilmente non troverebbero alcun interesse a proseguire nella lettura.
Capisco benissimo del resto che per un papa, mettere in discussione la dottrina tradizionale della “creazione dal nulla” sarebbe una scelta ben  difficile.
E questa è la ragione per la quale fin dall’inizio del pontificato di papa Francesco ho sempre ritenuto che questo nuovo papa, portatore di idee nuove sarebbe stato tanto più efficace, quanto più si sarebbe astenuto dall’andare ad inguaiarsi in dissertazioni dottrinali.
Il papa avrebbe potuto più correttamente dire : la scienza con la teoria dell’evoluzione ha formulato una visione cosmologica che confligge radicalmente con la nostra dottrina, tradizione, magistero.
Per di più la “filosofia” di fondo della teoria evoluzionista che riferisce come motore di tutto quell’enorme processo a variazioni puramente casuali, ci lascia con la bocca amara e non ci entusiasma per niente, ma purtroppo la scienza, oggi, come oggi non lascia alcuno spiraglio per potere individuare elementi di finalismo.
Nessuno può escludere che in futuro si possano trovare elementi diversi, ma purtroppo il dato scientifico è quello anche se non ci piace.
La Bibbia e la nostra dottrina hanno sempre sostenuto l’idea di una cosmologia fondata su un dio creatore dal  nulla e non di un universo eterno sempre esistito in forme oggi non conosciute prima del “big bang” e che sempre esisterà senza alcun bisogno di ricorrere al concetto di dio.
Ci può essere qualche modo per concepire l’idea di dio in modo diverso e che possa trovare un senso nell’universo della scienza?
Può corrispondere al concetto di dio il linguaggio universale dell’universo sintetizzabile nella matematica?
Può avvicinarsi a una spiegazione il concetto di “deus sive natura” di Baruch Spinosa?
Ed allora cerchiamo veramente nei fatti ausilio alla filosofia ed alla scienza, non solo a parole, che poi vengono contraddette dalla riproposizione della solita dottrina tradizionale, come se questa non fosse in assoluto contrasto con l’una e l’altra.
E via di seguito su questa linea di pensiero.
Oppure il papa poteva semplicemente, lasciare perdere il riferimento all’”intelligent design”, riferirsi solamente al pensiero evangelico di fondo a favore di poveri ed emarginati e invitare all’azione superando egoismi e indifferenza.
Peccato, perché la contraddizione è talmente evidente da rendere quest’enciclica di efficacia davvero dubbia.
Se poi si fa caso alle ricorrenti riproposizioni da parte di papa Francesco della dottrina più tradizionale e tradizionalista in materia di bioetica, viene il dubbio che abbia intenzione di proseguire il suo pontificato andando avanti a dare un colpo al cerchio e un altro alla botte e questo non sarebbe certo una buona idea.
Non resta che sperare di vedere in futuro più atti concreti, meglio se vistosi e simbolici sulla linea di un recupero del puro evangelo e sempre meno riproposizioni dottrinali.


lunedì 6 luglio 2015

La scelta disperata dei Greci di prestar fede a governanti dilettanti che raccontano loro delle favole



Come molti altri sono stato  molto sorpreso dell’ esito del referendum greco.
Mi aspettavo che quei cittadini che da anni vivono in condizioni sempre peggiori, sarebbero stati terrificati dall’ipotesi di cascare nel baratro imprevedibile del fallimento dichiarato e che quindi al referendum avrebbero votato con molta accortezza, pensando almeno al futuro dei loro figli e nipoti.
Hanno fatto invece tutto il contrario e hanno “votato di pancia” facendosi prendere la mano da rancori e prestando fede alle favole  di politici disastrosi.
Ma del resto che possiamo dire noi italiani che per vent’anni abbiamo prestato fede a un anziano finanziere che ci raccontava favole assurde e ridicole, e se ne è andato non perché lo abbiamo cacciato via noi, ma perché quando aveva trascinato il paese alla catastrofe (leggi spread alle stelle) in Europa gli hanno chiuso le porte in faccia e il Presidente della Repubblica ha trovato il modo di salvare il salvabile con un governo “tecnico”.
I Greci sono ancora a un Berlusconi giovane, pimpante, esperto di nulla, e di ultra sinistra.
Auguri.
E’ però una sofferenza.
La Grecia per chi ha fatto un certo percorso di studi, che sono per fortuna una bella fetta di italiani, sono diversi da qualsiasi altro popolo.
Trovarsi di fronte i nipoti di Platone e Aristotele, Omero, Tucidite, Sofocle ecc. è molto diverso che trovarsi con un francese, un tedesco o un inglese.
Con questi c’è il rapporto fra compagni di scuola più o meno discoli.
Con quelli c’è come la reverenza dovuta alle radici più intime della nostra cultura.
Su quei grandi c’è costruito tutto.
Per questo siamo emotivamente coinvolti in modo particolare.
E per questo siamo ancora più sorpresi nel vederli agire in modo così palesemente irrazionale.
Con questo voto  assurdo, purtroppo hanno dato ragione ai “falchi” nordici che da anni dicevano di non aspettarsi niente dai Greci, perché ritenevano di aver capito, che non avessero la minima intenzione di fare le riforme che gli altri partner europei hanno già fatto coi dovuti sacrifici.
Se siamo in un unione fra stati è giocoforza dare per scontato che per farci parte e rimanerci è indispensabile uniformarsi alle stesse linee di bilancio, di pensioni, di liberalizzazioni, di organizzazione del lavoro, perché se così non fosse, il membro inadempiente finirebbe per  sfruttare un indebito vantaggio competitivo e cioè in altre parole vivere parzialmente a spese degli altri.
Questo non può  essere tollerato dagli altri, è ovvio.
Di conseguenza i partner europei hanno da tempo detto ai Greci che sarebbero stati disposti a prestare loro altri soldi (altre alle cifre ingenti già prestate) solo se avessero presentato un piano che elencasse cosa avrebbero riformato per avvicinarsi alle condizioni vigenti negli altri paesi.
Da parte di questo nuovo governo sono venute solo delle favole e la cosa ha fortemente irritato tutti gli altri, che dopo estenuanti e continue riunioni hanno concluso che i due negoziatori Yarufakis alle finanze e Tsipras presidente del consiglio, si fossero comportati in modo da perdere la faccia, e cioè si fossero dimostrati del tutto inaffidabili.
Yarufakis finalmente si è dimesso, ma la cosa non risolve un gran che.
Tsipras avrà dei problemi ad essere ricevuto in Europa, altro che ripresa immediata delle trattative.
Ho trovato al limite del disgusto gli assurdi commenti dei nostri media che plaudivano al formidabile esercizio di democrazia, alla severa lezione che il popolo greco avrebbe dato alla Merkel.
Ma quale esercizio di democrazia.
Una qualunque corte costituzionale appena appena attendibile non avrebbe potuto ammettere un referendum che non riportava nemmeno il testo del documento sul quale c’era da votare.
La gente votava genericamente la fiducia a un governo appena eletto e basta.
Ma l’argomento economico sul quale discutere non era presente e del resto un referendum non è assolutamente lo strumento giusto per dibattere un argomento tecnico complicato.
I Greci quindi sono  andati alle urne senza avere avuto nemmeno le informazioni di base per poter votare con cognizione di causa e quindi han votato “a sentimento” come si dice nel nostro Meridione.
Sorprendente però che con le banche chiuse e nell’impossibilità già in atto di riscuotere le pensioni, di pagare le tasse, di pagare i conti dei fornitori, di pagare le utenze, non avessero realizzato che nel guano c’erano già dentro prima del referendum, figuriamoci dopo.
Ma perché mai Spagna, Portogallo, Irlanda, Italia, che per far quadrare i conti e uniformarsi al resto  d’Europa hanno fatto le dovute riforme, dovrebbero ora tirar fuori ulteriori soldi per i Greci, che quelle riforme hanno detto al referendum che le vogliono rifiutare?
Figuriamoci poi i nordici e i paesi dell’Est, che non ne volevano sentire parlare nemmeno prima.
E la cattivissima cancelliera Angela Merkel?
Chi parla a vanvera sui nostri media, non sa che ulteriori prestiti dovrebbero passare da un voto del Bundenstag, dove anche i socialdemocratici ne hanno avuto abbastanza di Tsipras e compagni?
La Grecia è fuori perché si è messa fuori.
C’è una sola possibilità che venga salvata all’ultimo secondo.
Se succedesse la cosa si verificherebbe mettendo insieme un pateracchio indegno, senza né capo né coda né alcuna giustificazione di carattere economico.
Se succedesse, pur essendo la cosa piuttosto improbabile, nessuno ci verrà a dire le motivazioni vere, ma nel mondo di oggi, tutto circola e quindi sappiamo da tempo anche questo.
Se questo avvenisse sarebbe perché le cancellerie europee sarebbero state convinte dalla super potenza americana a guardare prima di tutto alle ragioni strategiche dell’Occidente, che sconsigliano  di perdere la Grecia, regalandola all’influenza anche militare della Russia di Putin, dopo avere già quasi persa la Turchia.
Questa tesi è stata riportata e descritta con intelligenza da Marta Dassù   di Aspenia, autorevole rivista di politica estera.
E’ verosimile che possa accadere.
Per noi che ci apprestiamo ad essere testimoni del disastro greco, si spera senza eccessivo “contagio” , ci sarà un momento di razionalizzazione o quei disgustosi politici che si sono recati in Grecia a sostenere Tsipras come se fosse stato il salvatore della patria e non il suo affossatore ostentando incosciente
eccitazione, riusciranno a trovare sostenitori entusiasti dell’anti- europeismo?
Possibile che da noi  ci debba essere sempre pieno di politici che prendono per i fondelli la gente contando sulla loro disinformazione e sulla loro scarsa memoria?
Possibile non ricordarsi che quella schiera di minoranza Pd oggi un po dentro (quasi tutti) e un po’ fuori (quattro gatti) accorsa ad Atene a sgolarsi contro la Merkel erano gli stessi bersaniani che hanno  regolarmente votato i provvedimenti più “austeri” del governo Monti, compreso l’indegno e imperdonabile “pareggio di bilancio in Costituzione” , che impedirà a qualsiasi governo presente o futuro di fare politiche veramente espansive.