mercoledì 28 settembre 2011

Il mite Card Bagnasco ha tirato fuori degli artigli che hanno lasciato il segno

Peccato che le encicliche papali e i documenti della Cei non li leggano per studiarli nemmeno i preti.
Peccato, perché “la prolusione” di Bagnasco al Consiglio Permanente della Cei del 26 settembre scorso è un documento di ottimo livello,cha va parecchio oltre la chiusura dei conti con quello che giornali scanzonati hanno chiamato “il santo puttaniere”, proprio a causa del contrasto che è sempre stato insanabile fra il così detto “stile di vita” del premier italiano la morale cristiana e la dottrina sociale della chiesa.
Berlusconismo e dottrina sociale della chiesa sono sempre stati incompatibili , anche se la gerarchia ecclesiastica si è svegliata solo quando si è trovata sotto diretto attacco dei media berlusconiani col caso Boffo due anni fa.
Prima, nel lungo periodo nel quale la Cei era guidata da Ruini, non vedeva e non sentiva, in cambio di moltissimo : esenzioni ,finanziamenti ,leggi sulla bioetica con l’imprimatur vaticano.
L’intesa tacita era evidente : io pago e voi non vedete e non sentite nulla.
Era un patto stridentemente in contrasto coi dettami evangelici inequivocabili in materia, per citare solo un punto nella storia di Giovanni il Battista, ma allora la gerarchia ha ritenuto sbagliando di grosso di anteporre la ragione di stato ai vangeli.
Poi ha reagito con imbarazzo e con molti tentennamenti, ma sulla spinta della reazione indignata di una parte sempre crescente del popolo cristiano ha preso posizione sempre più chiaramente.
Il documento del quale stiamo parlando però non è rimarchevole solo perché pone fine agli equivoci perfino con durezza inusitata, ma perché inserisce tale posizione in un contesto di analisi molto più vasto e profondo.
Questo documento fa capire che se la chiesa italiana aveva fatto anche lei “la marachella” di appoggiare persone e idee indegne della sua dignità morale e culturale, i lunghi anni del berlusconismo si stanno concludendo con la condanna per quella classe politica incapace e corrotta, ma nello stesso tempo mostrano che mentre la gerarchia dormiva, alla base si pensava e si lavorava.
Ora quel lavoro si manifesta in mille modi , non coordinati è vero, ma c’è chiaramente un mondo cattolico che ha una gran voglia di far vedere a questa società depressa, stanca, delusa, rassegnata, che è possibile usciere dalla volgarità insopportabile di questa politica e che c’è già oggi una rete diffusa che va solo coordinata.
Intendiamoci bene, coordinata da sé stessa, come si conviene fra cristiani adulti e non dall’alto, da parte di una gerarchia, che si sveglia solo adesso da un sonno non molto onorevole e che prioritariamente avrà altro da fare.
Che il capo dei vescovi italiani riconosca nella sostanza tutto questo è un’ ottimo punto di partenza.
Leggendolo attentamente si rileva che non si può mettere insieme un documento di tale portata e oserei dire di tale apertura d’idee dall’oggi al domani.
Dietro all’aspetto pio e molto prudente tipico di Bagnasco, ci deve essere stato necessariamente un lungo periodo di riflessione personale del Cardinale, e una non trascurabile equipe di collaboratori di buon livello, data la qualità del documento, la scelta delle analisi ,si direbbe, sociologiche aggiornate e puntuali e l’apertura mentale sia sulle analisi sia sulle proposte.
Per chi come chi scrive conosce il mondo cattolico per lunga frequentazione, lo stesso linguaggio del documento è il sintomo che le cose stanno finalmente per uscire da una lunga stagnazione.
I complimenti, le frasi di rito, sono ridotti al minimo e si va quasi sempre direttamente alla sostanza delle cose. La vecchia pessima abitudine di dare un colpo al cerchio e l’altra alla botte per non scontentare nessuno in materia politica sociale, qui quasi è del tutto scomparsa, salvo nella frase di ben poca efficacia “né indignati né rassegnati”, come se indignarsi fosse sconveniente, ma si tratta veramente di un peccato veniale in un contesto tutt’altro che equivoco.
L’analisi della situazione presente è impietosa : senso di insicurezza; attonito sbigottimento; crisi economica e sociale; oscuramento della speranza collettiva; amarezza; risentimento; cinismo; rassegnazione; affievolimento della fede; venir meno di una autentica sensibilità per il bene comune.
Dell’intero documento i punti “ad Berlusconem” sono solo l’8° e il 9° su un totale di 13.
Però tolgono la pelle all’interessato.
Il personaggio non è nominato direttamente ma non ce n’era bisogno.
Solo un’idiota non capirebbe i riferimenti ed infatti ci sono stati rappresentanti del parlamento e della maggioranza che hanno fatto finta di non capire. Scelte loro, poveretti.
“Nessun equivoco può qui annidarsi. La responsabilità morale ha una gerarchia interna che si evidenzia da sé a prescindere dalle strumentalizzazioni….I comportamenti licenziosi e le relazioni improprie sono in sé stessi negativi e producono un danno sociale a prescindere dalla loro notorietà. Ammorbano l’aria e appesantiscono il cammino comune…….E’ nota la situazione di mancanza di lavoro…..non si può rispetto a queste dinamiche assecondare scelte dissipatorie e banalizzanti. La collettività guarda con sgomento agli attori della scena pubblica e l’immagine del paese all’estero ne viene pericolosamente fiaccata…..Quando le congiunture si rivelano oggettivamente gravi…… ognuno è chiamato a comportamenti responsabili e nobili”…La questione morale quando intacca la politica ha innegabili incidenze culturali ed educative. Contribuisce di fatto a propagare la cultura di un’esistenza facile e gaudente, quando questa dovrebbe lasciare il passo alla cultura della serietà e del sacrificio, fondamentale per imparare a prendere la vita con responsabilità…Si tratta non solo di fare in maniera diversa, ma di pensare diversamente : c’è da purificare l’aria”.
C’è perfino una riga con la richiesta esplicita di togliere il disturbo, se pure posta in modo altamente elegante, degna di un cardinale di santa romana chiesa, quando cerca di essere all’altezza del ruolo.
Nessun commento quindi a parole così chiare, dette così bene e quindi adeguate per risollevare la dignità della gerarchia ecclesiastica italiana, ferita e indebolita da troppi anni di appoggio ad un berlusconismo che è sempre stato indegno della sua fiducia.
Vale la pena di citare invece alcuni passi diretti non direttamente al premier, ma alla politica che il premier ha espresso, spesso anche con la sciagurata cooperazione di una opposizione inetta, inefficace e spesso partecipe della corruzione.
Questo, chiarisco, lo dici io non il cardinale, che però qualcosa sull’opposizione avrebbe anche potuto dire, dato che qualche graffio se lo sarebbero ben meritato anche loro.
“rispettare i cittadini e non umiliare i poveri….richiamare il principio prevalente dell’equità.. con rigore senza sconti rendendo meno insopportabili aggiustamenti più austeri…impegno a combattere la corruzione , piovra inesausta …l’improprio sfruttamento della funzione pubblica è grave per le scelte a cascata che determina….Non si capisce quale legittimazione possano avere ….i comitati d’affari, che, non previsti dall’ordinamento si auto impongono attraverso il reticolo clientelare andando a intasare la vita pubblica con remunerazioni tutt’altro che popolari….il loro maggior costo nell’intermediazione appaltistica , nei suggerimenti interessati di nomine e promozioni”.
“Altro fronte vitale …è l’impegno di contrasto dell’evasione fiscale. Difficile sottrarsi all’impressione che non tutto sia stato finora messo in campo per rimuovere questo cancro sociale….i grottesco sistema delle società di comodo….indecoroso e insostenibile”.
Sembra di sognare : la conferenza episcopale si è accorta del sottobosco degli appalti truccati e dei posti nelle pubbliche amministrazioni ricoperti non dai meritevoli ma dai clienti dei politici, degli evasori fiscali che evadono con le società di comodo”.
Questo è il vero affondo al cuore del berlusconismo.
Questo è quello che farà cadere il berlusconismo non la sola condanna della vita privata del santo puttaniere.
Questa è veramente la fuoruscita da una tolleranza durata anche troppo, ma che ora è stata perfino “tecnicamente” denunciata.
Poi c’è la parte propositiva non meno importante.
“occorre reagire, …bisogna che gli onesti si sentano stimati…...bisogna uscire da un paratissimo esistenziale,….occorre un obiettivo credibile per cui valga la pena di impegnarsi per portare l’Italia fuori dal guado”….la chiesa ha intensificato la propria presenza capillare a cerniera fra il territorio e i bisogni della gente…..Un nucleo significativo di credenti …(che vorrebbe) rende più operante la propria fede….sta lievitando una partecipazione che si farebbe fatica a non registrare…..c’è un patrimonio di cultura, fatto di rappresentanza sociale e di processi di maturazione comunitaria….questo giacimento valoriale ed esistenziale rappresenta la bussola….un vivaio di sensibilità , dedizione e intelligenza….sembra rapidamente stagliarsi all’orizzonte la possibilità di un soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica, coniugando etica sociale ed etica della vita…..nella linea culturale del realismo cristiano, secondo quegli orientamenti culturali di innovazione, moderazione e sobrietà”.
E’ quasi un manifesto per il futuro. I cattolici escano dalle cloache esistenti , si mettano in proprio se ne sono capaci o almeno facciano riferimento a un qualcosa che visibilmente si ricolleghi ad una tradizione storica ,che è stata infangata dal berlusconismo e dal post comunismo.
Bagnasco non poteva dire di più.
Svegliatasi la gerarchia e con idee abbastanza chiare , aperte e adeguate ai tempi, guai se ora i cattolici non approfittassero di tanta apertura di idee e non sapessero concretizzare il disegno delineato idealmente in questo discorso.

lunedì 26 settembre 2011

Vorrebbe fare l’ intellettuale liberale, ma non è nella posizione per farlo.

La visita del papa nella sua Germania è culminata nel discorso alle camere riunite del 22 settembre scorso.
Occorre precisare subito che la Germania non è l’Italia.
E questo lo sappiamo bene quando si parla di economia o di sistema paese.
Probabilmente però la maggior parte degli italiani ignorano forse del tutto che il cattolicesimo tedesco in molte manifestazioni di sé appare solo un lontano parente del cattolicesimo che conosciamo in Italia.
Un numero più che cospicuo di teologi di professione contestano sistematicamente le posizioni del Vaticano e a nessuno viene in mente di scomunicarli.
La Conferenza episcopale tedesca ha preso posizioni anche in materie in Italia “non negoziabili” a favore di leggi tutt ’altro che in linea con la posizione del Vaticano.
Il favore per questo papa in Germania è diretto al fatto che è tedesco, ma non alle sue posizioni dottrinarie.
Ma torniamo al discorso al Bundestag..
Discorso di ottimo livello intellettuale che nel parlamento italico del bunga bunga pochi sarebbero stati in grado di capire.
Discorso piacevole per chi ha interessi intellettuali e una preparazione giuridica di base.
Il tema non era tanto una predicuccia sulla responsabilità dei politici che non devono pensare a se stessi ma a rendere giustizia al popolo, come hanno semplificato molti titoli di giornali.
Il tema era una compiuta dissertazione di filosofia del diritto, cioè sui fondamenti del diritto.
Su cosa si basa l’autorità del diritto si è chiesto il papa.
1- Sul mero esercizio di un potere totalitario come avevano fatto i nazisti?
2- Sulla autorità di una legge rivelata?
3- Sul così detto “diritto naturale”?
4- Sulla pura ragione ?
5- Su un patto sociale basato sul consenso in certo posto e in una certa epoca?
Sono certissimo che se questo discorso fosse stato fatto al parlamento italiano pressoché la totalità dei nostri cattoliconi di destra e di sinistra più gli atei devoti avrebbero risposto in coro :
la risposta giusta è quella numero 2.
Sbagliato! Ha detto il papa, da intellettuale sottile qual è.
Ed ha precisato con un argomento che sarebbe brillantissimo se fosse storicamente sostenibile : il cattolicesimo è l’unica grande religione che non ha imposto una legge rivelata come base della legge civile, ma rimandato “alla natura ed alla ragione come fonti del diritto”.
Bellissimo se fosse vero, ma non è così. Il cristianesimo ha sostenuto il potere da Costantino in poi e ha cercato di mitigarlo appellandosi alle virtù della carità e della misericordia, anche per non contraddire totalmente il messaggio sociale del suo fondatore, che i potenti non li ha mai frequentati e dei quali aveva tutt’ altro che una buona opinione, come sanno tutti.
Secondo Ratzinger i teologi cattolici si sarebbero associati ai filosofi stoici e ai maestri del diritto romano fondando la cultura giuridica occidentale in una armonia fra diritto naturale e ragione fino ad arrivare all’illuminismo ed alla dichiarazione dei diritti dell’uomo.
Ancora bellissimo se fosse storicamente sostenibile, ma non è così.
Le dichiarazioni dei diritti umani sono frutto diretto dell’illuminismo tanto che la chiesa in realtà non li ha del tutto accettati nemmeno oggi per la semplice ragione che non ne condivide le radici filosofiche.
E infatti l’equivoco di queste belle affermazioni se fossero vere, cade nella seconda parte del discorso, quella propositiva.
Qui il papa con una onestà intellettuale e una sincerità sorprendente, ma veramente apprezzabile per una persona che da decenni vive prigioniero delle fumisterie e dei retro pensieri propri della curia vaticana, dichiara apertamente che la teoria del “diritto naturale” da sempre sostenuto dalla chiesa non trova da cinquant’anni il sostegno più di nessuno.
Per evitare che qualcuno non capisca non nomina “il diritto positivo” come fonte del diritto,oggi universalmente riconosciuta (corrispondente alla domanda numero 5) , ma con una sottigliezza intellettuale tutta particolare la riferisce alla filosofia positivista, per metterla un pochettino in cattiva luce, come fosse qualcosa di datato.
Ma questa è l’unico trucco da intellettuale di mestiere, che viene introdotto e glielo possiamo concedere.
Il discorso continua con questa singolare confessione di estrema minorità della dottrina cattolica tradizionale del diritto naturale e si chiarisce ancora di più citando il teorico di questa medesima teoria, come dicevamo, oggi riportata nelle prime pagine di qualsiasi manuale universitario di diritto, Hans Kelsen.
Definisce quindi correttamente la concezione della natura, come intesa oggi, fondata sul suo aspetto puramente funzionale , così come la riconoscono le scienze naturali. E intesa così, “non si può creare alcun ponte verso l’ethos e il diritto…..”la stessa cosa però vale anche per la ragione in una visione positivista, che da molti è considerata come l’unica visione scientifica”.
Dove vige questo modo di pensare le fonti classiche dell’ethos sono messe fuori gioco secondo il papa, ed è corretto.
Fatta la confessione con rimarchevole sincerità il papa descrive questa situazione come “drammatica”.
E qui dopo aver riconosciuto che la dottrina tradizionale della chiesa del diritto naturale non ha oggi alcun credito negli ambienti accademici e fra gli operatori del diritto, delude tutti riproponendo pari pari la solita minestra che solo sue righe sopra aveva detto che oggi non è più appetibile da nessuno.
La cultura positivista m minaccerebbe addirittura l’umanità, perché si ritiene come la sola cultura sufficiente , relegando le altre come sottoculture.
Non è in grado di percepire qualsiasi cosa che non sia funzionale, e qui il linguaggio non è particolarmente chiaro.
Però dove vuole andare a parare il discorso è del tutto prevedibile. Occorre riconoscere il fondamento del diritto in dio creatore.
L’uomo non crea sé stesso, non è una libertà creatrice. E’ spirito volontà e natura.
E va bene però qui ormai è chiaro che per natrura si intende natura creata da un creatore come recita il Genesi.
Hai! Qui non ci siamo. Il papa come chiunque può pensarla come vuole, ma non può dire a pagina 1 che il cristianesimo è l’unica grande religione che non fonda il diritto sulla sua rivelazione e poi alla conclusione dire esattamente il contrario.
A che serve essere perfettamente sincero nella descrizione del problema e poi non fare assolutamente nulla per risolverlo? E’ un atteggiamento del tutto irrazionale e controproducente.
E’ come darsi la zappa sui piedi.
Poi la conclusione ultima è ancora più pasticciata.
“Sulla base dell’idea di un dio creatore sono state sviluppare l’idea dei diritti umani e dell’uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge”.
Qui ci siamo ancora meno dal momento che è noto a tutti che gli illuministi erano credenti ma non nella creazione.
“La cultura dell’Europa è nata dall’incontro fra Gerusalemme, Atene e Roma”.
Qui andiamo forse un po’ meglio nel senso che si riconoscono le radici culturali dell’Europa molto più ampie di quelle cristiane.
Ripeto apprezzabile la sincerità della diagnosi, ma dall’insieme del discorso appare che la piccola furbizia di parlare di filosofia positivista invece che parlare di acquisizioni della scienza moderna come sarebbe stato più corretto, risponde a un nervo da secoli scoperto della chiesa che non riesce a fari i conti né con l’illuminismo, nè con la modernità, né con la scienza.
Quella darwiniana dell’evoluzione è una acquisizione scientifica,non è una teoria filosofica e secondo i principi dell’evoluzione l’idea di un dio creatore non è più proponibile,non è più proponibile l’idea del disegno intelligente perché addirittura non è più proponibile l’idea di un disegno cioè di una finalità.
Il papa queste cose le sa benissimo ed allora perché ha scelto di andarci a sbattere la testa contro?
Perché suo malgrado è soprattutto un intellettuale con un prioritario interesse per la ricerca e il confronto dialettico.
Ma allora chi gliel’ha fatto fare di andare a farsi imbalsamare in curia prima e nel papato dopo?
In quella posizione non può fare l’intellettuale.
O fa il rinnovatore profetico, ma questo non sembra proprio corrispondere al suo temperamento o deve governare l’esistente, che è in crisi nera.
Da questo discorso si ricava per l’ennesima volta che è l’uomo sbagliato nel posto sbagliato.
La scienza ha avuto enorme sviluppo. Il pensiero critico anche.
Alcune acquisizioni scientifiche come l’evoluzione darwiniana sono in contrasto totale con alcuni dei dogmi cattolici che erano ritenuti dei pilastri intoccabili.
A cominciare dall’idea di un dio creatore con un disegno finalistico.
Ora, queste acquisizioni confermate da una tale massa di elementi da essere ritenute pacifiche dalla comunità scientifica pongono problemi filosofici grandissimi giacché delineano una posizione dell’uomo nell’universo molto diversa da quella che per secoli era condivisa.
Non è simpatico sentirsi dire che nell’universo contiamo quasi nulla che il mondo non è affatto stato fatto per noi, che siamo nati se non per caso per un evento improbabile, che quindi veniamo dal nulla e che al nulla ritorneremo.
Però questi sono dati empirici ed ai dati empirici a nulla giova contrapporre miti religiosi.
Fare finta di nulla è sciocco e controproducente .
Con questi che non sono ideologie o teorie filosofiche, ma sono dati scientificamente confermati, occorre fare i conti. Studiarseli e ragionarci sopra.
Per la chiesa occorre quanto meno rassegnarsi a depennare dalla sua sulla teologica i dogmi che non stanno più in piedi e trovare una base almeno logicamente ed argomentativamente convincente per gli altri.
Ritardare questo processo serve solo a vuotare ulteriormente le chiese.

martedì 20 settembre 2011

Il fallito

La cosa è più penosa per chi è più anziano e si ritrova a constatare che nella sua vita è la seconda volta che aveva dato fiducia a un “uomo della provvidenza”, che alla prova dei fatti ha fallito miseramente.
Dagli altari alla polvere, chi fa politica sa che deve mettere in conto anche questa eventualità, che non è poi così rara.
Ho davanti agli occhi le immagini di “Silvio for ever” il documentario autobiografico messo in onda da la 7 dieci giorni fa.
Il giovane imprenditore di successo impomatato a suo completo agio davanti alle telecamere a proporsi nel ’94 come il grande modernizzatore di un paese ingessato da una politica della “prima repubblica” troppo mediocre.
La sorte gli ha riservato da vivo la pena dantesca del contrappasso ora che si è ritrovato a gestire, senza esserne capace, il governo e la maggioranza più mediocri che l’Italia abbia mai avuto.
La constatazione di un fallimento è una grande tristezza.
Il fallito fa pena, prima che rabbia.
Questo purtroppo per lui e per noi è un fallimento da manuale.

Come rappresentante dell’Italia nei consessi internazionali
Citiamo due esempi.
L’ emergente e pimpante successore dei “Sultani della sublime porta” , come venivano chiamati i capi dell’impero ottomano, il turco Erdogan che dichiara pubblicamente che mai incontrerà un leader moralmente impresentabile come quello italiano.
Il serioso settimanale della intelligenzia tedesca der Spiegel che tenta una divertentissima traduzione nella lingua di Goete , dell’ultimo parto del carattere “gioioso ma elegante” del nostro presidente, che avrebbe qualificato la Kanzlerin come “culona”.
Traduzione divertente se non avesse conseguenze potenzialmente disastrose per il nostro paese.
Il premier naturalmente non avrebbe pensato, come avrebbe dovuto se fosse responsabile del suo ruolo che lui o il suo successore dovrà recarsi dalla medesima Kanzlerin col cappello in mano a supplicare di acquistare i nostri BTP per evitare il fallimento finanziario del nostro paese.
Ma certo per chi ha avuto lo stomaco di baciare la mano a Gheddafi non sarebbe un problema.
Sarebbe invece un grave problema per la sua interlocutrice, molto meno “gioiosa” e invece ben conscia della responsabilità del suo ruolo.

Come leader politico di una coalizione di governo.
Si ritrova a governare con una maggioranza che un tempo sarebbe stata definita “bulgara” , nel senso che numericamente è addirittura strabordante, peccato però che sia formata anche da gentiluomini che dichiarano che quandanche sapessero per certo che il premier avesse stuprato una minorenne, non vedrebbero alcuna ragione per metterlo in minoranza segandosi così la poltrona sulla quale sono indegnamente seduti.
Le vicende della così detta manovra finanziaria hanno fatto ridere il mondo, ma c’è poco da ridere.
Il guaio della situazione è che per definizione il conto del fallimento non lo paga il fallito, ma i suoi creditori, cioè noi.
L’amministratore delegato di Intesasanpaolo, la maggiore banca italiana, e quindi uno degli uomini più qualificati nel campo ha dichiarato l’altro ieri sempre a la 7 che non si può escludere l’ipotesi di un fallimento finanziario del paese.
Peccato che fino a ieri il premier e il suo degno ministro dell’economia ci hanno ripetuto quotidianamente che tutto andava bene, e che l’Italia aveva superato la crisi meglio di qualunque altro paese, per di più ostentando un fastidiosissimo sorriso ebete stampato sul viso.

Come capitano d’industria.
I gruppi industriali che fanno capo al premier hanno registrato nell’ultimo anno una perdita di quotazione dell’ ordine del 60% per cento.
La Mondadori fino a ieri lodata per essere riuscita a tenere fuori dalla porta la politica, ha cambiato rotta facendo fuori uno dei più importanti dirigenti editoriali, persona notissima e di fiducia degli autori a favore di un raccomandato pare dell’ex ministro dei beni culturali.
E’ la fine di un mito.
Ma è proprio il “core business” dell’impero mediatico ad essere in crisi.
La televisione generalista in prospettiva è finita, non ha futuro e quindi gli investimenti andrebbero spostati sulla tv “on demand”, ma non sembra che il gruppo abbia pronta qualche iniziativa tecnologicamente innovativa.

Come capo famiglia.
Chi arriva al secondo divorzio, la si giri come si vuole, è uno che deve riconoscersi al secondo fallimento.
Per di più le famose parole di congedo della Signora Lario hanno sorpreso tutti per la profondità e la sobrietà dell’analisi sulla situazione dell’ex marito.
La dissoluzione di una famiglia è uno dei fatti più dolorosi e chi ha fallito fa ancora più pena perché nel caso specifico è molto probabile che l’ammontare del suo patrimonio gli peserà come un fardello invece di essergli di aiuto.
Alcuni osservatori hanno già pronosticato che verrà azzannato da eredi famelici.

Una grande pena e un grande conto da pagare.
Tutto sommato questo uomo schiacciato dal peso di un pesante fallimento, lo ripeto, fa più pena che rabbia.
Rimane l’immagine di un ricchissimo poveraccio, inseguito da una schiera abnorme di rapaci donnine di facili costumi, di altrettanto rapaci cortigiani politici che gli sono stati amici a libro paga e se questa è l’amicizia…
E infatti l‘uomo pare non abbia amici in senso proprio.
Povero lui, se non dovessimo subito aggiungere poveri noi, perché siamo noi che dovremo pagare il conto salato della bancarotta morale e finanziaria della sua stagione politica.
E siamo onesti, siano onesti quelli che in questi quasi vent’anni hanno fatto finta di non vedere e di non sentire la puzza di oscena volgarità che emanava da questo nuovo che non era nuovo affatto.
Gli eminentissimi in abito porpora e i meno eminenti in veste nera che hanno scambiato il loro appoggio in cambio di esenzioni e finanziamenti non pensino di non dover pagare dazio in termini di caduta di immagine, di prestigio e di credibilità per loro personalmente e per la istituzione che rappresentano.
I politici amici a libro paga che non hanno avuto il coraggio civile e personale di rischiare facendo un passo avanti, facendone fare uno indietro al loro sempre più impresentabile capo, non pensino di poter continuare a galleggiare dopo che il fallito se ne sarà andato.
I semplici cittadini che hanno avuto fiducia nell’uomo della provvidenza non pensino di non dovere fare i conti con il buon senso che morderà il loro animo chiedendo loro perché non avevano fatto lo sforzo di informarsi con fonti attendibili su una realtà che si sono sforzati di non vedere per anni.
E tutti quanti rassegniamoci , la ricreazione è finita, ci hanno raccontato la più gigantesca delle balle, cioè che non avrebbero mai messo le mani nelle nostre tasche.
Ora non faremo altro che dover pagare di tasca nostra profumatamente per aver fatto l’errore di aver messo al potere della gente più mediocre dei mediocri della prima repubblica.
La prossima volta cerchiamo di fare meglio, almeno informandoci meglio.

venerdì 9 settembre 2011

Silvio for ever trasmesso sulla 7

Ieri sera la 7 ha trasmesso il film prodotto su testo dei ben noti giornalisti del Corriere ,autori del libro di successo sulla “casta” dei politici , Stella e Rizzo.
Si trattava più di un documentario, costruito con materiale originario, che di un film come “il caimano” ad esempio e questo ha dato agli autori un notevole vantaggio, perché non potendo nessuno contestare la veridicità di materiale originale (video o registrazioni), il film riesce digeribile sia ai bersusconiani che si esaltano, come agli anti-berlusconiani che si schifano.
L’assemblaggio, fatto per mettere insieme una biografia veritiera del personaggio,sembra nettamente riuscito.
La prima inpressione che si ricava è la distanza scioccante fra il volto terreo del Berlusconi di oggi, che assomiglia sempre di più al Mussolini del Gran Sasso e di Salò, e il Berlusconi giovane e rampantissimo degli inizi.
La seconda impressione è che dal materiale video sul quale è basata la biografia, esce in modo prepotente la maschera seduttrice dell’uomo, che recita sempre è vero, ma è chiaro che nel personaggio non c’è e forse non c’è mai stata alcuna distinzione fra l’uomo e l’attore.
Berlusconi non ha bisogno di mettersi in posa, è così, è un attore nato.
Quel che quasi sconvolge è che questi tratti del suo carattere, oggi ormai noti a tutti, li aveva netti anche quando era un ragazzino : venditore - seduttore irresistibile che nulla faceva se non per portare alle sue tasche qualche lira.
Uomo determinato e baciato dal successo, ma con una autostima che è sempre stata talmente ipertrofica da rasentare il ridicolo.
E’ stata la molla che lo ha portato dove è arrivato, ma era ed è anche il suo limite, che lo fa così spesso straparlare e gli far ritenere di potersi sistematicamente permettere di dire e contraddire nel giro di un minuto.
Dal film é uscita chiarissima la dimensione fondamentale della sua personalità, che tanti commentatori hanno individuato nella sua identificazione con la così detta “pancia” degli italiani.
Il personaggio,dai filmati che si sono visti è sempre stato convinto di questo assioma : se io sono l’arci-italiano, è chiaro che sono simpatico ai più, che quindi mi amano e mi seguono perché non possono fare diversamente, dato che io sono loro.
Io debordo, io aggiro, io mi tolgo tutti i capricci, io mi faccio beffe di regole e quant’altro perché mi diverto a farlo, faccio un sacco di soldi e loro sognano di essere me.
I sudditi hanno trovato il loro imperatore.
Punto, il cerchio è chiuso.
Il guaio, l’enorme guaio è che l’equazione di cui sopra è verosimile e addirittura veritiera.
Il problema ovviamente è che questo tipo di adesione e di scelta di una classe politica per sentimento, per emozione e non per ragione era quello in vigore ai tempi dell’assolutismo.
Oggi è una terribile anomalia, è un non senso, è qualcosa che scuote la democrazia alla radice, perché si muove nelle forme delle istituzioni democratiche senza alcun vulnus, ma è cultura politica estranea e contraria alla democrazia moderna.
La democrazia, la modernità, non è questione di votare o non votare, se non in parte.
E’ soprattutto questione di capire quello che si fa come cittadini responsabili per partecipare, per dare costantemente il proprio contributo per fare si che la cosa pubblica sia gestita sulla base di scelte razionali efficaci e per controllare l’operato dei propri rappresentanti.
Il capo che con le elezioni diventa unto del signore non ha senso nel mondo moderno.
Il commento al film, è stato un dibattito moderato con molta professionalità da Enrico Mentana ed affidato a Giuliano Ferrara, Eugenio Scalfari e Paolo Mieli e quindi di ottimo livello.
Quello che ha scosso profondamente penso non solo me, ma penso la gran parte degli spettatori è che mentre Mieli teneva il punto commentando con il suo ormai consolidato ruolo di terzista anti-berlusconiano razionale e Scalfari ripeteva la sua condanna radicale al berlusconismo, Ferrara non riusciva a prodursi nemmeno in un tentativo di analisi storica, ma recitava convintissimo e senza turbamento alcuno nel suo ruolo di cortigiano convinto.
Berlusconi passerebbe alla storia come colui che, continuando l’eredità di Craxi, avrebbe saputo dare uno scossone a un paese ingessato, rimettendolo in moto.
Prove, esempi, naturalmente nulla.
Le sue pagliacciate e la malattia di sesso che lo hanno reso ormai impresentabile e fonte di imbarazzo in qualsiasi consesso nazionale o internazionale sarebbero niente altro che la manifestazione del lato “gioioso” del suo carattere.
Il personaggio Berlusconi probabilmente non può più separarsi dalla maschera che ha recitato fino a qui e non cambierà mai.
Questo renderà la sua uscita di scena sempre più penosa e gravosa per il prestigio del paese.
Non è piacevole, ma realisticamente sembra che lo si debba dare per scontato.
Spaventa però che il berlusconismo si sia tanto radicato da convincere tanti suoi ciambellieri e cortigiani come Ferrara che sostenere le tesi citate sopra, sarebbe cosa ovvia che tutti capiscono e non invece vuota adulazione ormai fuori tempo e per niente utile al capo.
E qui veniamo al nocciolo, tutto questo succede perché per i Ferrara, Berlusconi non è il capo, il duce.
E’ l’idolo, il totalmente diverso , il più che umano, che è insostituibile come capo politico, proprio perché avrebbe queste caratteristiche ultra.
Nemmeno il fascismo era riuscito a instillare simili vaneggiamenti, nella testa della gente, né tanto meno dei gerarchi ed è spiacevole, che sia così, ma occorre dirlo.
Mussolini era più sobrio e non faceva troppo ridere, né aveva mai tenuto a farlo.

martedì 6 settembre 2011

Martinazzoli ultimo e sofferto segretario DC

Alla notizia della scomparsa di Martinazzoli non sono riuscito a trattenere la solita considerazione, pedestre fin che si vuole : ecco per l’ennesima volta le cieche Parche si prendono i più specchiati galantuomini e lasciano i mariuoli a fare danni su poltrone dove non avrebbero mai dovuto sedersi.
La storia personale di Martinazzoli è in fatti quella che in matematica si definisce una grandezza incommensurabile rispetto alla caratura dei politici del teatrino politico attuale.
Il livello intellettuale molto al di sopra della norma come sempre non gli è giovato più di tanto.
Anche in quegli anni la gente ammirava le intelligenze così brillanti, ma sentendosi irrimediabilmente lontana non aveva troppo simpatia per quel tipo di uomini.
Per una casuale ma interessante combinazione della storia Martinazzoli mi è sempre sembrato la versione laica del suo conterraneo Giovanni Battista Montini.
Stessa profondità intellettuale, stesso rigore nel proprio stile di vita, stessa consapevolezza della complessità dei problemi della vita e quindi quell’atteggiamento eternamente problematico, sempre diretto al maggior approfondimento possibile di ogni aspetto.
Questo rigore nell’analisi ha fatto ritenere Montini spesso una personalità incontestabilmente grande ma non certo un decisionista.
Martinazzoli soffriva della stessa malattia. Troppo colto, troppo profondo per dare giudizi immediati e netti.
Ho avuto la ventura di incontrarlo e lo ricordo come un conversatore più che brillante ma senza la nozione del tempo, col difetto di essere portato a lasciarsi trascinare dal fascino intellettuale di un argomento interessante anche se questo si trovava del tutto al di fuori del tema iniziale.
Brillante avvocato di una provincia ricca era abituato al modo di parlare della sua corporazione e quindi non poteva trattenersi dalle citazioni colte.
Per dare l’dea dei tempi nei quali ha dovuto prendere la responsabilità del partito basterebbe dire che erano i tempi non sono di tangentopoli, ma anche dell’incriminazione di Andreotti per reati di mafia. Era stato scelto proprio perché la sua storia politica e personale era assolutamente al di sopra di ogni sospetto, forse però non era l’uomo giusto per navigare in quelle acque.
Per dirla in un modo che lui avrebbe censurato, per fare un lavoro “sporco” ci voleva qualcuno passabile ma non così intransigentemente lavato con Omo.
E a lui toccò il compito ingrato di seppellire il gigante DC in un gorgo storico così veloce che probabilmente non gli aveva dato il tempo di rendersi conto di cosa stava facendo.
Ma la colpa non è stata la sua, l’autore vero del disastro fu Mariotto Segni, che purtroppo per lui e per noi era assolutamente in buona fede, convinto di mettere il paese al sicuro col suo referendum.
La DC è stata distrutta dal referendum sul maggioritario.
Pensare di superare le carenze di cultura politica di una classe dirigente con delle alchimie di ingegneria costituzionale o con espedienti elettorali è da sempre un’idea peregrina.
Segni e associati erano dei legulei, non erano quegli esperti di scienza politica che sarebbe stato necessario coinvolgere e hanno fatto, se pure in buona fede, un terribile pasticcio.
Hanno ragionato in modo semplicistico senza approfondire abbastanza un problema complesso, molto complesso.
Il sistema maggioritario, per farla breve, è il cuore del sistema politico inglese, diversissimo dalla tradizione e dalla cultura politica italiana.
La Dc fondava il suo potere coprendo la vasta area del centro per sua natura aliena da scelte drastiche al momento delle elezioni.
Tutto il contrario del sistema conseguente a un sistema elettorale maggioritario.
Ma anche nel maggioritario la DC avrebbe potuto sfruttare la sua articolazione territoriale capillare , purché il sistema fosse stato un vero maggioritario classico e non quella pasticciata che è venuta fuori.
Prendere un pezzo del sistema inglese e portarlo in Italia lasciando fuori le strutture che gli danno vita era ed è un pasticcio che non può funzionare.
Come avevo già sottolineato nel post del post del 31 agosto scorso, manca in Italia l’elemento di base per fare funzionare il sistema all’inglese e cioè il collegio uninominale unico (cioè con un solo candidato per partito) ,locale e di piccole dimensioni 70/80 mila abitanti, cosa che porterebbe la Camera a un numero di deputati molto elevato, come è nella Camera di Comuni inglese.
I collegi elettorali, seguendo questo principio, andrebbero completamente ridisegnati e sarebbero diversissimi da quelli attuali.
Ma questo non è stato fatto allora e oggi dei populisti assolutamente incolti in scienza politica spingono cittadini del tutto non informati a fare esattamente il contrario.
Martinazzoli purtroppo tutto questo non l’aveva captato.
I suoi successori in compenso non l’hanno ancora capito oggi.

venerdì 2 settembre 2011

Kennedy chi era quello vero?


Sulla 7 mercoledì scorso hanno trasmesso uno sceneggiato sui Kennedy di produzione americana, originariamente in ben otto puntate, che a quanto pare verranno trasmesse a tre o due per volta.
Per noi poveri italiani da tempo schifati dall’indegno teatrino della politica nazionale un’occasione per vedere la politica con la P maiuscola.
E invece no. Invece quello che si è visto (tre puntate insieme) mi è sembrato un polpettone confezionato per il pubblico di “Sorrisi e canzoni TV” di “Chi”, “Visto” ecc.
La figura centrale di tutto lo sceneggiato era un padre volgare e autoritario, senza il minimo senso morale e senza alcuna prospettiva culturale di lungo periodo, se non l’ossessione di occupare il potere per il poter per sé o per la sua famiglia e con qualsiasi mezzo, come se fossimo ancora ai tempi dell’assolutismo.
Eppure i fratelli Kennedy John Fitzgerald e Robert, sono passati alla storia come i miti, le icone della politica “liberal”.
Generazioni di giovani in tutto il mondo si sono tenuti nella propria camera la foto di Kennedy prima che comparisse quella del Cé.
Lo sceneggiato ci propone invece poco più che un giovane ricco debosciato ammalato di sesso eterodiretto dai disegni paterni e quindi senza idee proprie.
Perfino il di solito severo critico televisivo del Corriere Aldo Grasso sposa questa radicale demitizzazione dei Kennedy commentando lo sceneggiato con questo feroce e cinico attacco :”le pallottole gli hanno tolto la vita, ma gli hanno salvato la reputazione”.
D’accordo i miti vanno tutti verificati con una analisi critica.
Ricordo il grande Montanelli che invece di accodarsi alla universale santificazione per acclamazione di lady Diana aveva scritto , attenzione, guardate che i miti sono condannati a vivere la durata di un mattino di esaltazione e poi o l’oblio o la polvere.
Il tempo gli ha dato ragione.
Questo sceneggiato per quanto si è visto finora, però, va ben oltre il brutale abbattimento del mito.
A me pare che per amore di tesi riscriva la storia e questo non è consentito.
Perbacco per fare solo un solo esempio “i mille giorni di Kennedy” di Artur Shlesinger Jr., gli hanno fatto vincere il Premio Pulitzer nel ’65 e parlano di ben altro.
In questo sceneggiato manca quello che avrebbe dovuto essere il protagonista, manca la politica.
La campagna elettorale si riduce a un flirt con una stagista, come se le elezioni si vincessero per opera dello spirito santo e non con una fatica immensa per intercettare il pensiero , le esigenze e l’anima degli americani.
Kennedy c’era già tutto nei discorsi della campagna elettorale e il discorso di inaugurazione era talmente denso di idee che è diventato un testo di riferimento nelle facoltà di scienze politiche.
Nello sceneggiato quel discorso era ridotto a due frasette per poter riprendere il sorrisetto ebete di approvazione del padre –padrone come se il pubblico non fosse stato il mondo e non un salotto di famiglia.
Kennedy è stato tante cose, ma soprattutto è stato una gigantesca speranza di cambiamento e di tuffo nella modernità, come sarà poi il famoso sessant’otto, o come è stato Obama nei giorni della sua elezione.
Con Kennedy la cultura , l’intelligenza, la progettualità, il gusto della creatività sono entrati alla grande alla Casa Bianca.
Per la prima volta nelle cancellerie occidentali attorno al Presidente americano si sono seduti schiere di accademici e di intellettuali, le famose “teste d’uovo” e non per fare una esternazione e andare via ma per lavorare sistematicamente insieme a lui.
Si è consolidato il “Coucil of Economic Advisors” ,che ha messo insieme le migliori menti disponibili.
Queste cose della presidenza Kennedy non sono solo state fonte di entusiasmo per i giovani di allora, ma ebbero perfino un salutare effetto pedagogico in giro per il mondo, inducendo i governanti ad aprirsi ad ascoltare gli intellettuali.
Il welfaire che sarà poi portato avanti da Lindon Johnson , le politiche di equiparazione razziale ,i programmi per lo sviluppo del Sud America, nulla, dopo tre puntate nulla.
Mi consola solo il fatto che hanno avuto quello che si meritavano cioè uno share molto basso, un vero flop.