venerdì 31 gennaio 2014

La  commissione teologica internazionale dell'ex Sant' Uffizio ha tirato un bel trappolone a Papa Francesco


Questa commissione rappresenta il fior fiore della teologia cattolica tanto che in passato dai suoi membri è provenuta una schiera di cardinali di prima grandezza , Ratzinger compreso.
E' un organismo di ben 30 esperti , nominato dal Papa per 5 anni con funzioni consultive su argomenti presumibilmente indicati dal Papa stesso.
I suoi documenti devono essere approvati dal Prefetto della Congregazione della Fede, e quindi dovrebbero essere accolti come autorevoli.
Dopo 5 anni di lavoro, la commissione, ovviamente a suo tempo nominata da Papa Ratzinger, ha  concluso il suo mandato licenziando un documento sul monoteismo cristiano contro la violenza, pubblicato alcuni giorni fa da Civiltà Cattolica e reperibile comunque sul sito del Vaticano.
Lo scopo dichiarato di questo lavoro vorrebbe essere la argomentata confutazione della tesi della cultura laica contemporanea, secondo la quale le religioni monoteiste sarebbero per loro natura la radice ideologica delle guerre di religione, conseguenza questa, che non sarebbe invece prodotta ,ad esempio, dalle religioni politeiste, come erano quelle pagane o come sono sa sempre ,alcune di quelle orientali.
Ci si aspetterebbe quindi una apertura di dialogo con la cultura contemporanea laica e con le altre religioni su un tema di grande importanza e attualità.
Se il documento e le sue argomentazione rivelassero uno sforzo di conoscenza del pensiero laico contemporaneo e delle religioni orientali, si tratterebbe di un notevole contributo al dialogo della chiesa cattolica, ormai largamente minoranza nel mondo, appunto con il resto del mondo, che cattolico non è e non lo è mai stato.
Come vedremo, si tratta invece di una occasione sprecata, che invece di favorire il dialogo, sbatte la porta in faccia alla modernità, al pensiero laico ed al resto del mondo, in sorprendente e assoluto contrasto con quanto sin qui manifestato da Papa Francesco.
Questo contrasto è talmente incongruente, che è inevitabile chiedersi perché un organismo di prima grandezza nell' organigramma della cura vaticana abbia ritenuto di pubblicarlo.
Si tratta di una presa di posizione dettata da ragioni di potere ?
Cioè la commissione si è fatta portavoce di quella potente lobby, finora sotterranea e trasversale, del tutto contraria alla linea espressa dal nuovo Papa?
Oppure il documento riflette semplicemente le profonde convinzioni teologiche e ideologiche di personalità intimamente attaccate alla linea tradizionalista, che vedono il dialogo con le idee della modernità come un salto nel buio per la chiesa cattolica?
Difficile dirlo, anche perché alcuni dei componenti non sono noti come intransigenti tradizionalisti.
Certo che è inquietante pensare che in una corte rinascimental-medioevale, come è la curia romana, dove tutti  sono abituati a muoversi da cortigiani, oggi si direbbe da yes-man, una commissione di un dicastero fondamentale sia disposto a esporre tesi vistosamente contrastanti con la linea del pontefice regnante.
I componenti della commissione sapevano  che come minimo si esponevano a non fare più alcuna carriera, remando contro il papa in carica.
E qui sta la natura subdola di questo tipo di giochi di corte, perché esponendosi in modo così rischioso per loro, fanno in modo che gli altri pensino : ma se si sono fidati a mettere nero su bianco quelle tesi, o sono degli sciocchi, o vogliono dare a vedere che il Papa la pensa come loro e che allora non si tratterebbe affatto di un papa rivoluzionario, come tutti dicono, ma il suo sarebbe solo populismo di facciata per nascondere idee tradizionaliste intransigenti, come quelle dei suoi predecessori.
Nel post del                      dedicato appunto a delineare quella che ritengo possa essere la linea più verosimile e realistica che terrà questo papa nel prossimo futuro, avevo detto in sostanza, che per le ragioni ivi esposte, probabilmente Papa Francesco non affronterà direttamente l'aggiornamento necessario della chiesa abolendo alcuni dei dogmi più strampalati o meno sostenuti razionalmente, ma semplicemente guiderà la chiesa in modo da lasciarli decadere per desuetudine  , come si fa nel campo del diritto positivo, anche costituzionale.
In questa ottica un documento in materia dottrinale così netto, in senso tradizionalista mette il papa in seria difficoltà, perché in qualche modo lo costringe a prendere posizione direttamente su argomenti dogmatico- teologici specifici, che è proprio quello che verosimilmente non vuole fare.
Però se non lo fa è come se avvallasse tesi che ben difficilmente possono essere da lui condivise e così lo si caccia in una posizione ambigua e contraddittoria.
Noi italiani ci lamentiamo continuamente ,ed a ragione, del modo cinico di procedere della nostra classe politica, ma questi personaggi della curia vaticana sono molto più sottili e nefasti nei loro giochi di potere.
Ora, però, veniamo alla sostanza del problema, che è questa : la commissione deduce tutte le sue argomentazioni partendo da un punto di partenza, che sembra scelto apposta per bloccare ogni possibilità di  dialogo fin dall'inizio.
Proviamo a ipotizzare uno scenario onestamente ispirato ad una autentica volontà di dialogo, cioè all'incirca a come si ragionava all'interno della chiesa ai tempi del Vaticano II.
Un gruppo di teologi ispirati da quella prospettiva, cosa avrebbe fatto in questo frangente, cioè per affrontare l'argomento monoteismo- violenza?
Cioè da che idee guida sarebbe partito?
Innanzi tutto dall'apprezzamento dell'apporto del pensiero e della moderna cultura laica e delle altre religioni ,per definire la dignità universale della persona umana, una volta che gode appieno di quelli che sono stati definiti nella storia recente, come i “diritti umani”.
Apprezzamento, argomentato, elencando alcuni degli elementi peculiari di queste tradizioni culturali, in modo da far capire, che quelle tradizioni si sono studiate ed parte si sono fatte proprie.
Dopo di che avrebbe onestamente aperto il libro nero della chiesa cattolica per riconoscere in modo analitico gli errori, i peccati, gli orrori, le infedeltà nelle quali la chiesa è caduta nella storia.
Dal peccato originale che nella storia della chiesa costituisce l'alleanza dell'altare col potere e con la spada da Costantino in poi; all'uso appunto della spada, cioè del potere secolare per convertire e per difendere poteri e privilegi; all'uso del potere spirituale sulle coscienze e cioè dei sacramenti come strumento di controllo sociale e politico; al mantenimento della schiavitù ed anzi al suo ampliamento appoggiando il colonialismo con annessi genocidi dei nativi; all'uso sistematico della tortura con la Santa Inquisizione; alle guerre di religione causa di innumerevoli vittime; alla lotta frontale contro la modernità, la libertà della scienza e della ricerca scientifica; l'accoglimento tardivo e solo parziale dei diritti umani e della democrazia; il contrasto della laicità dello stato.
Finito l'elenco sommario degli errori più macroscopici nei quali è incorsa la chiesa nella storia, avrebbero poi speso il necessario per cercare di spiegare che la chiesa ha commesso in passato anche l'errore di considerare i racconti della Bibbia come racconti di fatti storici, realmente avvenuti, dando alla Bibbia stessa una lettura letterale, errori questi che hanno contribuito a screditare la chiesa costringendola a bruciare Giordano Bruno e ad incarcerare Galileo, perché le loro teorie scientifiche si trovavano in netto contrasto con i racconti della Bibbia.
Ha poi compiuto l'errore di considerare i racconti della Bibbia come la completa e definitiva rivelazione della verità assoluta e definitiva in quanto i racconti stessi sono stati ritenuti parola di dio se pure pervenuta per via indiretta e in momenti storici diversi, mentre la verità definitiva nessuno la conosce.
La globalizzazione del mondo, alla quale oggi tutti partecipiamo, avrebbero detto quei teologi, ci impone di considerare i nostri limiti numerici e culturali e di aprirci al contribuito delle altre culture anche in senso religioso.
Per gli errori del passato, non possiamo fare altro che chiedere scusa, prima di tutto al nostro Dio, che ci era stato annunciato dal fondatore della nostra religione, Gesù di Nazareth e poi a tutti i fratelli.
Per il futuro ci disponiamo come teologi a dare il massimo impegno per comprendere quanto sia relativa, cioè parziale e limitato il contributo che ha dato nella storia del mondo la nostra religione alla comprensione del mondo stesso nonché del senso della vita umana e su questa base riscrivere le linee di questo nostro contributo che sia veramente di valore universale, cioè non solo diretto ai nostri fedeli ma a tutti gli uomini di buona volontà.
Per fare ciò come teologi dovremo appoggiare le nostre affermazioni su argomentazioni valide e coerenti sul piano della logica e convincenti alla luce della ragione.
Purtroppo dobbiamo riconoscere che appoggiare il nostro contributo sull' autorità di quello che intendevamo in passato come una rivelazione di dio unica e definitiva, donata a noi come popolo eletto per possederla, è risultato un pensiero fallace, perché questo escluderebbe per definizione il resto del mondo dalla condivisione di questa verità e quindi dalla salvezza del resto del mondo a meno che non si converta.
Tant'è che questa impostazione nei secoli ci ha condotto a usare la violenza con chi la pensava diversamente da noi, nonché ad usare la violenza del controllo delle coscienze sui nostri fedeli  per farli rimanere fedeli.
Ma il messaggio primario della nostra religione è l'amore fraterno e amore fraterno per essere  sincero e non un inganno deve essere lo sforzo di considerare gli altri come nostri pari e cioè di superare ogni credenza che ci porti a considerarci superiori a tutti gli altri come ci costringeva la credenza dell'essere depositari dell'unica vera rivelazione e fedeli dell'unica vera religione.
Perchè se persistessimo in quest'ottica dovremmo disprezzare le analoghe rivelazioni che gli altri fratelli abitanti di altre parti del mondo ritengono di avere avuto.
Perchè così ingenuamente in passato ci siamo ingiustamente ritenuti superiori al resto del mondo non per qualche merito nostro ma per essere nati in una parte del mondo nella quale da bambini ci sono state inculcate le credenze del cattolicesimo, che sarebbe la unica vera religione.
Ma dio è dio di tutti gli uomini, dio non è la nostra chiesa, dio è ben sopra a tutte le chiese.
Se vorremo dare il nostro contributo per vincere la violenza e sviluppare la fraternità fra gli uomini come ci ha insegnato il nostro fondatore dovremo riconoscere che se in passato la proclamazione di quella che ritenevamo la verità assoluta data solo a noi ha procurato tanti lutti nella storia non può essere che perché quella formulazione nostra tradizionale era sbagliata e non conforme all'originale messaggio evangelico lasciatoci dal nostro fondatore medesimo.
Riscoprendo con umiltà le parti di verità possedute e coltivate dagli altri e confrontandole con le nostre ci avvicineremo ad un arricchimento vero delle nostre credenze.
Senza contare che un  piano di riferimento valido e riconosciuto da tutti  gli uomini a qualsiasi cultura appartengano, al giorno d'oggi, sono le acquisizioni formidabili e illuminati ,apportate dalla scienza moderna, acquisizioni, queste sì che sono state tanto straordinarie da meritarsi l'appellativo di miracoli.
Queste sono le linee che i teologi dovrebbero sviluppare per dare veramente un contributo di fraternità volto al superamento della violenza di ogni genere.
Per far questo ognuno deve fare un sacrificio.
E noi dovremo sacrificare l'orgoglio che nei secoli si è girato in arroganza e violenza, riconoscendo il valore relativo di quella che abbiamo ritenuto la nostra verità definitiva e assoluta.

Ecco le linee guida che una commissione teologica illuminata dalle intuizioni del Vaticano II avrebbe probabilmente elaborato.
Peccato che la commissione  teologica internazionale vera, se pure scaduta nel suoi mandato temporale  abbia elaborato e pubblicato un documento che dice l'esatto contrario, per di più usando argomentazioni di una tale povertà, che il loro lavoro sarebbe bocciato  se fosse presentato come tesi in una facoltà teologica laica in una università  di qualche livello.
Fortunatamente è più che verosimile che il primo a bocciarla sarà il papa stesso non rinnovando l'incarico a teologi così poco convincenti.

Delle argomentazioni della Commissione Teologica internazionale citata all'inizio, ci occuperemo in uno o più post successivi, stante l'importanza dell'argomento.

domenica 19 gennaio 2014

Renzi-Berlusconi sintonia da brivido


 










Quando con Berlusconi trattava  D'Alema era un inciucio.
Se  ci tratta Renzi è una cosa furba?
Se le “grandi intese”  fatte da Bersani, Epifani, Letta con Berlusconi e la benedizione-regia di Napolitano erano da aborrire, perché non volute dalla maggioranza degli italiani, se le fa Renzi con Berlusconi risolvono tutto?
L'aritmetica è l'unica cosa che non mente : gli elettori nel febbraio 13 hanno dato i voti per 1/3 al  centro sinistra votando contro Berlusconi e per un altro terzo a Grillo sempre  votando contro Berlusconi, il che fa 2/3 contro Berlusconi.
E allora le larghe intese sono avversate da 2/3  degli italiani.
Ma ce le hanno propinate lo stesso e Renzi eletto per aprire una nuova stagione torna con Berlusconi, ma che senso ha tutto questo?
Berlusconi è un pregiudicato in attesa dei domiciliari o al meglio di assegnazione ai servizi sociali.
Trattare con lui non crea alcun problema o imbarazzo, perché lo esigerebbe la “ragion di stato”?
Di questo passo si potrebbe finire, usando la stessa logica distorta, a mettersi a trattare con Totò Riina.
Ma cerchiamo di seguire un ragionamento da realpolitique.
Renzi ha fatto quello che avrebbe dovuto fare  il neo eletto leader del centro sinistra e cioè chiedere alla forza politica più vicina al centro sinistra e cioè ai 5Stelle di fare insieme la legge elettorale ,la riforma del finanziamento alla politica eccetera.
Grillo, commettendo l'ennesimo madornale errore di valutazione ha rifiutato ogni trattativa e quindi a Renzi realisticamente non sarebbe rimasto altro da fare che tirare Berlusconi fuori dal frigorifero e trattare con lui, in temporanea posizione di difficoltà.
Questa argomentazione ha indubbiamente degli elementi di forza.
Ma ne anche altri di debolezza, per esempio questi.
Innanzi tutto Berlusconi si è accreditato per vent'anni come il più tenace e spontaneo mentitore.
Non ha quasi mai mantenuto la parola data e quindi è una controparte estremamente inaffidabile.
Poi delle due parti in trattativa, la più solida e forte è Berlusconi, padre padrone del suo movimento, che dopo il distacco  Di Alfano e compagnia (relativo perché alle elezioni sarebbero di nuovo dalla stessa parte) lo  controlla al millimetro, mentre Renzi è addirittura in minoranza a livello di gruppi parlamentari.
Quindi quella di Renzi è una mossa ad altissimo rischio, che scontenta e sconcerta la quasi totalità dei simpatizzanti PD che lo hanno appena eletto.
C'è poi un altro elemento che gioca contro.
Alla folla di coloro che stanno soffrendo sulla propria pelle le conseguenze della crisi economico-sociale peggiore dal dopoguerra cosa ne importa della legge elettorale eccetera eccetera?
Sarà un argomento poco sofisticato, ma Renzi non sarebbe il segretario del partito che una volta veniva definito il partito dei lavoratori?
E poi lasciatemi fare una osservazione che potrebbe essere bollata come “di pancia” come si dice oggi, ma che trovo sconvolgente : se ci abituiamo a vedere i carabinieri schierati in forze a per proteggere un pregiudicato che arriva in auto blindata con relativo corteo ,dal lancio delle uova marce del popolo tutt'altro che plaudente, che messaggio diamo agli italiani che lavorano e rispettano le leggi?
Che le istituzioni proteggono i furbi che fanno i soldi con qualunque mezzo?
Solo questo è un errore di comunicazione terribile, che Renzi avrà  messo in conto, ma che potrebbe costargli carissimo.
Proviamo a tornare alla realpolitique.
L'enorme azzardo nel quale si è imbarcato Renzi varrebbe la candela se riuscisse a portare a casa una nuova legge elettorale, la pratica abolizione del senato e un consistente taglio ai costi della politica?
Faccio fatica a rispondere positivamente, prima di tutto perché la cosa trascura del tutto la soluzione dei problemi del lavoro e dell'economia ,che dovrebbero avere la priorità assoluta.
Poi perché questo tipo di accordo presuppone tempi abbastanza lunghi e quindi il rinvio della andata alle urne di almeno un anno.
E da qui ad allora come ci andiamo? Con questo Letta ,che richiama sempre di più un Andreotti quando era giovane, buono per qualsiasi operazione e meglio se poco chiara  ?
Ma veniamo al dunque, al non detto, perché tanto puzzolente da essere impresentabile e improponibile.
Berlusconi ,la prima volpe della politica italiana, concede tre riforme istituzionali di prima grandezza (ammesso ovviamente che mantenga la parola), senza negoziare in cambio l' unica cosa per la quale è rimasto in politica : la sua immunità?
Il suo stato di cittadino diverso da tutti gli altri, “legibus solutus” ,uomo al di sopra della legge, uno che può fare qualsiasi cosa ,senza dovere avere il disturbo di andare in galera ,se il sistema  costituzionale vigente lo condanna alla galera ,dopo averlo riconosciuto colpevole dei reati che gli sono stati ascritti.
E poi, Renzi, che in questi ultimi anni ha giustamente ritenuto opportuno , come aspirante leader di questo paese, andare a conoscere e farsi conoscere da alcuni dei potenti della terra, non ha appreso dai colloqui che ha avuto con costoro, che Berlusconi all'estero è una barzelletta, non un esponente politico?
Realisticamente, siamo messi talmente male, che se Renzi riuscisse ad attuare le tre riforme annunciate, la cosa avrebbe indubbiamente degli aspetti positivi.

Ma l'azzardo è talmente grande, le probabilità di riuscita sono talmente ridotte, i problemi rimasti fuori dagli accordi sono talmente importanti, trattare con Berlusconi è talmente pericoloso e immorale, che proprio vedo gli elementi negativi come molto superiori a quelli positivi in tutta questa faccenda.

venerdì 17 gennaio 2014

A Renzi manca una cosa sola : imparare a dire la verità



Siamo italiani e quindi siamo abituati a concedere molto ai nostri politici.
Sono gente che quando devono andare da Milano a Roma non penseranno mai di passare per Bologna, ma considereranno sempre molto furbo prenderla larga, passando almeno da Padova.
Siamo abituati alle loro contorsioni e di conseguenza, anche quando è apparsa la stella sempre più luminosa di Renzi, gli abbiamo perdonato la genericità dei programmi e dei propositi.
Ora però che Renzi non è più un giovane brillante che  sgomita per arrivare a rottamare i vecchi marpioni, ma è il segretario del più importante partito d’Italia e quindi, domani, verosimile prossimo presidente del consiglio,  pensiamo di avere il diritto di pretendere da lui più trasparenza e coerenza.
Tutti sappiamo che Renzi è stato eletto alle primarie del PD a furor di popolo, perché chi lo ha votato lo ha fatto indicandolo come il porta bandiera della fine definitiva del berlusconismo e soprattutto di quella autentica porcheria politica, che si chiami inciucio, che si chiami larghe intese non importa, comunque della fine della innaturale e inconcludente alleanza fra il centro sinistra e la destra berlusconiana o nella variante di Alfano, che non cambia nulla.
In termini di politica attuale, Renzi è stato eletto per fare finire subito il governo Letta e andare subito alle elezioni.
La vittoria popolare di Renzi è stata la sconfitta della vecchia nomenclatura ex comunista del PD, guidata da D’Alema e compagni come è stata la sconfitta della linea tenuta dal presidente Napoletano, che da mesi, agisce come effettivo dominus di questo  governo.
Questo lo sappiamo tutti.
Che dietro alla politica dell’inciucio ci sia una potentissima coalizione di interessi costituiti ,per i quali la priorità assoluta è lasciare le cose come sono proclamando di voler fare le riforme, lo abbiamo capito da un bel pezzo.
Quindi sappiamo che il compito di Renzi è estremamente difficile e che la coalizione trasversale, che gestisce il potere reale da decenni in Italia  è talmente potente da poter verosimilmente fare fuori il medesimo Renzi, prima che diventi  pericoloso per loro.
Però, pur essendo consapevoli di questo, anzi, proprio perché siamo consapevoli di questo, ci siamo convinti che Renzi ha una sola forza e una sola arma: quello che una volta si diceva il ricorso al popolo.
Deve cioè strappare il pallino dalle mani di questo coacervo di politici, banchieri, faccendieri, alti burocrati, che sono i veri burattinai delle così dette larghe intese per dare la parola al popolo.
Costoro useranno tutti i mezzi per difendere il proprio enorme potere, ma se Renzi esita a dire alla gente le cose come stanno, è come se neutralizzasse scioccamente la sola vera arma della quale dispone per battere gli avversari.
Il popolo per seguirlo e votarlo, deve sapere che lui è contro il governo Letta, è contro la gestione della presidenza, che sta portando avanti Napoletano, è favorevole alla fine del berlusconismo e quindi favorevole a che il suo capo vada a meditare  nelle patrie galere, come esige, assolutamente esige l’elementare e basilare principio democratico della uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Se invece ritenesse di non potere osare tanto e si imbarcasse in giochini equivoci continuando a spergiurare che Letta può durare fino al 2015,  è chiaro che il pregiudicato dietro alle quinte, ma non molto, se lo mangerebbe in un solo boccone.
Renzi è per molteplici ragioni l’ultima speranza e la gente questo lo capisce benissimo.
Per una ironia della storia, lui, che per ragioni anagrafiche democristiano non è mai stato, viene considerato come la vittoria postuma della DC.
E in parte questo è vero, perché Renzi si è chiaramente collocato come erede della tradizione cattolico –sociale, che è stata la parte pensante migliore della vecchia DC.
Quando è stato eletto sindaco di Firenze, si era premurato di far sapere che il suo primo atto era stato quello di recarsi nella celletta del convento di San Marco a Firenze, che era stata per decenni l’abitazione di Giorgio La Pira, per rendere omaggio a quella vera icona del cattolicesimo sociale.
Questo per dire, che dietro a Renzi non c’è quel deserto dei Tartari, che c’è dietro a quell’esercito Brancaleone, che è  la classe dirigente berlusconiana.
Renzi è uno che  ha alle spalle una  delle tradizioni politiche storiche più solide, che sa usare le nuove tecnologie e ne fa  forse ingenuamente sfoggio per fare risaltare la distanza fra lui giovane e i politici anziani, che sono perfino patetici, quando li si vede sugli scranni di Montecitorio davanti a costosi Pc o tablet, quasi regolarmente usati per farci girare giochini passatempo.
Ha un debole per gli americani ed il loro modo di fare politica e questo, tutto sommato,non guasta.
Si è cercato un piccolo esercito di consulenti nelle varie materie, a volte azzeccati, altre volte meno, ma il fatto che si circondi di esperti è un buon segno.
Come si diceva, però, non ha ancora fatto il balzo che deve fare, per prendere il volo per la prima volta.
E’ comprensibile che abbia paura di farlo, perché potrebbe finire per terra malamente, ma queste sono le regole del gioco per tutti quelli che vogliono fare politica a quei livelli.
Al punto nel quale è arrivato, ormai, si deve buttare e farla finita con le dichiarazioni di facciata, diversamente andrebbe a sbattere comunque.

Come tutti ha luci ed ombre, ma se fallisse anche lui, la vedo nera, intendendo nero in senso storico.

venerdì 10 gennaio 2014

Secondo Scalfari papa Francesco ha abolito il peccato




Eugenio Scalari, fondatore di Repubblica, il giornale al momento più diffuso in Italia, ha dedicato un lungo editoriale, il 29 dicembre scorso, al piglio, secondo lui, rivoluzionario di papa Bergoglio, che sarebbe arrivato ad  abolire il peccato.
Scalari come è noto aveva fatto un autentico scoop giornalistico quando, mesi fa, era stato ricambiato del suo interesse per le cose religioso-spirituali, dalla concessione di una inusuale lunga intervista da  parte dello stesso papa Bergoglio, avvenua il 24 settembre dello scorso anno , che abbiamo commentata nel post del 25  ottobre 2013.
Personalmente continuo a vedere con grandissimo interesse il diffondersi  e l’approfondirsi di un dialogo serio fra intellettuali laici e cattolici.
Con l’apertura di questo dialogo l’Italia è finalmente uscita da un provincialismo clericale, che era,, unico caso in occidente, basato sulla volontaria chiusura in ghetti contrapposti, che cattolici e laici si erano auto-imposti da decenni.
Così facendo hanno procurato danni e ritardi incalcolabili  alle reciproche culture, che, senza dialogo rimanevano ingessate nella ripetizione stantia delle stesse vecchie tesi, senza produrre mai nulla di nuovo e di più consono coi tempi moderni.
Di Scalfari, per la verità, preferisco la versione giovanile, quando, come direttore di quell’Espresso degli anni 70, in bianco e nero e a pieno formato, aveva dato un punto di riferimento a tutti quegli intellettuali e lettori di sinistra, compresi quelli cattolici, che non si riconoscevano nel dogmatismo del PCI, spesso anche peggiore di quello clericale, dell’allora Cardinale Ottaviani, Prefetto di ferro del Sant’Uffizio.
Scalfari è tutt’ora una figura di primo piano e di indubbio spessore.
Il suo interesse, di uomo di cultura di formazione illuminista, verso il mondo spirituale, pur dichiarandosi ateo o agnostico è di grande rilievo.
L’interesse è autentico, ma non ha la profondità di una cultura teologica approfondita, che hanno altri intellettuali della medesima scuola di pensiero, come Floris D’Arcais o Odifreddi, che non per caso sono stati scelti a suo tempo, come interlocutori da papa Ratzinger.
La limitata cultura e informazione sul cattolicesimo di Scalari, per esempio in questo editoriale, lo hanno indotto a incorrere in due strafalcioni, che avrebbe potuto evitarsi, se avesse avuto l’umiltà di farsi “correggere il compito” da qualche competente editorialista del suo giornale, ma purtroppo l’uomo, pure validissimo, soffre come tanti suoi coetanei di un forte narcisismo.
Ha scritto che il dio biblico del vecchio testamento ebraico e cristiano, non contemplava una classe sacerdotale, ignorando evidentemente  l’esistenza del terzo libro della Bibbia, il Levitico, dedicato appunto tutto espressamente alla classe sacerdotale.
Ha scritto che papa Francesco avrebbe canonizzato sant’Ignazio, in realtà canonizzato nel 1600, come è stato poi costretto a rettificare.
Rimandiamolo a settembre, magari, ma non usiamo due strafalcioni per ignorare la straordinaria novità di un laico di prima grandezza che si entusiasma a leggere e a scrivere delle azioni del papa e delle sue conseguenze sul cattolicesimo.
Vi immaginate un Indro Montanelli a discettare di teologia? Purtroppo si era sempre arrogantemente  tenuto ben alla larga e non è un complimento per lui.
Il dialogo è iniziato ormai da anni, ma è singolare dover constatare che la base cattolica italiana  sembra che lo percepisca con difficoltà, se non addirittura con fastidio.
E’ molto probabile che questo avvenga perché il cattolico medio italiano, anche quando gode di una cultura professionale medio- alta, sia portato istintivamente  ad una reazione di fastidio, verso questo nuovo ruolo riconosciuto ai laici non credenti, per il fatto di essere costretto a rilevare che molti degli intellettuali laici sono oggi in grado di dialogare da pari a pari su temi teologici anche con il papa in persona, mentre loro  non si sono ancora dati nemmeno le nozioni di base di una preparazione teologica e quindi sono rimasti ancora al punto di sentire la necessità di andare dal prete della parrocchia “a farsi spiegare” il Vangelo o qualsiasi altra cosa di attinenza religiosa.  
E’ una pecca storica del cattolicesimo italiano, il fatto che continuino ad esserci credenti di alto livello nelle professioni, ma da asilo infantile quando a cultura teologica.
Pesano poi sui cattolici italiani  gli ultimi cinque decenni  di martellante propaganda religiosa integralista – fondamentalista, che ha favorito lo spirito gregario e la fuga dalle responsabilità personali.
Una delle conseguenze di questa arretratezza culturale è l’enorme diffusione in Italia del pregiudizio fra i credenti secondo il quale : “chi parla del cattolicesimo standone fuori non può capirne nulla”.
Questa litania,  viene spesso ripetuto da quell’importante intellettuale cattolico che è Vittorio Messori .
Messori era stato una penna efficace nel mondo cattolico, fino a quando, pur essendosi scelta la missione,  di per sé riduttiva, di apologeta del cattolicesimo, conservava un certo senso critico.
Poi si è invaghito del miracolismo e peggio ancora dell’Opus Dei e il livello delle sue argomentazioni è sceso in continuazione.
E’ diventato il portavoce della  mentalità del ghetto, da Concilio di Trento, contro tutto e in particolare contro il pensiero moderno, ed è un peccato, perché dispiace  veder sprecate delle intelligenze, come quella di Messori.
Al lungo editoriale di Scalari, del quale si parlava sopra, ha replicato ,sempre su Repubblica, il 3 gennaio successivo ,Vito Mancuso , tutt’oggi il più noto teologo progressista italiano e il dialogo si è fatto ancora più interessante.
Mancuso ha il suo stile estremamente pacato e corretto, ma ha contestato il pezzo di Scalari su tutta la linea e solo questo nel panorama della  stampa italiana è una notizia, perché non è affatto comune che una firma di riferimento di un giornale si permetta di contestare apertamente le tesi del fondatore (e azionista) dello stesso giornale.
Scalari, nel presentare la sua tesi sulla presunta abolizione del peccato,è stato forse un po’ troppo sul generico  e preso dalla foga di dare un titolo ad effetto, seguendo il suo istinto giornalistico,  ma è appunto un giornalista e glielo si può perdonare.
Mancuso è stato dall’altra parte un po’ troppo teologo.
E’ chiaro che è del tutto impossibile, per la Chiesa cattolica, rinunciare al concetto di peccato e nemmeno ha senso che lo si faccia, probabilmente quindi non era nemmeno questo quello che Scalari voleva dire.
E lo stesso Mancuso ,concludeva il suo pezzo dicendo che l’intuizione di Scalari è valida in quanto riferita alla rinuncia da parte della chiesa non certo al peccato, ma al rilevo prioritario che la tradizione gli assegnava, presentando così in modo distorto il cristianesimo come una morale che vieta tutto, un lungo elenco di  divieti.
Scalfari in effetti se la era presa e non a torto nel suo editoriale, con la posizione della legge mosaica nel vecchio testamento dove i comandamenti sono tutti formulati inziando con il “non” che da il senso a tutto quello che segue.
Nelle sue argomentazioni teologiche, Mancuso, cede spesso al vezzo del ricorso al greco per scrupolo di precisione e anche  in questa occasione ha sparato una parola pressoché incomprensibile  “amartiocentrismo”, che tradotto in italiano fa centralità del peccato.
Arriva così a delineare la vera materia sulla quale si era sviluppato il discorso di Scalari.
Che ha riproposto un  dibattito su questo tema, che non è certo una novità assoluta nell’ambito del mondo cattolico.
Ad esempio,se torniamo al clima culturale degli anni del Concilio, è facile ricordare che nell’ambito delle stesse organizzazioni cattoliche istituzionali di allora (Azione Cattolica, tanto per intenderci) si diceva che era venuto il momento di farla finita  con una presentazione del cattolicesimo come insieme di norme che vietano e condannano, per passare invece a una lettura in positivo che portasse alla trasmissione agli altri della gioia  evangelica.
Basta con l’evangelizzazione ridotta a imposizione di una morale cupa, basata sulla elencazione di tutti i casi di peccato, tanto cara ai moralisti del seicento.
L’evangelizzazione la si faccia con la testimonianza del proprio interesse e apertura per  i fratelli.
Questo si diceva e si dibatteva  ben cinquant’anni fa.
Scalfari probabilmente non lo ricorda perché a quel tempo, forse, non era ancora interessato al cattolicesimo, come lo è oggi, ma questo modo di ragionare allora era molto vivo e diffuso nel mondo cattolico, che viveva il concilio come una grande speranza.
Poi ci si è impantanati nella paura del nuovo e si è tornati al  fondamentalismo più inconcludente mentre il mondo correva per tutt’altre strade.
Non ha senso abolire il peccato.
Ha senso invece abolire le scomuniche, questo si.
Ha senso abolire il divieto della libertà di ricerca nel campo della teologia, dettato dal Codice di Diritto Canonico.
Mancuso, che la mancanza di questa libertà la vive tutti i giorni sulla propria pelle, nella sua replica ha giustamente subito posto questo tema, dicendo : aspettiamo un momento a plaudire a papa Francesco come ad un rivoluzionario, aspettiamo a vedere se verranno dei concreti atti di governo rivoluzionari e prima fra tutti la libertà di ricerca e di insegnamento della teologia.
Peccato che Scalfari abbia contro- replicato in tono piuttosto seccato delle critiche, senza rilevare che il problema vero in questione è proprio quello sollevato con lucidità da Mancuso e non la presunta abolizione del peccato.
Tra l’altro, tutto il processo di riforma della chiesa, se mai ci sarà veramente, è in questo solco che dovrebbe svolgersi, cioè nel riconoscimento dei propri peccati a cominciare da quello iniziale e fatale di allearsi al potere, per “inverare” il proprio messaggio con la forza della spada, invece che con la bontà delle proprie argomentazioni e della propria testimonianza.
In questa ottica è più che un buon segno quanto lo stesso papa Francesco ha detto agli ordini religiosi pochi giorni fa  : l’annuncio del Vangelo non va fatto con le bastonate, ma con dolcezza, fraternità e amore.
Sono ovviamente d’accordo con Mancuso nel chiedere realisticamente, che alle belle parole seguano dei fatti significativi di governo della chiesa.
Fortunatamente però credo si debba anche riconoscere, che questi atti cominciano a piovere fino a raggiungere quasi una cadenza da temporale, con nomine che ignorano sistematicamente le vecchie cordate di potere curiale e aprono a giovani vescovi di diocesi sconosciute, che però vantano titoli diversi da quello di essere dei fedeli “signor sì” e poco di più, come capitava fino a ieri.
Si veda il caso emblematico anche per il suo rilievo, della nomina del nuovo segretario della Cei, Mons. Nunzio Galantino ,vescovo di Cassano, una piccola diocesi sconosciuta, ma docente universitario di antropologia, una materia recente, che non ha mai fatto sconti al cattolicesimo ed alle religioni in genere, e non di “inchinologia vaticana”.
La calata del sipario sulle vecchie porpore è tanto avviata bene, da aver fatto dire a un noto gesuita, Padre Georg Sporschilll, in una lunga intervista al Corriere  del 31 dicembre scorso, una cosa semplicemente terribile : questo papa ora dovrà temere per la propria vita.
E se lo dice lui, qualche ragione ci sarà.
Il discorso del peccato di per sé è connaturato all’essenza del cattolicesimo, per la semplice ragione che si tratta di una categoria connaturata alla condizione umana.
Scalari dice che quello del peccato è un concetto teologico, ma è vero solo parzialmente, perché in realtà si tratta di una categoria antropologica.
E’ qualcosa di connaturato alla ambiguità umana.
E’ la cartina di tornasole che dimostra l’esistenza della libertà umana, che consente all’uomo sempre e comunque di fare la sua scelta fra bene e male, fra giusto e iniquo.
La vecchia dizione del catechismo di Pio X che definiva il peccato come offesa a dio, può benissimo essere tradotta nell’immaginifico e spesso fascinoso linguaggio di Mancuso  :”azione che produce una diminuzione del grado di ordine o di armonia”.
Non per niente la teologia di Mancuso è tutta basata sulla costruzione di una nuova e più adeguata cosmologia e questa definizione di peccato come attentato all’armonia ed all’ordine del cosmo  è bellissima e si  accorda tra l’altro con la visione del mondo delle filosofie orientali, con le quali occorrerà pure dialogare.
Ma si accorda anche con uno dei concetti  teologici chiave del cattolicesimo, quello (consentitemi di imitare Mancuso ricorrendo al greco) di "metanoia”, che significa cambiamento radicale della propria vita, che occorre fare per fare proprio il messaggio evangelico.
Senza questo ardua e impegnativa assunzione di impegno personale, il cristianesimo scompare.
Ma scompare anche l’umanesimo.
Il luogo d’incontro fra le due culture laica e cattolica non può essere che qui.
L’abolizione del peccato è uno slogan vuoto.
La cultura laica umanistica e illuminista, riconosce gran parte delle sue radici culturali nella filosofia dello stoicismo di Seneca, che nel rigore morale e nella morale della responsabilità personale ha una delle sue colonne (riprese dal cattolicesimo praticamente alla lettera).
Allora, lasciamo perdere, se vogliamo, il peccato come offesa a dio,ma  non possiamo certo ignorare il peccato inteso come offesa all’ordine dell’universo, come vuole Mancuso , o come offesa all’universale senso della giustizia, come lo intende ad esempio la filosofia laica Roberta De Monticelli.
Il dialogo serve a questo, non stupidamente per cercare di convertire l’altro ai propri dogmi o ai propri pregiudizi, ma per costruire una base più ampia di argomentazioni a concetti condivisi.
Per rimanere in argomento, il concetto di peccato come offesa a dio del vecchio catechismo è derivato dalla concezione secondo la quale una morale universale potrebbe esistere non per forza propria , ma solo per derivazione dall’autorità superiore di una rivelazione divina.
Senza di quella non si potrebbe avere una morale e il mondo cadrebbe nel caos.
Ebbene, questa concezione ha avuto ormai una dimostrazione del fatto che il suo presupposto è erroneo a livello praticamente di dimostrazione scientifica.
Infatti l’etnologo Frans DeWaal, che abbiamo citato nel post del 25 ottobre scorso,  ha recentemente pubblicato un lavoro nel quale dimostra che alcuni primati (i bonobo) dimostrano di rispondere ad alcuni principi, che hanno acquisito per via di evoluzione, che sono assimilabili ad alcuni valori elevati ed universali della cultura umana.
Principi che, quindi, non sono stati dati da nessun dio sul monte Sinai, ma si sono iscritti nel patrimonio genetico di questa specie per via di evoluzione ,al fine di migliorare la sua sopravvivenza e il suo miglioramento.
E questa base evolutiva spinge gli individui di quella specie a comportamenti non solo altruistici, ma addirittura altruistici senza reciprocità.
Quindi se vogliamo lasciar cadere il concetto di peccato come offesa a dio, poco male, basta intendersi su cosa si intende per dio, non cascano affatto i presupposti della morale e della giustizia come valori universali.
Il dialogo fra teologia, filosofia, scienza , culture e religioni ha tantissimo da dire per dare un fondamento più solido ai nostri valori condivisi.
E, come dicono giustamente sia Scalfari che Mancuso , stiamo parlando di qualcosa di più di reati e di legalità, come riconosciuti dagli ordinamenti giuridici.
Stiamo parlando di valori, di riferimenti universali.
Siamo ad Antigone e Creonte, al ricorso al concetto di giustizia universale, superiore a quello di mera legalità, in un certo momento ed in un certo luogo.
Sofocle parlava di questi concetti quattrocento anni prima di Cristo.
Il dialogo fra credenti e non credenti è quindi iscritto nella storia.
Papa Francesco ha tolto la chiesa da un lungo stallo, che la stava soffocando, ma come si vede non ha scoperto nulla.
Ha riscoperto valori e metodi , che , guarda caso, nel messaggio originale evangelico ci sono e sono coerenti con l’insieme della predicazione di Gesù di Nazaret.
Ed a quelli vuol fare ritornare la predicazione, cioè in termini ecclesiali, l’evangelizzazione.
La grande e rivoluzionaria novità di papa Francesco sta solo in parte nel nuovo discorso sul peccato, che si è fatto sopra.
La novità più grossa sta nel discorso sulla verità e questo sì che è puro discorso teologico e collide in modo irresolubile con la secolare tradizione della chiesa.
E’ il discorso sulla verità che papa Francesco ha fatto a Scalfari in quell’intervista e che lo stesso Scalfari ha capito benissimo che fosse una affermazione sconvolgente  quando il papa ha detto che dio non è cattolico, nel senso che ci sono nel mondo molteplici rappresentazioni di dio, perché ognuno di noi se ne fa una ed a quella si rapporta.
E’ come se il papa avesse detto : il papa della chiesa cattolica non ha una verità preconfezionata e definitiva da annunciare, ha una verità relativa, che si basa sì sulle intuizioni dei libri sacri, intesi però appunto come metafore, come intuizioni, per dare una risposta parziale dalla quale partire per allargare la base delle argomentazioni con l’aiuto e il dialogo dei non credenti e delle altre tradizioni religiose, filosofiche, culturali e confrontandosi con i dati della scienza.
Questo discorso sulla verità però è un rospo ,che una parte molto consistente della chiesa probabilmente non vorrà mai digerire, perché indottrinata da una falsa  teologia, che non sta in piedi, perché non è mai stata basata su qualcosa di sufficientemente  solido.
Un papa coraggioso, come papa Francesco è stretto fra due fuochi.
Se non fa nulla, come avevano fatto i suoi più diretti predecessori, la chiesa si estingue nell’irrilevanza.
Se fa la rivoluzione è difficile che possa tirarsi dietro la gran parte di un gregge già rimpicciolito e non attrezzato culturalmente per capire, che la novità, se pure rivoluzionaria, è molto più vicina al messaggio evangelico della chiesa  tradizionale, molti quindi non lo seguirebbero.
Un papa rivoluzionario, però, non potrebbe evitare di dire la verità alla gente e cioè che :
- la gran parte dei dogmi cattolici non sono mai stati in piedi e sono in larga parte stati elaborati nel corso dei secoli per essere formidabili strumenti di controllo delle coscienze e cioè  raffinati strumenti di potere e non hanno mai avuto una finalità e attinenza primaria con la presunta crescita spirituale dei credenti ;
- la bibbia non è mai stata la parola di dio, ma esegesi ed archeologia hanno da tempo dimostrato che è stata una raccolta di scritti  fatti da diversi autori in tempi diversi, assemblata a un certo momento della storia di Israele, per essere il supporto teorico alla credenza ideologica e politica  in un grande regno temporale.
Questo non toglie il fatto che sia in parte  una raccolta di saggezza antica , utile come metafora per intraprendere un percorso di comprensione del senso della vita, e quindi senza alcuna presunzione di reale e storica rivelazione divina.
- la chiesa è una istituzione millenaria ,che forse per essere credibile ai giorni nostri ,dovrebbe alleggerirsi in modo talmente deciso, da perdere le caratteristiche di una istituzione di potere.
E il ruolo stesso della casta ecclesiastica va completamente ripensato di  fronte ad una utenza religiosa altamente secolarizzata, che non ha realmente più bisogno di alcuna mediazione culturale.
Ancora meno ha bisogno di gestori dei “sacri misteri”,  termine, questo, che notoriamente per le giovani generazioni non ha alcun significato.
E’ quindi discutibile che la casta sacerdotale possa avere ancora un senso, almeno nel mondo sempre più secolarizzato dell’occidente.
Ed allora come farebbe  un papa, se pure coraggioso,ma con il limite fra l’altro nella sua stessa età ad andare a dire queste cose alla gente, da un giorno all’altro, se queste cose le pensa o le intuisce, come è probabile.
Quanto meno, fatto salvo il drappello degli entusiasti delle vie nuove e dei preti da strada, la maggioranza  probabilmente rimarrebbe di sasso e ragionerebbe così:
va bene che una parte della colpa è nostra, perché non abbiamo preso nella chiesa le nostre responsabilità, che consisterebbero prima di tutto nello studiare con metodo critico almeno i rudimenti della teologia e della storia della chiesa.
Se lo avessimo fatto, avremmo capito da soli quello che oggi dice il papa e che oggi ci sconvolge, e cioè che questa enorme costruzione teorica di dogmi non è mai stata in piedi.
Però il fatto è che ora apprendiamo che la chiesa, fino ad oggi, ci ha raccontato in pratica una montagna di fandonie, approfittando della nostra credulità e della nostra impreparazione culturale, usando anche metodi subdoli, come la propaganda religiosa, fatta quando eravamo bambini e quindi non in grado di recepire in modo critico e consapevole ,quello che ci veniva propinato come verità assoluta.
Questo è un fatto difficile da perdonare, anche perché rappresenta un tradimento, oltre che della nostra buona fede, anche della missione originaria della chiesa, che facendo quello che ci ha fatto non ha seguito affatto il messaggio del suo fondatore e non ce lo ha tramandato nella sua nudità e semplicità, ma ce lo ha presentato, sconvolto dalle sue interpretazioni teologiche e ideologiche elaborate a fini di potere.
Questo a mio avviso sarebbe la reazione più ovvia della maggioranza dei credenti, se il papa dicesse loro la verità.
E quindi  penso che non sarebbe né realistico, né sensato ,che il papa lo facesse , perché lo seguirebbero troppo in pochi, ammesso, che non gli venisse propinato prima un caffé al cianuro, perché la diffusione della verità comporterebbe la perdita di potere, benefici, ricchezze per una casta, che si è ridotta nel tempo ma che è ancora numerosa e soprattutto potente in termini di beni e potere.
E porterebbe uno sgradito sconvolgimento nella pigrizia e nei pregiudizi di chi ha trovato finora più comodo assumere nella chiesa un atteggiamento gregario, senza dover fare la fatica di pensare in proprio.
Come ho detto e ripetuto più volte in post precedenti la testimonianza benemerita dei tanti preti di strada o anche solo dei parroci  e curati, che si spendono senza riposo  per gli altri, o la testimonianza coraggiosa dei pochi teologi, che  non si sono lasciati imbalsamare c’è ed è una grande ricchezza per la società tutta, ma se non cambia radicalmente la istituzione chiesa, rischia di rimanere una foglia di fico, che  nasconde le vergogne e non risulta efficace come testimonianza pubblica.
Cioè giova a una società, che di ricchezze spirituali ne ha ben poche di altre, ma viene offuscata dalla chiesa istituzione, che va per tutt’ altre strade.
Nelle cose umane la dialettica, la contrapposizione almeno come prima fase di ogni cambiamento è inevitabile e questa interpretazione di chiesa che danno i preti da strada deve poter essere visibile e in contrapposizione aperta con quell’ altra ufficiale e fino ad oggi largamente prevalente nella chiesa istituzionale.
Queste degnissime persone, finora, non hanno avuto il coraggio di fare rete e presentarsi apertamente come una interpretazione della chiesa diversa da quella istituzionale.
Ma dovranno farlo o la loro testimonianza rimarrà un fatto privato, una forma di filantropia come tante altre, senza incidenza sulla chiesa come comunità.
Il nuovo papa ha quindi un suo esercito, piccolo ma già visibile, non ostante abbia subito una emarginazione, durata decenni.
La  via, allora, che realisticamente potrebbe percorrere, con qualche probabilità di successo, papa Francesco potrebbe essere  proprio quella già  da lui intrapresa.
Consistente nell’evitare di affrontare frontalmente il discorso dell’ abolizione di questo o quel dogma, sia perché i dogmi da abolire sono troppi, sia perché i fedeli rimasti non sono attrezzati culturalmente per capire seriamente di cosa  si starebbe parlando, se, se ne parlasse e quindi non gli sarebbero di grande aiuto.
Questa via, magari i suoi successori potrebbero non seguirla, ma è tale da ripresentare il semplice e originario messaggio evangelico, con semplicità e coerenza, lasciando che dogmi e consuetudini bislacche, che ai tempi moderni e soprattutto presso le giovani generazioni, non hanno più corso, divengano desueti e si estinguano da soli, come capita ,del resto, negli ordinamenti giuridici degli stati, dove, se certe norme non vengono più seguite sistematicamente, né vengono più sanzionate, in pratica è come se non esistessero più e vengono considerate decadute.
Forse ,a questo  punto,questa è l’unica strada realmente praticabile.
Per questo percorso la gente potrebbe seguirlo.




venerdì 3 gennaio 2014

Cercasi qualcuno capace di mettere in riga caste lobby e corporazioni Che sia un leader, ma non un duce




E’ inutile negarlo il fascismo non è stato un goccia d’acqua passeggera, ma è stato un qualcosa che ha toccato profondamente le coscienze collettive, ha modificato la storia e vi si è inserito in modo pressoché permanete, proprio perché ha richiamato una serie di sensibilità e di acquisizioni presenti profondamente nella storia d’Italia.
Siamo la bellezza di sessantanove anni dalla caduta di quel regime, ma ancora ne subiamo le conseguenze.
Per esempio, nei giorni scorsi, sulla stampa si è sviluppata una polemica proprio a proposito di un articolo di Eugenio Scalari, critico sul personaggio Renzi, che argomentava sulla maledizione tutta italiana per la quale si ha necessità assoluta di trovare un leader politico adeguato, ma si ha contemporaneamente una maledetta paura di ritrovarsi con un uomo solo al comando.
Distinguere fra leader e duce in Italia riesce ancora difficile.
Siamo nel periodo di un ritorno di interesse e di studi su uno dei fari della nostra cultura : Niccolò Macchiavelli.
Diversi politologi, interrogati inevitabilmente sull’argomento, hanno correttamente risposto che la qualità fondamentale del Principe, per quel nostro grande, era stata individuata nella capacità di pensare a un futuro, di avere un progetto a lungo periodo.
E’ antipatico ricorrere all’inglese, ma il termine  “vision” è perfettamente confacente.
Kennedy, Mandela, due personaggi dei quali si è tanto parlato di recente, avevano indiscutibilmente una vision ed è questa che li ha messi sul piedestallo della storia, hanno avuto un grande progetto, che ha ispirato la loro azione.
Non hanno rincorso gli eventi per conservare il potere, ma sono stati loro a creare gli eventi.
L’Italia ha passato vent’anni, ma molti dicono addirittura cinquant’anni, senza fare nulla, se non subire gli eventi e cercare di galleggiare.
Il timoniere sulla barca non c’era e se c’era nessuno se ne è accorto.
Cioè se aveva un programma a lungo periodo, e di questo è lecito dubitare, ha completamente fallito nel realizzarlo.
Ora dopo tanto tempo passato fra melma e palude si vorrebbe tornare su un terreno solido e rimettersi a camminare, per poi, possibilmente, fare anche qualche corsetta, come si aveva fatto per esempio negli anni sessanta.
Dopo tanti anni nella melma, è chiaro che di fango da spalare ce n’è una bella quantità.
Ma per sapere cosa fare non è necessario insediare una commissione di studio : occorre fare quello che dovevamo fare cinquant’anni fa e non abbiamo mai fatto.
E’ inutile tirare in ballo continuamente alchimie di leggi elettorali particolari o di riforme costituzionali, che risolverebbero tutto.
Tutti ricordiamo che Berlusconi era stato eletto a furor di popolo con una maggioranza parlamentare strabocchevole e non ha combinato assolutamente nulla, non ha riformato assolutamente nulla, non ha fatto assolutamente nulla né di liberale né di socialista.
Ha fatto e bene gli affari propri, nel senso che è arrivato al potere con le sue industrie quasi in bancarotta per il peso dei debiti, e se ne è andato seduto su una montagna di milioni.
E’ quindi inutile gingillarsi ricorrendo riforme istituzionali per dare più potere al capo del governo se poi il capo del governo non riesce o non vuole comandare per realizzare il bene comune.
Finita, ma fuori tempo massimo, l’infatuazione per Berlusconi, ora pare che siamo all’infatuazione per il sindaco di Firenze.
Giovane, simpatico,moderno e con un tocco di classe, come sola può dare la fama di una  città d’arte meravigliosa come Firenze.
Rispetto a Berlusconi, indiscutibilmente un bel passo avanti.
Ma anche Berlusconi nel ’94 era sembrato a molti l’uomo adeguato a portarci fuori dalla palude ed è finita come è finita, in questo caso, letteralmente, in un vistoso e imbarazzante bordello, che ha fatto ridere di noi il mondo intero.
Renzi, però, è stato incoronato dalle primarie del PD.
Ha cioè ricevuto una investitura popolare di tutto rispetto, ma ancora parziale, cioè le elezioni politiche deve ancora vincerle, quando la coalizione delle caste, delle lobby e delle  corporazioni, che non vuole cambiare nulla, si degnerà di lasciargliele fare.
Fino ad allora si troverà a comandare su un apparato di partito, con relativi gruppi parlamentari, che ha già fatto fuori, come uno schiacciasassi, personaggi del calibro di un Prodi.
E poi, per avere il livello adeguato di consensi per governare veramente, deve o recuperare alle elezioni politiche gran parte del suo elettorato, che ha abbandonato un PD screditato per voltarsi su Grillo e i 5Stelle, oppure riuscire a convincere i medesimi 5Stelle a entrare in coalizione con lui.
Due cose tutte e due di difficile realizzazione anche se non impossibili.
Poi deve dimostrare di avere veramente una vision, un progetto definito a lunga scadenza, cosa che francamente finora non ha dimostrato di avere, essendosi sempre nascosto dietro a linee programmatiche  generiche.
Come si vede sono tutt’altro che rose e fiori.
Che possiamo fare, facciamo gli auguri, a lui, ma anche  a Grillo, perché capiscano che da soli andrebbero solo a sbattere, perché né l’uno, né l’altro ha i numeri sufficienti e se insistono nel delirio narcisistico di perseguire tutto il potere solo per sé ,non afferreranno un bel nulla e noi rimarremo ancora nella palude.