mercoledì 27 febbraio 2019








Non riesco a immaginare un nostro simile che non sia altamente curioso del futuro cioè in parole povere curioso di sapere come andrà a finire.
E questa è la ragione per la quale dopo aver letto il libro di Kaplan sull’intelligenza artificiale, del quale ci siamo occupati nel post precedente, ho subito affrontato questo libro di Rees.
Martim Rees è un cosmologo qualificato al massimo livello accademico e reputazionale,membro della Camera dei Lords e della Royal Society, che vive guarda caso a Cambridge, ma il suo modo di scrivere di scienza non è certo quello di un parruccone, al contrario sa farsi capire benissimo dai non addetti ai lavori.

Il libro di cui stiamo parlando, vedo dall’ultima di copertina che è stato recensito come “una visione affascinante del nostro futuro sulla terra e nello spazio” niente di meno che da Elon Musk il fondatore tra l’altro di Tesla che è divenuto ormai forse l’immagine più iconica di un geniaccio che vive nel futuro.
Quindi ci possiamo fidare che il tempo speso per leggere questo libro sarà speso bene.
Mentre Kaplan aveva esordito facendoci intravvedere da subito l’incredibile rivoluzione che gli sviluppi dell’intelligenza artificiale stanno portando nel nostro mondo e nelle nostre vite e quelli che credevamo solo da fantascienza, ma che sono già dietro l’angolo, Rees la prende più di lato, come se avesse il timore di spaventare il lettore.

Inizia facendo un elenco dei pericoli e degli annessi rischi che l’umanità corre attualmente, come dire : non fate l’errore di terrorizzarvi perché il domani sarà diversissimo dall’oggi, perché in realtà il mondo è oggi minacciato da una serie di situazioni che non governiamo abbastanza, questi sono i rischi veri e incombenti, molto meno pericolose sono le novità che ci porterà un futuro ormai prossimo, novità che saranno invece per noi più opportunità che pericoli.
E ci elenca il fatto che abbiamo vissuto per decenni in un equilibrio del terrore chiamato guerra fredda, che è rimasta fredda, ma che poteva degenerare in qualsiasi momento con conseguenze catastrofiche essendo stati i razzi intercontinentali delle due superpotenze armati da testate atomiche.
Oggi a seguito di una serie di accordi internazionali il livello di armamenti delle ex potenze contrapposte è diminuito addirittura di cinque volte ci dice Rees, ma attenti a non ripetere gli errori del passato.
La vera bomba atomica di oggi che non stiamo contenendo a sufficienza secondo l’Autore è la degenerazione del clima.
La concentrazione del CO2 dovuto per la maggior parte dall’uso di carburanti fossili causa l’effetto serrra, cioè forma come una coperta nell’atmosfera che trattiene il calore.
Le conseguenze sono note e la più eclatante è l’innalzamento del livello dei mari, con lo scioglimento dei ghiacci polari.
Un’altra piaga dei nostri tempi è la bomba demografica che rischia di andare fuori controllo, creando fame in vaste aree del mondo e spingendo a migrazioni bibliche con conseguenti contraccolpi sulla stabilità sociale e politica che conosciamo bene nel nostro paese.
I rimedi ci sarebbero già perché fortunatamente sono state sviluppate diverse fonti per creare energia pulita dal solare all’eolico al miglioramento delle capacità di stoccaggio delle batterie, al geotermico allo sfruttamento del movimento delle onde e delle maree, al possibile uso dell’idrogeno come fonte di energia ai tentativi di governare la fusione nucleare.
Fra i possibili pericoli catastrofici l’autore cita anche l’eventualità che si verifichi una collisione di un asteroide con il nostro pianeta, ma ci rincuora dicendo che è possibile fare previsioni per tempo e che nel caso peggiore abbiamo ormai la tecnologia per far deviare un corpo celeste che ci minacciasse.

Detto questo Rees passa a parlare del futuro vero e proprio, cioè quello che ci porterà lo sviluppo delle scienze e delle tecnologie già in atto.
Come aveva fatto anche Kaplan nel libro sopra citato,Rees esordisce sottolineando la nostra naturale difficoltà a superare pregiudizi e abitudini mentali cristallizzate nel nostro sviluppo culturale e prima di tutto il tabù di affrontare mutamenti ritenuti erroneamente “contro natura”, che è una nozione culturale-filosofica e non scientifica.
Questa nozione falsamente scientifica aveva posto delle difficoltà psicologiche più che etiche alle vaccinazioni, ai trapianti di organi, alla ricerca sugli embrioni e sulle cellule staminali.
Rees dice ad esempio che gli americani hanno consumato per decenni tonnellate di cibi OGM senza che si sia mai manifestato il minimo problema di salute, ma sopratutto in Europa continua il pregiudizio contrario agli OGM, quando l’uso dell’ingegneria genetica alla base degli OGM stessi è un formidabile strumento per prevenire malattie.
Così la fertilizzazione in vitro, così la travagliata marcia in avanti del diritto di decidere sul fine vita, legalizzando l’eutanasia a determinate condizioni.
Filosoficamente contro natura sarebbe anche l’impiego di organi di animali per trapianti umani o il nuovo promettente settore della creazione in vitro di tessuti di carne artificiale che tramite le stampanti 3D potrebbe essere modulata in modo da sostituire organi malati.
In futuro dice Rees si svilupperà ancora di più la spinta ad allungare le aspettative di vita tanto che sembra incredibile il fatto che molti si sottomettono a spese considerevoli per fare surgelare il proprio corpo pensando di potere riutilizzarlo in un futuro nel quale prevedono evidentemente strabilianti progressi.

Il capitolo centrale dell’opera tratta di cibertecnologia, robotica e intelligenza artificiale e quindi arriva al cuore del problema.
Rees constata che gli smartphone nati solo nel 2007 in sostituzione dei cellulari sono stati l’esempio della più rapida penetrazione della tecnologia nella vita umana che si ricordi comportando un arricchimento sensazionale.
Uno degli aspetti più positivi di una tale rivoluzione sta nel fatto che offrono anche alle popolazioni più povere l’opportunità di passare da condizioni di vita da medioevo alla modernità più evoluta, saltando a piè pari tutti i passaggi intermedi.
Fa una certa impressione a noi italiani pure abituati a fruire di uno dei sistemi di welfare più evoluti al mondo sapere che anche l’analfabeta contadino di un povero villaggio indiano dispone di una carta di identità digitale colla quale accedere al ben più limitato sistema di welfare dell’India senza dovere scervellarsi per procurarsi il macchinoso PIN della nostra Inps essendo la sua carta dotata di
un sistema di riconoscimento dell’impronta digitale o addirittura facciale.
Quanto all’intelligenza artificiale anche Rees mette subito le cose in chiaro affermando che le “macchine” riescono a fare meglio degli umani attraverso la loro abilità di trattare masse enormi di dati e di usufruire di una velocità di elaborazione molto superiori alla nostra.

Anche Rees quindi sfata la favola secondo la quale le macchine non riusciranno mai a fare quello che fa l’uomo o che la macchina farebbe solo un programma senza raggiungere alcun grado di autonomia e di autonomo miglioramento, andando quindi oltre a quello che l’operatore “le ha messo dentro”.
Come Kaplan anche Rees non si nasconde la difficoltà di “controllare” macchine che diventeranno più o meno autonome.
Tratta quindi il tema spinoso della possibile distruzione di posti di lavoro sia nella manifattura che nella distribuzione dei beni, che andrà di pari passo allo sviluppo dell’intelligenza artificiale e della robotica,
Ma anche ai livelli più elevati di competenza , dal lavoro legale alla diagnostica medica e persino nella chirurgia, come nei lavori di contabilità più o meno complessa.
Arriviamo quindi a uno degli aspetti che più colpiscono la fantasia : la macchina che si autoguida dove la tecnologia ha quasi risolto ogni problema, ma il vero ostacolo sono gli ingenti investimenti che l’impiego di quest’auto richiederebbe.
Poi c’è alla base un problema psicologico che impone un grado di sicurezza a tutta prova, ma dice Rees, pensate a come sono andate le cose nell’aviazione civile dove il livello di probabilità di incidenti è ridotto quasi a zero ed il lavoro è per la gran parte fatto in automatico.
Pensiamo poi al ruolo che avranno i droni nello spostamento e nella consegna dei beni,
Venendo ai robot Rees sottolinea il ruolo che avranno queste “macchine” umanizzate nella parte di mondo più sviluppato in costante invecchiamento nel campo del caregiving oggi sobbarcato dalle badanti.
Ci sono poi mansioni di giardinieri e custodi che potranno essere effettuate da robot.
Il tutto ovviamente oltre all’impiego ormai già parecchio sviluppato nell’automazione applicata nella meccanica.

Inevitabilmente secondo Rees la riduzione dei posti di lavoro per gli umani comporterà di mettere mano a riduzioni anche forti dell’orario di lavoro.
Si apriranno quindi costumi di vita più aperti alle arti ed all’educazione permanente.
Il forte incremento delle tecniche di comunicazione fino alla teleconferenza avrà delle conseguenze ad esempio renderà meno necessari spostamenti non di piacere.
Comporterà anche però il fatto che gli abitanti della parte più povera del mondo essendo in grado di vedere bene come si vive dove si sta molto meglio che da loro, saranno incentivati a tentare di spostarsi con tutto ciò che ne deriva, tenendo anche conto del fatto che la estrema facilità di rimanere in contatto con qualsiasi parte del mondo e quindi nel casi dei migranti rimanere in contatto costante con i loro paesi di origine, non favorisce l’integrazione con i nuovi vicini.
Tutto bello, ma si potranno anche costruire robot-killer e questo è un guaio che dovrebbe essere affrontato con trattati internazionali come quelli che hanno messo al bando le armi chimiche e biologiche

Non c’è solo il problema del “controllo” delle macchine con intelligenza artificiale capace di apprendere autonomamente, ci sarà un problema ancora più eclatante da risolvere che è questo :
quando potremo aumentare la potenza delle nostre menti con impianti elettronici, ci metteremo nella condizione di “scaricare” il contenuto della nostra mente cioè pensieri e memoria in supporti elettronici.
A questo punto sorgerà il problema : ma quell’io tecnologicamente modificato ed aumentato sarò ancora io, cioè sarà ancora la mia persona?
Siamo arrivati a dover introdurre un concetto che è proprio della filosofia e non della scienza, ma a questo punto non si può farne a meno.
Rees va oltre e dice , se si può fare un clone allora si possono fare anche diversi cloni e allora?
E allora siamo impreparati a confrontarci con tali problemi.

A questo punto Rees introduce un altro ed ancor più preoccupante elemento di possibile criticità del nostro mondo affidato all’elettronica quando si chiede : e se intervenisse un micidiale black out tale da toglierci l’elettricità che succederebbe?
In poco tempo le città diverrebbero ingovernabili ed in preda al caos, del resto la storia non ci nasconde il fatto che in passato è successo più volte che alcune civiltà si sono estinte.
Nel capitolo successivo Rees tratta il problema altamente affascinante dal titolo : l’umanità in una prospettiva cosmica, introducendo l’argomento dell’esplorazione spaziale.
Per inquadrare lo stato dell’arte l’Autore ci ricorda che la sonda cosmica Voyager sta navigando da ben 40 anni e si trova ai margini del sistema solare con la prospettiva di dovere viaggiare ancora per decine di migliaia di anni per raggiungere la stella più vicina.
Questo da l’idea dell’immensità dell’universo e di quanto noi umani (lo dico io non Rees) siamo niente di più che piccole formichine, come diceva Margherita Hack.
Siamo piccole formichine che però sono fatte delle stesse sostanze che compongono il resto dell’universo e siamo compartecipi della medesima storia che risale a 5 miliardi di anni fa
e quindi ne siamo parte a pieno titolo.

La nostra galassia, la Via Lattea che contiene più di cento miliardi di stelle, che tutte orbitano intorno a un unico hub al cui centro è posizionato un imponente buco nero.
E la nostra è solo una delle cento miliardi di galassie visibili tramite i telescopi.
Noi abbiamo intercettato l’eco del big bang avvenuto 13,8 miliardi di anni fa, quando nacque l’universo.
Rees giustamente cita “la corsa allo spazio” culminata nello sbarco di umani sulla Luna come un avvenimento grandioso ma che per le giovani generazioni fa parte della storia come le piramidi degli Egizi.
L’Autore infatti come la gran parte dei “futurologhi” ritiene che quella stagione sia finita nel senso che oggi abbiamo l’opportunità di esplorare lo spazio senza fare correre agli umani alcun rischio impiegando flotte di strumenti robotici e telescopi inviati nello spazio.
Rees arriva a dire che per ottimizzare i costi e rendere la via dell’esplorazione sistematica è tecnicamente possibile costruire un “ascensore spaziale” in fibra di carbonio della lunghezza di 30.000 kilometri, ancorato sulla Terra fino ad arrivare ad un’orbita geo-stazionaria.
L’Autore spiega bene la propria filosofia in proposito quando dice che è una pericolosa illusione pensare di lasciare andare a ramengo la terra perché in futuro sarebbe possibile emigrare su Marte, i problemi della Terra devono essere affrontati e risolti sulla Terra.
E arriviamo alla domanda più affascinante che ci possiamo porre sul futuro e le sue prospettive : andiamo verso una era post-umana?.

Ci può essere una transizione verso intelligenze pienamente inorganiche con il vantaggio che intelligenze inorganiche non necessitano di una atmosfera.
Come Kaplan anche Rees si chiede se queste intelligenze non organiche sono tali da raggiungere il livello di auto-coscienza e sopratutto se questo deve suscitare in noi la reazione come fosse una minaccia.
Rees risponde che non ci sarebbe ragione perché non dovessimo vedere benevolmente la prospettiva di una loro futura egemonia , aggiungo io tenendo conto del fatto che noi li avremmo “creati”.
Con delicatezza Rees ricorda che queste entità fra le altre cose sarebbero di fatto praticamente immortali e trascenderebbero di molto i nostri limiti.
E se nell’universo non fossimo soli?
Possibile, ma se così fosse è più probabile che gli “alieni” non siano affatto esseri biologici ma metallici ed elettronici, ma sempre fatti degli stessi atomi coi quali siamo fatti noi condividendo non noi la medesima consistenza del medesimo universo.

Gli atomi ubbidiscono alle stesse leggi nelle più lontane galassie come nei nostri laboratori.
L’Autore insiste nel cercare di mitigare il senso di smarrimento che ci provoca il solo pensiero dell’immensità dello spazio sottolineando il fatto che anche le stelle e le galassie più lontane per quanto irraggiungibili dagli umani stante il limite invalicabile della velocità della luce sono fatte della nostra stessa pasta, non biologica evidentemente ma a livello atomico.
Fantastiche anche le speculazioni finali del libro quando Rees introduce il discorso degli sviluppi possibili nel futuro della scienza e la “teoria del tutto” che è ancora la fuori ad aspettare.
Rees ci fa pensare al fatto che un passo decisivo nella più piena comprensione del mondo potrebbe consistere nello studio della entità più semplice di tutte “il mero spazio vuoto” che potrebbe avere anche una ricca trama a una scala di miliardi di miliardi più piccola di un atomo.
In conclusione Rees ci ha affidato un ottimo saggio su una delle materie più affascinanti che ci siano, leggibile con un minimo di impegno anche da parte di chi non ha una preparazione specifica.

venerdì 22 febbraio 2019

Jerry Kaplan artificial intelligence what everyone needs to know





Cofondatore di quattro startups nella Silicon Valley, Jerry Kaplan insegna a Stanford nel dipartimento di Computer Science.
Ha scritto questo libro con intento apertamente divulgativo.
L’autore ha chiaramente tutti i titoli per essere ritenuto un autorevole addetto ai lavori e con queste credenziali che ha saputo trattare una materia difficile e complessa con notevole equilibrio, cosa che non guasta affatto se si pensa che un conto è fare un bilancio dello stato dell’arte, un’altro è sulla base dell’esperienza e delle proprie conoscenze, avventurarsi là dove la curiosità del lettore di un libro del genere è massima, e quindi non aver paura di aprirsi al campo opinabile per natura delle verosimili previsioni circa i progressi di questa materia in un futuro prossimo.

L’argomento, vale la pena di ripeterlo è difficile perché quasi da subito chi lo tratta è costretto a sfatare alcune convinzioni diffusissime, che però il progresso intervenuto nel perfezionamento dell’intelligenza artificiale ha fatto saltare già allo stato attuale.
Tanto per chiarirci le idee ,è’ difficile e impopolare andare a dire alla gente dopo due millenni di cultura cristiana volta a presentare l’uomo come creatura decaduta fin che si vuole ma chiamata a un destino ultra-umano da semi-dio, che i computer sono già oggi in grado di superare in modo vistoso i limiti dell’intelligenza umana, sia sul piano computazionale che su quello della capacità di memoria per non dire della velocità nei processi.
L’autore ne è ben conscio e di conseguenza cerca di presentare con delicatezza queste verità scomode.
Questo atteggiamento del nostro autore ,mi ha fatto tornare alla mente il tormento interiore del forse più grande naturalista che è stato Darwin ,che ogniqualvolta si trovava ad aver dimostrato delle verità scomodissime per la visione del mondo dei suoi contemporanei si chiedeva in cuor suo : ma adesso come faccio ad andare a dire a mia moglie (che conosceva come fermissima in convinzioni religiose tradizionaliste prese alla lettera) che quelli della Bibbia non sono niente di più che delle belle narrazioni?

Kaplan non teme di porsi anche la domanda delle domande : è verosimile ipotizzare che in un futuro non lontano l’intelligenza artificiale arrivi a sviluppi così clamorosi da rendere possibile l’esistenza di una super-umanità di intelletto superiore per quanto derivato dal nostro dotata non di un corpo biologico, ma di una struttura tecnica?
L’autore sembra non escludere che gli sviluppi dell’intelligenza artificiale siano destinati ad arrivare ben oltre i limiti umani attuali, ma riesce elegantemente a bypassare una risposta che se positiva potrebbe essere sconvolgente per chi non è preparato a confrontarsi con scenari che comunemente si ritengono solo da fantascienza, evitando di rispondere con un sì o con un nò, ma cercando di fare un discorso più articolato che è questo.

Arrivare a tanto è possibile e forse è anche verosimile, ma a quel punto non è sensato vedere una situazione di contrapposizione di robot super-evoluti contro umani, perché noi umani abbiamo tutti i mezzi per controllare una possibile evoluzione della nostra specie anche in una super umanità con intelligenza artificiale capace di auto migliorarsi continuamente nelle prestazioni anche probabilmente su un supporto non più biologico , e quindi bisogna prendere atto di dove è possibile che arrivi l’evoluzione della scienza e della tecnologia attrezzandoci per tempo anche culturalmente e psicologicamente.
In pratica cominciando a pensare a delle procedure che dovranno essere necessariamente gestite da organi sovranazionali, atte ad evitare di darci la zappa sui piedi, perché sono enormi le opportunità di una tale evoluzione, ma sono anche in gioco possibili rischi di non poco conto.
Ho fatto probabilmente una cosa scorretta anticipando la parte più controversa circa i possibili sviluppi dell’intelligenza artificiale, ma l’ho fatto per far capire che la validità del libro a mio parere sta in tutto il resto, cioè nella capacità dell’autore di presentare in modo analitico come si diceva all’inizio lo stato dell’arte che è già oggi molto oltre quello che comunemente si è portati a ritenere.
Veniamo dunque a parlare di questo.

L’autore a mio parere molto opportunamente esordisce assestando un colpo micidiale alle nostre pigrizie intellettuali che per rassicurarci tendono a riempirci la testa di pregiudizi atti a rassicurarci e prendendo il toro per la coda dice l’indicibile che è questo : guardate che la massima condivisa dalla nostra visione del mondo che recita la presunta verità secondo la quale i computer possono fare solo quello che il programmatore ha immesso nel software è una gran balla, perché già oggi le cose non stanno più così.
Nel senso che già oggi i sistemi hanno acquisito un grado di autonomia che diventa sempre più elevato perché tecnicamente “apprendono” dalla loro esperienza la capacità di fare cose che il loro programmatore non ha affatto inserito nel programma, proprio perché questi sistemi sono predisposti apposta per auto-apprendere e migliorarsi.
Questo significa che queste macchine sono capaci di un pensiero indipendente al quale possono seguire azioni indipendenti?
Diverrebbero allora responsabili delle loro azioni indipendenti dagli umani, che le hanno materialmente messe insieme?
Finiscono per acquistare allora una forma di autocoscienza?

E infine viene la domanda più sconvolgente che è questa : se divenisse tecnicamente possibile “caricare” la nostra mente in un supporto esterno non biologico, cioè diciamo in una macchina, questa nuova entità sarebbe ancora la nostra persona?
Mi scuso del fatto che ho citato le domande base non curandomi di farne una traduzione accurata,
Kaplan usa volutamente termini generici, ma in un campo così delicato la traduzione rischia di diventare un tradimento del pensiero dell’autore.
In questo campo inevitabilmente si alternano concetti scientifici con concetti propri della filosofia e per la verità Kaplan non usa il termine persona, che ho usato io perché mi sembra che chiarisca meglio il concetto.

Ma non è finita, viene affacciato anche un ulteriore scorcio di futuro che sembra da fantascienza quando si accenna alla possibilità che i progressi nelle neuroscienze uniti a quelli nella intelligenza artificiale arriveranno a consentire di comunicare “leggendo nel pensiero altrui” e addio privacy.
Molto opportunamente Kaplan a questo punto invita il lettore a riflettere sul radicale cambiamento che la nostra civilizzazione ha portato a compimento nel nostro atteggiamento verso per esempio gli schiavi, le donne, i disabili, gli animali stessi.
Dovremo attrezzarci diciamo per un aggiornamento radicale del nostro modo di vedere, come del resto la nostra specie ha fatto più volte nella storia e questo è uno dei suoi punti di forza.
Kaplan conclude dicendo che come modellare il nostro futuro dipende da noi.

Nella trattazione analitica dell’argomento l’autore esordisce elencando i campi nei quali già oggi i computer compiono operazioni che sorpassano clamorosamente le facoltà umane, nella computazione, nella capacità di stoccaggio dati,nella velocità dei processi.
Questo è indubitabile, ma se questo vuol dire che i computer stanno diventando “più intelligenti”in senso umano è il caso che ci allarmiamo?
Kaplan con sottile ironia dice : ma c’è qualcuno di noi che si sente leso nella propria dignità perché ci ritroviamo nelle mani un aggeggino come lo smartphone divenuto strapotente, che mette insieme tecnologie diverse capace con una particolare app. di fare cose che noi non siamo capaci di fare?
Kaplan descrive le varie fasi nelle quali è passata l’elaborazione scientifica dell’intelligenza artificiale partendo dal concetto fondamentale di capacità di automigliorarsi.
Mette in evidenza il fatto che per passare da un processo lineare di elaborazione di dati a un pensiero creativo è necessario introdurre una parte di controllata causalità.
Ad esempio l’autore cita alcuni dei primi esperimenti di automobile autoguidante come quello quando davanti alla macchina si mise una sedia come ostacolo e la macchina si fermò come se stesse “pensando” cosa fare dopo essersi fermata, siamo nei primi anni ‘70 e da allora se ne è fatta di strada.
Cita poi i sistemi per ascoltare domande a voce con capacità di rispondere sempre a voce.
E qui siamo tutti testimoni di un progresso avvenuto in tempi incredibilmente rapidi per arrivare all’Alexa di Amazon,assistenza e riconoscimento vocale per la domotica e per puro e semplice intrattenimento, al software di assistenza e riconoscimento vocale Cortana di Microsoft, al Siri di Apple, al comando “ok Google”, non è fantascienza sono cose che oramai usiamo in moltisimi più volte al giorno.
Se tanto ci da tanto chissà dove si potrà arrivare!a
E quanto l’intelligenza artificiale arriva a impadronirsi si sistemi simbolici per lavorare arriviamo a qualcosa che solo all’esterno può apparire automazione, ma che in realtà ha in sé elementi di vera e propria intelligenza.
Siamo al computer che gioca contro un umano e regolarmente lo batte perché è dotato di capacità largamente superiori; al navigatore Gps; ai robot che prendono la merce stoccata, la sistemano in pacchi e li mettono sul camion.
L'autore cita poi quella che appare come una delle applicazioni che più colpiscono la nostra fantasia che è quella di impiegare congegni e robot intelligenti per l'esplorazione dello spazio.
Non si rischiano vite umane e si ottengono praticamente gli stessi risultati.
Ma come si è arrivati a trasmettere all'intelligenza artificiale la capacità di "apprendere" ?
Introducendo l’approccio al ragionamento “Euristico” che secondo Wikipedia è “un metodo di arrivare alla soluzione dei problemi che non segue un chiaro percorso, ma che si affida all'intuito e allo stato temporaneo delle circostanze, al fine di generare nuova conoscenza” è usato dall’intelligenza artificiale per risolvere problemi nel modo più efficace e veloce in una infinità di campi.

Può una macchina imparare? Si chiede Kaplan, che risponde certamente, usando gli stessi procedimenti che usiamo noi servendoci dell’esperienza e della pratica, elaborando l’insieme di dati che abbiamo acquisiti.
Non basta la capacità di stoccare, bisogna saper catalogare con certi criteri e trarre dall’esame dei dati certe deduzioni in base a una serie di filtri successivi, di analogie, di ripetizioni eccetera.
I nostri professori ci dicevano, non basta ripetere le lezioni come delle oche, bisogna dimostrare di avere afferrato certi concetti e saper fare dei collegamenti, stabilire delle gerarchie.
I nostri professori non conoscevano ancora le acquisizioni delle neuroscienze, ma ci andavano vicini, bisogna fare come fanno i neuroni con le sinapsi, i collegamenti sono fondamentali.
L’intelligenza artificiale segue gli stessi schemi e quindi si autoalimenta, cioè “impara” e siccome sa processare una enormità di dati più di noi ed a una velocità impensabile per noi, ci batte.
Ed allora spaventiamoci? Ma non sarebbe più sensato invece di spaventarci approfittarne allargando a dismisura le nostre facoltà?
E’ quello che stiamo facendo.

Cioè non c’è da spaventarsi perché “loro” sono di fatto più intelligenti e capaci di noi, ma c’è da adattarsi anche psicologicamente al fatto che l’intelligenza artificiale arrivata a come è allo stato dell’arte sta cambiando in modo radicale il mercato del lavoro.
Alcuni esempi.
Nel campo delle professioni forensi quanti documenti cartacei inerenti a un processo deve consultare un avvocato, quante sentenze eccetera eccetera.
Non c’è confronto intelligenza artificiale e big data avranno partita vinta.
Nel campo medicale è fuori discussione che fare giudicare un caso clinico a una entità in grado di confrontare una montagna di casi clinici simili consente di avere un enorme vantaggio competitivo rispetto al singolo medico.
Sistemi di identificazione delle immagini, è evidente che la possibilità di ricorrere ad archivi immensi confrontando dati a tutta velocità apre nuovi scenari.
Leggere documenti scritti e tradurli immediatamente in qualsiasi lingua è già praticamente possibile con un livello di accuratezza accettabile.
Kaplan riporta a proposito di obsolescenza di vecchi lavori una autorevole ricerca in base alla quale il 47% dei lavori attuali sono a rischio automazione e un ulteriore 19% sono a medio rischio.
Ma consoliamoci ci dice anche Kaplan, pensiamo al fatto che tutti, praticamente tutti gli umani per millenni hanno lavorato e vissuto in agricoltura ed ora in quel campo ci lavora si e no il 2% della forza lavoro.
Il problemino per noi è che quella rivoluzione in passato si è attuata spalmata sui tempi lunghi mentre questa moderna è ormai alle porte e noi non siamo molto ben disposti a sorbirci ulteriori rivoluzioni in tempi stretti.