Penso di non essere
il solo ad averne piene le tasche dei buonismi e del politicamente
corretto alla Boldrini e C. secondo i quali la stragrande
maggioranza dei musulmani da noi sarebbero “moderati” e quindi
buoni e che i terroristi assatanati non c’entrerebbero nulla con
la religione che professano.
Ma non è perché
sono diventato razzista o fascista, ma semplicemente l’assunto
sopra riportato costituisce un inganno micidiale, in quanto se è
vero che la gran parte dei musulmani da noi magari non vanno nemmeno
in moschea, sono tiepidi e non sono determinati a uccidersi per
ucciderci,
tuttavia
sarebbe ora di dire chiaro e tondo che col cavolo la loro è una
religione di pace, e col cavolo vengano loro trasmesse
dottrine in contrasto con quelle che hanno “radicalizzato” i
Jihadisti.
Chi per esempio c’ha
messo i soldi per costruire la grande moschea di Roma con annesso
centro islamico,universalmente indicato come il campione dell’Islam
moderato in Italia?
Non è delle volte
quell’Arabia Saudita che proclama come religione di stato l’Islam
Wahabita che ha prodotto Bin Laden e seguaci fino al sedicente
Califfo Al Bagdadi ed all’attuale “califfato virtuale” dato che
Al Bagdadi è dato per morto?
Chi ci mette i soldi
per tenere in piede la rete probabilmente maggioritaria in Italia di
islamici affiliati ai “Fratelli musulmani”?
Non sarà mica quel
Quatar, che i fratelli coltelli sauditi stanno ora ricoprendo delle
ingiurie più pesanti, perché ne temono la concorrenza, tirandosi
dietro quel penoso presidente americano,
che non sa neanche
più come si chiama?
Fortunatamente se ci
sono i buonisti a prescindere, ci sono anche coloro che sanno di cosa
parlano quando trattano di Islam e di Isis.
Inutile dire che mi
ha fatto godere l’intervista al notissimo giornalista e scrittore
spagnolo Perez Reverte, quando questi, che il Medio Oriente se lo è
fatto tutto come corrispondente per anni e anni
dichiara apertamente
di essersi convinto che l’Islam è culturalmente incompatibile con
la democrazia e che da qui bisogna partire quando si parla di
accoglienza.
Reverte dice
che degli immigrati abbiamo e avremo bisogno per ragioni
demografiche, ma che la loro permanenza è subordinata
all’accettazione dimostrata dei nostri principi, usi, cultura,
diversamente fuori.
Lo stesso scrittore
porta una sua esperienza interessante maturata nell’Iran di
Komeini, dove la maggioranza della gente gli risultava sì
“moderata”, ma del tutto incapace di tenere la posizione, quando
nel loro ambiente entrava un integralista, perché da quel momento in
poi , quei moderati non volevano rischiare di apparire all’esterno
come “meno buoni musulmani” dell’integralista.
Questo atteggiamento
di “inferiorità” verso l’Islam integralista è la cartina di
tornasole, perché dimostra che la base culturale-teologica anche in
campo presunto “moderato” in realtà è
oscurantista-tradizionalista, e cioè moderati e integralisti in
realtà condividono gli stessi principi teologici di fondo, perché
storicamente a differenza dei cristiani i musulmani non hanno mai
sostenuto la necessità di rileggere il Corano con una analisi
critica facendo una adeguata esegesi.
Facciamo una
riflessione storica sulla nostra evoluzione di cristiani dal tempo
delle crociate e dell’inquisizione ad oggi.
Ci abbiamo
messo secoli e una marea di morti ammazzati spesso orribilmente per
toglierci dalla testa quelle idiozie che ci venivano propinate come
verità di fede.
Non sarà né
semplice né facile l’evoluzione degli islamici verso la modernità
, il pensiero critico e il concetto di laicità dello stato.
Evitiamo però di
scivolare indietro noi e questo lo facciamo quando qualcuno di noi
pretende che ci auto-censuriamo “per non offendere gli islamici”
e finiamo per accettare più o meno tacitamente che costoro
proclamino e mettano in atto pratiche medioevali, che invece
dovrebbero trovare una nostra aperta e immediata reazione contraria.
E qui entriamo in un
discorso più delicato e sofisticato.
Perchè è
abbastanza facile dire che per difenderci dovremmo prima di tutto
sbattere fuori chi viene sorpreso a esaltare l’Isis o peggio a
preparare attentati.
Allo stesso
modo e per le stesse ovvie ragioni è facile dire che occorre al più
presto che i singoli Paesi e meglio l’Europa nel suo insieme
stabiliscano di schedare ,catturare e tenere al fresco i “forein
fighters” che inevitabilmente
torneranno in Europa dopo avere compiuto infinite efferatezze in
Iraq, Siria, Nigeria eccetera.
Magari quando si
arriverà al dunque, i buonisti faranno dei bei cortei chiedendo la
“rieducazione” dei foreign feighters da tenersi a piede libero,
ma spero che non saremo tanto idioti e codardi da dare loro retta.
Più difficile è
affrontare il discorso degli islamici divenuti cittadini italiani,
che per usare il lessico di ordinanza “si radicalizzano”.
Francamente trovo un
po’ scemo questo modo di parlare perché, come appare da quanto si
è detto sopra,sono convinto che la differenza fra l’Islam radicale
e quello “normale” “moderato” sia estremamente tenue.
Questo non significa
dire che tutti i musulmani sono terroristi, ma solo che se le basi
culturali e teologiche degli uni sono le stesse degli altri il
passaggio da fare fra i due settori è breve e temo sia concepito dal
di dentro come quello fra “credenti” tiepidi o poco osservanti a
credenti osservanti al grado più elevato, fino al martirio.
Come si vede anche
se restiamo solo sul piano dell’analisi culturale il discorso
diventa difficile e scivoloso.
Figuriamoci allora
quando un magistrato si trova costretto a fare la medesima analisi
sul piano giuridico e cioè deve stabilire quando un indiziato è
solo un estremista fondamentalista sul piano culturale-teologico e
quando invece diventa pericoloso per la società perché potrebbe
volere “immolarsi” nel gesto del Shahid, (martire) che sarà nel
giudizio divino tanto più valutato quanti più “kafir”
(infedeli) riuscirà a far fuori.
Lo scrittore
che abbiamo citato all’inizio Perez Reverte dichiara apertamente
che siamo in difficoltà su questo piano perché regole e cultura
democratica ci impediscono di reagire con decisione.
E infatti sulla base
della nostra cultura e delle nostre tradizioni democratiche ci
troveremmo le mani legate se fossimo costretti a distinguere fra
“moderati” e “fondamentalisti”, se pure aspiranti terroristi,
perché ci troveremmo chiaramente nel
campo dei deprecati “reati di opinione” e vicini al
“processo alle intenzioni”.
Purtroppo però in
questa fase storica quando il coltello alla gola sta diventando una
spiacevole possibile realtà per ciascuno di noi, siamo anche
costretti a interrogarci sul fino a che punto riteniamo di potere o
dovere rinunciare a una parte di esercizio di libertà per
assicurarci maggior sicurezza.
Discorso difficile,
antipatico, pericoloso, scivoloso, ma che va fatto, perché il collo
in pericolo è il nostro e il pericolo è reale, non è teoria.
Dulcis in
fundo va fatto il discorso del mettere alla prova una volta per tutte
le comunità islamiche che vivono nel nostro paese e negli altri
stati europei, in quanto siamo tutti nella stessa barca.
Pare che l’ideologo
dei quindici ragazzini aspiranti shahid di Barcellona fosse un imam,
del quale si conoscerebbe nome e cognome.
Il bello o il
tragico è che la comunità musulmana di appartenenza ha subito fatto
sapere ai giornali che quello stesso imam lo aveva allontanato dalla
moschea, evidentemente perché avevano scoperto che fiancheggiava il
terrorismo.
Guarda il caso però
si erano guardati bene dall’informare la polizia.
E qui ci risiamo
alla cartina di tornasole, se quando si viene al dunque e cioè alla
scoperta che uno della comunità che di riffa o di raffa fiancheggia
il terrorismo magari si ha il coraggio di allontanarlo per non
correre rischi con le autorità civili e col quartiere, ma non
lo si denuncia è perché lo si sente troppo “fratello” sul piano
teologico.
Cioè lo si vede
anche come una testa calda che può danneggiare la comunità ,ma non
si riesce a condannarlo proprio sul medesimo piano
religioso-teologico, dove anzi il fatto che aspiri ad divenire shahid
lo ammanta magari addirittura di venerazione e di ammirazione.
Qui siamo a un altro
passaggio estremamente delicato, che mette in crisi i nostri principi
e le nostre convinzioni, ma non possiamo evitare di rifletterci e di
trarne delle conclusioni.
O gli islamici di
casa nostra ci aiutano nella nostra lotta al terrore denunciando i
loro che nella comunità territoriale fanno pensare male o sarà per
noi e per loro un guaio molto serio,perchè , perché allora altro
che religione di pace, quando la lotta si fa dura si va
naturalmente all’”homo homini lupus”.
Gli “anni di
piombo”, quando non passava giorno che i giornali radio non
annunciassero un attentato delle BR con morti o feriti se andava
bene, ci hanno insegnato che il terrorismo si può batterlo se le
forze dell’ordine riescono ad organizzarsi adeguatamente
specializzandosi sulla materia, ma sopratutto se la gente sente il
dovere di collaborare.
Sono le
telefonate alla polizia per denunciare persone, movimenti sospetti,
presunti covi dei brigatisti in clandestinità che hanno battuto il
terrorismo di quegli anni.
Oggi le comunità
musulmane devono essere chiamate a fare lo stesso.
Diversamente, non
contiamoci balle buoniste, vedremo con sorpresa noi stessi o il
nostro vicino di casa mossi a prendere a calci nel didietro il
presunto islamico che passa per la strada, tanto per cominciare.
Spero che gli
islamici riescano a comprendere che evitare questo è nel loro
interesse ancora prima che nel nostro.