Lo si è detto su questo blog in diversi post precedenti, già
è complicato capirci qualcosa nella situazione della Siria, ma
certo che la Libia batte tutti i primati di caos in atto.
Homo animal politicus, diceva Aristotele, volendo significare che
siamo per natura esseri sociali, abituati a interagire fra di noi e
quindi abituati a ricercare sistemi di organizzazione sociale :
famiglia, tribù o associazioni, organizzazioni politiche.
Freghiamocene del politicamente corretto e diciamoci chiaramente che
l’uomo cerca istintivamente un capo, così come i nostri
predecessori nell’albero dell’evoluzione cercavano e cercano il
maschio Alfa da riconoscere per consentire la realizzazione della
gerarchia e organizzazione sociale.
Bene in Libia il “capo” che funzionava bene come tale, come
sappiamo, è stato fatto fuori nel 2011 dalla banda dei capetti
europei che non sapevano vedere oltre il proprio naso, con le
conseguenze che oggi sono sotto gli occhi di tutti.
Incredibilmente il nostro “capo” del momento, il tanto
vituperato (anche su questo blog) , Silvio Berlusconi in quella
occasione si era schierato dalla parte del buon senso, della
geopolitica e degli interessi nazionali italiani, difendendo Gheddafi
,col quale aveva firmato un trattato di amicizia che ad esempio sul
terreno del freno all’emigrazione era stato rispettato ed attuato
da Gheddafi a meraviglia.
Ma poi la paura di rimanere isolati nella Nato e in Europa ,hanno
convinto il pur riluttante Berlusconi ad accodarsi a Sarkosy e
compagni.
Peccato che non abbia resistito, se lo avesse fatto si sarebbe
guadagnato le mostrine da statista, ma non lo ha fatto, gli mancava
il quid purtroppo.
Ora in Libia l’Italia se guardiamo le cose seriamente
superando le nostre furie masochiste, è il paese che ha le più
lunghe radici storiche, le più ampie relazioni, il più forte
scambio commerciale e quindi è doveroso che pretenda
un ruolo di leadership, come fa la Francia nelle
adiacenti,Ciad, Mauritania eccetera, dove non si vergogna affatto di
conservare basi-fortini dei famosi legionari con altro nome, ma con
la stessa sostanza e copertura politica.
Noi in Libia abbiamo un vantaggio competitivo fuori discussione, gli
impianti Eni, perfettamente funzionanti, che consentono tra l’altro
ai Libici di non morire di fame, ma nemmeno ce lo diciamo per paura
di vederci come colonialisti nazional-fascisti.
Veramente dovremmo finirla con queste distorsioni mentali ex di
sinistra ed oggi al limite della paranoia.
In Libia oggi ci siamo per fare i nostri interessi nazionali, punto,
e se a qualcuno questo fa schifo, chi se ne frega.
Dalla presenza ininterrotta per decenni sul campo dell’Eni, traiamo
una forma di diplomazia parallela, che lungi dall’essere di
impaccio, ci è fondamentale per capire come muoversi in situazioni
che non hanno relazione con la nostra cultura e la nostra esperienza
storica di europei, e che quindi sono particolarmente difficili da
gestire.
E allora se siamo così bravi, potrebbe pensare il lettore,
perché siamo in difficoltà a farci aiutare dai Libici per frenare
questa assurda fiumana di gente che qualcuno vuole portarci
in casa al di là di ogni considerazione di buon senso, senza a
tutt’oggi alcuna reale possibilità di sbolognarne almeno una parte
ai nostri altezzosi partner europei?
Perchè paghiamo gli errori passati.
Non certo le presunte “colpe” coloniali, cancellate dallo
scorrere del tempo e finite nell’oblio.
Il problema è un altro e consiste nel fatto che il governo
italiano e quello libico avevano firmato un trattato di amicizia del
costo apparentemente salato di 6 miliardi di infrastrutture da
costruire, ma spalmato su vent’anni e con la ovvia
possibilità di far fare quei lavori a ditte nostre e quindi con un
ritorno sicuro e immediato, trattato che è stato stracciato in modo
disonorevole dalle bombe lanciate su Gheddafi, contro i nostri
interessi nazionali.
E’ ben comprensibile in politica che alla Francia stia sulle
scatole il vantaggio competitivo che noi abbiamo in Libia, ma se
fossimo stati governati in questi ultimi decenni da statisti e non da
figuranti allo sbaraglio, i nostri interessi li avremmo difesi fino
alla rottura su questo punto con gli alleati, perché è per questo
che servono i politici nelle istituzioni, per fare gli interessi
della collettività nazionale.
Dopo questo precedente coloro che in Libia quelle bombe se le
sono prese sulla testa o che comunque le hanno viste da vicino, non
c’è certo da stupirci se hanno difficoltà a prendere sul serio le
firme che siamo pronti a mettere su nuovi
accordi per fermare il flusso dei migranti ,facendo fare il
lavoro sporco ai Libici medesimi, anche perché non potremmo comunque
invadere quel paese per farlo noi direttamente.
Il primo ostacolo che qualsiasi governo italiano trova in Libia è
legato a questo passato prossimo disonorevole per noi, poiché “pacta
sunt servanda”, non sono carta straccia e quando si perde la
faccia, è difficile e lungo costruirsene una credibile.
Le altre difficoltà poi sono sul terreno e sono pesantissime in
quanto consistono nel fatto del quale abbiamo parlato all’inizio :
in Libia dalla morte di Gheddafi non c’è più stato un capo con
cui trattare.
Gheddafi purtroppo si rovinava la reputazione con quel suo modo di
fare pieno di atteggiamenti folkloristici, ma non era affatto un
cretino, se si pensa che aveva governato per quarant’anni senza
avere né un esercito né uno stato su cui contare.
L’esercito era più una milizia di pretoriani che un vero esercito
nazionale e lo stato non c’è mai stato né prima né dopo.
L’uomo aveva avuto la straordinaria abilità di tessere per quattro
decenni accordi con una rete molto composita di tribù, che sono la
vera base della società libica.
Questa è ed era la situazione reale.
Oggi Sarraj o Aftar o gli altri dieci, cento,mille capetti meno
noti, contano non è certo quanto ,solo in rapporto alla loro
capacità di guadagnarsi l’alleanza con le tribù che controllano
il territorio.
Il quadro è complicato dalle ingerenze ed alleanze con forze esterne
, ad esempio Egitto Arabia Saudita ed Emirati arabi al fianco di
Aftar con la Francia; Quatar ,Turchia ,Onu, Europa e Italia con
Serray.
Queste ingerenze ed influenze ci sono, ma non dimentichiamo che il
territorio è sempre controllato dalle tribù di riferimento e che
queste alla lunga prevalgono.
Ecco, i media tendono a banalizzare la complessità della situazione
libica mettendola come una scelta obbligata fra Sarraj e Aftar.
Questa contrapposizione c’è e conta, ma il potere dei due è
dipendente dalla variegata galassia delle
forze sul territorio che li appoggiano e che sono difficili da
valutare.
Se la vedessimo come un a partita a due, allora avremmo difficoltà a
capire perché mai l’Italia ha scelto Sarraj, che appare con
evidenza in posizione più debole rispetto ad Aftar.
Purtroppo la Libia, come la Siria è il risultato di una sequela
lunga di errori macroscopici e di doppi o tripli giochi che si sono
rimpallati fra di loro le piccole e grandi potenze.
Le potenze esterne, poi, se gli dai un po di tempo la situazione la
risolvono male a suon di bombe, ma la risolvono apparentemente.
Apparentemente perché poi il territorio chi lo controlla, finita
ufficialmente la guerra e tornati negli hangar aerei e droni
stranieri?
In Libia a rendere incomprensibile una situazione già
difficile ci ha pensato addirittura l’Onu che in modo chiamiamolo
irrituale ha fatto una scelta di campo intromettendosi al di fuori
delle sue regole più elementari nella politica interna di uno stato
dando il proprio appoggio a Sarraj invece che ad Aftar, cioè
appoggiando la Tripolitania invece che la Cirenaica.
Nessuno sa perché, con la conseguenza di rendersi con quella
scelta non più credibile alla parte soccombente e quindi rendendo di
fatto praticamente impossibile la riunificazione di quel paese, che è
l’obiettivo che formalmente l’Onu vorrebbe conseguire.
E’ stato un grosso errore ed è un bel pasticcio per chi come
l’Italia adesso deve trattare con tutti e due rendendo pubblici
solo gli incontri con l’uomo ufficiale che è Sarraj e facendo
finta di non conoscere Aftar, senza il consenso del quale qualsiasi
accordo sarebbe privo di senso pratico.
Adesso che per noi “la casa brucia” se non riusciamo a chiudere
il rubinetto dell’immigrazione almeno in parte, siamo costretti a
finirla con le idiozie buoniste a tutti costi ed a prospettarci
azioni estreme come la chiusura dei porti.
E’ chiaro però che una politica seria in materia non può
prescindere dalla collaborazione sul terreno dei libici.
Motovedette libiche che pattuglino le coste , cosa
tutt’altro che difficile perché i porti libici di imbarco sono
pochi e sono divenuti affollati come caselli di autostrada e quindi
facilmente individuabili.
E poi, campi profughi in Libia o in Tunisia, chiamiamoli pure
Hot spot se il termine inglese riesce ad attenuare l’assoluta
spiacevolezza della sostanza della cosa, dove mantenere decentemente
questa enormità di umanità sofferente, identificarli, spiegare loro
che hanno fatto la peggiore cacchiata della loro vita a vendere cose
e indebitarsi per andare dove oggi nessuno li vuole e dove per il
momento non c’è obiettivamente più posto per loro.
Dargli un po di soldi per tornare e possibilmente riportarli al loro
paese dopo avere stipulato le necessarie intese.
Per favore finiamola con piagnistei pietistici e falsi.
Usiamo in tutte le tappe di queste procedure la massima umanità
possibile ma non nascondiamoci che la riuscita o meno di tutta la
procedura è solo ed esclusivamente
questione di soldi.
Se volete una conferma andate a chiederlo a una certa Angela Merkel
che in argomento la sa lunga avendoci fatto tirare fuori 8 miliardi
di fondi europei per fare le stesse cose in Turchia, procedure che
funzionano come un orologio svizzero proprio perché ben lubrificato
da una montagna di soldi.
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