sabato 5 agosto 2017

L’Italia in Libia può fare molto ma bisogna chiarirsi quali sono gli interessi nazionali





Ho l’impressione che anche gli osservatori specialisti del settore geografico non amino troppo mettersi a parlare o scrivere sulla Libia, talmente la situazione politica e sociale di quel paese è intricata e allo sbando.

Lo si è detto su questo blog in diversi post precedenti, già è complicato capirci qualcosa nella situazione della Siria, ma certo che la Libia batte tutti i primati di caos in atto.
Homo animal politicus, diceva Aristotele, volendo significare che siamo per natura esseri sociali, abituati a interagire fra di noi e quindi abituati a ricercare sistemi di organizzazione sociale : famiglia, tribù o associazioni, organizzazioni politiche.
Freghiamocene del politicamente corretto e diciamoci chiaramente che l’uomo cerca istintivamente un capo, così come i nostri predecessori nell’albero dell’evoluzione cercavano e cercano il maschio Alfa da riconoscere per consentire la realizzazione della gerarchia e organizzazione sociale.
Bene in Libia il “capo” che funzionava bene come tale, come sappiamo, è stato fatto fuori nel 2011 dalla banda dei capetti europei che non sapevano vedere oltre il proprio naso, con le conseguenze che oggi sono sotto gli occhi di tutti.

Incredibilmente il nostro “capo” del momento, il tanto vituperato (anche su questo blog) , Silvio Berlusconi in quella occasione si era schierato dalla parte del buon senso, della geopolitica e degli interessi nazionali italiani, difendendo Gheddafi ,col quale aveva firmato un trattato di amicizia che ad esempio sul terreno del freno all’emigrazione era stato rispettato ed attuato da Gheddafi a meraviglia.
Ma poi la paura di rimanere isolati nella Nato e in Europa ,hanno convinto il pur riluttante Berlusconi ad accodarsi a Sarkosy e compagni.
Peccato che non abbia resistito, se lo avesse fatto si sarebbe guadagnato le mostrine da statista, ma non lo ha fatto, gli mancava il quid purtroppo.

Ora in Libia l’Italia se guardiamo le cose seriamente superando le nostre furie masochiste, è il paese che ha le più lunghe radici storiche, le più ampie relazioni, il più forte scambio commerciale e quindi è doveroso che pretenda un ruolo di leadership, come fa la Francia nelle adiacenti,Ciad, Mauritania eccetera, dove non si vergogna affatto di conservare basi-fortini dei famosi legionari con altro nome, ma con la stessa sostanza e copertura politica.
Noi in Libia abbiamo un vantaggio competitivo fuori discussione, gli impianti Eni, perfettamente funzionanti, che consentono tra l’altro ai Libici di non morire di fame, ma nemmeno ce lo diciamo per paura di vederci come colonialisti nazional-fascisti.
Veramente dovremmo finirla con queste distorsioni mentali ex di sinistra ed oggi al limite della paranoia.
In Libia oggi ci siamo per fare i nostri interessi nazionali, punto, e se a qualcuno questo fa schifo, chi se ne frega.
Dalla presenza ininterrotta per decenni sul campo dell’Eni, traiamo una forma di diplomazia parallela, che lungi dall’essere di impaccio, ci è fondamentale per capire come muoversi in situazioni che non hanno relazione con la nostra cultura e la nostra esperienza storica di europei, e che quindi sono particolarmente difficili da gestire.

E allora se siamo così bravi, potrebbe pensare il lettore, perché siamo in difficoltà a farci aiutare dai Libici per frenare questa assurda fiumana di gente che qualcuno vuole portarci in casa al di là di ogni considerazione di buon senso, senza a tutt’oggi alcuna reale possibilità di sbolognarne almeno una parte ai nostri altezzosi partner europei?
Perchè paghiamo gli errori passati.
Non certo le presunte “colpe” coloniali, cancellate dallo scorrere del tempo e finite nell’oblio.
Il problema è un altro e consiste nel fatto che il governo italiano e quello libico avevano firmato un trattato di amicizia del costo apparentemente salato di 6 miliardi di infrastrutture da costruire, ma spalmato su vent’anni e con la ovvia possibilità di far fare quei lavori a ditte nostre e quindi con un ritorno sicuro e immediato, trattato che è stato stracciato in modo disonorevole dalle bombe lanciate su Gheddafi, contro i nostri interessi nazionali.
E’ ben comprensibile in politica che alla Francia stia sulle scatole il vantaggio competitivo che noi abbiamo in Libia, ma se fossimo stati governati in questi ultimi decenni da statisti e non da figuranti allo sbaraglio, i nostri interessi li avremmo difesi fino alla rottura su questo punto con gli alleati, perché è per questo che servono i politici nelle istituzioni, per fare gli interessi della collettività nazionale.

Dopo questo precedente coloro che in Libia quelle bombe se le sono prese sulla testa o che comunque le hanno viste da vicino, non c’è certo da stupirci se hanno difficoltà a prendere sul serio le firme che siamo pronti a mettere su nuovi accordi per fermare il flusso dei migranti ,facendo fare il lavoro sporco ai Libici medesimi, anche perché non potremmo comunque invadere quel paese per farlo noi direttamente.
Il primo ostacolo che qualsiasi governo italiano trova in Libia è legato a questo passato prossimo disonorevole per noi, poiché “pacta sunt servanda”, non sono carta straccia e quando si perde la faccia, è difficile e lungo costruirsene una credibile.
Le altre difficoltà poi sono sul terreno e sono pesantissime in quanto consistono nel fatto del quale abbiamo parlato all’inizio : in Libia dalla morte di Gheddafi non c’è più stato un capo con cui trattare.
Gheddafi purtroppo si rovinava la reputazione con quel suo modo di fare pieno di atteggiamenti folkloristici, ma non era affatto un cretino, se si pensa che aveva governato per quarant’anni senza avere né un esercito né uno stato su cui contare.
L’esercito era più una milizia di pretoriani che un vero esercito nazionale e lo stato non c’è mai stato né prima né dopo.
L’uomo aveva avuto la straordinaria abilità di tessere per quattro decenni accordi con una rete molto composita di tribù, che sono la vera base della società libica.
Questa è ed era la situazione reale.

Oggi Sarraj o Aftar o gli altri dieci, cento,mille capetti meno noti, contano non è certo quanto ,solo in rapporto alla loro capacità di guadagnarsi l’alleanza con le tribù che controllano il territorio.
Il quadro è complicato dalle ingerenze ed alleanze con forze esterne , ad esempio Egitto Arabia Saudita ed Emirati arabi al fianco di Aftar con la Francia; Quatar ,Turchia ,Onu, Europa e Italia con Serray.
Queste ingerenze ed influenze ci sono, ma non dimentichiamo che il territorio è sempre controllato dalle tribù di riferimento e che queste alla lunga prevalgono.
Ecco, i media tendono a banalizzare la complessità della situazione libica mettendola come una scelta obbligata fra Sarraj e Aftar.
Questa contrapposizione c’è e conta, ma il potere dei due è dipendente dalla variegata galassia delle
forze sul territorio che li appoggiano e che sono difficili da valutare.
Se la vedessimo come un a partita a due, allora avremmo difficoltà a capire perché mai l’Italia ha scelto Sarraj, che appare con evidenza in posizione più debole rispetto ad Aftar.
Purtroppo la Libia, come la Siria è il risultato di una sequela lunga di errori macroscopici e di doppi o tripli giochi che si sono rimpallati fra di loro le piccole e grandi potenze.
Le potenze esterne, poi, se gli dai un po di tempo la situazione la risolvono male a suon di bombe, ma la risolvono apparentemente.
Apparentemente perché poi il territorio chi lo controlla, finita ufficialmente la guerra e tornati negli hangar aerei e droni stranieri?

In Libia a rendere incomprensibile una situazione già difficile ci ha pensato addirittura l’Onu che in modo chiamiamolo irrituale ha fatto una scelta di campo intromettendosi al di fuori delle sue regole più elementari nella politica interna di uno stato dando il proprio appoggio a Sarraj invece che ad Aftar, cioè appoggiando la Tripolitania invece che la Cirenaica.
Nessuno sa perché, con la conseguenza di rendersi con quella scelta non più credibile alla parte soccombente e quindi rendendo di fatto praticamente impossibile la riunificazione di quel paese, che è l’obiettivo che formalmente l’Onu vorrebbe conseguire.
E’ stato un grosso errore ed è un bel pasticcio per chi come l’Italia adesso deve trattare con tutti e due rendendo pubblici solo gli incontri con l’uomo ufficiale che è Sarraj e facendo finta di non conoscere Aftar, senza il consenso del quale qualsiasi accordo sarebbe privo di senso pratico.
Adesso che per noi “la casa brucia” se non riusciamo a chiudere il rubinetto dell’immigrazione almeno in parte, siamo costretti a finirla con le idiozie buoniste a tutti costi ed a prospettarci azioni estreme come la chiusura dei porti.
E’ chiaro però che una politica seria in materia non può prescindere dalla collaborazione sul terreno dei libici.
Motovedette libiche che pattuglino le coste , cosa tutt’altro che difficile perché i porti libici di imbarco sono pochi e sono divenuti affollati come caselli di autostrada e quindi facilmente individuabili.
E poi, campi profughi in Libia o in Tunisia, chiamiamoli pure Hot spot se il termine inglese riesce ad attenuare l’assoluta spiacevolezza della sostanza della cosa, dove mantenere decentemente questa enormità di umanità sofferente, identificarli, spiegare loro che hanno fatto la peggiore cacchiata della loro vita a vendere cose e indebitarsi per andare dove oggi nessuno li vuole e dove per il momento non c’è obiettivamente più posto per loro.
Dargli un po di soldi per tornare e possibilmente riportarli al loro paese dopo avere stipulato le necessarie intese.
Per favore finiamola con piagnistei pietistici e falsi.
Usiamo in tutte le tappe di queste procedure la massima umanità possibile ma non nascondiamoci che la riuscita o meno di tutta la procedura è solo ed esclusivamente questione di soldi.
Se volete una conferma andate a chiederlo a una certa Angela Merkel che in argomento la sa lunga avendoci fatto tirare fuori 8 miliardi di fondi europei per fare le stesse cose in Turchia, procedure che funzionano come un orologio svizzero proprio perché ben lubrificato da una montagna di soldi.



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