La biografia di
Andreotti scritta da Massimo Franco, penna storica del Corriere
merita di essere letta per molte ragioni e innanzi tutto ovviamente
per la serietà della ricerca documentale che rivela ,ma poi proprio
perché induce il lettore a spostare lo sguardo da un uomo
particolarmente ingombrante a un’epoca e ad un paese che erano
intimamente di quel personaggio , che sono ormai storia se pure
vicina ma sono irrimediabilmente passati e quindi irripetibili.
E’ un altro mondo
con i suoi pregi e difetti nel quale molti di noi sono passati, ma
che non ci appartiene più nel senso che forse lo rimpiangiamo in
alcuni tratti, ma che contemporaneamente quand’anche fosse
possibile abbiamo superato e preferiremmo non tornarci.
Cimentarsi su
un personaggione come Andreotti è un impresa un po spericolata.
Perchè l’uomo
nella sua figura umana e storica è complesso e contradditorio.
E come se ciò non
bastasse quello che la gente pensava di quell’uomo in base a quello
che appariva aveva da sempre diviso i contemporanei in opposte
schiere di tifoserie anche quando dei famosi processi non era apparsa
nemmeno l’ombra, figuriamoci dopo!
Massimo Franco ha
scritto un bel libro, leggibile anche da chi non è tifoso del
personaggio nè in un senso né nell’altro e cosa particolarmente
notevole oltre ad essere ben documentato, lascia l’impressione che
l’autore abbia cercato di dare una narrazione il più possibile
obiettiva, senza farsi prendere la mano dalle sue opinioni personali.
Non nascondiamoci
dietro a un dito, tutti abbiamo opinioni personali e le hanno anche i
giornalisti.
Massimo Franco
rappresenta quell’opinione moderata che molti rimproverano, ma
altri apprezzano nel Corriere della Sera, non a caso primo quotidiano
italiano quasi da sempre.
Dopo aver
letto il libro presumo che Franco ritenga che esaminando vita morte e
miracoli di Andreotti prevalgano gli aspetti positivi sui negativi,
ma abbastanza di misura e senza nascondere le incongruenze, le
contraddizioni se non le ambiguità di quel personaggio.
Al lettore Franco
lascia abbastanza chiaramente questa sua interpretazione e cosa
singolare, sembra essersi introdotto per fini di ricerca tanto
addentro alla vita di quel personaggio da comportarsi nella
costruzione della sua narrazione con sottile abilità
democristiana-andreottiana.
Mi ha ha dato questa
impressione la scelta dell’autore tutt’altro che casuale di fare
consistere la parte finale del saggio nella narrazione della vicenda
processuale che ha funestato gli ultimi anni di Andreotti vista non
tanto e non solo dalla parte dell’imputato, ma dando una parte ben
più larga al punto di vista dei familiari e ancora di più da
quell’altro singolare e notevole personaggio che è la allora
giovanissima avvocata Bongiorno.
Familiari presentati
come esponenti una qualunque famiglia del ceto medio, che per tutta
la vita di quel familare ingombrante aveva optato per mantenere
sempre una posizione di riservatezza e di non visibilità,che in quel
mondo mediaticamente sovraesposto, crea necessariamente una
reazione di simpatia nei loro confronti.
Non parliamo della
narrazione che Franco fa del contributo più che consistente che al
buon esito dei processi (con l’accusa di collusioni con la mafia
l’uno e addirittura di mandante nell’assasinio del giornalista
Pecorelli l’altro) ha dato la giovane ed estroversa avvocata
palermitana Buongiorno, che nel corso come sempre su tempi
esasperatamente lunghi dei processi italiani, ha saputo trasformare
il rapporto cliente- avvocato in un ben più intrigante rapporto
nipote - nonno, tanto le loro frequentazioni avevano costruito un
rapporto umano più profondo.
Dicevo sopra
che Franco ha usato nella sua narrazione un astuzia
andreottian-democristiana, perché facendo consistere l’ultima
parte del libro nella descrizione abbastanza ampia dell’esperienza
dei familiari di Andreotti e dei rapporti del Senatore a vita con la
sua avvocata-nipote, ha costretto il lettore a convivere con
personaggi che risultano umanamente vicini e spesso chiaramente
portatori di atteggiamenti che li rendono simpatici , e quindi ha
fatto sì che il lettore medesimo fosse portato a “umanizzare”
il personaggio storico Andreotti, che di suo aveva un carattere
complesso, ma indiscutibilmente distaccato.
Non era certo un
estroverso il personaggio Andreotti e Franco non si sottrae certo a
descrivere anche queste sue particolarità, che poi hanno contribuito
a creare l’unicità di quel personaggio, al limite della
caricatura.
Ho trovato di
particolare interesse il modo come Franco presenta i rapporti del
tutto singolari che Andreotti fin da giovanissimo ha avuto con Pio
XII.
Se Andreotti
aveva un carattere distaccato e tutt’altro che estroverso, con Papa
Pacelli che volutamente aveva sottolineato le sua tendenze
caratteriali di distacco regale proprio per indurre la gente a
costruirgli addosso una sacralità particolare,faceva una bella
copia.
Ma Franco ci svela
l’esistenza di un rapporto giovane Andreotti-Papa Pio XII arrivato
alla familiarità, che è noto che quel papa non aveva concesso
praticamente a nessuno se non forse alla famosa Suor Pascalina (la
sua leggendaria perpetua).
Per capire la
personalità umana e politica di Andreotti, così complessa e
contradditoria, Franco ha fatto bene a citare il rapporto stretto ,
ma molto poco conosciuto che il giovane Andreotti aveva con i
singolari personaggi che comporranno la pattuglia degli intellettuali
catto-comunisti da Adriano Ossicini a Franco Rodano, poi approdati
nel PCI, ma nati in campo saldamente cattolico, che Andreotti ha a
lungo difeso, garantendo sulla loro “cattolicità” nei confronti
di Pio XII in persona fino a dover scontrarsi in più occasioni con
le perplessità di quel papa che poi sono divenute aperta condanna.
Questo “mattone”
aggiunto da Franco alla conoscenza della figura storico-politica di
Andreotti è di notevole peso perché è veramente singolare che
l’uomo che più di altri ha per anni rappresentato l’icona della
“destra” nello schieramento della politica cattolica, con tutta
l’autorevolezza che gli derivava dall’essere il figlioccio
politico addirittura del fondatore del partito e cioè di DeGasperi,
fosse in un rapporto di forte amicizia con i più a sinistra dei
cattolici sociali e che avesse addirittura speso la sua credibilità
per cercare di mantenere la presenza di quella pattuglia di
intellettuali di grande spessore nel recinto del cattolicesimo
politico.
E’ singolare Ma è
anche di grande significato perché è un elemento a prova della
caratteristica probabilmente principale della posizione politica di
Andreotti.
Andreotti, il
lavoro di Massimo Franco lo conferma , aborriva schierarsi dietro a
un’ideologia, qualunque fosse e tendeva a vedere come a rischio di
fanatismo fondamentalista gli “amici” che invece si costruivano
addosso una ideologia come ad esempio il gruppo
Fanfani,Dossetti,LaPira,Lazzati e all’inizio lo stesso Aldo Moro.
Questa è una
caratterisitica che fa da punto fermo nella pur complessa visione
politica di Andreotti e che viene riassunta qualificando il politico
Andreotti prima di tutto come un “pragmatico”.
Un pragmatico
al limite a volte del cinismo.
La ragion di stato
prima di tutto.
Non c’è grande
della storia che non abbia praticato questa ispirazione.
Come conciliare
pragmatismo quasi cinico con le priorità del cattolicesimo con la
sua sensibilità umana e sociale?
Quasi impossibile.
Ad Andreotti è
riuscito però per il fatto che la sua stella polare non era tanto il
“cattolicesimo” quanto la “cristianità”, cioè il
cattolicesimo imperante e con aspirazione ,è una brutta parola ma va
detta se no non si capisce il senso, totalitaria.
Franco non
trascura di citare alcuni dei mille aneddoti
che presentano Andreotti come “cardinale laico”, perché
è assolutamente certo che il grado di affidabilità del personaggio
Andreotti fosse percepito dalle più alte gerarchie vaticane in
misura talmente elevata da raggiungere li grado di familiarità anche
di carica.
Franco cita
l’episodio altamente significativo del Cardinale Felici, ciociaro
come Andreotti e suo amico d’infanzia,che alla sua morte lascia per
testamento allo stesso Andreotti le sue “insegne cardinalizie”.
Quando Andreotti
andava in Vaticano, compresi i Sacri Palazzi, andava a casa sua e
quindi era uno dei pochissimi che non avevano bisogno di preannunci
di sorta.
Fra i Cardinali era
uno di loro.
Ovviamente nel bene
e nel male, vedi Marcincus, Ior eccetera.
Però e qui ci
risiamo con le incredibili complessità e contraddizioni del
personaggio, Andreotti aveva anche una marcata sensibilità sociale
in senso umano e questo è testimoniato dal fatto poco noto, citato
da Franco che il Senatore tenesse nel suo studio un intero locale
attrezzato a dispensa, che usava per dare sempre personalmente e per
decenni un giorno alla settimana pacchi a “poveracci” che si
presentavano regolarmente.
L’Avv.Bongiorno
quantifica il costo della “carità” andreottiana addirittura in
20.000 € al mese.
A confronto il
cappotto dato ai poveri da Giorgio LaPira sindaco di Firenze,
impallidisce non ostante la fama acquisita di “sindaco santo”.
Andreotti era tante
cose contemporaneamente, su questo non c’è dubbio.
Era prima di tutto
uomo di potere, che gestiva il potere con tale considerazione del
potere stesso da considerarsi quasi il suo sacerdote, come erano
state in questa tipologia certe figure iconiche come Mazzarino e
Richelieu.
Richeleu però non
risulta che tenesse una grossa dispensa per i poveri.
L’altra faccia
della medaglia era la veramente incredibile frequentazione o anche
semplicemente il fatto che questo pur grande personaggio avesse
incrociato figure impresentabili.
Tutti si chiedevano,
ma come è possibile che uno come Andreotti conoscesse quel tale?
Poi si sa la voce
popolare dei bar sport di tutta Italia, si abbevera abbondantemente e
gioiosamente di questo tipo di notizie e le amplifica tessendoci
sopra di tutto.
Quindi le
esagerazioni di questi aspetti anomali ci saranno sicuramente stati,
ma non si può negare che fosse inaccettabile che l’uomo che viveva
come sacerdote del potere non avvertisse la necessità di essere più
prudente nelle frequentazioni.
Va detto anche che
l’uomo Andreotti ha pagato più che duramente questi indubbi errori
di comportamento finito negli ultimi suoi anni stritolato dal
meccanismo di due processi che gli hanno minato una fibra pure
fortissima, mettendo alla prova la famiglia, che fino ad allora era
riuscita a rimanere di sua volontà rigorosamente nell’ombra.
Franco giustamente
descrive come riesce ad essere crudele il sistema giudiziario
nostrano.
Le accuse
erano orribili.
Fortunatamente per
lui ed i suoi familiari i due processi condotti per i dovuti gradi
durati sei anni sono finiti nel famoso abbraccio che l’Avv.Bongiorno
ha fatto d’istinto nei confronti del vecchio senatore alla lettura
della sentenza di assoluzione.
Ma siamo in Italia e
stiamo parlando addirittura di Andreotti e cioè di colui che per le
diverse tifoserie era per gli uni il cardinale laico che garantiva la
stabilità del potere moderato e per altri il Belzebù presunto
autore di tutti i mali del paese.
E quindi
incredibilmente pare sia lecito discutere sul fatto se quella era una
vera assoluzione o no,visto che il Pm di Palermo di allora, quel
peraltro gran galantuomo del giudice Caselli ha sempre sostenuto che
non è assoluzione vera, ma riconoscimento di colpevolezza per un
certo periodo, anche se senza conseguenze giudiziarie per
sopravvenuta prescrizione.
Al di fuori dai
tecnicismi giuridici, ho apprezzato la conclusione di questo enigma
che sembra sposare Franco e cioè che la lettura se pure sommaria
degli atti di quei processi porta a concludere che i pm di allora
commisero l’errore di puntare tutto sul raccogliere un mucchio di
dichiarazioni di pentiti, pensando che il numero molto elevato
potesse sopperire alla qualità.
Qualità che
evidentemente non è stata giudicata adeguata dalla magistratura
giudicante.
Sulla base di questa
considerazione,
Franco sembra
voler dire che sarebbe stato più saggio da parte degli inquirenti
rilevare che le prove non erano sufficenti per imbastirci sopra un
processo penale, ma che la responsabilità politica dell’indagato
c’era almeno nel senso che prudenza avrebbe voluto che un uomo del
suo livello provvedesse meglio a filtrare le sue frequentazioni.
Un’ultima nota più
leggera.
Il libro è pieno di
citazioni della proverbiale vena ironica del Senatore.
Fra le molte
descrizioni gustose riportate da Franco ho trovato interessante la
narrazione dei problemi che quell’Andreotti che ha avuto per lunghi
anni fra le sue competenze ministeriali quella del cinema e che ha
contribuito in gran parte alla sua rinascita era anche spesso e
volentieri crocifisso sulla stampa per gli interventi della allora
potente commissione di censura.
Tutti generalmente
gli sparavano contro, ora Franco giustamente cerca la verità storica
mettendosi dalla parte di Andreotti che doveva ogni volta lottare con
incredibili Monsignori che vedevano lussuria e licenziosità ovunque
e che fosse stato per loro avrebbero fatto produrre solo vite di papi
e di pie suore
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