venerdì 22 febbraio 2019

Jerry Kaplan artificial intelligence what everyone needs to know





Cofondatore di quattro startups nella Silicon Valley, Jerry Kaplan insegna a Stanford nel dipartimento di Computer Science.
Ha scritto questo libro con intento apertamente divulgativo.
L’autore ha chiaramente tutti i titoli per essere ritenuto un autorevole addetto ai lavori e con queste credenziali che ha saputo trattare una materia difficile e complessa con notevole equilibrio, cosa che non guasta affatto se si pensa che un conto è fare un bilancio dello stato dell’arte, un’altro è sulla base dell’esperienza e delle proprie conoscenze, avventurarsi là dove la curiosità del lettore di un libro del genere è massima, e quindi non aver paura di aprirsi al campo opinabile per natura delle verosimili previsioni circa i progressi di questa materia in un futuro prossimo.

L’argomento, vale la pena di ripeterlo è difficile perché quasi da subito chi lo tratta è costretto a sfatare alcune convinzioni diffusissime, che però il progresso intervenuto nel perfezionamento dell’intelligenza artificiale ha fatto saltare già allo stato attuale.
Tanto per chiarirci le idee ,è’ difficile e impopolare andare a dire alla gente dopo due millenni di cultura cristiana volta a presentare l’uomo come creatura decaduta fin che si vuole ma chiamata a un destino ultra-umano da semi-dio, che i computer sono già oggi in grado di superare in modo vistoso i limiti dell’intelligenza umana, sia sul piano computazionale che su quello della capacità di memoria per non dire della velocità nei processi.
L’autore ne è ben conscio e di conseguenza cerca di presentare con delicatezza queste verità scomode.
Questo atteggiamento del nostro autore ,mi ha fatto tornare alla mente il tormento interiore del forse più grande naturalista che è stato Darwin ,che ogniqualvolta si trovava ad aver dimostrato delle verità scomodissime per la visione del mondo dei suoi contemporanei si chiedeva in cuor suo : ma adesso come faccio ad andare a dire a mia moglie (che conosceva come fermissima in convinzioni religiose tradizionaliste prese alla lettera) che quelli della Bibbia non sono niente di più che delle belle narrazioni?

Kaplan non teme di porsi anche la domanda delle domande : è verosimile ipotizzare che in un futuro non lontano l’intelligenza artificiale arrivi a sviluppi così clamorosi da rendere possibile l’esistenza di una super-umanità di intelletto superiore per quanto derivato dal nostro dotata non di un corpo biologico, ma di una struttura tecnica?
L’autore sembra non escludere che gli sviluppi dell’intelligenza artificiale siano destinati ad arrivare ben oltre i limiti umani attuali, ma riesce elegantemente a bypassare una risposta che se positiva potrebbe essere sconvolgente per chi non è preparato a confrontarsi con scenari che comunemente si ritengono solo da fantascienza, evitando di rispondere con un sì o con un nò, ma cercando di fare un discorso più articolato che è questo.

Arrivare a tanto è possibile e forse è anche verosimile, ma a quel punto non è sensato vedere una situazione di contrapposizione di robot super-evoluti contro umani, perché noi umani abbiamo tutti i mezzi per controllare una possibile evoluzione della nostra specie anche in una super umanità con intelligenza artificiale capace di auto migliorarsi continuamente nelle prestazioni anche probabilmente su un supporto non più biologico , e quindi bisogna prendere atto di dove è possibile che arrivi l’evoluzione della scienza e della tecnologia attrezzandoci per tempo anche culturalmente e psicologicamente.
In pratica cominciando a pensare a delle procedure che dovranno essere necessariamente gestite da organi sovranazionali, atte ad evitare di darci la zappa sui piedi, perché sono enormi le opportunità di una tale evoluzione, ma sono anche in gioco possibili rischi di non poco conto.
Ho fatto probabilmente una cosa scorretta anticipando la parte più controversa circa i possibili sviluppi dell’intelligenza artificiale, ma l’ho fatto per far capire che la validità del libro a mio parere sta in tutto il resto, cioè nella capacità dell’autore di presentare in modo analitico come si diceva all’inizio lo stato dell’arte che è già oggi molto oltre quello che comunemente si è portati a ritenere.
Veniamo dunque a parlare di questo.

L’autore a mio parere molto opportunamente esordisce assestando un colpo micidiale alle nostre pigrizie intellettuali che per rassicurarci tendono a riempirci la testa di pregiudizi atti a rassicurarci e prendendo il toro per la coda dice l’indicibile che è questo : guardate che la massima condivisa dalla nostra visione del mondo che recita la presunta verità secondo la quale i computer possono fare solo quello che il programmatore ha immesso nel software è una gran balla, perché già oggi le cose non stanno più così.
Nel senso che già oggi i sistemi hanno acquisito un grado di autonomia che diventa sempre più elevato perché tecnicamente “apprendono” dalla loro esperienza la capacità di fare cose che il loro programmatore non ha affatto inserito nel programma, proprio perché questi sistemi sono predisposti apposta per auto-apprendere e migliorarsi.
Questo significa che queste macchine sono capaci di un pensiero indipendente al quale possono seguire azioni indipendenti?
Diverrebbero allora responsabili delle loro azioni indipendenti dagli umani, che le hanno materialmente messe insieme?
Finiscono per acquistare allora una forma di autocoscienza?

E infine viene la domanda più sconvolgente che è questa : se divenisse tecnicamente possibile “caricare” la nostra mente in un supporto esterno non biologico, cioè diciamo in una macchina, questa nuova entità sarebbe ancora la nostra persona?
Mi scuso del fatto che ho citato le domande base non curandomi di farne una traduzione accurata,
Kaplan usa volutamente termini generici, ma in un campo così delicato la traduzione rischia di diventare un tradimento del pensiero dell’autore.
In questo campo inevitabilmente si alternano concetti scientifici con concetti propri della filosofia e per la verità Kaplan non usa il termine persona, che ho usato io perché mi sembra che chiarisca meglio il concetto.

Ma non è finita, viene affacciato anche un ulteriore scorcio di futuro che sembra da fantascienza quando si accenna alla possibilità che i progressi nelle neuroscienze uniti a quelli nella intelligenza artificiale arriveranno a consentire di comunicare “leggendo nel pensiero altrui” e addio privacy.
Molto opportunamente Kaplan a questo punto invita il lettore a riflettere sul radicale cambiamento che la nostra civilizzazione ha portato a compimento nel nostro atteggiamento verso per esempio gli schiavi, le donne, i disabili, gli animali stessi.
Dovremo attrezzarci diciamo per un aggiornamento radicale del nostro modo di vedere, come del resto la nostra specie ha fatto più volte nella storia e questo è uno dei suoi punti di forza.
Kaplan conclude dicendo che come modellare il nostro futuro dipende da noi.

Nella trattazione analitica dell’argomento l’autore esordisce elencando i campi nei quali già oggi i computer compiono operazioni che sorpassano clamorosamente le facoltà umane, nella computazione, nella capacità di stoccaggio dati,nella velocità dei processi.
Questo è indubitabile, ma se questo vuol dire che i computer stanno diventando “più intelligenti”in senso umano è il caso che ci allarmiamo?
Kaplan con sottile ironia dice : ma c’è qualcuno di noi che si sente leso nella propria dignità perché ci ritroviamo nelle mani un aggeggino come lo smartphone divenuto strapotente, che mette insieme tecnologie diverse capace con una particolare app. di fare cose che noi non siamo capaci di fare?
Kaplan descrive le varie fasi nelle quali è passata l’elaborazione scientifica dell’intelligenza artificiale partendo dal concetto fondamentale di capacità di automigliorarsi.
Mette in evidenza il fatto che per passare da un processo lineare di elaborazione di dati a un pensiero creativo è necessario introdurre una parte di controllata causalità.
Ad esempio l’autore cita alcuni dei primi esperimenti di automobile autoguidante come quello quando davanti alla macchina si mise una sedia come ostacolo e la macchina si fermò come se stesse “pensando” cosa fare dopo essersi fermata, siamo nei primi anni ‘70 e da allora se ne è fatta di strada.
Cita poi i sistemi per ascoltare domande a voce con capacità di rispondere sempre a voce.
E qui siamo tutti testimoni di un progresso avvenuto in tempi incredibilmente rapidi per arrivare all’Alexa di Amazon,assistenza e riconoscimento vocale per la domotica e per puro e semplice intrattenimento, al software di assistenza e riconoscimento vocale Cortana di Microsoft, al Siri di Apple, al comando “ok Google”, non è fantascienza sono cose che oramai usiamo in moltisimi più volte al giorno.
Se tanto ci da tanto chissà dove si potrà arrivare!a
E quanto l’intelligenza artificiale arriva a impadronirsi si sistemi simbolici per lavorare arriviamo a qualcosa che solo all’esterno può apparire automazione, ma che in realtà ha in sé elementi di vera e propria intelligenza.
Siamo al computer che gioca contro un umano e regolarmente lo batte perché è dotato di capacità largamente superiori; al navigatore Gps; ai robot che prendono la merce stoccata, la sistemano in pacchi e li mettono sul camion.
L'autore cita poi quella che appare come una delle applicazioni che più colpiscono la nostra fantasia che è quella di impiegare congegni e robot intelligenti per l'esplorazione dello spazio.
Non si rischiano vite umane e si ottengono praticamente gli stessi risultati.
Ma come si è arrivati a trasmettere all'intelligenza artificiale la capacità di "apprendere" ?
Introducendo l’approccio al ragionamento “Euristico” che secondo Wikipedia è “un metodo di arrivare alla soluzione dei problemi che non segue un chiaro percorso, ma che si affida all'intuito e allo stato temporaneo delle circostanze, al fine di generare nuova conoscenza” è usato dall’intelligenza artificiale per risolvere problemi nel modo più efficace e veloce in una infinità di campi.

Può una macchina imparare? Si chiede Kaplan, che risponde certamente, usando gli stessi procedimenti che usiamo noi servendoci dell’esperienza e della pratica, elaborando l’insieme di dati che abbiamo acquisiti.
Non basta la capacità di stoccare, bisogna saper catalogare con certi criteri e trarre dall’esame dei dati certe deduzioni in base a una serie di filtri successivi, di analogie, di ripetizioni eccetera.
I nostri professori ci dicevano, non basta ripetere le lezioni come delle oche, bisogna dimostrare di avere afferrato certi concetti e saper fare dei collegamenti, stabilire delle gerarchie.
I nostri professori non conoscevano ancora le acquisizioni delle neuroscienze, ma ci andavano vicini, bisogna fare come fanno i neuroni con le sinapsi, i collegamenti sono fondamentali.
L’intelligenza artificiale segue gli stessi schemi e quindi si autoalimenta, cioè “impara” e siccome sa processare una enormità di dati più di noi ed a una velocità impensabile per noi, ci batte.
Ed allora spaventiamoci? Ma non sarebbe più sensato invece di spaventarci approfittarne allargando a dismisura le nostre facoltà?
E’ quello che stiamo facendo.

Cioè non c’è da spaventarsi perché “loro” sono di fatto più intelligenti e capaci di noi, ma c’è da adattarsi anche psicologicamente al fatto che l’intelligenza artificiale arrivata a come è allo stato dell’arte sta cambiando in modo radicale il mercato del lavoro.
Alcuni esempi.
Nel campo delle professioni forensi quanti documenti cartacei inerenti a un processo deve consultare un avvocato, quante sentenze eccetera eccetera.
Non c’è confronto intelligenza artificiale e big data avranno partita vinta.
Nel campo medicale è fuori discussione che fare giudicare un caso clinico a una entità in grado di confrontare una montagna di casi clinici simili consente di avere un enorme vantaggio competitivo rispetto al singolo medico.
Sistemi di identificazione delle immagini, è evidente che la possibilità di ricorrere ad archivi immensi confrontando dati a tutta velocità apre nuovi scenari.
Leggere documenti scritti e tradurli immediatamente in qualsiasi lingua è già praticamente possibile con un livello di accuratezza accettabile.
Kaplan riporta a proposito di obsolescenza di vecchi lavori una autorevole ricerca in base alla quale il 47% dei lavori attuali sono a rischio automazione e un ulteriore 19% sono a medio rischio.
Ma consoliamoci ci dice anche Kaplan, pensiamo al fatto che tutti, praticamente tutti gli umani per millenni hanno lavorato e vissuto in agricoltura ed ora in quel campo ci lavora si e no il 2% della forza lavoro.
Il problemino per noi è che quella rivoluzione in passato si è attuata spalmata sui tempi lunghi mentre questa moderna è ormai alle porte e noi non siamo molto ben disposti a sorbirci ulteriori rivoluzioni in tempi stretti.



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