Cofondatore di
quattro startups nella Silicon Valley, Jerry Kaplan insegna a
Stanford nel dipartimento di Computer Science.
Ha scritto questo
libro con intento apertamente divulgativo.
L’autore ha
chiaramente tutti i titoli per essere ritenuto un autorevole addetto
ai lavori e con queste credenziali che ha saputo trattare una
materia difficile e complessa con notevole equilibrio, cosa che non
guasta affatto se si pensa che un conto è fare un bilancio dello
stato dell’arte, un’altro è sulla base dell’esperienza e delle
proprie conoscenze, avventurarsi là dove la curiosità del lettore
di un libro del genere è massima, e quindi non aver paura di aprirsi
al campo opinabile per natura delle verosimili previsioni circa i
progressi di questa materia in un futuro prossimo.
L’argomento,
vale la pena di ripeterlo è difficile perché quasi da subito chi
lo tratta è costretto a sfatare alcune convinzioni diffusissime, che
però il progresso intervenuto nel perfezionamento dell’intelligenza
artificiale ha fatto saltare già allo stato attuale.
Tanto per chiarirci
le idee ,è’ difficile e impopolare andare a dire alla gente dopo
due millenni di cultura cristiana volta a presentare l’uomo come
creatura decaduta fin che si vuole ma chiamata a un destino
ultra-umano da semi-dio, che i computer sono già oggi in grado di
superare in modo vistoso i limiti dell’intelligenza umana, sia sul
piano computazionale che su quello della capacità di memoria per non
dire della velocità nei processi.
L’autore ne è ben
conscio e di conseguenza cerca di presentare con delicatezza queste
verità scomode.
Questo atteggiamento
del nostro autore ,mi ha fatto tornare alla mente il tormento
interiore del forse più grande naturalista che è
stato Darwin ,che ogniqualvolta si trovava ad aver dimostrato delle
verità scomodissime per la visione del mondo dei suoi contemporanei
si chiedeva in cuor suo : ma adesso come faccio ad andare a dire a
mia moglie (che conosceva come fermissima in convinzioni religiose
tradizionaliste prese alla lettera) che quelli della Bibbia non sono
niente di più che delle belle narrazioni?
Kaplan non
teme di porsi anche la domanda delle domande : è verosimile
ipotizzare che in un futuro non lontano l’intelligenza artificiale
arrivi a sviluppi così clamorosi da rendere possibile l’esistenza
di una super-umanità di intelletto superiore per quanto derivato
dal nostro dotata non di un corpo biologico, ma di una struttura
tecnica?
L’autore sembra
non escludere che gli sviluppi dell’intelligenza artificiale siano
destinati ad arrivare ben oltre i limiti umani attuali, ma riesce
elegantemente a bypassare una risposta che se positiva potrebbe
essere sconvolgente per chi non è preparato a confrontarsi con
scenari che comunemente si ritengono solo da fantascienza, evitando
di rispondere con un sì o con un nò, ma cercando di fare un
discorso più articolato che è questo.
Arrivare a
tanto è possibile e forse è anche
verosimile, ma a quel punto non è
sensato vedere una situazione di contrapposizione di
robot super-evoluti contro umani, perché
noi umani abbiamo tutti i mezzi per controllare una possibile
evoluzione della nostra specie anche in una super umanità con
intelligenza artificiale capace di auto migliorarsi
continuamente nelle prestazioni anche probabilmente su un supporto
non più biologico , e quindi bisogna prendere atto di dove è
possibile che arrivi l’evoluzione della scienza e della tecnologia
attrezzandoci per tempo anche culturalmente e psicologicamente.
In pratica
cominciando a pensare a delle procedure che dovranno essere
necessariamente gestite da organi sovranazionali, atte ad evitare di
darci la zappa sui piedi, perché sono enormi le opportunità di una
tale evoluzione, ma sono anche in gioco possibili rischi di non poco
conto.
Ho fatto
probabilmente una cosa scorretta anticipando la parte più
controversa circa i possibili sviluppi dell’intelligenza
artificiale, ma l’ho fatto per far capire che la validità del
libro a mio parere sta in tutto il resto, cioè nella capacità
dell’autore di presentare in modo analitico come si diceva
all’inizio lo stato dell’arte che è già oggi molto oltre quello
che comunemente si è portati a ritenere.
Veniamo dunque a
parlare di questo.
L’autore a
mio parere molto opportunamente esordisce assestando un colpo
micidiale alle nostre pigrizie intellettuali che per rassicurarci
tendono a riempirci la testa di pregiudizi atti a rassicurarci e
prendendo il toro per la coda dice l’indicibile che è questo :
guardate che la massima condivisa dalla nostra visione del mondo che
recita la presunta verità secondo la quale i computer possono fare
solo quello che il programmatore ha immesso nel software è una gran
balla, perché già oggi le cose non stanno più così.
Nel senso che già
oggi i sistemi hanno acquisito un grado di autonomia che diventa
sempre più elevato perché tecnicamente “apprendono” dalla loro
esperienza la capacità di fare cose che il loro programmatore non ha
affatto inserito nel programma, proprio perché questi sistemi sono
predisposti apposta per auto-apprendere e migliorarsi.
Questo significa che
queste macchine sono capaci di un pensiero indipendente al quale
possono seguire azioni indipendenti?
Diverrebbero allora
responsabili delle loro azioni indipendenti dagli umani, che le hanno
materialmente messe insieme?
Finiscono per
acquistare allora una forma di autocoscienza?
E infine viene
la domanda più sconvolgente che è questa : se divenisse
tecnicamente possibile “caricare” la nostra mente in un supporto
esterno non biologico, cioè diciamo in una macchina, questa nuova
entità sarebbe ancora la nostra persona?
Mi scuso del fatto
che ho citato le domande base non curandomi di farne una traduzione
accurata,
Kaplan usa
volutamente termini generici, ma in un campo così delicato la
traduzione rischia di diventare un tradimento del pensiero
dell’autore.
In questo campo
inevitabilmente si alternano concetti scientifici con concetti propri
della filosofia e per la verità Kaplan non usa il termine persona,
che ho usato io perché mi sembra che chiarisca meglio il concetto.
Ma non è
finita, viene
affacciato anche un ulteriore scorcio di futuro che sembra da
fantascienza quando si accenna alla possibilità che i progressi
nelle neuroscienze uniti a quelli nella intelligenza artificiale
arriveranno a consentire di comunicare “leggendo nel pensiero
altrui” e addio privacy.
Molto opportunamente
Kaplan a questo punto invita il lettore a riflettere sul radicale
cambiamento che la nostra civilizzazione ha portato a compimento nel
nostro atteggiamento verso per esempio gli schiavi, le donne, i
disabili, gli animali stessi.
Dovremo attrezzarci
diciamo per un aggiornamento radicale del nostro modo di vedere, come
del resto la nostra specie ha fatto più volte nella storia e questo
è uno dei suoi punti di forza.
Kaplan conclude
dicendo che come modellare il nostro futuro dipende da noi.
Nella
trattazione analitica dell’argomento l’autore esordisce elencando
i campi nei quali già oggi i computer compiono operazioni che
sorpassano clamorosamente le facoltà umane, nella computazione,
nella capacità di stoccaggio dati,nella velocità dei processi.
Questo è
indubitabile, ma se questo vuol dire che i computer stanno diventando
“più intelligenti”in senso umano è il caso che ci allarmiamo?
Kaplan con sottile
ironia dice : ma c’è qualcuno di noi che si sente leso nella
propria dignità perché ci ritroviamo nelle mani un aggeggino come
lo smartphone divenuto strapotente, che mette insieme tecnologie
diverse capace con una particolare app. di fare cose che noi non
siamo capaci di fare?
Kaplan descrive le
varie fasi nelle quali è passata l’elaborazione scientifica
dell’intelligenza artificiale partendo dal concetto fondamentale di
capacità di automigliorarsi.
Mette in evidenza il
fatto che per passare da un processo lineare di elaborazione di dati
a un pensiero creativo è necessario introdurre una parte di
controllata causalità.
Ad esempio l’autore
cita alcuni dei primi esperimenti di automobile autoguidante come
quello quando davanti alla macchina si mise una sedia come ostacolo e
la macchina si fermò come se stesse “pensando” cosa fare dopo
essersi fermata, siamo nei primi anni ‘70 e da allora se ne è
fatta di strada.
Cita poi i sistemi
per ascoltare domande a voce con capacità di rispondere sempre a
voce.
E qui siamo tutti
testimoni di un progresso avvenuto in tempi incredibilmente rapidi
per arrivare all’Alexa di Amazon,assistenza e riconoscimento vocale
per la domotica e per puro e semplice intrattenimento, al software di
assistenza e riconoscimento vocale Cortana di Microsoft, al Siri di
Apple, al comando “ok Google”, non è fantascienza sono cose che
oramai usiamo in moltisimi più volte al giorno.
Se tanto ci da tanto
chissà dove si potrà arrivare!a
E quanto
l’intelligenza artificiale arriva a impadronirsi si sistemi
simbolici per lavorare arriviamo a qualcosa che solo all’esterno
può apparire automazione, ma che in realtà ha in sé elementi di
vera e propria intelligenza.
Siamo al computer
che gioca contro un umano e regolarmente lo batte perché è dotato
di capacità largamente superiori; al navigatore Gps; ai robot che
prendono la merce stoccata, la sistemano in pacchi e li mettono sul
camion.
L'autore cita poi quella che appare come una delle applicazioni che più colpiscono la nostra fantasia che è quella di impiegare congegni e robot intelligenti per l'esplorazione dello spazio.
Non si rischiano vite umane e si ottengono praticamente gli stessi risultati.
Ma come si è arrivati a trasmettere all'intelligenza artificiale la capacità di "apprendere" ?
L'autore cita poi quella che appare come una delle applicazioni che più colpiscono la nostra fantasia che è quella di impiegare congegni e robot intelligenti per l'esplorazione dello spazio.
Non si rischiano vite umane e si ottengono praticamente gli stessi risultati.
Ma come si è arrivati a trasmettere all'intelligenza artificiale la capacità di "apprendere" ?
Introducendo l’approccio al
ragionamento “Euristico” che secondo Wikipedia è “un
metodo di arrivare
alla soluzione dei problemi che non segue un chiaro percorso, ma che
si affida all'intuito e allo stato temporaneo delle circostanze, al
fine di generare nuova conoscenza” è usato dall’intelligenza
artificiale per risolvere problemi nel modo più efficace e veloce in
una infinità di campi.
Può
una macchina imparare? Si chiede Kaplan, che risponde certamente,
usando gli stessi procedimenti che usiamo noi servendoci
dell’esperienza e della pratica, elaborando l’insieme di dati che
abbiamo acquisiti.
Non
basta la capacità di stoccare, bisogna
saper catalogare con certi criteri e
trarre dall’esame dei dati certe deduzioni in base a una serie di
filtri successivi, di analogie, di ripetizioni eccetera.
I
nostri professori ci dicevano, non basta ripetere le lezioni come
delle oche, bisogna dimostrare di avere afferrato certi concetti e
saper fare dei collegamenti, stabilire delle gerarchie.
I
nostri professori non conoscevano ancora le acquisizioni delle
neuroscienze, ma ci andavano vicini, bisogna fare come fanno i
neuroni con le sinapsi, i collegamenti sono fondamentali.
L’intelligenza
artificiale segue gli stessi schemi e quindi si autoalimenta, cioè
“impara” e siccome sa processare una enormità di dati più di
noi ed a una velocità impensabile per noi, ci batte.
Ed
allora spaventiamoci? Ma non sarebbe più sensato invece di
spaventarci approfittarne allargando a dismisura le nostre facoltà?
E’
quello che stiamo facendo.
Cioè
non c’è da spaventarsi perché “loro” sono di fatto più
intelligenti e capaci di noi, ma c’è da adattarsi anche
psicologicamente al fatto che l’intelligenza artificiale arrivata a
come è allo stato dell’arte sta cambiando in modo radicale il
mercato del lavoro.
Alcuni
esempi.
Nel
campo delle professioni forensi quanti documenti cartacei inerenti a
un processo deve consultare un avvocato, quante sentenze eccetera
eccetera.
Non
c’è confronto intelligenza artificiale e big data avranno partita
vinta.
Nel
campo medicale è fuori discussione che fare giudicare un caso
clinico a una entità in grado di confrontare una montagna di casi
clinici simili consente
di avere un enorme vantaggio competitivo rispetto al singolo medico.
Sistemi
di identificazione delle immagini, è
evidente che la possibilità di ricorrere ad archivi immensi
confrontando dati a tutta velocità apre nuovi scenari.
Leggere
documenti scritti e tradurli immediatamente in qualsiasi lingua è
già praticamente possibile con un livello di accuratezza
accettabile.
Kaplan
riporta a proposito di obsolescenza di vecchi lavori una autorevole
ricerca in base alla quale il 47% dei lavori attuali sono a rischio
automazione e un ulteriore 19% sono a medio rischio.
Ma
consoliamoci ci dice anche Kaplan, pensiamo al fatto che tutti,
praticamente tutti gli umani per millenni hanno lavorato e vissuto
in agricoltura ed ora in quel campo ci lavora si e no il 2% della
forza lavoro.
Il
problemino per noi è che quella rivoluzione in passato si è attuata
spalmata sui tempi lunghi mentre questa moderna è ormai alle porte e
noi non siamo molto ben disposti a sorbirci ulteriori rivoluzioni in
tempi stretti.
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