Non riesco a
immaginare un nostro simile che non sia altamente curioso del futuro
cioè in parole povere curioso di sapere come andrà a finire.
E questa è la
ragione per la quale dopo aver letto il libro di Kaplan
sull’intelligenza artificiale, del quale ci siamo occupati nel post
precedente, ho subito affrontato questo libro di Rees.
Martim Rees è un
cosmologo qualificato al massimo livello accademico e
reputazionale,membro della Camera dei Lords e della Royal Society,
che vive guarda caso a Cambridge, ma il suo modo di scrivere di
scienza non è certo quello di un parruccone, al contrario sa farsi
capire benissimo dai non addetti ai lavori.
Il libro di
cui stiamo parlando, vedo dall’ultima di copertina che è stato
recensito come “una visione affascinante del nostro futuro sulla
terra e nello spazio” niente di meno che da Elon Musk il
fondatore tra l’altro di Tesla che è divenuto ormai forse
l’immagine più iconica di un geniaccio che vive nel futuro.
Quindi ci possiamo
fidare che il tempo speso per leggere questo libro sarà speso bene.
Mentre Kaplan aveva
esordito facendoci intravvedere da subito l’incredibile rivoluzione
che gli sviluppi dell’intelligenza artificiale stanno portando nel
nostro mondo e nelle nostre vite e quelli che credevamo solo da
fantascienza, ma che sono già dietro l’angolo, Rees la prende più
di lato, come se avesse il timore di spaventare il lettore.
Inizia facendo
un elenco dei pericoli e degli annessi rischi che l’umanità corre
attualmente, come dire : non fate l’errore di
terrorizzarvi perché il domani sarà diversissimo dall’oggi,
perché in realtà il mondo è oggi minacciato da una serie di
situazioni che non governiamo abbastanza, questi sono i rischi veri e
incombenti, molto meno pericolose sono le novità che ci porterà un
futuro ormai prossimo, novità che saranno invece per noi più
opportunità che pericoli.
E ci elenca il fatto
che abbiamo vissuto per decenni in un equilibrio del terrore chiamato
guerra fredda, che è rimasta fredda, ma che poteva degenerare in
qualsiasi momento con conseguenze catastrofiche essendo stati i razzi
intercontinentali delle due superpotenze armati da testate atomiche.
Oggi a seguito di
una serie di accordi internazionali il livello di armamenti delle ex
potenze contrapposte è diminuito addirittura di cinque volte ci dice
Rees, ma attenti a non ripetere gli errori del passato.
La vera bomba
atomica di oggi che non stiamo contenendo a sufficienza secondo
l’Autore è la degenerazione del clima.
La concentrazione
del CO2 dovuto per la maggior parte dall’uso di carburanti fossili
causa l’effetto serrra, cioè forma come una coperta nell’atmosfera
che trattiene il calore.
Le conseguenze sono
note e la più eclatante è l’innalzamento del livello dei mari,
con lo scioglimento dei ghiacci polari.
Un’altra piaga dei
nostri tempi è la bomba demografica che rischia di andare fuori
controllo, creando fame in vaste aree del mondo e spingendo a
migrazioni bibliche con conseguenti contraccolpi sulla stabilità
sociale e politica che conosciamo bene nel nostro paese.
I rimedi ci
sarebbero già perché fortunatamente sono state sviluppate diverse
fonti per creare energia pulita dal solare all’eolico al
miglioramento delle capacità di stoccaggio delle batterie, al
geotermico allo sfruttamento del movimento delle onde e delle maree,
al possibile uso dell’idrogeno come fonte di energia ai tentativi
di governare la fusione nucleare.
Fra i possibili
pericoli catastrofici l’autore cita anche l’eventualità che si
verifichi una collisione di un asteroide con il nostro pianeta, ma ci
rincuora dicendo che è possibile fare previsioni per tempo e che nel
caso peggiore abbiamo ormai la tecnologia per far deviare un corpo
celeste che ci minacciasse.
Detto questo
Rees passa a parlare del futuro vero e proprio, cioè quello che ci
porterà lo sviluppo delle scienze e delle tecnologie già in atto.
Come aveva
fatto anche Kaplan nel libro sopra citato,Rees esordisce
sottolineando la nostra naturale difficoltà a superare pregiudizi e
abitudini mentali cristallizzate nel nostro sviluppo culturale e
prima di tutto il tabù di affrontare mutamenti ritenuti erroneamente
“contro natura”, che è una nozione culturale-filosofica e non
scientifica.
Questa nozione
falsamente scientifica aveva posto delle difficoltà psicologiche più
che etiche alle vaccinazioni, ai trapianti di organi, alla ricerca
sugli embrioni e sulle cellule staminali.
Rees dice ad esempio
che gli americani hanno consumato per decenni tonnellate di cibi OGM
senza che si sia mai manifestato il minimo problema di salute, ma
sopratutto in Europa continua il pregiudizio contrario agli OGM,
quando l’uso dell’ingegneria genetica alla base degli OGM stessi
è un formidabile strumento per prevenire malattie.
Così la
fertilizzazione in vitro, così la travagliata marcia in avanti del
diritto di decidere sul fine vita, legalizzando l’eutanasia a
determinate condizioni.
Filosoficamente
contro natura sarebbe anche l’impiego di organi di animali per
trapianti umani o il nuovo promettente settore della creazione in
vitro di tessuti di carne artificiale che tramite le stampanti 3D
potrebbe essere modulata in modo da sostituire organi malati.
In futuro dice Rees
si svilupperà ancora di più la spinta ad allungare le aspettative
di vita tanto che sembra incredibile il fatto che molti si
sottomettono a spese considerevoli per fare surgelare il proprio
corpo pensando di potere riutilizzarlo in un futuro nel quale
prevedono evidentemente strabilianti progressi.
Il capitolo
centrale dell’opera tratta di cibertecnologia, robotica e
intelligenza artificiale e quindi arriva al cuore del problema.
Rees constata che
gli smartphone nati solo nel 2007 in sostituzione dei cellulari sono
stati l’esempio della più rapida penetrazione della tecnologia
nella vita umana che si ricordi comportando un arricchimento
sensazionale.
Uno degli aspetti
più positivi di una tale rivoluzione sta nel fatto che offrono anche
alle popolazioni più povere l’opportunità di passare da
condizioni di vita da medioevo alla modernità più evoluta, saltando
a piè pari tutti i passaggi intermedi.
Fa una certa
impressione a noi italiani pure abituati a fruire di uno dei sistemi
di welfare più evoluti al mondo sapere che anche l’analfabeta
contadino di un povero villaggio indiano dispone di una carta di
identità digitale colla quale accedere al ben più limitato sistema
di welfare dell’India senza dovere scervellarsi per procurarsi il
macchinoso PIN della nostra Inps essendo la sua carta dotata di
un sistema di
riconoscimento dell’impronta digitale o addirittura facciale.
Quanto
all’intelligenza artificiale anche Rees mette subito le cose in
chiaro affermando che le “macchine” riescono a fare meglio degli
umani attraverso la loro abilità di trattare masse enormi di dati e
di usufruire di una velocità di elaborazione molto superiori alla
nostra.
Anche Rees
quindi sfata la favola secondo la quale le macchine non riusciranno
mai a fare quello che fa l’uomo o che la macchina farebbe solo un
programma senza raggiungere alcun grado di autonomia e di autonomo
miglioramento, andando quindi oltre a quello che l’operatore “le
ha messo dentro”.
Come Kaplan anche
Rees non si nasconde la difficoltà di “controllare” macchine che
diventeranno più o meno autonome.
Tratta quindi il
tema spinoso della possibile distruzione di posti di lavoro sia nella
manifattura che nella distribuzione dei beni, che andrà di pari
passo allo sviluppo dell’intelligenza artificiale e della robotica,
Ma anche ai livelli
più elevati di competenza , dal lavoro legale alla diagnostica
medica e persino nella chirurgia, come nei lavori di contabilità più
o meno complessa.
Arriviamo quindi a
uno degli aspetti che più colpiscono la fantasia : la macchina che
si autoguida dove la tecnologia ha quasi risolto ogni problema, ma il
vero ostacolo sono gli ingenti investimenti che l’impiego di
quest’auto richiederebbe.
Poi c’è alla base
un problema psicologico che impone un grado di sicurezza a tutta
prova, ma dice Rees, pensate a come sono andate le cose
nell’aviazione civile dove il livello di probabilità di incidenti
è ridotto quasi a zero ed il lavoro è per la gran parte fatto in
automatico.
Pensiamo poi al
ruolo che avranno i droni nello spostamento e nella consegna dei
beni,
Venendo ai robot
Rees sottolinea il ruolo che avranno queste “macchine” umanizzate
nella parte di mondo più sviluppato in costante invecchiamento nel
campo del caregiving oggi sobbarcato dalle badanti.
Ci sono poi mansioni
di giardinieri e custodi che potranno essere effettuate da robot.
Il tutto ovviamente
oltre all’impiego ormai già parecchio sviluppato nell’automazione
applicata nella meccanica.
Inevitabilmente
secondo Rees la riduzione dei posti di lavoro per gli umani
comporterà di mettere mano a riduzioni anche forti dell’orario di
lavoro.
Si apriranno quindi
costumi di vita più aperti alle arti ed all’educazione permanente.
Il forte incremento
delle tecniche di comunicazione fino alla teleconferenza avrà delle
conseguenze ad esempio renderà meno necessari spostamenti non di
piacere.
Comporterà anche
però il fatto che gli abitanti della parte più povera del mondo
essendo in grado di vedere bene come si vive dove si sta molto meglio
che da loro, saranno incentivati a tentare di spostarsi con tutto
ciò che ne deriva, tenendo anche conto del fatto che la estrema
facilità di rimanere in contatto con qualsiasi parte del mondo e
quindi nel casi dei migranti rimanere in contatto costante con i loro
paesi di origine, non favorisce l’integrazione con i nuovi vicini.
Tutto bello, ma si
potranno anche costruire robot-killer e questo è un guaio che
dovrebbe essere affrontato con trattati internazionali come quelli
che hanno messo al bando le armi chimiche e biologiche
Non c’è
solo il problema del “controllo” delle macchine con intelligenza
artificiale capace di apprendere autonomamente, ci sarà un problema
ancora più eclatante da risolvere che è questo :
quando potremo
aumentare la potenza delle nostre menti con impianti elettronici, ci
metteremo nella condizione di “scaricare” il contenuto della
nostra mente cioè pensieri e memoria in supporti elettronici.
A questo punto
sorgerà il problema : ma quell’io tecnologicamente modificato ed
aumentato sarò ancora io, cioè sarà ancora la mia persona?
Siamo arrivati a
dover introdurre un concetto che è proprio della filosofia e non
della scienza, ma a questo punto non si può farne a meno.
Rees va oltre e dice
, se si può fare un clone allora si possono fare anche diversi cloni
e allora?
E allora siamo
impreparati a confrontarci con tali problemi.
A questo punto
Rees introduce un altro ed ancor più preoccupante elemento di
possibile criticità del nostro mondo affidato all’elettronica
quando si chiede : e se intervenisse un micidiale black out tale da
toglierci l’elettricità che succederebbe?
In poco tempo le
città diverrebbero ingovernabili ed in preda al caos, del resto la
storia non ci nasconde il fatto che in passato è successo più volte
che alcune civiltà si sono estinte.
Nel capitolo
successivo Rees tratta il problema altamente affascinante dal titolo
: l’umanità in una prospettiva cosmica, introducendo l’argomento
dell’esplorazione spaziale.
Per inquadrare lo
stato dell’arte l’Autore ci ricorda che la sonda cosmica Voyager
sta navigando da ben 40 anni e si trova ai margini del sistema solare
con la prospettiva di dovere viaggiare ancora per decine di migliaia
di anni per raggiungere la stella più vicina.
Questo da l’idea
dell’immensità dell’universo e di quanto noi umani (lo dico io
non Rees) siamo niente di più che piccole formichine, come diceva
Margherita Hack.
Siamo piccole
formichine che però sono fatte delle stesse sostanze che compongono
il resto dell’universo e siamo compartecipi della medesima storia
che risale a 5 miliardi di anni fa
e quindi ne siamo
parte a pieno titolo.
La nostra
galassia, la Via Lattea che contiene più di cento miliardi di
stelle, che tutte orbitano intorno a un unico hub al cui centro è
posizionato un imponente buco nero.
E la nostra è
solo una delle cento miliardi di galassie visibili tramite i
telescopi.
Noi abbiamo
intercettato l’eco del big bang avvenuto 13,8 miliardi di anni fa,
quando nacque l’universo.
Rees giustamente
cita “la corsa allo spazio” culminata nello sbarco di umani sulla
Luna come un avvenimento grandioso ma che per le giovani generazioni
fa parte della storia come le piramidi degli Egizi.
L’Autore infatti
come la gran parte dei “futurologhi” ritiene che quella stagione
sia finita nel senso che oggi abbiamo l’opportunità di esplorare
lo spazio senza fare correre agli umani alcun rischio impiegando
flotte di strumenti robotici e telescopi inviati nello spazio.
Rees arriva a dire
che per ottimizzare i costi e rendere la via dell’esplorazione
sistematica è tecnicamente possibile costruire un “ascensore
spaziale” in fibra di carbonio della lunghezza di 30.000 kilometri,
ancorato sulla Terra fino ad arrivare ad un’orbita
geo-stazionaria.
L’Autore spiega
bene la propria filosofia in proposito quando dice che è una
pericolosa illusione pensare di lasciare andare a ramengo la terra
perché in futuro sarebbe possibile emigrare su Marte, i problemi
della Terra devono essere affrontati e risolti sulla Terra.
E arriviamo alla
domanda più affascinante che ci possiamo porre sul futuro e le sue
prospettive : andiamo verso una era post-umana?.
Ci può essere
una transizione verso intelligenze pienamente inorganiche con il
vantaggio che intelligenze inorganiche non necessitano di una
atmosfera.
Come Kaplan anche
Rees si chiede se queste intelligenze non organiche sono tali da
raggiungere il livello di auto-coscienza e sopratutto se questo deve
suscitare in noi la reazione come fosse una minaccia.
Rees risponde che
non ci sarebbe ragione perché non dovessimo vedere benevolmente la
prospettiva di una loro futura egemonia , aggiungo io tenendo conto
del fatto che noi li avremmo “creati”.
Con delicatezza Rees
ricorda che queste entità fra le altre cose sarebbero di fatto
praticamente immortali e trascenderebbero di molto i nostri limiti.
E se nell’universo
non fossimo soli?
Possibile, ma se
così fosse è più probabile che gli “alieni” non siano affatto
esseri biologici ma metallici ed elettronici, ma sempre fatti degli
stessi atomi coi quali siamo fatti noi condividendo non noi la
medesima consistenza del medesimo universo.
Gli atomi
ubbidiscono alle stesse leggi nelle più lontane galassie come nei
nostri laboratori.
L’Autore insiste
nel cercare di mitigare il senso di smarrimento che ci provoca il
solo pensiero dell’immensità dello spazio sottolineando il fatto
che anche le stelle e le galassie più lontane per quanto
irraggiungibili dagli umani stante il limite invalicabile della
velocità della luce sono fatte della nostra stessa pasta, non
biologica evidentemente ma a livello atomico.
Fantastiche anche le
speculazioni finali del libro quando Rees introduce il discorso degli
sviluppi possibili nel futuro della scienza e la “teoria del
tutto” che è ancora la fuori ad aspettare.
Rees ci fa pensare
al fatto che un passo decisivo nella più piena comprensione del
mondo potrebbe consistere nello studio della entità più semplice di
tutte “il mero spazio vuoto” che potrebbe avere anche una ricca
trama a una scala di miliardi di miliardi più piccola di un atomo.
In conclusione Rees
ci ha affidato un ottimo saggio su una delle materie più
affascinanti che ci siano, leggibile con un minimo di impegno anche
da parte di chi non ha una preparazione specifica.
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