Di solito inizio le recensioni presentando i tratti essenziali dell’autore.
Ma nel caso di Rampini ,immagino che il personaggio sia talmente noto dal rendere del tutto superfluo cercare di descriverne la biografia.
In una recente intervista, l’autore a una domanda precisa del conduttore che lo invitava a definirsi nel ruolo professionale, che ritieneva più consono alla realtà, rispose dicendo che in questo momento della sua vita si sente più scrittore che altro.
E in effetti la sua produzione come saggista è piuttosto ampia.
In particolare ,questo ultimo libro non può non essere visto come il seguito logico del precedente : “Suicidio occidentale” uscito nel 2022.
Per i lettori che volessero richiamarlo alla memoria, metto di seguito il link relativo alla recensione che gli avevo dedicato https://gmaldif-pantarei.blogspot.com/2024/03/federico-rampini-suicidio-occidentale.html.
Altri autori si erano cimentati sull’argomento, che per la verità aveva visto l’impegno sopratutto di analisti di geopolitica, come del resto è ovvio che sia.
Rampini non nasconde con orgoglio di ritenersi particolarmente qualificato a parlare di America (più di tanti suoi colleghi) dal fatto di essere anche cittadino americano da lunghi anni e di essere vissuto prevalentemente in quel paese dalla sua età adulta in poi, salvo la parentesi cinese (di ben quattro anni).
Come dire che lui parla di cose che ha viste e vissute in diretta.
Sinceramente non è poco.
Per contestualizzare queste poche righe, ricordo al lettore che sto scrivendo due giorni dopo alla schiacciante vittoria elettorale di Donald Trump come 47 presidente degli Usa.
Sento la necessità di farlo, perché non dubito che se un lettore vuole capire a fondo perché questo avvenimento è successo ed in quella misura, non c’è dubbio che ha trovato il libro che gli fornisce le risposte ,che vanno più nel profondo dello spirito americano contemporaneo.
Credo che, come lettori ,dobbiamo molto all’onestà intellettuale di Rampini ,se appena conosciamo la sua storia, diciamo politica.
Aderente al Pci di Berlinguer ,da giovane ,ha sempre conservato una sua naturale inclinazione verso l’indirizzo progressista e quindi, diciamolo pure ,in america ha sempre votato democratico.
Ma la sua inclinazione politica non gli ha impedito di scrivere questi ultimi due saggi sull’America nei quali fa letteralmente a pezzi l’azione politica politica di fondo del partito democratico americano in questi ultimi anni.
A cominciare dalle follie delle amministrazioni delle megalopoli più rappresentative delle due coste (New York , San Francisco e Los Angeles) rette da una casta di integralisti ideologici, prigionieri di un fondamentalismo, che li ha fatti allontanare progressivamente dalla cognizione della realtà.
Tanto per fare un esempio, il movimento “Black live matter”, nato per una sacriosanta reazione al razzismo inumano di un poliziotto, si è trasformato nella folle politica del “defund the police”, che ha portato la criminalità in quelle metropoli a livelli inconcepibili.
Cocì come la dottrina “verde” declinata a livello talebano, che in nome del principio di per sé sacrosanto del “basta cementificazione” ,ha bloccato in modo assoluto la costruzione di nuove abitazioni popolari, con il risultato che le strade ,comprese quelle turisticamente più famose e presigiose, si sono riempite di “homless” che se ne sentono padroni al punto ,riportano le cronache ,di defecare in pubblico.
Le medesime politiche hanno creato una tale carenza di immobili sul mercato,tale da impedire, sopratutto ai giovani, di trovarsi una casa, anche solo in affitto ,dato che i prezzi ,seguendo la più elementare legge del mercato, sono diventati folli.
Andiamo ancora peggio se volgiamo lo sguardo all’educazione.
Nelle prestigiose università dell’Ivy League dove si accede per la modica cifra minimo di 70.000 $ l’anno, la classe accademica si impone da anni una autocensura indecorosa, che le impone di seguire rigorosamente i precetti del movimento Woke, con annesse conseguenze della “cancel culture” ,che ha imposto l’abbattimento delle statue di qualsiasi personaggio, padri della patria inclusi, che avesse dato ,ai suoi tempi, segno di un pensiero non contrario alla schiavitù ed al razzismo, in barba al principio più ovvio dell’approccio alla storia, che vuole la contestualizzazine di qualsiasi evento o personaggio.
Rampini sottolinea giustamente l’autentica follia che impedisce tuttora a un docente di quelle università di nominare Platone, perché ritenuto reo di razzismo.
Ma sopratutto Rampini insiste nel puntare il dito contro l’atteggiamento dogmatico e oscurantistico dell’èlite democratica ,che ha imposto e impone il pregiudizio, che pretende in qualsasi posizione o analisi di ispirarsi a questa premessa : noi occidentali siamo colpevoli di avere commesso in passato peccati imperdonabili di razzismo, schiavismo, colonialismo materiale e culturale ,e quindi non siamo affatto coloro che hanno aumentato il livello di vita materiale né il progresso del mondo.
Per questa ragione dobbiamo espiare i nostri peccati storici confessandoci che le altre civiltà sono migliori della nostra e che noi siamo destinati a ruoli gregari.
E quindi nei rapporti con altre etnie, dobbiamo porci come un inferiore si pone davanti a un superiore e dobbiamo stare ben attenti a non assumere atteggiamenti ,che potrebbero essere interpretati come offensivi da etnie diverse dalla nostra.
Attenzone, questa non è teoria:
Si pensi ad esempio che questi pregiudizi hanno spinto le medesime elites democratiche a imporre al NY Police Department, famosissimo nelle serie televisive, di distogliere lo sguardo da violazioni della legge ,se i “perpetrator” erano black people o latinos.
Conseguenza ovvia di queste direttive è stato il fatto che intieri quartieri sono finiti nella disponibilità delle bande di giovanissimi, intoccabili perché etnicamente non bianchi.
L’autore in questo libro in particolare ha il merito sacrosanto di avere confutato frontalmente la filosofia che sta a base di questa degenerazione culturale delle èlite democratiche americane, documentando con citazioni di saggi di autori di comprovata competenza, che è vero esattamente il contrario.
Cioè che non basta qualificare le follie sopra elencate come semplici esagerazioni, perché è possibilissimo dimostrare che è vero il contrario.
E cioè che è innegabile il merito dell’Occidente di avere portato il progresso scientifico e tecnico ai massimi livelli e di avere e il merito di non essersi chiuso in una campana di vetro, ma di avere diffuso quel progresso con la globalizzazione in tutto il mondo.
Se i paesi emergenti hanno quasi vinto la battaglia contro la fame, endemica da secoli, è per merito dell’acquisizione delle tecniche agricole sperimentate e applicate prima in Occidente.
La Cina addirittura questa battaglia l’ha vinta, ma nessuno di questi popoli avrebbe conseguito questi risultati senza “copiare” dall’Occidente.
Non parliamo della farmaceutica e della medicina, perché in questi campi la cosa è del tutto evidente.
Quanto a schiavitù, razzismo e colonialismo è bene dare a ognuno quello che si porta sulle spalle, ricorda Rampini.
Infatti queste qualità negative non sono affatto prerogativa particolare dell’Occidente.
Gli schiavisti delle piantagioni si cotone, per esempio, si sono sempre avvalsi degli immondi servizi dei mercanti sopratutto arabi, che ne anno obiettivamente la primazia.
E gli imperi vengono dalla notte dei tempi ,non sono certo stati inventati dall’Occidente.
Ecco ,ho riportato solo un breve florilegio, ma il libro di Rampini è ben più completo e sopratutto documentato.
Ribadisco quindi che se qualcuno ancora non riesce a capacitarsi del perché una forte maggioranza di americani ha votato per il perlomeno “caratteriale” Donald Trump , qualche ragione ce l’aveva proprio.
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