lunedì 19 febbraio 2018

Berlusconi nel suo contratto con gli Italiani ha incluso una riforma costituzionale per fare dell’Italia una Repubblica presidenziale, ma nessuno l’ha degnato di un commento




E’ diventato strano il modo di “fare politica” degli italiani.
Tutti si lamentano in coro perché la classe politica è scaduta a giocare sempre più sporco, sparandole grosse per cercare di carpire il consenso degli elettori provocando in loro emozioni forti, sempre più forti.
Tutti semplificano all’eccesso problemi complessi e promettono di risolverli con soluzioni palesemente irrealizzabili se non facendo debiti catastrofici.
E’ vero che disgraziatamente per noi usufruiamo in questi frangenti di una classe politica estremamente modesta, poco preparata e fortemente attirata dalla corruzione.

Però succede che quando alcuni politici di schieramenti diversi riescono a uscire dalla palude della mediocrità e del tirare a campare e riescono a formulare proposte di lungo respiro per modificare “il sistema” per renderlo più funzionale, e cioè quando dimostrano di essere anche capaci di guardare al futuro, o la cosa non viene percepita per l’importanza che ha, o viene sommersa da un muro di obiezioni per lo più di carattere ideologico.
L’esempio più eclatante di questo comportamento è stato il referendum sulla riforma costituzionale proposta da Renzi in pratica per abolire il Senato rendendo il processo legislativo più veloce consentendo a chi dalla elezioni riceve il mandato popolare di governare veramente.
Era la legge 12 aprile 2016 bocciata dal referendum del 4 dicembre 2016.
Renzi purtroppo anche quando raramente ne pensa e ne fa una giusta, riesce brillantemente a rovinare tutto con la fretta del fare e l’approssimazione e l’impreparazione dei suoi consiglieri, più o meno provenienti dal suo “cerchio magico”.
E nel caso del quale stiamo parlando ce l’aveva messa tutta per rovinare una cosa che sarebbe stata razionale ed efficace.
L’errore più grande l’aveva fatto facendo mettere insieme quel provvedimento da una equipe chiaramente non all’altezza e non abbastanza qualificata per manovrare una riforma costituzionale e infatti il testo era abborracciato, e ritenuto addirittura indecente dalla maggior parte dei costituzionalisti.
Poi non contento, accecato come al solito dalla sua boriosa arroganza, aveva voluto girare e presentare quel referendum in un plebiscito pro o contro la sua persona.
Ha perso miseramente e ha dimostrato forse definitivamente di non avere proprio la statura di uno statista rifiutando di farsi da parte, dopo quella sconfitta personale.

Come i lettori sanno in quel dicembre su questo blog avevo sostenuto le ragioni del si a quella riforma , pur nutrendo per Renzi la più assoluta disistima e pur vedendo l’estrema modestia di quel testo, perché ritenevo e ritengo che questo paese abbia assolutamente bisogno di una riforma anche costituzionale che sia diretta a consentire a chi viene eletto di governare.
Avevo citato allora e ripeto oggi il riferimento estremamente significativo a quel De Gasperi che nel lontano 1953 aveva proposto di abolire il sistema elettorale allora (e tutt’oggi) vigente di tipo proporzionale per passare ad un sistema che assegnando un consistente premio di maggioranza di (ben il 65%) alla forza politica che arrivava prima alle elezioni, le avrebbe consentito di governare e cioè di realizzare veramente il programma elettorale per il quale era stata preferita dagli elettori.
Allora erano altri tempi ed era ancora ben vivo il ricordo dei disastri operati dal fascismo dalla caduta del quale erano passati nemmeno 10 anni e probabilmente l’elettorato era stato attanagliato dalla paura di dare al capo del governo troppo potere e quindi l’elettorato medesimo optò per bloccare ogni possibile tentazione e per De Gasperi fu il principio della fine.
Peccato, fu un’occasione persa.
Se pure con altre forme quella proposta di riforma costituzionale del 2016 mirava allo stesso scopo : consentire a chi prende più voti di realizzare il proprio programma.
Ancora purtroppo, secondo il mio punto di vista, nel 2016 si è scatenata usufruendo di grande copertura sui media quelle parte della “dottrina” giuridica costituzionale che fa riferimento a Fabrizio Onida e ed a Gustavo Zagrebesky e che sostiene che la Costituzione sia intoccabile in alcune parti compresa quella del bicameralismo.

A questi costituzionalisti, peraltro rispettabilissimi si è unito il coro di coloro che da tempo sostengono la retorica della “Costituzione più bella del mondo” e quindi intoccabilissima.
Seguirono dibattiti televisivi banalizzati e l’estrema difficoltà per il pubblico che poi doveva andare a votare, di orientarsi su argomenti di carattere così “tecnico” che non avevano mai studiato a scuola.
E la frittata era fatta.
Allora, pur riconoscendo il valore degli esponenti di questa parte della dottrina giuridica avevo commentato che probabilmente il loro orientamento era troppo influenzato da ragioni ideologiche e dall’irritazione suscitata in loro da un testo tecnicamente malcombinato e indegno di una riforma costituzionale, ma però aggiungevo che mantenendo quella posizione costituzionalisti di così alto livello finivano per “buttare via il bambino con l’acqua sporca”.
Forse pur essendo in assoluta buona fede non si resero conto che con quelle posizioni sostenute allora salvavano la purezza di un’idea ma contribuivano a mantenere in vigore un sistema che girando a vuoto rischia continuamente di deragliare, vedi la nascita nel mondo di figure autoritarie, tutt’altro che malviste dal loro elettorato.

Ad un Renzi che una volta tanto ne aveva pensata una giusta è andata così.
A Berlusconi forse andrà anche peggio, perché incredibilmente la sua proposta di riforma costituzionale, molto piu radicale di quella di Renzi, mi sembra che non sia stata nemmeno presa in considerazione, come se non fosse stata mai avanzata.
Caspita, ma è un peccato.
Possibile che quando un capo politico seppure fra tante “frignacce”, avanza proposte serie e incisive, nemmeno ci si discuta?
Invito i lettori a giudicare i pareri dei costituzionalisti non come “oracoli” intoccabili ma per quello che sono e cioè esternazioni utili a formulare una “dottrina giuridica” fra le altre e quindi da valutare usando i parametri della scienza politica, il diritto costituzionale comparato eccetera.
Peccato che non ci sia più un Sartori , maestro di “ingegneria costituzionale” che con la sua autorevolezza commentava puntualmente ogni tentativo di modifica costituzionale con linguaggio abbordabile dal grande pubblico.
Quando sedevo sui banchi dell’Isituto Giuridico della mia università aveva acquistato notorietà un costituzionalista che suscitando abbastanza scandalo fra i colleghi giuristi puri cominciava a navigare fra la scienza politica e l’ingegneria costituzionale, si chiamava Giuseppe Maranini e sosteneva che la costituzione italiana è combinata in un modo singolare e cioè che è vero che a causa della perdurante paura del fascismo che attanagliava i Costituenti non prevede un Capo del Governo al quale infatti centellina i poteri , ma invece prevede una figura di Capo dello Stato con poteri tanto ampi da presentare diversi elementi tipici delle repubbliche presidenziali.
Daccordo Maranini probabilmente non è amato da Onida e Zagrebelsky, ma era stato parecchio amato per esempio da Miglio ed altri.
Questo per dire che un dibattito in campo giuridico e di scienza politica sui possibili vantaggi e svantaggi di una repubblica presidenziale troverebbe già da molti decenni una base su cui discutere.
Adesso che è venuto di moda parlare di presunto pericolo fascista ,per lo più straparlando, si spera che a nessuno venga in mente di banalizzare il problema descrivendo la repubblica presidenziale come para-fascista, come se Francia e Stati Uniti avessero mai corso pericoli autoritari a causa della loro repubblica presidenziale.


Sarebbe bene che almeno si cominciasse a parlarne e a discuterne, perché se quando e se pure raramente i nostri politici si avventurano su discorsi seri nessuno li segue, allora veramente non lamentiamoci più che le cose vanno male, perché dimostreremmo che la causa di quell’andar male è forse prevalentemente nostra e delle nostre scelte o non scelte.

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