Il primo degli
intervistati in ordine di tempo è stato Gianfranco Ravasi, che la
porpora ce l’ha da anni e la porta con disinvoltura ed evidente
compiacimento, all’altro Vincenzo Paglia la medesima porpora la
fanno ancora aspettare a causa delle intricate alchimie di potere
vaticane , ma per rango e livello intellettuale è come se già
l’avesse.
Il primo è titolare
di un dicastero di Curia anzi di due come Presidente
del Pontificio Consiglio della Cultura
e Presidente
della Pontificia
Commissione di Archeologia Sacra
, il secondo non è da meno come Presidente
dellaPontificia accademia per la vita e
Gran
cancelliere del Pontificio
istituto Giovanni Paolo II
, ma
è universalmente noto come co-fondatore della Comunità di
Sant’Egidio con Andrea Riccardi.
Comunque
al di là delle altisonanti attribuzioni in
uso presso l’ultima
monarchia assoluta rimasta sulla terra, i
due intervistati brillano di luce propria per la loro non
comune
intelligenza ed
è questa la ragione per la quale ho trovato di particolare interesse
leggere cosa avessero da dire.
Di
Ravasi su questo blog se ne era parlato già nel post del lontano 24
ottobre 2010, proprio quando Papa Woytila lo aveva gratificato col
berretto cardinalizio e si era dato atto delle sue singolari doti
intellettuali, che proprio perché fuori dal normale avevano
rischiato di perderlo ai fini della carriera e del potere, quando i
suoi studi biblici effettuati esercitando il senso critico lo stavano
spingendo a scrivere cose troppo in contrasto con la dogmatica
cattolica misurata sul metro del Sant’Uffizio.
Il
brillante teologo biblico a un certo momento , si
diceva in quel post, messo
alle strette
aveva
fatto la sua scelta a favore di un più stretto controllo delle sue
esternazioni per renderle compatibili con la carriera alla quale
evidentemente non voleva rinunciare.
Scelta
personale che aveva tutto il diritto di fare, anche se rinunciare di
fatto alla piena libertà di ricerca per un intellettuale è un
problema serio.
Sarà
anche sulla base di queste considerazioni che non ho potuto non
rilevare che nel corso dell’intervista della quale stiamo parlando
tutta costruita su una esposizione che brilla veramente ben poco per
originalità,è rintracciabile però anche un breve ma significativo
guizzo del diavoletto che un intellettuale di razza può incatenare,
ma non del tutto.
Purtroppo,
come si accennava, l’insieme del discorso che viene fuori non è
diversa dall’omelia che potrebbe fare un qualunque buon parroco
di campagna.
Il
discorso fatto da Ravasi è questo : oggi prevale
l’indifferenza in materia religiosa e la religione stessa diventa
irrilevante per la gran massa degli uomini contemporanei.
La
gente più che professare un ateismo determinato, si adagia in una
indifferenza soft e come diceva a suo tempo papa Ratzinger vive
tranquillamente “come se dio non fosse”.
Fin
qui nulla da osservare, il fenomeno del quale parla Ravasi è quello
della secolarizzazione descritto e analizzato nell’ambito del
pensiero e della teologia cattolica già ai tempi dell’ormai
lontano Concilio Vaticano II degli anni ‘60.
Poi
però Ravasi prende una scivolata non degna del suo livello
intellettuale quando fa l’equazione :
rifiuto
o indifferenza alla fede cattolica = caduta del sistema etico.
Diavolo,
una banale affermazione del genere, intellettualmente
parlando, è
al limite della volgarità, la lasci se vogliamo ai meno colti
parroci di campagna, ma non ci cada lui, proprio perché si tratta di
un affermazione del tutto insostenibile sia a livello di pensiero,
essendo in totale contrasto con la filosofia classica e con tutto
l’umanesimo, e poi
con
la prassi che chiunque può constatare.
Non
voglio cadere nella volgarità anch’io ma se ci poniamo su questo
piano come non chiedere all’eminenza come possa ritenere ancora
autorevole, credibile e fonte di moralità quella stessa chiesa
istituzionale scossa da scandali sessuali e finanziari in ogni angolo
del mondo?
Il
rettore del dicastero della cultura vaticana non sa fare di meglio
che insultare in questo modo il mondo laico, che sta fuori dalle mura
leonine, oltre che la sua intelligenza?
L’argomentazione
che segue nel corso dell’intervista di Ravasi non risulta più
convincente quando sostiene che la chiesa non ha alcuna intenzione di
fare sì che tutte le piazze diventino Piazza San Pietro e quindi è
a favore della secolarità in questo senso.
Si
vede che solo nominare il termine laicità ,in modo che la gente
possa capire di cosa si sta parlando, nel Vaticano del presunto
papato progressista Francesco è assolutamente proibito.
Peccato
però che l’affermazione di Ravasi appena precedente secondo la
quale “extra ecclesa nulla moralis” vada esattamente nel senso
opposto.
Poi
l’intervistatore, che è il vaticanista di lungo corso Gian Guido
Vecchi, chiede come pensa l’eminenza che la chiesa debba affrontare
la crisi in atto.
La
risposta è : ci sono due strade percorribili, la prima è quella
praticata da molte chiese protestanti ed quella di concedere tutto al
“soggettivismo”, strada che l’eminenza esclude, la secondo alla
quale è invece favorevole è “conservare il nucleo”.
Strana
la irritante banalità delle argomentazioni ,protratte per quasi due
terzi dell’intervista con relativi scivoloni ,per arrivare a quella
che è un’autentica deflagrazione, come una deflagrazione era stata
nella storia della chiesa l’analoga
richiesta di un tale frate Francesco di tornare al Vangelo
nudo “sine
glossa”.
Se
fosse presa sul serio una tale affermazione potrebbe avere
conseguenze incalcolabili sulla struttura se non addirittura
sull’esistenza stessa di una chiesa istituzionalizzata.
L’eminenza
lancia il sasso, che si è detto è pesantissimo, ma ritiene poi di
non andare oltre.
Anzi
per la verità in qualche modo fa intravvedere l’oltre e questo mi
sembra sia “il diavoletto dell’intellettuale” che non si
lascia incatenare del quale si era accennato all’inizio e consiste
in questa affermazione inaudita e forse impronunciabile per un
porporato di quel rango : riproporre il nucleo come fece san Paolo
nell’Areopago “pur sapendo che è possibile anche il fallimento”.
Questa
è un’affermazione indicibile nel campo della teologia cattolica,
perché questa
è
il senso stesso della laicità, che
consiste in
un’affermazione di fede nel
senso di credenza solo se passata
al vaglio della ragione.
La
laicità è in contrasto insanabile con qualsiasi fede ,perchè
questa rifiuta per definizione di sottomettersi al vaglio della
ragione in quanto fondata su assunzioni che si autoproclamano verità
rivelata, data una volta per tutte.
La
laicità è invece per definizione relativista e non da mai niente
per scontato e per assoluto.
E
allora, bravo, bravissimo Ravasi che sa dire l’indicibile
adombrando la possibilità di un relativismo?
No,
proprio no, perché lanciare un sasso di quella portata e poi non
dire più nulla non è onesto né
umanamente, né intellettualmente.
Per
la semplice ragione che i lettori del Corriere, come
l’italiano medio
hanno probabilmente un livello di cultura in
materia di teologia cattolica e di storia della chiesa da non
permettere loro di afferrare nemmeno in
modo grossolano le
implicazioni teoriche e pratiche di un termine apparentemente
esoterico come “Vangelo sine glossa”, e quindi lanciare il sasso
e lasciarlo affondare senza spiegarsi per il popolo,non
è onesto,
tanto valeva lasciare perdere e andare avanti col discorso del
parroco di campagna, modesto,
arretrato, ma onesto.
Nascondersi
dietro al latinorum di Don Abbondio è una tattica trita e veramente
di basso profilo.
Capisco
che scegliere la porpora è umanamente più appagante che fare la
vita, tanto per fare un esempio di un teologo
come Vito
Mancuso ,che per dire quello che la libertà di ricerca gli portava a
dire si
è messo
nelle condizioni di dover rinunciare
non sono all’eventualità
di una
carriera
verso la porpora,
ma perfino alla
tonaca.
Non
è onesto non spiegare
alla gente che “Vangelo sine glossa” significa inconfutabilmente
dire tra
l’altro
eccelsia sine porpore, per farla breve, ricorrendo
un latinorum da strapazzo.
Capisco
che avere
il coraggio di dire
questo per chi la porpora l’ha eccettata e la veste con
tutti gli agi annessi e connessi possa
essere duro e complicato, ma tant’è .
Questa
situazione nella
quale si trova un personaggio vistoso come Ravasi è
la dimostrazione che non si può fare contemporaneamente
l’intellettuale e il burocrate ,se pure di alto o altissimo
livello, o l’uno o l’altro.
Evidentemente
uno come Ravasi tende a cedere a quell’arroganza intellettuale che
gli fa pensare di pter tenersi la porpora e contemporaneamente
permettersi di prendersi la soddisfazione intellettuale di esternare
certi pensieri da diavoletto irrefrenabile, approfittando del fatto
di essere come prefetto della congregazione della cultura
contemporaneamente controllore e controllato.
Ma
non è onesto, “not fair at all” per lui che si dice parli dieci
lingue.
L’altro
cospicuo personaggio vaticano che è stato intervistato dal Corriere
in questi giorni, questa volta avendo come interlocutore Aldo
Cazzullo, firma principe di quel giornale, è l’Arcivescovo
Vincenzo Paglia che ha osato coraggiosamente cimentarsi con
l’argomento difficilissimo della morte.
Difficilissimo
perché paradossalmente la ragione per la quale la stragrande
maggioranza della gente che ancora si rivolge alla fede cattolica lo
fa per cercare la risposta di quella fede proprio all’assurdità
razionale della morte, ma incredibilmente la chiesa in due millenni
di storia non ha saputo elaborare risposte di un qualche senso a
questa domanda così basilare.
Prova
dell’affidarsi ancora alla chiesa per dare un senso alla morte è
che fra i “riti di passaggio”, quello che resiste più degli
altri è il funerale religioso.
Mons.
Paglia in quell’intervista comincia con un’affermazione di senso
comune, fatta proprio dalla teologia cattolica, ma non certo in
esclusiva, essendo ben presente nel pensiero filosofico :il bisogno
di un oltre che superi l’oltraggio irrazionale della morte è
insito nel profondo dell’uomo, perché dice Paglia, sarebbe un
enorme spreco se tutti gli affetti accumulati nella vita finissero
nel nulla.
Poi
riconosce che quando i cristiani affrontano il problema lo fanno
usando un gergo clericale
scontato e superficiale che non dice più niente a nessuno.
E
questo
è un onesto riconoscimento di quanto si diceva sopra e cioè che la
chiesa non ha saputo elaborare alcuna risposta appena appena
convincente.
Successivamente
però si lascia andare a una argomentazione più che discutibile
dicendo che il cattolicesimo non riconosce la reincarnazione , ma
piuttosto la resurrezione dei corpi e su questo fonda la sua risposta
di senso al fenomeno della morte.
Santo
cielo, ma possibile che un uomo che conosce non solo il mondo
patinato dell’accademia come Ravasi, ma che ha conosciuto e bene il
mondo dei diseredati e dell’uomo comune non veda che questo
concetto tradizionale della “resurrezione della carne” fa parte
integrante di quello che lui stesso aveva chiamato
prima “gergo clericale” che non convince più
nessuno?
Se
Paglia cade su un argomento come questo lascia intravedere una
cultura scientifica mai praticata seriamente, ed è un peccato, dato
che una parte non trascurabile della teologia cattolica ha da tempo
proposto di archiviare questo dogma tradizionale per assoluta
incompatibilità col pensiero scientifico moderno.
Da
Giordano Bruno a Teillard de Chardin a Mancuso si è sviluppata una
riflessione nei secoli che riesce ad essere in sintonia con i dati
più recenti della ricerca scientifica proprio
ipotizzando l’archiviazione definitiva del dogma della resurrezione
della carne
ed allora perché impantanarsi
su un concetto così insostenibile?
Purtroppo
per Paglia la difesa a oltranza dell’idea della resurrezione della
carne è ripetuta più volte anche quando dice che il cristianesimo
va oltre l’idea della sopravvivenza platonica dell’anima
spirituale.
Riconosce
che l’idea della resurrezione è difficile anche solo concepirla,
ma allora per quale ragione ritiene di insisterci?
La
soluzione per salvare capra e cavoli, volgarmente parlando, come tra
l’altro hanno fatto da secoli i teologi ci sarebbe e lui stesso ne
da un esempio quando dice che la Madonna “si tramanda” che si
addormentò e il suo corpo fu portato in cielo.
Si
tramanda vuole dire che si parla di una leggenda o se si vuole di una
metafora.
Un’icona
per farci sopra una meditazione, una riflessione spirituale volendo
anche intellettuale e filosofica.
Ma
senza affermare come verità storica che Maometto è salito in cielo
dal terreno della spianata delle moschee a Gerusalemme col suo
cavallo Buraq.
Questa
del riconoscimento della narrazione metaforica,
mi sembra l’unico modo sensato di parlare di resurrezione dei
corpi.
Peccato
che un uomo del livello di Mons.Paglia abbia scelto la solennità del
Natale per pubblicare un libro sulla morte ,cosa che ha dato il
pretesto per l’intervista in parola, se ,in poche parole, non aveva
niente di appena appena originale da dire.
Vista
la ben scarsa efficacia degli interventi “sui sacri
misteri” evocati dal Natale, di due figure di grande
spicco dei vertici vaticani, mi convinco sempre di più che non
esista un futuro per la chiesa cattolica se qualcuno
non sarà capace di attaccarsi veramente al messaggio di un Vangelo
sine glossa, o se si vuole sul pensiero originario di Gesù
risultante da quella riflessione teologica denominata
“Quest” per trovare il coraggio non solo di proclamare il
messaggio ma anche di cominciare a dire
alla gente la verità conseguente sulla storia della chiesa e sulla
sua struttura attuale.
Che
questa rivoluzione possa avvenire dall’interno della chiesa
istituzionale o peggio all’interno dalla sua gerarchia e cioè da
parte del papa o di un concilio ecumenico mi sembra altamente
inverosimile e improbabile.
Mi
sembra invece più probabile che se questo avverrà, avverrà
dall’esterno delle istituzioni.
Perchè
che nasca un altro San Francesco è improbabile, che poi nasca un
altro San Francesco ,che questa volta però
non
si lasci “fregare” dalla Curia, facendosi imporre una regola che
ne sconvolga l’ispirazione, come
purtroppo
ha lasciato
fare
il Francesco storico è ancora più improbabile.
Anche
se le cose improbabili possono benissimo accadere, come dimostra la
statistica e il calcolo delle probabilità.
Le
anime pie fantasticando chiamano queste cose miracoli, gli scienziati
tenendo i piedi per terra le chiamano possibilità di un evento
casuale di frequenza molto bassa, ma esistono in natura.
Coltivare
“spes contra spem” diceva il visionario Giorgio LaPira.
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