Affrontare un libro di 684 pagine è obiettivamente sempre un po un impresa.
L’argomento è di estrema attualità, d’accordo, ma va anche detto che sulla Cina sappiamo tutti veramente poco se non molto poco.
L’autore apprendiamo che è l’unico non cinese che è stato accolto come membro dall’Accademia di Cultura Cinese e quindi è un qualificatissimo sinologo, temo però poco conosciuto in Italia.
Non nascondo quindi le difficoltà che potrebbe incontrare un libro del genere.
Ma senza eccedere nell’enfasi dopo averlo letto ritengo che sia un testo veramente essenziale proprio perché colma un vuoto incomprensibile.
Di Cina hanno scritto giornalisti di primo piano che si erano talmente innamorati di quella antichissima civiltà da averci soggiornato a lungo in qualche caso condividendone anche spiritualità ed usi.
Come non ricordare autentici personaggi come Tiziano Terzani , Federico Rampini, Alberto Forchielli che ci hanno comunicato delle pennellate formidabili su singoli aspetti della Cina.
Ma Madaro ha voluto andare oltre e offrirci una trattazione quasi sistematica su storia, economia, politica, ma sopratutto filosofia e cultura.
Le istituzioni universitarie che preparano i nostri aspiranti diplomatici chiariscono subito senza mezzi termini ai candidati che chi ha intenzione di dedicarsi all’Asia deve avere una particolare inclinazione positiva verso la filosofia e l’antropologia, perché l’Asia è un universo del tutto diverso e quindi se non ne comprendi l’anima è meglio lasciar perdere.
Ecco, Madaro questo concetto lo ritrasmette in ogni pagina.
Quello che pensiamo di sapere della Cina è verosimilmente del tutto falso, frutto di luoghi comuni , pregiudizi e propaganda della super potenza americana ripetuta per decenni.
Solo pochi mesi fa il Segretario agli Esteri di Donald Trunp, Mike Pompeo ha avuto la protervia di andare in Vaticano a dire che le intese con la Cina intessute da Papa Francesco con un lavoro certosino durato chissà quanto andavano assolutamente cambiate.
Questo non è un fatto isolato ma solo l’ultimo tentativo della superpotenza Usa di far fare al mondo quello che ritiene sia il suo interesse nazionale mettendo sul piatto della bilancia la sua ancora pesantissima influenza, come fa da decenni, spacciandosi per supremo difensore dei valori occidentali.
Madaro evidentemente non ha temuto di finire nella lista nera della Cia quando ha dato finalmente in questo libro una versione documentata completamente diversa rispetto alla vulgata comune sui fatti di Hong Kong, la “rieducazione” della minoranza islamica degli Uiguri, e giù giù fino ai fatti di Tien An Men del 1989, si direbbe con qualche diritto, visto che lui in quella piazza e in quei momenti lui era presente e magari a differenza di altri colleghi non scriveva da grandi alberghi ascoltando i notiziari internazionali.
Il libro se pure ponderoso è costruito in modo intelligente e certo non annoia mai né distoglie l’attenzione del lettore.
Riporta in continuità la storia dei lunghissimi rapporti dell’autore con quel paese, fin da quando ne avvertiva le prime fascinazioni ancora da bambino.
Poi iniziando da studente la corrispondenza con un “amico di penna” cinese che conosceva l’italiano.
Fino ad arrivare al primo viaggio in Estremo Oriente nel 1979.
A questo punto ci offre una prima serie di reportage sulla Cina di quei tempi, solo tre anni dopo la scomparsa del Grande Timoniere MaoTze Dong, e quindi ci da una sua precisa narrazione dell’opera dell’uomo senza il quale non esisterebbe la Cina che conosciamo.
Già questa parte è fondamentale perché se non si capisce che la Cina ha una sua cultura millenaria che procede coerente a sé stessa nei secoli, non si capisce la assoluta peculiarità del comunismo cinese che nulla aveva a che spartire con quello dell’Est Europeo.
Mao era un genio della politica che seppe buttare a mare l’oscurantismo feudale che aveva causato la decadenza spaventosa del suo paese dopo la caduta dell’Impero ,conservando la sostanza di quella filosofia- religione laica che si era elaborata nei secoli.
E così mentre il comunismo sovietico era condannato a perire sopratutto a causa del perverso dogmatismo che lo aveva ingessato, il “Mao pensiero” era sempre aperto alla sperimentazione di forme nuove e pronto a rimodellare modelli che non funzionavano con assoluto pragmatismo.
Dalla tradizione confuciana Mao non aveva espulso il concetto base di meritocrazia che aveva sempre improntato quegli esami imperiali posti a base della formazione della burocrazia imperiale, che Voltaire il padre dell’illuminismo aveva fortemente lodato, dopo averli studiati.
Non mi avventuro nei meandri della storia cinese nemmeno di quella contemporanea, il lettore potrà avvicinarcisi traendone grande piacere leggendo il libro di Madaro.
La seconda parte del libro del quale parliamo è costituita da una ulteriore serie di reportage datati diversi anni dopo il primo viaggio, quando l’autore era tornato in Cina con una delegazione di giornalisti italiani che comprendeva un Enzo Biagi che invece in Cina ci andava per la prima volta.
Siamo non solo negli anni del dopo Mao e della definitiva composizione della Rivoluzione Culturale ma in quella nuova Rivoluzione quando sotto la ferma guida di Deng Xiaoping veniva scoperto quell’unicum di socialismo aperto al capitalismo, che in pochi anni doveva portare la Cina a una serie di successi non solo economici forse unici nella storia per dimensioni e rapidità di realizzazione.
Si arriva quindi ai giorni nostri con una nuova ed ultima serie di reportage che ci testimoniano quanto abbia incredibilmente progredito quell’enorme paese.
Al punto che città di milioni di abitanti che Madaro descrive come nuovi assi portanti di un imminente ulteriore fortissimo sviluppo nemmeno si trovano su carte geografiche non aggiornate.
Ma questa è la Cina di oggi.
Le nozioni che si acquisiscono dal libro sono veramente moltissime e di notevole peso.
Direi però che dove il libro medesimo non fallisce e dove diventa insostituibile è nell’arrivare a trasmetterci per quanto possibile il senso dell’anima della Cina.
E’ come se Madaro ci consegnasse la chiave, la password per entrare in un universo che diversamente ci rimarrebbe precluso.
Ecco per arrivare a questo Madaro ha fatto bene a trovare il modo meno pesante possibile di partire dall’inizio, perché la Cina è quello che è per il fatto che le sue origini si perdono nella notte dei tempi.
Madaro giustamente ripercorre la storia parlandoci di imperi paralleli che sapevano l’uno dell’esistenza dell’altro, che si sono cercati ma che non risulta abbiano avuto la opportunità di incontrarsi come avrebbero voluto.
L’Impero Romano e l’Impero Cinese.
I senatori romani avevano il privilegio di vestire una toga bianca ornata di porpora e questa toga era di seta.
Ecco è detto tutto perché tutti sappiamo da dove veniva quello strano tessuto pregiato.
L’Impero Cinese aveva una tale estensione ed era dotato di tali ricchezze che a differenza di quello romano non aveva mai avuto nel suo DNA la spinta verso una espansione di conquista per la semplice ed elementare ragione che non ne aveva alcun bisogno.
Ecco questa prima osservazione è capitale perché la pluri- millenaria storia cinese non è storia di guerre di conquista.
La chiusura la lunghissima chiusura in sé stesso di quell’impero derivava dal fatto che era assolutamente autosufficente.
Ma tutt’altro che privo di cultura e di interessi culturali.
Senza di quella curiosità non sarebbero mai stati ricevuti né Marco Polo, né Matteo Ricci.
Era un impero forte che si difese dalle possibili invasioni dei barbari dal Nord con l’unica opera umana che si vede dalle stazioni spaziali, la Grande Muraglia iniziata nel 215 avanti Cristo.
Per resistere nei millenni doveva esserci una straordinaria forza di coesione.
Ecco un’altro elemento da cogliere che fa della Cina quello che è.
Questo elemento è di natura filosofica ed è essenziale perché è molto diverso dai principi fondamentali della nostra filosofia occidentale greco-romana cristiana, tutta basata sull’individuo, sulla priorità data alla persona.
La filosofia cinese è invece basata sulla priorità della comunità.
L’individuo trova la sua dignità non in sé stesso ma nella sua partecipazione alla comunità sociale.
Ecco questo è un punto sul quale fermarsi a meditare, perché il libro di Madaro lo spiega bene è inutile discettare di diritti umani e democrazia coi cinesi come se fossero dei barbari che vanno civilizzati se non si capisce che il loro punto di vista è diverso e diverso resterà.
Il dialogo è impossibile e addirittura inutile se non si approfondisce prima questo punto.
Del resto nelle nostre stesse radici filosofiche greche vediamo che il concetto di democrazia è stato sottoposto da Platone ad una analisi critica molto profonda, usando una logica stringente.
Probabilmente lo stesso Platone, come Voltaire sarebbe stato estasiato dall’applicazione rigorosa del principio della meritocrazia sacro alla storia cinese che non si discosta dal governo dei filosofi o dei sapienti che teorizzava Platone.
Madaro torna spesso su questo tema che, capisco sconcerta non poco perché non siamo abituati a fare questo genere di riflessioni.
Alla fine del libro il lettore acquisisce alcune dritte fondamentali ,che ben valgono la fatica di leggerlo:
- la Cina non ha nel suo DNA antichissimo il concetto di conquista e di invasione, non ce l’ha mai avuto e quindi tranquilli il pericolo giallo è un’invenzione propagandistica.
Ovviamente però la Cina stessa è conscia della sua attuale posizione di grande potenza e quindi contesta agli Usa la pretesa di essere il gendarme del mondo che vuole esportare la sua democrazia.
Vuole semplicemente vivere in un mondo multipolare e non monopolare.
-la Cina ha una sua millenaria filosofia che è diversa dalla nostra.
Per dialogarci dobbiamo cercare di conoscerla di capirla e di trovare gli elementi di vicinanza.
Leviamoci però dalla testa che i Cinesi siano disposti a convertirsi al nostro concetto di democrazia e di priorità dell’individuo.
-nel Dna della Cina che il Mao pensiero ha rilevato e acquisito c’è una plurimillenaria consuetudine alla sperimentazione ed alla riforma dei modelli in senso pragmatico.
Questo è un elemento utilissimo per dialogare coi Cinesi.
-tutt’ora per accedere alla cariche supreme e non del Partito Comunista Cinese occorre superare dei concorsi altamente selettivi e meritocratici, che derivano direttamente dai famosi esami imperiali.
Non trascuriamo quindi il fatto che incontrare una delegazione ufficiale cinese vuol dire trattare con tecnici al massimo livello di preparazione.
Per rimanere in Italia Ministri degli esteri come Fini o DiMaio in Cina proprio non ce ne possono essere.
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