venerdì 2 aprile 2021

Dan Morain A proposito di Kamala. Una vita americana – recensione

 





Ecco arrivata puntuale una buona biografia della nuova Vice Presidente americana.

Non è una biografia ufficiale o autorizzata anche perché il personaggio del quale si parla aveva già provvisto a scriversi una autobiografia.

L’autrice è una affermata giornalista molto ben inserita nell’ambiente, capace di attingere ad ottime fonti, che regolarmente cita nel libro.

Questo a mio avviso è un grosso vantaggio per il lettore , perchè obiettivamente il personaggio pubblico che si cerca un gost-writer per produrre una autobiografia, per obiettivo e corretto che sia è ben difficile che sia disposto a lavare i propri panni sporchi in pubblico, peggio ancora se al momento della redazione della biografia è ancora in corsa per qualche carica importante.

Figuriamoci poi nel caso in questione nel quale Kamala Harris è la più ovvia candidata democratica alle elezioni presidenziali del 2024, stante il fatto che Joe Biden risulta essere suo malgrado il più anziano presidente nella storia degli degli Stati Uniti e quindi non è sensato che pensi di poter concorrere a un secondo mandato.

Il personaggio è di primissima grandezza.

Ha a suo favore una serie di qualità che hanno contribuito a lanciarla così in alto.

Riesce simpatica alla gente sopratutto perché è dotata di una naturale empatia, tanto che la sua improvvisa risata ne è diventata la sua caratteristica più evidente.

E’ ben noto che i politici sono, perchè sono costretti ad essere degli autentici attori e quindi tutti, chi più chi meno recitano la parte del simpaticone così come viene individuata al momento dallo staff addetto alle loro strategie comunicative.

E quindi ogni politico è per buona parte un personaggio costruito artificialmente, che raramente riesce a mostrarsi come è nella realtà che lui solo conosce.

L’autrice però cita diversi episodi nei quali Kamala Harris si è spesa per dimostrare la sua vicinanza a persone che ne avevano bisogno dedicando loro del tempo assolutamente lontano dai riflettori e dai media, solo per adempiere a un suo imperativo morale.

Questo c’è da segnarselo sul taccuino , il personaggio ha una sua statura umana ed è capace di commuoversi senza bisogno di sfruttare tale sentimento per trarne immediato vantaggio mediatico.

Non è una qualità comune, le va riconosciuto.

Secondo asset a suo favore.

Ha un passato professionale tutto condotto per decenni nel campo di operatrice del diritto dalla laurea fino alla carica di Procuratrice Generale, oltre c’è solo la Corte Suprema per questo mestiere.

Ed è una che il suo mestiere lo sapeva fare e vi eccelleva anche per il livello di preparazione affinato negli anni e nei decenni.

Nel suo caso quindi la meritocrazia americana non è stata una favola.

Terzo genere di qualità che la favorisce e che in genere viene elencata per prima è il fatto che la Harris ha la pelle colorata ed è figlia di due indiani immigrati in America per migliorare la loro posizione da giovani.

Ecco la ragione per la quale elenco queste caratteristiche, di donna, cittadina di colore, immigrata anche se di seconda generazione e appartenente alla minoranza asiatica come terza e non come prima è perché la realtà non è esattamente come appare.

Dato per scontato che è donna e di colore, obiettivamente non può essere classificata come una povera immigrata.

Prima di tutto perché è immigrata di seconda generazione e poi perché i suoi genitori non erano affatto dei poveri diavoli.

Il padre era un alto funzionario del governo indiano e la madre una ricercatrice universitaria già formata e di un certo peso.

Questo va precisato, ma ciò non toglie che essere donna, di colore e appartenente a una minoranza sono cose ben diverse che essere maschio, bianco, protestante e laureato in una università della Ivy League.

Nel senso che per arrivare nello stesso posto occorre remare ben più forte.

L’America vera al di fuori degli stereotipi e delle leggende metropolitane non è solo ancora sinceramente razzista ma è anche parecchio classista.

E quindi onore al merito, per arrivare dov’è la nostra Kamala ha dovuto sudare le sette camice di prammatica.

Adesso però andiamo sul terreno di mezzo e poi su quello tendente al negativo.

Ma come, si potrebbe dire, come ha fatto un magistrato di carriera e quindi senza alcuna esperienza politica ad essere scelta come Vice Presidente ?

Errore di valutazione tipicamente italiano, perché non possiamo extrapolare cioè tradurre alla lettera in italiano istituzioni che sono profondamente diverse.

Perché, come è noto negli Usa gli Attorney, i corrispondenti dei nostri PM, sono magistrati e politici contemporaneamente, nel senso che vengono eletti insieme alle altre cariche pubbliche e che si devono sottoporre al meccanismo delle primarie di partito prima ed alle elezioni vere e proprie poi, presentando come programma politico i settori nei quali promettono di impegnarsi nella gestione della carica per la quale concorrono (es. : lotta alla droga ,oppure perseguimento anche della piccola criminalità, oppure lotta contro gli inquinatori dell’ambiente, oppure lotta ai crimini fiscali eccetera).

Diciamocelo sottovoce, la Harris che puntava altissimo e cioè direttamente alla Presidenza nelle primarie del 2016, avrebbe preferito arrivare a quella gara con un pitigree più nutrito e prestigioso, passando prima per la carica di governatore della California, ma non c’è riuscita.

Il libro non trascura certo la statura i meriti e le fatiche della Harris, ma è tutt’altro che una sviolinata a senso unico a suo favore.

Non risparmia affatto le annotazioni che favorevoli non sono.

Come procuratore la Harris è stata sì nel complesso guidata da una filosofia di fondo tendenzialmente progressista, ma è arrivata dove è arrivata anche perché si è sempre giocata le carte che aveva con molta accortezza esponendosi solo quando lo giudicava utile al conseguimento delle sue sempre elevate ambizioni e rimanendo neutrale o contraria anche sui temi tipici dei liberal se giudicava troppo impopolare appoggiarli in quel particolare momento.

L’autrice documenta ampliamene questo ricorso all’ambiguità forse inevitabile per chi vuol fare carriera e vuole farne tanta.

Diciamocelo chiaramente, la Harris ha sposato molte cause liberal di prima grandezza impegnandosi seriamente come quelle per il riconoscimento della parità dei diritti delle donne, degli LGB, l’accesso alle scuole di sufficiente livello per i non abbienti, contro il possesso indiscriminato di armi da guerra, la tutela dei minori eccetera.

Ma ha glissato su altre perché forse non poteva farne a meno per non rovinarsi la carriera, come ad esempio nei rapporti con la polizia, con la quale come procuratore non poteva tarpare le ali anche quando i comportamenti non erano certo esenti da critiche.

Il libro secondo me è un buon testo per capire sia il personaggio, sia la vita pubblica americana.

Ecco devo però confessare che questo ambiente della vita pubblica americana proprio mi ha sinceramente disgustato.

Qui da noi da buoni masochisti ci lamentiamo continuamente e ne diciamo di tutti i colori ai nostri politici che vediamo come corrotti fino al midollo.

Ma forse è molto meglio il nostro modo incasinato di fare politica rispetto alla finta assoluta trasparenza del sistema americano dove è di fatto ufficialmente pubblico in quanto reso noto al pubblico il prontuario di fatto per accedere alle cariche pubbliche.

Questo libro ci parla di 15 milioni minimo da spendere nelle primarie per concorrere alla carica di procuratore.

Figuriamoci per fare il senatore, il Governatore o il Presidente.

Le beghe correntizie del nostro CSM, messe in luce dal caso Palamara sono cose da educande rispetto al sistema americano.

Formalmente è trasparenza, ma scusatemi, che schifo.

Meglio Putin o Ximping?

No certo , ma troviamoci una via di mezzo.








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