Lo dico subito
subito mi sono entusiasmato alla lettura di questo romanzo veramente
singolare.
Singolare per molte
ragioni.
La prima che appare
come la più evidente proprio nella “fattura” del romanzo è il
fatto che l’autore non è uno scrittore di romanzi, ma che di
professione fa lo scienziato e insegna Storia della Medicina
all’Università di Pavia anche se ha già scritto alcuni libri di
genere fra il divulgativo e il romanzo relativamente alla vita di
Lombroso e Spallanzani.
Ma si trattava
d’altro, con questo libro siamo nel grande thriller.
Ma non nel Thriller
basato su assunti scientifici alla Jurassic Park e seguenti di
Michael Crichton.
Se vogliamo trovare
delle analogie più vicine bisogna proprio andare alla produzione
delle “novel” di Umberto Eco.
E francamente questo
libro di Mazzarello è di livello tale da poter aspirare a un
successo vicino a quello a suo tempo conquistato dal grande Eco.
Gli auguro di
arrivare presto a una traduzione in inglese per approdare veramente
al grande pubblico.
Per parlare del
“Mulino di Leibniz” devo per forza ricorrere a gran parte di
quello che si era scritto appunto sulla produzione narrativa di Eco.
Innanzi tutto il
fatto che il libro può essere letto usando diverse chiavi di
lettura.
Non trascuriamo la
più ovvia, quello del thriller vero e proprio.
A favore di questa
“chiave” devo dire che arrivato e con soddisfazione alla lettura
dei due terzi buoni del romanzo in un punto in cui l’Autore
cominciava a lasciare intravedere qualcosa di sempre più concreto
sulla soluzione dell’intricatissimo giallo mi sono ritrovato a
dire a me stesso : “ricordati di respirare” perché ero talmente
concentrato che mi ero dimenticato di respirare.
Ma per essere
sincero fino in fondo devo dire che a mio parere la chiave di lettura
più “vera” per gustarsi questo libro è quella filosofica –
scientifica.
Nel “Mulino”
siamo in piene neuroscienze, materia che ha avuto enorme sviluppo
negli anni più recenti e che quindi è conosciuta dal grande
pubblico direi in un modo che mi pare ancora confuso e offuscato da
pregiudizi ,anche perché in questo campo la fa da padrone
l’imperativo multidisciplinare e non è semplice avere nozioni
precise in discipline diverse.
Infatti le
neuroscienze sono debitrici di molto alle tecnologie più avanzate di
diagnostica tipo risonanza magnetica , ma anche all’informatica
,come all’intelligenza artificiale ecc.
Le sue elaborazioni
,come quelle scientifiche di qualsiasi materia prescindono ovviamente
da considerazioni etiche nell’elaborazione ,ma una volta acquisite
delle evidenze queste creano problemi che costringono a ricorrere
quanto meno alla filosofia.
E questo è quello
che a me sembra sia il filo conduttore vero di questo “romanzo”.
In realtà l’Autore
mi sembra che ricorra al pretesto della trama di un thriller ,che
ribadisco è condotta con padronanza e maestria, ma direi per
dialogare con sé stesso e porsi le domande delle domande inerenti
alla condizione umana ed in particolare alla condizione umana
nell’era dell’intelligenza artificiale.
Purtroppo ho dovuto
constatare di persona nella conversazione anche con persone colte che
per molti questo è un campo ancora tutto da arare, come dicevo
sopra, nel senso che quando si arriva al cuore del discorso troppo
spesso appare nell’interlocutore un sorrisino che accompagna la
frase fatidica : si ma l’intelligenza artificiale arriverà non
arriverà mai nemmeno ad avvicinarsi a quella umana.
Purtroppo
affermazioni del genere rivelano solo una ignoranza totale della
materia perché è noto che da un bel pezzo l’intelligenza
artificiale ha battuto quella umana.
Figuriamoci cosa
verrà fuori dai super-calcolatori quantici!
Oggi il problema è
decisamente “oltre” e cioè : quando l’intelligenza artificiale
auto-alimentandosi arriverà all’autocoscienza?
Perchè a questo
punto cambierà tutto al punto nel quale l’artificiale supererà il
naturale.
Cioè ,usando il
termine appropriato, inventato dagli scienziati della materia e in
particolare da Raymon Kurzweill ,quando si arriverà al momento della
“singularity”.
Ecco come si può
immaginare, senza avere almeno qualche nozioni di queste materie è
difficile capire il senso effettivo di libri come questo.
L’autore molto
opportunamente fa citare dai protagonisti della storia diversi testi
utili ad acquisire le nozioni di base.
Peccato che non citi
anche le opere dello storico visionario israeliano Yuval Noah Harari,
che hanno avuto una vastissima diffusione e che meglio di altre hanno
divulgato le acquisizioni e le prospettive delle quali stiamo
parlando.
Tornando a noi le
domande che si fa l’autore e che costituisco il filo conduttore
sottostante a tutta la narrazione del romanzo sono quelle inerenti
proprio al titolo.
Leibniz infatti
ricorreva all’immagine del mulino come a una efficace metafora per
cercare di immaginare come possa avvenire il passaggio dal materiale
all’artificiale, artificiale inteso come qualcosa d’altro.
Dall’acqua alla
forza motrice attraverso ai meccanismi meccanici del mulino.
Trasponendo la
metafora del mulino al cervello umano Mazzarello si chiede come è
possibile spiegarsi il passaggio dal materiale cioè dalle sinapsi
fra i neuroni del cervello umano che per quanto siano sofisticate si
trovano sempre nel campo del materiale, al pensiero, che sarà tutto
quello che si vuole ,ma che materiale proprio non è.
Un conto è arrivare
alle acquisizioni recenti delle neuroscienze che attraverso le
tecniche di “imaging” sono in gradi di dimostrare che certe
facoltà “superiori” che fanno del Sapiens un uomo oltre
l’animale, oltre la biologia ,avvengono in parti determinare del
cervello.
Un conto è dire che
se deriva dal materiale anche il pensiero è materia.
Questo è un salto
non consentito dalla logica più elementare.
Per analogia si può
impostare un ragionamento ma non certo tiare delle conclusioni.
Come si vede sono
molto ma molto di peso le considerazioni alle quali conduce questo
thriller che di conseguenza va oltre l’orizzonte del thriller.
Non do un giudizio
di valore, ma dico semplicemente che non mi sembra proprio un caso
che l’ultima parola in assoluto di questo libro sia “Dio”, e
per di più scritto in modo classico con la D maiuscola.
Questo fa il paio
con il libro che conclude la trilogia dell’ateo Yuval, sopra
citato, che appunto non a caso usa il termine Homo deus.
Mi permetto solo di
aggiungere, attenzione, non banalizziamo il ragionamento sopra
accennato pensando al grande vecchio con la barba bianca ,che
peraltro capeggia nello splendore di un capolavoro assoluto come
quello presente sul soffitto della Cappella Sistina.
Dio è un concetto
filosofico al quale sono stati attribuiti mille significati ben oltre
le mitologie delle religioni istituzionali.
Ed a lui ancora sono
costrette a ricorrere le diverse spiritualità umane ben oltre gli
aspetti spesso puerili e oggi del tutto inadeguati delle mitologie
religiose.
E quindi aspettiamo
a buttare nel cestino il concetto filosofico di dio.
E infatti le domande
del “Mulino di Leibniz” ci spingono a tentare di ricercare
risposte che difficilmente possono prescindere dai termini ai quali
ci riportano secoli di elaborazione culturale.