venerdì 24 settembre 2010

Il relativismo etico di papa Ratzinger

Papa Ratzinger tuona quotidianamente contro il relativismo etico, ma poi lo pratica pure quotidianamente con la teoria della ragion di stato ed altre teorie basate sullo stesso meccanismo logico : il fine supposto buono giustifica i mezzi disonesti usati per raggiungerlo.
Tutta la vicenda dei preti pedofili cos’è se non l’uso sistematico del relativismo etico? La pedofilia è (giustamente) considerata dalla chiesa uno dei peccati più gravi, ma se viene praticata dal clero meglio far finta di non vedere nulla perché lo scandalo che deriverebbe dal rendere pubblici tali comportamenti nuocerebbe al buon nome della chiesa.
Il Vaticano infatti si è deciso ad assumersi le proprie responsabilità su questi comportamenti di una parte del clero quando vi è stato costretto dai tribunali che hanno condannato preti pedofili o meglio le loro parrocchie o le curie dalle quali dipendevano e in alcuni casi il Vaticano stesso, a risarcimenti giganteschi in una miriade di cause in ogni parte del mondo.
La reazione cioè c’è stata quando la chiesa istituzionale è stata toccata nel portafoglio e questo non è stato bello.

Sullo stesso piano logico la pratica della teoria dei “vizi privati e pubbliche virtù”,praticata per millenni, per la quale se un cittadino comune conduce una vita privata non coerente con la rigidissima dogmatica sessuale e familiare cattolica, la sua vita viene bollata come “peccaminosa” e fuori dalla chiesa.
Ma se autore di tale comportamenti è un potente, allora i suoi “vizi” vanno ignorati se lo stesso potente è in grado di procurare delle utilità e dei privilegi alla chiesa nell’esercizio del suo ufficio e il potente stesso va accolto con tutti gli onori non solo in Vaticano ma anche nella chiesa.

In materia di soldi il copione si ripete. Se qualcuno o qualche istituzione finanziaria usa i denari che sono loro affidati non in modo trasparente per ricavarne forti guadagno con operazioni criminose come il riciclaggio di danaro sporco,la chiesa (giustamente) lo condanna come autore di peccati infamanti.
Ma se a praticare tali operazioni non è un cittadino comune, ma un prelato o un laico che amministra fondi della chiesa e da quelle medesime operazioni derivi aumento di ricchezza per la chiesa medesima (in pura teoria) “per esercitare opere di bene”, tutto va bene.
Lo Ior, la banca vaticana ha una storia criminale (ora ben documentata) agghiacciante.

Ancora la stessa logica viene applicata ad una questione assolutamente di fondo come la libertà di praticare la propria religione in qualsiasi paese, cioè alla questione della “libertà religiosa” o “libertà di coscienza”.
Peccato però che la medesima libertà di religione si basi sul fondamentale principio appunto della libertà di coscienza,in base alla quale per definizione l’individuo risponde delle sue scelte solo alla sua coscienza e quindi non è vincolabile a dogmi imposti dall’esterno da gerarchie ecclesiastiche di alcun tipo.
La chiesa evita l’impatto con questo corto circuito logico,che distruggerebbe il suo castello dogmatico parlando non di libertà di coscienza, ma di libertà di religione.
La chiesa infatti rivendica (giustamente) la libertà religiosa per i cristiani diciamo in Africa, ma in Italia addirittura invita alla disobbedienza civile se leggi dello stato introducessero istituti ad esempio come le unioni di fatto nel diritto di famiglia perché la chiesa medesima pretende di imporre la propria etica dogmatica anche a chi segue altre confessioni o nessuna confessione religiosa.
E così contesta (giustamente) l’applicazione della shaaria nei paesi a maggioranza islamica perché
così facendo non si riconosce più la libertà di coscienza a chi pratica altre fedi o non professa alcuna fede religiosa, salvo poi voler applicare la morale dogmatica cattolica anche ai non cattolici praticanti in Italia.

Non entriamo nel campo delle guerre di religione,praticate per secoli o della pena di morte, praticata dallo stato pontificio pure per secoli (e tutt’ora non del tutto esclusa dal catechismo) perché fortunatamente ,almeno per il momento, vi è stato da parte della chiesa una salutare revisione delle erronee posizioni, che aveva sostenuto in merito tenacemente in un passato non tanto lontano, ma fortuna comunque passato.
La guerra è una schifezza, ma se chi la pratica procura l’allargarsi del cattolicesimo nel mondo allora va bene ed anzi va benedetta.
Se le conversioni e i battesimi vengono fatti sotto la minaccia della spada di una qualsiasi potere, tutto va bene ed anzi quel potere va benedetto.
La storia è andata avanti così per secoli.
Ci sono stati vescovi che hanno benedetto i gagliardetti fascisti , le armate franchiste in Spagna, Pinochet in Cile, eccetera, eccetera.
Tutto passato per fortuna, ma tutto di proporzioni tali da farne un libro nero di grosse dimensioni,che certo non giova alla credibilità della chiesa.

C’è forse un difetto di origine in tutti questi casi di uso sistematico di due pesi e due misure da parte della chiesa cattolica, che condanna la sua morale al relativismo.
Ed è alla radice storica di tutti i mali della chiesa, la svolta costantiniana, quando la chiesa si è istituzionalizzata sottomettendo l’altare alla spada dell’impero.
Ed allora il libero spirito evangelico che si identifica nel concetto di misericordia, è stato nel corso dei secoli istituzionalizzato nel sacramento della penitenza, usato costantemente di facciata per “la Salvezza delle anime”, ma di fatto per servire la spada del potere, come il più potente strumento di controllo di massa mai trovato.
Il filone delle dottrine politiche clerical - reazionarie che ha in De Maistre il suo maggior teorico lo dice apertamente, ma in ogni caso oggi è possibile reperire studi storici di grande livello soprattutto relativi all’opera del Cardinale della Controriforma, Carlo Borromeo, ed all’inquisizione, che chiariscono questo aspetto del “sacramento” in modo difficilmente contestabile.
Ma quand’anche il fine vero della confessione non fosse il controllo di massa dei popoli per conto del potere del momento le cose non migliorerebbero di molto dal punto di vista del relativismo etico.
Infatti se il gran castello della dogmatica cattolica prescrive una via strettissima e scurissima,per rimanere nei confini di ciò che è permesso dalla morale stessa, poi nel confessionale la storia è tutta diversa e tutte le porte sono aperte.
Due pesi e due misure risulta essere quindi il fatto addirittura istituzionalizzato più rilevante della morale cattolica ufficiale.
Vengono alla mente i motti di Agostino "ama e poi fa quello che vuoi" (dal commento alla prima lettera di Giovanni 7,7-8)ed il corrispettivo ancora più radicale del suo discepolo Lutero “pecca sed crede fortiter”(dalla lettere a Melantone del 1521) che sono i vertici teorici del relativismo cristiano.
Non invidio papa Ratzinger che si propone in ogni intervento di predicare contro il relativismo, perché di fatto predica contro sé stesso.
Difficile fare proseliti o almeno bloccare il costante assottigliamento del “gregge dei fedeli” se non si riesce a fare un minimo di chiarezza nel proprio universo di pensiero.
Se il papa di una chiesa che si trova in una delle più gravi crisi della sua storia o i cristiani turbati e disorientati cercano una via di uscita credibile la cerchino non nelle istituzioni ecclesiastiche, ma nel semplice e puro messaggio evangelico.
Se si vuole farlo c’è però una “condizio sine qua non” da superare e temo che sia questo papa, sia tanti cristiani forse non sono ancora maturi per superarla e consiste nel buttare decisamente a mare la gran parte dell’istituzione ecclesiastica, della sua gerarchia e del suo castello dogmatico, conservando solo il vangelo, il messaggio.
Non c’è bisogno d’altro, certo però che studiarsi i testi con la responsabilità della propria coscienza è più faticoso che andare a sonnecchiare durante le peraltro non brillanti liturgie, che offrono oggi le nostre chiese, pensando così di essere riusciti a salvarsi l’anima con poco prezzo.
L’enorme patrimonio culturale, artistico e storico ispirato al cristianesimo rimarrebbe comunque una delle nostre radici fondamentali.
Ben inteso integrata dalle altre radici altrettanto fondamentali ,che lo sviluppo del pensiero umano ha donato alla nostra specie con la filosofia e con la scienza.

mercoledì 25 agosto 2010

Tentiamo di parlare del berlusconismo in modo civile

Parlare del berlusconismo in modo civile e distaccato senza fanatismi pro o contro è possibile,come è possibile per qualsiasi altro fenomeno politico
E così facendo è anche possibile cercare di capire di cosa si tratta e perché conserva il consenso della maggioranza degli italiani da quasi 16 anni, se pure non in modo continuativo.
Nel nostro paese si è poco abituati a parlare di fenomeni politici in modo civile e senza coinvolgimenti emotivi ed è un peccato perché è possibile farlo.
Nel nostro paese è difficile perché i media, dai giornali alle TV, sono quasi tutti schierati in modo più o meno settario , come se la politica fosse una sequela di partite di calcio della propria squadra del cuore.
La conseguenza è che molti,forse la maggioranza, non vogliono sentire parlare di politica perché pensano che sia tutta una schifezza , un teatro e che i politici siano tutti da disprezzare, di qualsiasi colore siano.
Altri e non pochi si schierano da una parte o dall’altra con lo stesso modo fazioso ,acritico ed “a prescindere” da qualsiasi documentazione seria, come vedono fare dai media.
Inviterei chi volesse verificare che esistono anche modi di fare giornalismo migliori di quelli in uso da noi, che servono per dare alla gente strumenti per documentarsi e non per fare i tifosi, a sintonizzarsi sulla BBC World,(che ora chiunque può trovare sul suo televisore nel normale menu del digitale terrestre come uno qualsiasi dei canali italiani) per seguire un qualunque telegiornale.
Anche chi non capisce l’inglese, se ha la pazienza di spenderci qualche minuto si accorgerà dai sottotitoli (che chiunque è in grado di decifrare usando il semplice inglese scolastico) che ci sono differenze radicali rispetto al modo come le nostre televisioni gestiscono le notizie del giorno
Ne elenco i più evidenti :
- quello che in gergo giornalistico nostro è definito il “pastone politico” cioè l’elenco di cosa hanno detto nel giorno i dirigenti di ognuno dei partiti italiani non esiste;
- l’approfondimento della notizia viene regolarmente fatto non dal giornalista conduttore ma da collegamenti con due esponenti qualificati ,cioè di livello accademico e quindi provenienti da facoltà universitarie o da fondazioni politico culturali, di orientamento diverso uno d’altro;
- I così detti “talk show” esistono ma nessuno è simile ai nostri, cioè non c’è il corrispondente del teatrino con più politici messi insieme per farli litigare e gridare il più possibile.
- Per esempio in “hard Talk” in onda alle 10,30 di sera,viene intervistato un solo politico, quasi sempre di alto livello da un giornalista che è pagato per strapazzarlo nei limiti della correttezza, ma senza nulla concedergli. Cioè ogni qualvolta il politico si lascia andare a slogan propagandistici o fa affermazioni non documentabili o false, il giornalista, che ovviamente si è preparato sull’argomento, tira fuori il fascicolo del caso e gli dimostra che quello che ha detto è falso ed è contraddetto dalla documentazione in suo possesso;
- La scaletta del telegiornale contempla sempre uno spazio maggiore per le notizie sui fatti internazionale più rivelanti, rispetto alle notizie di casa, non per snobismo, ma per educare alla lunga il telespettatore a valutare il peso del proprio paese nelle vicende del mondo.

Il telespettatore ha quindi la sensazione di essere trattato come un utente a cinque stelle, non come uno zombi che deve essere indottrinato da giornalisti leccapiedi del potente di turno ed è quindi portato giorno dopo giorno a considerare la politica come una cosa seria.
E’ quindi possibile parlare del berlusconismo senza fanatismi pro o contro.
Per i politologi il berlusconismo è un fenomeno di grande interesse, ma in genere lo vede affrontato di malavoglia da parte degli accademici.
Come mai?
Perché da un punto di vista teorico è un insieme di contraddizioni rispetto alle normali tipologie della scienza politica.
Allora dovrebbero esserci un sacco di saggi sull’argomento.
E invece no, forse perché l’argomento in Italia è talmente vissuto tutt’ora in modo emotivo,come si diceva sopra, che gli studiosi probabilmente temono il rischio di farsi etichettare rozzamente pro o contro, invece che di essere presi sul serio per quello che sono.
C’è un discreto numero di saggi sull’altro fenomeno politico nuovo degli ultimi anni la Lega.
Sul berlusconismo c’è un grosso scaffale di libri, quasi tutti da ascrivere alla categoria degli antiberlusconiani preconcetti o fanatici come i Travaglio, Barbacetto etc, più o meno legati al gruppo editoriale Repubblica- Espresso.
Libri confezionati per dimostrare tesi preconcette, ma comunque molto utili come fonte di documentazione (verbali di processi), se pure vistosamente di parte e tutti pesantemente denigratori del personaggio Berlusconi.
Oppure ci sono le poche trattazioni favorevoli ma non proprio di parte come i libri di Bruno Vespa, spesso ben documentati ,anche se per non dispiacere troppo il Cavaliere tende a dimenticare qua e là vari fatti spiacevoli, che rendono anche la sua trattazione non obiettiva.
Una caratteristica esclusiva del giornalismo italico è questa che non ci sono solo i “Vaticanisti”, ci sono anche i “berlusconisti”, cioè giornalisti che hanno dedicato la loro professione o a denigrare il nostro personaggio o a compiacerlo fino alla piaggeria.
La cosa curiosa è che questi professionisti (di una categoria che ripeto non risulta esistere negli altri paesi sono diventati milionari (preciso in € ) sia che siano pro o che siano contro.

giovedì 10 giugno 2010

In margine a una trasmissione televisiva di Raitre sulla grande storia

Una recente puntata della grande storia su RaiTre era dedicata alla propaganda di Mussolini e veniva proposta in qualche modo come rievocazione dell’entrata in guerra dell’Italia il 10 giugno 1940, nove mesi dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale.
Ineccepibile quanto a documentazione e scelta dei documenti ha rappresentato una buona trasmissione di approfondimento storico, che però come tale non diceva niente di nuovo a chi abbia un interesse sull’argomento.
Di grande interesse era piuttosto la reazione a volte sconvolgente che veniva provocata nello spettatore dalle palesi analogie in certi comportamenti fra il capo popolo populista di allora e quello di oggi.
Detto questo, chiarisco subito che basta dare un’occhiata ai post che ho dedicato alle similitudini fra elementi del fascismo ed elementi del berlusconismo per sapere che non condivido affatto la semplicistica equiparazione fascismo = berlusconismo per le ragioni che ho più volte sottolineato.
Tanto per cominciare l’Italia attuale non ha persa nessuna delle libertà fondamentali.
Secondariamente Berlusconi si trova di fronte una opposizione costituzionale praticamente inesistente come consistenza politica ma all’interno della sua coalizione non è in grado di esercitare una vera leadership e qui di tanto meno può fare il dittatore.
Terzo argomento Berlusconi non ha fondato un partito vero e comunque il suo non è neanche lontanamente avvicinabile al PNF.
Nessuno storico ha mai pensato di qualificare il PNF come “partito di plastica” ,così come viene comunemente definito il partito di Berlusconi, semplicemente perché non avrebbe senso il farlo.
Quarto Berlusconi non ha una visione politica di medio lungo periodo, che vada al di la della pura sopravvivenza, mentre Mussolini aveva l’ambizione non solo di rivoluzionare l’Italia ma addirittura di forgiare un nuovo tipo di italiano.
Quinto il fascismo è finito in tragedia ma il berlusconismo non potrà mai andare oltre la commedia.
Fra fondare l’impero, il welfare, Cinecittà ,i littoriali che chiamavano a raccolta le migliori intelligenze e il contratto con l’Italia di Berlusconi c’è la differenza che separa due grandezze incommensurabili.
Sesto ritengo probabile non solo che Berlusconi non abbia la minima intenzione di fare il dittatore, ma che proprio non gliene importi nulla, non perché abbia il senso della misura o della modestia, ma perché è essenzialmente un furbo “salesman” di grande successo,che saprebbe vendere i frigoriferi agli esquimesi e per un tale tipo di uomo la politica è una sfizio piacevole e ricco di soddisfazioni, ma nulla di più.
E’ un paradosso, anzi è “il” paradosso del berlusconismo, ma sono convinto che al nostro della politica non gliene importi realmente un accidente, anche se occupa la scena in primo piano da 16 anni.
Quanto sopra perché trovo sempre fastidioso che persone intelligenti della sinistra continuino o per convinzione o per calcolo a rimenarla col rischio ,che correremmo col berlusconismo.
Chiusa la parentesi torniamo alla trasmissione dalla quale siamo partiti.
Comincia col famoso discorso dall’ancora più famoso balcone e dalle fatali parole d’ordine : “vincere e vinceremo!”.
E’ chiaro che il documento cinematografico ha i toni della tragedia dal momento che conosciamo tutti gli sviluppi avversi della storia.
Come si è detto il curatore deve aver scelto quei documenti per richiamare l’anniversario dell’entrata in guerra, ma intelligentemente anche per cominciare dalla fine per poi andare avanti con dei flash back.
Prima presentare Mussolini all’apice del suo potere (quale potere più grande può manifestare un essere umano se non comandare i suoi connazionali all’estrema manifestazione di lealismo nei confronti della società mandandoli tutti al fronte e senza suscitare rilevanti manifestazioni di dissenso) , per poi a poco a poco spiegare come mai il Duce avesse capitalizzato negli anni quell’immenso potere.
Primo obiettivo fondamentale per chi vuole acquisire il potere (sia che si parli di un sistema democratico sia che si parli di un sistema totalitario) è acquistare consenso.
Come si acquisisce il consenso? Con la propaganda, o per metterla in termini più digeribili, con la pubblicità del proprio programma e del proprio curriculum.
E per l’appunto il programma televisivo era incentrato proprio sulla macchina propagandistica mussoliniana definita geniale e senza pari.
Il giudizio è stato trovato eccessivo da Aldo Grasso, il critico televisivo del Corriere, ma è abbastanza generalmente condiviso dagli storici a cominciare da De Felice, che riconosceva a Mussolini prima di tutto il fiuto e il mestiere del giornalista di razza, che gli consentiva di essere sempre aggiornato sul “polso” degli italiani regolandosi di conseguenza.
La trasmissione ha riportato a questo proposito un motto mussoliniano estremamente significativo: ”le folle non hanno bisogno di sapere, ma di credere”.
Questa era la filosofia della propaganda fascista e se non era geniale era sicuramente da manuale, perché evidenzia i due elementi inscindibili della comunicazione politica : l’informazione, l’invito a ragionare, ma anche l’appello all’emotività, ai simboli, ai miti, ai sentimenti etc.
Nei regimi democratici si privilegia il primo aspetto, ma non senza includere anche elementi del secondo.
Nei regimi non democratici si gioca tutto invece sull’emotività, sui pregiudizi, oggi si direbbe sulla comunicazione alla “pancia” dei cittadini e le notizie si filtrano, facendole diventare elemento di propaganda e basta.
Ci è stato anche ricordato che Mussolini, ( tra parentesi ,quest’uomo non era affatto il rozzo ignorantone che si è voluto per polemica ideologica far credere), leggeva e rileggeva di frequente il testo fondamentale sulla psicologia delle folle del francese Gustave Le Bon, che sottolinea la tendenza delle folle a imitare i comportamenti del gregge subordinandosi ai media.
E qui siamo al cuore del problema : i media, Mussolini è stato maestro nel padroneggiare i media allora disponibili e ci è stato spiegato dettagliatamente come.
A cominciare dall’uso spregiudicato dell’Agenzia di stampa Stefani (oggi Ansa) divenuta megafono del regime, poi ancora più efficacemente affiancata nel ’37 dal Miniculpop,il ministero ad hoc per la cultura popolare, ma in effetti ministero per la propaganda, che aveva come compito istituzionale il controllo, cioè la censura dei media e l’elaborazione delle famosissime “veline” che dettavano la linea a tutti i mezzi di comunicazione.
Ci sono così stati riproposte le direttive più folcloristiche come il divieto di stampare foto del duce con preti accanto o il duce in luoghi colpiti da calamità.
E’ noto infatti l’elevato grado di dipendenza di Mussolini dal culto della superstizione più spinta.
Meno folcloristiche e più sostanziali le veline- direttive a trasmettere solamente notizie positive con il divieto per esempio di parlare di furti o di cronaca nera in generale per non alterare la vulgata che voleva che tutto fosse sotto controllo.
Chiaro, dittatura era e quindi non c’era alcun posto per qualsiasi voce di opposizione.
Però questa affermazione va valutata un po’ più approfonditamente nel senso che le opposizioni non avevano voce, ma questo non toglie che ciò non ostante la società era in grado di godere di istituzioni scolastiche e culturali di elevato livello, fondamentali per la formazione della classe dirigente e la sua selezione.
E’ noto a tutti infatti che la classe dirigente postbellica, partiti antifascisti compresi, è venuta in gran parte da lì.
Per capire il senso di questo discorso basta uscire dagli aspetti “folcloristici” del Miniculpop per non ignorare le altre branche di questo ministero : per esempio, Cinecittà inaugurata nel ’37 e il centro sperimentale di cinematografia, l’Istituto Luce,nato nel ’24 per la produzione tra l’altro dei documentari di informazione sul cui schema si sono ispirati decenni dopo i telegiornali, l’Enit per il turismo etc.
La creazione dell’Albo nazionale nel ’25, che poi divenne l’ordine nazionale dei giornalisti.
C’era istituzionalmente la dittatura, però questo non ha impedito alla cultura di esistere e di svilupparsi dando anzi impulso alle sue forme di espressione più moderne.
Ombre intollerabili, condannate irrevocabilmente dalla storia, ma anche evidenti elementi di luce, che ha ereditato l’Italia repubblicana, non sempre al corrente delle loro origini.
La trasmissione televisiva non si è sottratta al compito di evidenziare anche questi aspetti con giusto equilibrio e doveroso senso storico.
Altri elementi fondamentali della propaganda fascista, poi, furono i giornali a cominciare dal giornale del duce : il Popolo d’Italia,e tutti gli altri allineati con le veline.
Poi il cinema, allora agli inizi usato e sfruttato però con molta intelligenza sia con i i documentari Luce, sia con la serie dei film dei “telefoni bianchi” per lo svago e l’intrattenimento degli italiani ,per toglierli dalla durezza dei problemi quotidiani ed immetterli nel mondo di plastica dei ricchi e dei potenti.
Poi la radio agli albori, ma usata ,ancora con molta intelligenza, avendo ben capito che non c’era mezzo più efficace per raggiungere con la propaganda anche l’ultimo degli italiani direttamente nella sua casa.
Con la radio le canzonette riecheggianti più o meno direttamente le idee che il regime voleva fare passare.
Anche per la radio ricordo però che questa aveva comunque una sua valenza positiva, perché sviluppare le trasmissioni radiofoniche voleva anche dire dare alla cultura un mezzo formidabile di espressione.
Non dimentichiamo anche che la tecnica non ha colore e la stessa radio che era servita alla propaganda del regime servì poi per ascoltare a Radio Londra come andava effettivamente la guerra.
Secondo artificio fondamentale al quale ha ricorso il regime per fondare il suo potere sulle masse,che ci è stato riproposto da questa trasmissione : la creazione del mito.
L’Impero è stato proclamato nel ’36 ed è stato ovviamente uno dei culmini del potere del regime.
Per arrivare all’impero ,Mussolini, lo abbiamo visto dalle immagini d’epoca, doveva uscire dal grigiore di Palazzo Chigi, sede del governo e della sua abitazione privata per adottare la magnificenza di Palazzo Venezia, completo dell’enorme piazza antistante con vista di facciata sull’Altare della Patria (i simboli in qualsiasi regime politico contano moltissimo) per la sede del governo e di Villa Torlonia, sulla Nomentana per la sua abitazione privata.
Nel ’38 ci hanno fatto vedere il duce, che diventa primo Maresciallo dell’Impero alla pari di Vittorio Emanuele III e così si conclude il suo “cursus honorum”.
Mito significa anche culto della personalità, cioè, come si dice ogg, della fisicità del personaggio. Ecco allora il duce che deve essere sempre giovane ed al massimo della vitalità ,curioso ma significativo il fatto ricordato a questo proposito, che il personaggio non tollerava che si celebrasse il suo compleanno il 29 luglio perché era pur sempre nato nel 1883 e quindi non era giovanissimo soprattutto per allora.
Campione in tutte le discipline sportive.
Guidatore esperto di qualsiasi mezzo moderno (è stata esilarante la rievocazione del duce alla guida di un aereo col quale voleva trasportare un importante personaggio, senza avere pratica sufficiente di volo senza l’assistenza di un copilota esperto e della risoluzione del rebus con l’occultamento nottetempo di un valido pilota nascosto sotto un telone).
Grande amatore, ma con discrezione e col rispetto della sensibilità cattolica e piccolo borghese condivisa della maggioranza degli italiani.
L’immagine che la propaganda teneva a presentare era quella dell’uomo entrato nel mito e quindi dotato di virtù elevatissime, ma la stessa propaganda era anche ben attenta a coniugare il mito del condottiero con quella del buon padre di famiglia, che condivideva la vita di qualsiasi italiano.
Così anche il duce dopo una faticosissima giornata di lavoro tornava a casa circondato dai figli ed accudito dalla moglie.
E questo del “sono uno di voi” è un artificio che la scienza della comunicazione dimostra essere di grandissima utilità per chi ne fa uso perché significa insinuare nell’inconscio l’idea della condivisione della vita con il personaggio nella buona ma anche nella cattiva sorte, come si fa in famiglia e quindi alza di molto la soglia della tolleranza o della sopportazione del personaggio da parte delle masse.
Il programma televisivo finisce ribadendo il concetto che è condiviso dagli storici, ma che è anche il più diffuso giudizio popolare sul fascismo e cioè che il mito di Mussolini finisce con l’entrata in guerra.
Più sottilmente il programma ha evidenziato la fine a poco a poco della fascinazione delle masse per il duce sotto il peso delle sconfitte incalzanti.

Come si è visto, ho ricordato i punti principali del programma televisivo senza inserire nessuna insinuazione su paragoni col berlusconismo per evitare commistioni storiche non corrette e lasciare quindi fluire la storia del fascismo nella sua consistenza storica.
Ora però veniamo al dunque.
E’ innegabile che assistendo con interesse a quel programma televisivo ogni cinque minuti almeno, mi suonavano nella testa dei campanelli di allarme e presumo che la stessa cosa sia stata condivisa dagli altri telespettatori.

Mussolini asso della propaganda.
Che dire allora di Berlusconi , proprietario di Gran parte dei mezzi di comunicazione in Italia a cominciare di quelli di maggior peso: le televisioni e genio del business della pubblicità e delle tecniche di marketing e quindi la persona più dotata per padroneggiare i moderni mezzi di propaganda, che anche solo si possa immaginare in Italia.
Mussolini che impone al paese il suo mito riferito alla fisicità del suo personaggio.
Berlusconi che impone il suo mito di sempre giovane e di grande, grandissimo amatore.
Mussolini condottiero, ma soprattutto padre di famiglia di tutti gli italiani.
Berlusconi che costruisce il consenso a proprio favore giocando in gran parte sulla tecnica di comunicazione subliminale pretendendo di essere “uno di voi”, il padre di famiglia della grande famiglia italiana al quale affidare la gestione dello stato con fiducia, anzi con fede.
Mussolini che calibra la sua propaganda sul motto “le folle non hanno bisogno di sapere, ma di credere”.
Berlusconi che non esita a umiliare il suo ruolo istituzionale telefonando in diretta ai talk show per ribadire la “sua” verità.
Mussolini che inizia la giornata di lavoro informandosi sui comunicati della Stefani e sulle veline predisposte.
Berlusconi che non vive se non ha tratto conforto dall’ultimo sondaggio della sua agenzia di fiducia.
Mussolini che usa continuamente e con tutti i mezzi uno dei trucchi elementari della tecnica delle comunicazioni, cioè quello di ribadire messaggi semplici ripetendoli in modo quasi ossessivo facendoli scrivere anche sui muri di ogni paesino, fino a incassare la convinzione fra la gente che siano veri proprio perché ripetuti.
Berlusconi che usa lo stesso identico mezzo anche perchè è il cavallo di battaglia del suo business, cioè quello della pubblicità televisiva, che ripete lo stesso messaggio pubblicitario più volte nel giro di poco tempo perché si fissi nell’inconscio dello spettatore.
Voltato in politica, invece dell’”Omo che lava più bianco” ecco il : “Noi non metteremo mai le mani nelle tasche degli Italiani” tanto per fare un esempio.
Mussolini che col film “dei telefoni bianchi” si preoccupa di dare il dovuto “panis et circenses”, cioè programmi di intrattenimento agli italiani.
Berlusconi che produce solo intrattenimento sulle sue televisioni.
Mussolini che usa anche le canzonette per far passare certi messaggi.
Berlusconi che si serve di Apicella per intrattenere gli ospiti, per fortuna e questo è a suo favore, col buon gusto di non imporre agli italiani canzonette di regime.
E allora Berlusconi quasi fascista o avviato sulla strada di Mussolini?
Ho già detto che considero questo discorso del tutto privo di basi sul quale appoggiarsi perché le similitudini pur così evidenti, che si sono appena elencate in realtà non provano nulla.
Purtroppo i danni causati dal fascismo sono stati talmente tragici, da fare venire la pelle d’oca ogniqualvolta si ravvisano analogie.
Ma Berlusconi ,pur essendo anche lui un leader populista, credo che sia del tutto disinteressato non solo ad imitare il personaggio Mussolini, ma addirittura alla politica e questo solo lo distanzia radicalmente da Mussolini.
Secondariamente quand’anche lo volesse, lo dico chiaramente, per quanto la cosa sia ancora considerata politicamente scorretta, quand’anche volesse imitare Mussolini , non ne sarebbe neanche lontanamente all’altezza.
Le analogie che sono venute fuori evidenziano un’altra cosa sulla quale occorre riflettere ed è il fatto che la politica si serve da sempre, ma soprattutto nei tempi moderni delle tecniche di manipolazione dell’opinione pubblica.
Un sociologo della politica e giornalista , che andava per la maggiore negli anni ’60 Vance Packard con il suo libro “i persuasori occulti” uscito nel ’57 negli Usa ,sosteneva in buona sostanza che una forza politica con i soldi e la determinazione necessaria, usando i mezzi di comunicazione moderni sarebbe stata in grado di eleggere uno scimpanzé presidente degli Stati Uniti.
Non è una buona notizia, ma occorre prenderne atto ed imparare a coltivare l’unico antidoto possibile in queste situazioni, cioè il proprio senso critico perché solo in questo modo si possono sconfiggere i persuasori occulti.

giovedì 29 aprile 2010

Bene, Papa Ratzinger ,ma a questo punto attento al caffè!

Scoppio improvviso di denunce di casi di pedofilia, perpetrati da sacerdoti decenni orsono.
La grande stampa internazionale, che dà ampia copertura alla vicenda e che grosso modo conclude dicendo : questo papa in cinque anni ha creato un sacco di imbarazzi alla chiesa e soprattutto ha dimostrato di non sapere governare la nave di Pietro e quindi ne tragga le conseguenze e si dimetta
(Maureen Dowd il 18 marzo sul NYT e Peter Wensierski sullo Spiegel il 25 marzo).
Poi nel giornale che ha seguito la vicenda forse con più puntualità e aggressività , il New York Times, cominciano a comparire articoli con analisi più articolate, come è normale in un foglio di quella tradizione e di quel prestigio (Ross Douthat il 12 aprile sempre sul NYT).
Si comincia a dire che questo papa ha sì combinato parecchi pasticci (offese agli Islamici ed agli Ebrei etc.) e che non è certo l’uomo che può traghettare la chiesa verso quel profondo rinnovamento, del quale avrebbe assoluto bisogno per non continuare a languire, ma che lo stesso papa Ratzinger è anche il protagonista di una vicenda paradossale.
Perchè se c’è un settore nel quale non è probabilmente colpevole ed anzi nel quale ha imboccato un strada diversa e in contrasto rispetto ai predecessori ed alla curia ,questo è proprio Ratzinger, che si è trovato sì a gestire come capo della Congregazione della Dottrina della Fede i fascicoli incriminati di preti accusati di pedofilia, ma se in quei casi non si erano presi provvedimenti l’insabbiatore non era stato lui, ma Giovanni Paolo II e la Curia.
Ora, non è facilissimo verificare queste affermazioni perché il grado di trasparenza del Vaticano è quello che è, però sembrano più che verosimili anche perché sono coerenti con le successive direttive di Benedetto XVI.
L’arcaica “governance” ,cioè il sistema di potere con il quale è retto il Vaticano ha più volte dato l’impressione di essere talmente anacronistica e inefficiente da lasciare trapelare quello che sembra una assolutamente squalificante guerra per bande fra le fazioni che si combattono per il potere all’interno della Curia.
Questa constatazione concorda con l’ipotesi dei probabili ostacoli che avrebbe trovato l’allora Card. Ratzinger a fare assumere provvedimenti concreti, che almeno isolassero i chierici riconosciuti responsabili di pedofilia, perché nella chiesa per secoli è purtroppo sempre prevalso l’imperativo categorico di difendere l’istituzione prima e di sopra ad ogni altra considerazione.
E’ superfluo osservare che questo non corrisponde al messaggio evangelico, e che anzi rappresenta il suo contrario, talmente la cosa è evidente a chi abbia mai preso in mano un Vangelo.
Ma non c’è solo una situazione di indecorosa guerra per il potere all’interno della curia, recentemente sono venuti alla luce pesanti casi di corruzione, che è lecito supporre siano stati in atto da decenni.
Il primo fatto scioccante è stata la pubblicazione dei diari dell’eminenza grigia, che ha gestito la banca vaticana negli ultimi decenni rivelando un universo di connivenze fra ambienti e vertici vaticani con capitali mafiosi e malavitosi, politici corrotti, all’ombra di conti correnti intestati in modo squalificante a finte fondazioni benefiche.
Poi il caso del corista della Cappella Giulia, bene inserito nel mondo vaticano ,con funzioni di maitresse per procacciare giovani maschietti disponibili per i vip che apprezzano queste tendenze sessuali, mettendo alla luce scenari disgustosi di corruzione a base di sesso mercenario omosessuale, in quel mondo curiale la cui reputazione era già ai minimi termini.
Ora però c’è un fatto nuovo ed è un fatto dirompente.
Colui che aveva stigmatizzato la “sporcizia presente nella chiesa”, cioè quel papa apparso un po’ pasticcione,che ora si apprende, quando era cardinale non aveva mai frequentato i colleghi anche se aveva abitato vicino a loro per decenni, dalla condanna verbale è passato ai fatti ed ha colpito con durezza inusitata e inaspettata.
Oggi forse sono emersi gli elementi per capire la vera ragione per la quale il Card. Ratzinger è stato eletto papa cinque anni fa.
Probabilmente è stato eletto lui, non perché si voleva che garantisse una linea ideologica rispetto a un’altra, come si era detto fino ad oggi.
E’ infatti probabile che a una curia della caratura morale, che si sta delineando dai fatti sopra ricordati, l’interesse ideologico per la tradizione o il progressismo sia del tutto secondario.
Probabilmente invece gli strateghi di curia che hanno indirizzato il Conclave immaginavano che il teologo conservatore, che non amava alzare la testa dai suoi libri , avrebbe continuato anche da papa a fare lo stesso, lasciando così gestire il potere reale a loro e quindi nella scelta a favore di Ratzinger le sue tendenze dottrinali tradizionaliste non sono state altro probabilmente, che una foglia di fico per nascondere i veri giochi di potere.
E per i primi cinque anni di pontificato sembrava che in effetti le cose stessero andando come auspicato dai presunti Machiavelli della Curia.
Ora però il papa teorico della continuità e della tradizione ha messo in opera uno degli atti di discontinuità più eclatanti della storia della chiesa, abbandonando la difesa del privilegio, che la chiesa stessa ha rivendicato per secoli di giudicare i chierici al suo interno.
La proclamazione da parte di Papa Benedetto XVI dell’obbligo per i chierici riconosciuti pedofili di autodenunciarsi all’ autorità civile ed ai loro superiori canonici di fare altrettanto, sconvolge una prassi plurisecolare.
La stessa prassi voleva che la gerarchia ponesse in primo piano l’istinto di conservare il proprio potere e quindi la lealtà istituzionale prima della difesa ,oggi si dice, dei diritti umani di chi dai chierici fosse stato offeso.
Di fronte ai fatti, cioè alla decisa e coerente azione di papa Ratzinger su queste vicende occorre che anche chi verso di lui ha sempre nutrito ben poca simpatia, come lo scrivente, riconoscano che finalmente questa sua azione ora è finalmente ispirata più al messaggio evangelico che a ragioni di potere.
E va benissimo, ma è certo che chi ora vede minacciato il proprio potere reagirà in modo rabbioso.
Per che non è al corrente della prassi vigente nel Vaticano e nei Vescovadi di tutto il mondo, la svolta operata da papa Ratzinger non farà grande impressione ed anzi sarà tutt’al più liquidata con un :”era ora” ,reazione per altro ineccepibile e giustificata.
Il problema però non è questo.
Il problema è che nel mondo della gerarchia cattolica lo stesso fatto è qualcosa che passando dai piani più bassi a quelli più alti viene percepito con effetti che vanno da quelli di un terremoto all’Apocalissi pura e semplice.
I Machiavelli, dei quali si parlava prima ,di fronte alle dimissioni immediatamente accettate di una decina di vescovi in neanche un mese (aprile 2010) per fatti connessi a vecchi episodi di pedofilia o comunque di abusi su minori ora tremano e non per la vergogna che ha offuscato l’istituzione alla quale appartengono, ma perché temono di vedere segate le gambe delle loro poltrone.
Tremano non perché siano tutti pedofili, ma perché Ratzinger ha scardinato il principio di autoconservazione della ditta, come dogma numero uno, in quel mondo molto più importante dei 2865 articoli del Catechismo della Chiesa Cattolica.
Per loro l’Apocalisse è il recente combinato disposto della ramazza usata da Ratzinger per i casi di pedofilia, unita alla ramazza, per loro ancora più pesante, usata per estirpare il milieu di corrotti e corruttori, che gestivano la banca vaticana sostituendoli con banchieri professionisti, tenuti a stilare bilanci secondo i canoni di trasparenza della società civile.
Per questo papa Ratzinger a questo punto farà bene a fare assaggiare i cibi che gli verranno preparati ai suoi,( pare che siano),cinque gatti, prima di usufruirne lui stesso , per evitare spiacevoli scherzetti che sarebbero del resto in linea con il clima tutt’ora rinascimentale e barocco dei palazzi Vaticani.

domenica 28 marzo 2010

Il Venerdì Santo 2010 è il giorno adatto per le dimissioni di Benedetto XVI

La stampa internazionale da giorni sta scrivendo che questa volta la chiesa cattolica non riuscirà a uscire da questa terribile storia dei preti pedofili ricorrendo ai soliti trucchetti.
Questa volta l’hanno fatta troppo grossa e per troppo tempo ed a livelli troppo altri per uscirne indenni, a meno che non si producano in atti clamorosamente in discontinuità col passato , cosa che invece è proprio quello che la gerarchia cattolica odia fare.
Il più importante settimanale tedesco, non solo per tiratura, ma proprio per prestigio conquistato sul campo, Der Spiegel nell’ultimo numero ha pubblicato un editoriale scioccante per i cattolici italiani , abituati ad “obbedir tacendo” .
Per farla breve diceva che la papessa dei cristiani luterani tedeschi si era subito dimessa dopo essere stata trovata alticcia al volante, in quando aveva ritenuto che la sua autorità morale fosse ormai non più percepita come credibile dopo la contestazione di una infrazione stradale .
Ed allora che dovrebbe fare il papa romano che si vede contestato dal forse più importante giornale del mondo il New York Times, non una contravvenzione stradale ma l’ accusa di avere coperto le nefandezze di due preti uno Father Murphy negli Stati Uniti nel Wisconsin ,accusato di avere abusato di 200 ragazzi sordi, ai quali avrebbe dovuto badare,molti dei quali hanno scritto poi per anni decine di lettere al Vaticano senza avere risposta, ma peggio ancora l’ arcivescovo del Wisconsin aveva scritto al Card. Ratzinger chiedendone la riduzione allo stato laicale di quel prete, senza avere nemmeno lui avuto risposta.
Un altro caso clamoroso è emerso nel suo paese in Germania proprio a Monaco,città della quale è stato Vescovo,il caso di Don Peter Hullermann ,per il quale l’arcivescovo avrebbe ricevuto dalle 700 alle 1000 segnalazioni.
Purtroppo questo fiero difensore della purezza dottrinaria, seguendo per temperamento e convinzione la dottrina e la prassi più tradizionalista della chiesa si è impiccato con le sue mani, quando da titolare del Sant’Uffizio, divenuto Congregazione per la dottrina della fede ha scritto a tutti e vescovi dell’Orbe per imporre la norma che i casi di pedofilia venissero avocati alla esclusiva competenza della sua congregazione, esattamente come la Santa Inquisizione,quattro secoli e mezzo fa’aveva avocato alla sua esclusiva competenza i casi di presunta eresia.
Dal momento che quel documento è agli atti di Santa Romana Chiesa ,ora i tentativi della curia di coprire il vertice dicendo che i casi specifici non erano stati seguiti direttamente da Card Prefetto sono aria fritta.
In qualsiasi organizzazione dal circolo del tennis alla multinazionale il capo è il responsabile, e porta onori ed oneri della istituzione che rappresenta.
Di conseguenza diceva lo Spiegel a maggior ragione il Papa romano porta personalmente la responsabilità di almeno quei due casi di copertura di situazioni pesantissime.
Per di più aggiunge, essendo lo stesso papa nei suoi cinque anni di Pontificato caduto incautamente in una serie preoccupante di errori che hanno peggiorato di molto i rapporti fra cattolici ed ebrei, fra cattolici e islamici, dando comunque l’impressione di non essere in grado di governare la Chiesa, con queste ultime vicende ha distrutto la credibilità della sua autorità morale e quindi per fare uscire la istituzione che presiede da questa situazione può solo dimettersi.
Maurine Dawd, editorialista al vetriolo del medesimo N.Y.Times di oggi rincara la dose dicendo che il conclave, che seguirebbe alle dimissioni del papa se volesse salvare la chiesa dalla caduta di ogni credibilità causata da queste vicende dovrebbe dimostrare di avere capito la necessità di una radicale inversione facendo proclamare dal balcone di San Pietro non il rituale “habemus Papam” ma un più adatto “Habemus Mama” cioè abbiamo una Papessa.
Nel mondo anglosassone seguono la logica , sono pragmatici e quindi sono abituati i problemi a risolverli, noi purtroppo nel nostro piccolo mondo antico siamo abituati a gingillarci in vuote dispute dottrinali o ideologiche per coprire la volontà di lasciare le cose come stanno.
Temo quindi che Benedetto XVI il prossimo Venerdì Santo non si dimetterà e lascerà che la Chiesa si vuoti a poco a poco.