Esaltato dal successo, anche di cassetta, dei suoi libri
precedenti Pansa si lancia col suo ultimo libro in una “contro storia” della Resistenza.
Questo giornalista, ritenuto di area socialista, ha avuto il
merito di scoprire un nuovo genere di divulgazione storica, dopo avere dedicato
alla storia della resistenza numerosi
saggi, a cominciare addirittura , dalla sua tesi di laurea.
Quindi, tutto si può
dire di lui, ma non che non abbia studiato l’argomento.
Quando Berlusconi , all'inizio della sua avventura
politica, ha deciso, che gli sarebbe convenuto “sdoganare” politicamente
i fascisti, senza fare troppo lo
schizzinoso, per avere una larga maggioranza parlamentare , Pansa si è avviato
a questo suo nuovo genere di
divulgazione storica, riportando un notevole successo editoriale, che non aveva
arriso ai suoi libri precedenti.
Non dimentichiamoci, che il nucleo storico dei fedelissimi di
Berlusconi sono stati proprio i socialisti, rimasti orfani del loro capo.
Pansa, evidentemente era ben conscio di quell'odio viscerale
, che i socialisti hanno sempre avuto in Italia, peraltro ben ricambiati, nei
confronti dei comunisti, ed ha avuto
l'intuizione di andare a cercare e intervistare coloro, che nel periodo più
nero della guerra, avevano subito gravi soprusi, o avevano avuto familiari,
vittime di eccidi ingiustificati e ingiustificabili, da parte di uomini della
resistenza.
Era un modo per cercare di smontare la mitizzazione della
resistenza, costruita per decenni soprattutto dal Pci, per “sdoganarsi” e
acquistare, con l'esaltazione del suo
ruolo storico di salvatore della patria, in quanto forza primaria della
resistenza, la piena legittimazione democratica, che i suoi rapporti con Mosca
non potevano comunque fornirgli.
Va detto, subito, come ha a suo tempo ribadito, con tutta la
sua forza polemica, Giorgio Bocca, a sua volta, autore di una robusta Storia
Della Resistenza, che la ricerca storica seria, anche di matrice di sinistra
,non ha mai taciuto l'esistenza di diversi efferati episodi di violenze private
o di barbare pulsioni, scaricate su innocenti, da parte di uomini della
resistenza.
Ma Pansa ha capito che il momento politico era favorevole per
una operazione mediatica ad ampio raggio.
Molte famiglie, provenienti, per una ragione o per l'altra,
dal fascismo storico, hanno visto nel berlusconismo la loro nuova casa, perché
vi avevano individuato una riabilitazione dei loro sentimenti, che per decenni
si erano trovati nella condizione di dover nascondere in pubblico, perché
giudicati impresentabili e soggetti a una condanna generalizzata da parte della
società.
Di conseguenza, in questi ambienti, i libri di Pansa sono
subito divenuti oggetti di culto.
Pansa non è uno storico, pur essendo un giornalista ben
documentato sull’argomento, come si è detto sopra, e da giornalista ha fatto
interviste.
E le interviste hanno portato alla luce fatti in gran parte
ben noti agli storici, ma non conosciuti dal grande pubblico, che era ancora
abbagliato dal mito, quasi religioso e sacrale, della resistenza, abilmente
costruito per decenni dalla nomenclatura del Pci.
Se ammanti qualcosa di un velo sacrale è chiaro, che non puoi,
poi, permetterti di farlo oggetto di
critica.
Gli intellettuali laici non comunisti e di cultura
illuminista, facendo uso del pensiero critico, hanno sempre visto con
scetticismo, se non con fastidio, l'eccessiva enfatizzazione e beatificazione
della resistenza e la critica a senso unico verso il fascismo.
Le due cose, infatti, sono sempre andate di pari passo.
Chi santificava la resistenza, ignorando e oscurando il suo
“libro nero”, che pure sapeva che esisteva, contemporaneamente vedeva con
fastidio, per esempio, la monumentale e correttissima opera di Renzo De Felice
sul fascismo, che per la prima volta, ne ha evidenziato i numerosi lati
costruttivi e positivi per la storia d'Italia, nel primo decennio.
Ma i tanti anni di propaganda hanno pesato anche sulle menti
più lucide e molto lontane da ogni simpatia per il comunismo, come è successo
per esempio a Corrado Augias, che ogni volta che viene portato a parlare di
qualcosa di connesso al fascismo si lascia andare, fino dal linguaggio del
corpo, a mostrare un atteggiamento disgustato, come se dovesse sopportare
qualche cattivo odore.
Eppure, le famiglie di fascisti storici, colpite nei loro
affetti da qualcuna delle efferatezze, operate da uomini schierati con la
resistenza, avevano tutto il diritto di vedere quegli episodi tirati fuori da
quello che è stato un oblio ingiusto e ingiustificato, durato per troppo tempo.
Se delle persone si sono comportate come barbari delinquenti,
senza alcun senso di giustizia e di umanità, il fatto che fossero schierati
dalla parte della resistenza, non giustifica e non copre nulla, rimangono
delinquenti ,meritevoli del più deciso disprezzo.
La resistenza è stato un fatto storico complesso e plurale.
E se qualcuno la santifica, la falsifica, come qualsiasi
altro fatto storico, che va giudicato con il distacco e i parametri di giudizio
proprio del mestiere dello storico, per il quale i sentimenti e le ideologie
devono rimanere rigorosamente fuori dalla porta.
Come abbiamo detto, Pansa non è uno storico, è un
giornalista, che portando alla luce le nefandezze commesse al tempo della
resistenza, da uomini della resistenza, ha reso un servizio alla pluralità dell'informazione
ed anche, obiettivamente, ha offerto un se pure tardivo riconoscimento alle
sofferenze delle famiglie, che per decenni avevano dovuto tenere per sé il peso
delle ingiustizie sopportate.
Tutto bene quindi fino a questo punto.
Non va bene però, usare il “libro nero” della resistenza per
trarne delle deduzioni, del tutto gratuite, in senso opposto, cioè per dire : e
allora se è successo quello che è successo, la
resistenza è stata tutta una gran porcheria, e i fascisti, che erano i
buoni della situazione, hanno perso la partita solo perché il caso ha voluto
che perdessero la guerra.
Cioè, va bene, riconoscere che per la storia la parola
“revisionismo” non è una parolaccia, ma è una garanzia della attendibilità
della storia medesima, nel senso che la storia non è una presunta verità
religiosa, ma è la più verosimile versione di fatti storici ,sulla base della
conoscenza e valutazione dei documenti consultabili.
E quindi bene fa la gente, che, come Pansa, fornisce documenti da valutare, che erano
rimasti tenuti ingiustamente in disparte.
Erroneo è invece sfruttare quei documenti per sostenere,
dilettantescamente, delle tesi arrischiate.
Pansa, infatti, sembra voler portare il lettore del suo
ultimo libro a credere che la resistenza era stata un evento tutto gestito e
manovrato in ultima analisi dai sovietici e che quindi avrebbe fatto cadere gli
italiani dalla padella nella brace, senza offrire nessuna forma di democrazia.
Questa è una tesi arrischiata e smentita da molti fatti
storicamente acquisiti.
La resistenza, come è noto, è stata per sua stessa natura un
movimento complesso e plurale, come plurale era la società italiana di allora,
in senso politico e culturale.
Allora, le ideologie contavano moltissimo e quindi le
tradizioni : cattolica, socialista, e laica di derivazione risorgimentale
(liberali, repubblicani, monarchici ecc.) erano finite tutte nella resistenza.
I comunisti, si dice, erano maggioranza.
Questo è un fatto storico assodato, ma non significa né che i comunisti fossero tutti eterodiretti
da Mosca, né che le altre componenti fossero subalterne.
Non dimentichiamo che quelle partigiane erano brigate tutte
di piccole dimensioni, tutte o quasi costrette a vivere per mesi o anni a casa
di dio, cioè in posti impervi e inospitali, con un sacco di tempo a
disposizione ai partigiani medesimi per
parlare e discutere fra di loro, in modo che il comunista sentisse
il punto di vista dei cattolici o dei
liberali o dei monarchici.
Cioè apprendendolo l’esistenza
di altre tradizioni culturali ed ideologiche non dai un libri, ma dalla viva
voce di gente che rischiava ogni giorno la pelle di fianco a loro.
In queste condizioni, si generano legami umani saldissimi e
profondissimi, al di la ed al di sopra delle ideologie di provenienza, anzi in
queste condizioni si valuta la validità della propria ideologia.
La resistenza, come altri fatti storici così coinvolgenti, ha
avuto quindi una formidabile funzione pedagogica.
Questo è un fatto che ha operato esattamente all'opposto dei
tentativi di omologazione, che portavano avanti i “commissari politici”
comunisti, ricordati da Pansa, che c'erano, pesavano, ma che dovevano vedersela
con un contraddittorio quotidiano (e poi, siamo realisti, Stalin non li vedeva,
né li sentiva là sulle montagne, e quindi potevano permettersi di ragionare con
la propria testa).
Le brigate, è vero, nascevano con un loro colore politico e ideologico,
ma avrei voluto vedere se ad una brigata Garibaldi, cioè rossa, operativa in qualche zona ,quando si
presentavano giovani di altri colori, si sarebbe detto loro di rivolgersi
altrove, è irrealistico pensare una cosa del genere in quelle condizioni.
Poi c'è un altro fatto storico appurato, che testimonia
contro il presunto controllo assoluto del Pci sulla resistenza.
Se i partigiani volevano avere armi bombe a mano, esplosivi,
radio, eccetera, dovevano saper parlare inglese, non russo, e le notizie sulla
situazione reale della guerra, venivano da radio Londra, non dalla voce di
Mosca.
Pansa, in questo libro, ha il difetto di attaccarsi a episodi reali, per costruirci sopra conclusioni generali, tutte da dimostrare.
E' un procedimento che può far piacere a una certa fascia di
lettori, ma che è storicamente scorretto.
Per esempio, è verosimile che in alcuni casi, una formazione
Gap, ad elevata presenza di comunisti,
strettamente osservanti e strettamente in contatto con strateghi, fanatici , si sia lasciata andare ad azioni atte a provocare
apposta la rappresaglia tedesca, per avere visibilità, ma, da qui a sostenere
che questa era la strategia generalizzata dei Gap è tutt'altra cosa.
E poi, per valutare la presunta volontà della resistenza, nel
suo insieme, di portare l'Italia nel campo sovietico, c'è a disposizione la
cartina di tornasole delle Repubbliche Partigiane tipo la Repubblica dell’Ossola,
poche purtroppo, e durate poco tempo, ma molto significative per l’argomento
che stiamo trattando.
Gli storici oggi dispongono di abbastanza documentazione
(statuti ecc.) per riconoscere che in nessuna di queste si era espressa la
volontà di attuare in quei territori la nazionalizzazione dei mezzi di
produzione, di formare soviet o di collettivizzare l’agricoltura.
Si può ritenere verosimile, che una buona parte dei
partigiani comunisti volessero che l'Italia post bellica aderisse al campo
sovietico, per la semplice ragione, che costoro, dei paesi sovietici, in realtà
non conoscevano null'altro se non le panzane gigantesche, che raccontava la
propaganda ufficiale.
E' lo stesso procedimento logico, che muove la gente, che in
buona fede va a Lourdes o Fatima o Mediugorie, e che sono convinti di trovarci
miracoli e soprannaturale, sono convinti cioè, che basti credere in una cosa
per renderla reale.
Ma basta confrontarsi con la realtà per capire quello che c’è
da capire.
Quando Peppone, nei film di Don Camillo, si trova alle prese
con un trattore di produzione sovietica,
dono dei compagni russi, e si accorge , essendo un meccanico, che quel trattore
era fatto indiscutibilmente con i piedi, la sua fede, prima incrollabile ,fu
molto scossa.
E così succedeva anche nella resistenza, confrontandosi con
gli altri, il paradiso sovietico usciva dall'ambito della fede , per avvicinarsi
un po’ di più alla realtà.
L'esperienza della resistenza, probabilmente, per la
maggioranza dei partigiani serviva per acquistare un po’ di senso critico, non
per omologarsi a un peggiore fanatismo.
Che è il contrario di quello che Pansa spinge a credere.
Lo ripeto, i primi libri di Pansa hanno reso un servizio alla
pluralità dell'informazione.
Ma se lo scopo dell'autore era quello di demitizzare la
resistenza, per sdoganare un sentimento favorevole al fascismo, visto
attraverso la lente aberrante dei “vinti” da rivalutare, perché ritenuti solo
incolpevoli sfortunati, allora l’operazione non è corretta.
Se uno è stato fascista, solo perché era giovane in quel
periodo ed, allora, tutto spingeva i più dotati e determinati a partire volontari per sostenere, anche con
la vita, gli alti ideali della patria, a loro vada tanto di cappello.
Se la maggioranza degli italiani è stata fascista, perché per
lavorare ci voleva la tessera del fascio, e soprattutto perché durante il primo
decennio poteva apparire un fascismo, capace di costruire un'Italia ordinata e
laboriosa, mentre “l' Italietta” precedente
era stata si democratica, ma non riusciva a suscitare
alcun entusiasmo: questo lo si può anche
capire.
Ma dopo i disastri dovuti
al disonore imperdonabile delle leggi razziali, ad un'entrata in guerra, senza serie giustificazioni e con un
apparato militare dimostratosi penoso, dopo che il fascismo ha mostrato tutta
la sua faccia di sangue e di morte tanto più con la Repubblica di Salò e poi
con l’epilogo di un Duce che viene catturato vicino alla frontiera svizzera,
ignominiosamente travestito, invece che
morire combattendo, come voleva l'epica nibelungica, dei suoi amici nazisti,
per fare acquisire la gloria del Walhalla al guerriero che cade in battaglia.
Dopo tutto questo, per chi è stato fascista per ragioni alte
o semplicemente comprensibili, non c'è molto da recuperare.
Se uno si è trovato, suo malgrado, dalla parte sbagliata
della storia, non è stato per colpa sua, o della sfortuna, ma lo è stato per scelte
razionalmente sbagliate, operate da governanti avventurieri, più che da politici
o statisti.
E' giusto ed anzi doveroso, verso sé stessi ,recuperare gli
ideali della giovinezza.
Ma occorre anche riflettere su chi ha allora cercato e avuto
la fiducia dei giovani, che l' hanno seguito e che poi sono stati traditi tragicamente da chi quegli ideali a messo sotto i piedi.
Seguitemi e vi donerò la gloria di un impero.
Era un bel sogno, che, tra l’altro, era già stato servito prima
e con successo da Inglesi, Francesi , Tedeschi, Olandesi e Spagnoli.
Però poi quell’avventuriero ha lasciato quei giovani, partiti
entusiasti, a gestire un mucchio di rovine materiali e morali.
Meriterebbe, suppongo, almeno un po’ di rancore.
Se abbiamo perso la guerra non è stato a causa della sfortuna
o della” perfida Albione” o delle “potenze demo-plutocratiche”, ma perché ci
siamo fatti guidare da un sostanziale avventuriero, che ha giocato a carte sul
tavolo della storia, con le vite di troppe persone, che è riuscito abilmente a
manipolare con gli strumenti del regime.
Cerchiamo di vedere le cose con un po’ di senso storico e
ricordiamo, che la stessa operazione di autocritica, sono stati costretti a
farla anche quelli dell’altra parte, quei comunisti, ai quali era stato
promesso un paradiso in terra e che hanno visto poi la storia smascherare quel
mucchio di menzogne, alle quali avevano creduto, per lo più in perfetta buona
fede.
Anche loro avevano perseguito un sogno ed alti ideali e poi
sono stati traditi, da chi li aveva manipolati.
L'operazione di Pansa, se fosse quella di catturare il
sentimento di chi è stato fascista, per
dare a un fascismo irrimediabilmente condannato dalla storia a causa dei suoi
errori, una dignità che non può assolutamente riacquistare o recuperare,
sarebbe veramente deprecabile.
Questo nostro paese ha bisogno di informazione e conoscenza,
per risolvere ancora una parte dei
disastri combinati dai fascisti, per rimediare ai quali, non abbiamo
ancora smesso di pagare cambiali.
Perché le debolezze, lo “spread”, del quale soffre questo
paese, rispetto ai cugini europei, derivano, per una parte almeno, ancora,
dalla filosofia di fondo dei fascismi e dei comunismi, che perdura nel
subconscio di molti.
Dobbiamo constatare, che questa filosofia di fondo, malata di
autoritarismo, ed estranea ai principi fondanti della democrazia, è stata
assorbita anche dai nipoti di chi allora era stato fascista o comunista.
Diversamente non si spiegherebbe, come mai, i partiti
personali, guidati da sostanziali avventurieri, come Berlusconi, Grillo, Bossi
ed ora forse anche da Renzi, sorgono come i funghi solo da noi.
Perchè Germania, Francia e Inghilterra sono guidati ed hanno
opposizioni, guidate da persone e partiti “normali”?
E' chiaro che la fortuna non c'entra nulla.
“Unusquique faber suae fortunae” : dicevano gli antichi e il
discorso vale anche per i popoli.
Questo ultimo lavoro di
Pansa, sarà anche stato ispirato da perfetta buona fede, ma alla fine sembra
tanto, l’ennesimo tributo dedicato ad un anticomunismo viscerale, che non ho
mai condiviso, e che mi è sempre sembrato, che fosse suscitato artificialmente
e mediaticamente da untori interessati, che, spesso, ci hanno campato sopra.
Non penso ovviamente a Pansa , ma ovviamente a quei personaggi politici che hanno
fatto da vent’anni di un anticomunismo anacronistico, la loro bandiera.
Ma ciò non toglie, come si è detto sopra, che queste sue opere abbiano prodotto e
divulgato una documentazione, che, di
per sé, credo che sia da accogliere come utile e positiva.
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