Devo ammettere che
quando ho appreso le prime notizie sul caso Regeni, giovane
ricercatore italiano trovato morto in uno svincolo stradale alla
periferia del Cairo la prima reazione che ho avuto è stata quella
di chiedermi come mai un giovane preparato e determinato, e quindi
bene a conoscenza della situazione politica e sociale dell'Egitto in
questo momento, non abbia avvertito il livello elevatissimo di
rischio al quale si sottoponeva ,andando a frequentare e
intervistare membri dell'opposizione clandestina al regime di Al
Sissi, per mettere insieme una ricerca sullo stato dei sindacati in
Egitto.
Che lo stesso Al
Sissi usasse la mano molto pesante per neutralizzare l'opposizione
al suo regime portata avanti sopratutto dai Fratelli Musulmani, lo
sapevamo tutti in Europa.
Lui poi che
soggiornava da tempo al Cairo e che aveva condotto studi accademici
su quell'area, aveva modo di conoscere nei dettagli quali e quanti
gruppi si muovessero per fare opposizione clandestina al regime.
Aveva di sicuro
anche notizie di prima mano sui numerosi “desparesidos” nelle
oscure galere egiziane, che provenivano dai gruppi di opposizione.
Sicuramente aveva
anche ascoltato racconti raccapriccianti sulle torture praticate
nelle medesime galere, probabilmente anche di prima mano da parenti o
amici dei medesimi desparesidos.
E allora come mai
faceva un lavoro organizzato di incontri e interviste con esponenti
dell'opposizione clandestina per portare avanti le sue ricerche?
Non sapeva che un
regime si regge e sopravvive contando su una rete estesa e
organizzata di informatori e di spie?
Solo l'incontrare
membri dell'opposizione ad Al Sissi, significava essere “attenzionati
“ come si dice con orribile gergo poliziesco dagli informatori del
regime.
L'”attenzionamento”
si traduce in relazioni che confluiscono non in regolari fascicoli
della procura competente, ma nelle sedi dei cosi detti “servizi”,
che nel caso di regimi dittatoriali possono avere un'esistenza
formalizzata e rappresentano corpi di polizia parallela come erano le
SS naziste, o agiscono nell'ombra pur essendo potenti e numerosi.
Tutte queste cose
Regeni le sapeva e probabilmente le conosceva anche nei dettagli.
Ed allora perché
correre quei rischi.
Anzi, da quello che
si è appreso, nelle comunicazioni a familiari ed amici sembra che
dicesse di non sentirsi minacciato.
Allora o è stato
vittima di un colossale errore di valutazione oppure riteneva che ci
fossero altre considerazioni che giudicava di peso sufficiente da
bilanciare o superare i rischi ai quali si esponeva.
E' quindi verosimile
pensare che abbia fatto questo tipo di considerazioni.
Al Sissi è il
principale alleato del governo italiano in quella regione.
Governa con metodi
dittatoriali, ma essendo schierato con gli Stati Uniti e l'Europa
contro l'Isis e compagni, ha tutto l'interesse a presentarsi almeno
formalmente con le mani le più pulite possibili.
Per di più è
addirittura il primo partner commerciale del nostro paese.
Quindi, è
verosimile che Regeni si sia convinto che se i suoi incontri con
personaggi sgraditi al regime fossero arrivati al punto da far
ritenere agli “attenzionatori” che la misura fosse colma, questi
avrebbero chiesto agli organi governativi ufficiali di espellere
quello straniero che metteva il naso dove non doveva metterlo.
Il livello dei
rapporti fra Italia ed Egitto avrebbe giustificato una simile
procedura, che oltretutto è comune in casi del genere.
Per andare in Egitto
ci vuole il “visto” e quindi anche formalmente quello stato
avrebbe il diritto di revocarlo qualora reputi uno straniero non
gradito.
Il ragionamento mi
sembra che non faccia grinze.
Ma allora come è
potuto succedere quello che il povero Regeni ha dovuto subire, che
èpeggio di quello che gli sarebbe capitato se fosse finito nelle
mani del Califfo dell' Isis?
E' talmente
inverosimile che un cittadino italiano possa fare quella fine in un
paese formalmente amico, che molti commentatori hanno costruito delle
dietrologie, ipotizzando la possibilità che i “servizi” nelle
cui mani darebbe finito, potevano essere “servizi deviati” che
per qualche ragione operavano per mettere in difficoltà lo stesso Al
Sissi.
Oppure erano
“servizi” normali, ma gestiti da qualche oscuro capetto che non
avrebbe capito di non avere l'autorizzazione di fare a un italiano lo
stesso trattamento che avrebbe fatto a un egiziano.
Oppure, e questa è
l'ipotesi per noi più orribile, si trattava di “servizi”
ortodossi che sapevano di avere l'autorizzazione di fare a pezzi un
italiano perché l'Italia conta come un qualunque oscuro staterello
africano.
L'Egitto a livello
ufficiale si è mosso per cercare giustificazioni in un modo così
contorto e contraddittorio che ognuna delle tre ipotesi sopra
avanzate potrebbe essere suffragata.
E' inutile farsi
prendere la mano dalla rabbia che suscita un trattamento così
indegno e inumano ed occorre anche riconoscere il fatto che per il
governo italiano questo è il momento peggiore per reagire ad una
grana di tale portata.
Perchè Al Sissi è
l'unico alleato di peso che abbiamo in quella regione per affrontare
la ben più gigantesca “grana” rappresentata dalla Libia.
Ma il caso Regeni
coinvolge strettamente non solo la salvaguardia della nostra dignità
di cittadini italiani, ma proprio per questo, coinvolge strettamente
il prestigio e la credibilità del nostro governo.
Si sono riempite
piazze e finestre di bandiere e fotografie dedicate agli altrettanto
famosi fucilieri di Marina finiti nelle galere indiane.
Figuriamoci oggi
con un giovane italiano torturato a morte.
Al Sissi in
interviste date ai nostri media è stato abile nel presentare gli
argomenti per i quali è nostro interesse nazionale conservarci
l'amicizia e l'alleanza del suo Egitto e diciamolo pure per quanto
spiacevole sia, del suo regime.
Ma adesso la grana
Regeni la deve risolvere lui, perché sono stati verosimilmente i
suoi uomini a crearla.
E il governo
italiano non può più tirarla in lunga, senza assumere gli atti
formali che denuniciano la presenza di un elemento di controversia
fra due paesi ,considerato serio.
Almeno il richiamo
dell'ambasciatore per consultazioni.
E' sperabile che
Renzi , pure politico così anomalo, capisca che, in politica, i
casi che coinvolgono la frustrazione del sentimento nazionale,
potrebbero montare a dismisura con conseguenze imprevedibili a suo
sfavore.