mercoledì 30 marzo 2016

Il caso di Giulio Regeni torturato a morte al Cairo da la misura di quanto l'Italia conti poco nel mondo



Devo ammettere che quando ho appreso le prime notizie sul caso Regeni, giovane ricercatore italiano trovato morto in uno svincolo stradale alla periferia del Cairo la prima reazione che ho avuto è stata quella di chiedermi come mai un giovane preparato e determinato, e quindi bene a conoscenza della situazione politica e sociale dell'Egitto in questo momento, non abbia avvertito il livello elevatissimo di rischio al quale si sottoponeva ,andando a frequentare e intervistare membri dell'opposizione clandestina al regime di Al Sissi, per mettere insieme una ricerca sullo stato dei sindacati in Egitto.
Che lo stesso Al Sissi usasse la mano molto pesante per neutralizzare l'opposizione al suo regime portata avanti sopratutto dai Fratelli Musulmani, lo sapevamo tutti in Europa.
Lui poi che soggiornava da tempo al Cairo e che aveva condotto studi accademici su quell'area, aveva modo di conoscere nei dettagli quali e quanti gruppi si muovessero per fare opposizione clandestina al regime.
Aveva di sicuro anche notizie di prima mano sui numerosi “desparesidos” nelle oscure galere egiziane, che provenivano dai gruppi di opposizione.
Sicuramente aveva anche ascoltato racconti raccapriccianti sulle torture praticate nelle medesime galere, probabilmente anche di prima mano da parenti o amici dei medesimi desparesidos.
E allora come mai faceva un lavoro organizzato di incontri e interviste con esponenti dell'opposizione clandestina per portare avanti le sue ricerche?
Non sapeva che un regime si regge e sopravvive contando su una rete estesa e organizzata di informatori e di spie?
Solo l'incontrare membri dell'opposizione ad Al Sissi, significava essere “attenzionati “ come si dice con orribile gergo poliziesco dagli informatori del regime.
L'”attenzionamento” si traduce in relazioni che confluiscono non in regolari fascicoli della procura competente, ma nelle sedi dei cosi detti “servizi”, che nel caso di regimi dittatoriali possono avere un'esistenza formalizzata e rappresentano corpi di polizia parallela come erano le SS naziste, o agiscono nell'ombra pur essendo potenti e numerosi.
Tutte queste cose Regeni le sapeva e probabilmente le conosceva anche nei dettagli.
Ed allora perché correre quei rischi.
Anzi, da quello che si è appreso, nelle comunicazioni a familiari ed amici sembra che dicesse di non sentirsi minacciato.
Allora o è stato vittima di un colossale errore di valutazione oppure riteneva che ci fossero altre considerazioni che giudicava di peso sufficiente da bilanciare o superare i rischi ai quali si esponeva.
E' quindi verosimile pensare che abbia fatto questo tipo di considerazioni.
Al Sissi è il principale alleato del governo italiano in quella regione.
Governa con metodi dittatoriali, ma essendo schierato con gli Stati Uniti e l'Europa contro l'Isis e compagni, ha tutto l'interesse a presentarsi almeno formalmente con le mani le più pulite possibili.
Per di più è addirittura il primo partner commerciale del nostro paese.
Quindi, è verosimile che Regeni si sia convinto che se i suoi incontri con personaggi sgraditi al regime fossero arrivati al punto da far ritenere agli “attenzionatori” che la misura fosse colma, questi avrebbero chiesto agli organi governativi ufficiali di espellere quello straniero che metteva il naso dove non doveva metterlo.
Il livello dei rapporti fra Italia ed Egitto avrebbe giustificato una simile procedura, che oltretutto è comune in casi del genere.
Per andare in Egitto ci vuole il “visto” e quindi anche formalmente quello stato avrebbe il diritto di revocarlo qualora reputi uno straniero non gradito.
Il ragionamento mi sembra che non faccia grinze.
Ma allora come è potuto succedere quello che il povero Regeni ha dovuto subire, che èpeggio di quello che gli sarebbe capitato se fosse finito nelle mani del Califfo dell' Isis?
E' talmente inverosimile che un cittadino italiano possa fare quella fine in un paese formalmente amico, che molti commentatori hanno costruito delle dietrologie, ipotizzando la possibilità che i “servizi” nelle cui mani darebbe finito, potevano essere “servizi deviati” che per qualche ragione operavano per mettere in difficoltà lo stesso Al Sissi.
Oppure erano “servizi” normali, ma gestiti da qualche oscuro capetto che non avrebbe capito di non avere l'autorizzazione di fare a un italiano lo stesso trattamento che avrebbe fatto a un egiziano.
Oppure, e questa è l'ipotesi per noi più orribile, si trattava di “servizi” ortodossi che sapevano di avere l'autorizzazione di fare a pezzi un italiano perché l'Italia conta come un qualunque oscuro staterello africano.
L'Egitto a livello ufficiale si è mosso per cercare giustificazioni in un modo così contorto e contraddittorio che ognuna delle tre ipotesi sopra avanzate potrebbe essere suffragata.
E' inutile farsi prendere la mano dalla rabbia che suscita un trattamento così indegno e inumano ed occorre anche riconoscere il fatto che per il governo italiano questo è il momento peggiore per reagire ad una grana di tale portata.
Perchè Al Sissi è l'unico alleato di peso che abbiamo in quella regione per affrontare la ben più gigantesca “grana” rappresentata dalla Libia.
Ma il caso Regeni coinvolge strettamente non solo la salvaguardia della nostra dignità di cittadini italiani, ma proprio per questo, coinvolge strettamente il prestigio e la credibilità del nostro governo.
Si sono riempite piazze e finestre di bandiere e fotografie dedicate agli altrettanto famosi fucilieri di Marina finiti nelle galere indiane.
Figuriamoci oggi con un giovane italiano torturato a morte.
Al Sissi in interviste date ai nostri media è stato abile nel presentare gli argomenti per i quali è nostro interesse nazionale conservarci l'amicizia e l'alleanza del suo Egitto e diciamolo pure per quanto spiacevole sia, del suo regime.
Ma adesso la grana Regeni la deve risolvere lui, perché sono stati verosimilmente i suoi uomini a crearla.
E il governo italiano non può più tirarla in lunga, senza assumere gli atti formali che denuniciano la presenza di un elemento di controversia fra due paesi ,considerato serio.
Almeno il richiamo dell'ambasciatore per consultazioni.
E' sperabile che Renzi , pure politico così anomalo, capisca che, in politica, i casi che coinvolgono la frustrazione del sentimento nazionale, potrebbero montare a dismisura con conseguenze imprevedibili a suo sfavore.



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