mercoledì 23 marzo 2016

La battaglia contro il Califfato richiederà probabilmente i “Boots on the ground”, ma prima di tutto è una battaglia da combattere sul piano delle idee





My fellow American, we are under attack.
Lo disse Bush quindici anni fa, da qualche bunker segreto dopo l'attacco di AlQuaida alle torri gemelle, che produsse quasi tremila morti.
Frase semplicissima, ma estremamente realistica ed efficace, erano le prime parole di un breve discorso indirizzato a un paese che sapeva bene di essere l'unica superpotenza mondiale dal punto di vista militare.
Gli americani sapevano quindi che nessuno al mondo se sano di mente avrebbe potuto pensare di attaccare l'America per la semplice ragione che questa aveva una forza militare sufficente per incenerire qualsiasi avversario.
Cosa che è regolarmente avvenuta.
La risposta militare che diede Bush, con una tipica reazione ispirata alla filosofia del cow boy, con le guerre in Iraq e in Afganistan la conosciamo bene e da molti è considerata talmente sbagliata da essere indicata come la radice vera dei problemi di oggi.
Era sbagliata perché non era appoggiata da una strategia politica precisa, senza la quale le guerre non servono a nulla.
A che serve infatti,andare in un paese e distruggere tutto l'apparato di potere esistente se non si ha lo scopo di sostituirlo con uno migliore, cioè con un altro gruppo di potere conosciuto e affidabile?
Partiamo, facciamo fuori i cattivi e poi penseremo a cosa fare di quei paesi.
Questo è un ragionamento che non sta in piedi.
Oggi, quindici anni dopo ,AlQuaida non esiste quasi più, ma è stata sostituita dal Califfato di AlBagdadi che è ancora peggio.
Bush non è più presidente da otto anni, ma la leadership americana e mondiale è più fragile di quella ai tempi di Bush e continua a non avere alcuna strategia politica per il Medio Oriente.
Quindici anni dopo è umiliante sentire le leadership mondiali che reagiscono agli attacchi terroristici di Bruxelles di ieri ripetendo un mare di sciocchezze, già sentite mille volte e senza l'indicazione di assolutamente nulla di concreto per contrastare il Califfato.
George Bush non aveva le idee chiare e ha fatto un sacco di pasticci.
I suoi successori però non sono da meno.
Si sta faticando troppo a capire la cosa più importante da capire che è questa : il Califfato di AlBagdadi non è un fenomeno terroristico, messo su da un pazzo senza cultura.
Il Califfato non è il “sedicente Stato Islamico” guidato dal sedicente Califfo.
E' più di uno stato, perché il Califfato è per natura un progetto politico sovra- nazionale a base religiosa teocratica, che vuole ricostruire l'unità delle “umma” , la comunità dei Mussulmani Sunniti che fra il seicento e il settecento si è estesa alla conquista di tutto il Medio Oriente e di gran parte degli stati che danno sul Mediterraneo.
Per usare termini ai quali siamo abituati perché fanno parte della nostra cultura è un impero su base religiosa.
E il suo capo non è uno sprovveduto fuori di testa, ma un qualificato chierico islamico, per la precisione giureconsulto islamico, che ha conseguito passo passo tutti i gradi che contraddistinguono i chierici islamici di alto livello.
E' un uomo che quindi conosce più che bene i testi e le regole della sua religione e sopratutto conosce bene la storia dell'Islam, i miti dell'Islam e li sa riproporre ai popoli islamici sunniti con estrema abilità.
Il suo riferimento è quindi tutto teso al ricreare la società regolata come era regolata negli anni dopo la scomparsa di Maometto.
Lo stesso ricorso alla decapitazione , per quanto appaia una assurda barbarie, è un tassello importante che ha un riferimento preciso in quei costumi.
Riportare i popoli islamici sunniti ai costumi ed al sistema politico del dopo- Maometto comporta una serie di conseguenze precise.
Gli stati medio orientali con i loro confini non hanno più senso, perché nell'ambito del Califfato non si ragiona in termini di stati.
Il primo nemico per gli Islamici sunniti del Califfato sono i musulmani non sunniti e quindi gli Shiiti (Iraniani e Iracheni per primi) e subito dopo i sunniti che non si sottomettono al Califfato (le monarchie del Golfo, Sauditi per primi).
Dopo, ma solo dopo, veniamo noi ,“i Crociati”, “ Roma e l'Andalusia” nel linguaggio immaginifico del Califfato, che ha sempre come primo riferimento la storia dei califfati Ommayydi, Abbassidi e poi Ottomani.
Per contrastare il Califfato c'è quindi da studiare e da capire bene la sua filosofia politica teocratica.
Innanzi tutto il Califfato è in guerra con una parte dell'Islam, l'Occidente viene dopo.
Da noi, c'è ancora un vuoto di conoscenza che cerca di spiegarsi le stragi terroristiche Jihadiste facendo riferimento a realtà superate.
Il Califfato per esempio c'entra poco o nulla con AlQuaida ,Talibani ,Bin Laden eccetera, è una realtà diversa con strategie diverse.
Per noi quindi c'è un problema di sicurezza che potrebbe esigere una risposta anche militare, purché indirizzata su obiettivi veri seguendo una strategia sensata.
Ma ci sarà comunque il problema a medio- lungo periodo di contrastare con decisione senza buonismi e senza infingimenti le radici del Califfato che sono prettamente religiose.
In Occidente non c'è concordanza su molte cose, ma certo si conviene che non sia lecito in nessun paese tollerare la rinascita di partiti nazisti o fascisti o comunque ispirati dalle ideologie nazi-fasciste.
Allo stesso modo ci si deve chiarire le idee in proposito e convenire sul fatto che non si tollererà la propaganda non solo politica ma anche religiosa diretta a sostenere e diffondere le ideologie alle quali si ispira il Califfato.
Ci saranno quindi moschee scuole coraniche e siti web, che dovranno essere controllate e se necessario andranno allontanati e perseguiti i chierici di quella religione che diffondono quel tipo di Islam.
Il problema è delicato e si scontra con nostre idee al riguardo assolutamente poco chiare.
La religione non può essere considerata un tabù inviolabile.
Sarà per molti spiacevole sentirselo dire, ma le religioni hanno la responsabilità di avere fomentato nella storia guerre sanguinosissime per secoli e secoli ed essere quindi state per lo più strumenti di guerra e non di pace.
In Europa vivono 17 milioni di islamici.
Sappiamo che la stragrande maggioranza di loro sono moderati, probabilmente anche perché sono stati influenzati dai nostri costumi e dalla nostra cultura ormai secolarizzati ed in moschea proprio non ci vanno se non per i “riti di passaggio”.
Però ci sono i “foreign fighter” , i giovani sradicati,ci sono i convertiti.
Alcuni di questi sono stati talmente indottrinati da essere divenuti o da essere pronti a divenire Kamikaze nel nome di Allha.
La lotta vera, il contrasto vero e duraturo contro il Califfato è quella che va fatta sul piano delle idee.
A scuola in moschea e sul web.
Lo ripeto è molto più facile pensare di risolvere tutto mandando qualche decina di migliaia di soldati noi e gli altri paesi europei, che assieme a un po di arabi a fare da foglia di fico l'avrebbero vinta momentaneamente sul Califfato.
Magari anche questa ipotesi andrà perseguita se vista strategicamente come una prima fase di una risistemazione completa del Medio Oriente.
Ma le male idee rinascerebbero da qualche altra parte poco dopo.
La battaglia vera è quella da combattere sulle idee e sulla cultura.
E su questo terreno la battaglia sarà ancora più difficile perché su questo terreno siamo ancora più vulnerabili che sul piano militare.
Non abbiamo affatto le idee chiare sul come trattare le idee religiose fondamentaliste.
E anche le nostre gerarchie clericali è ovvio che pensino : attenzione, se la gente facesse due più due, siamo fregati, perdiamo il lavoro.
Cioè se la gente fosse abbastanza acculturata ed avvezza al pensiero critico da assimilare la volontà del Califfato di imporre la sua legge a base religiosa a tutto il mondo, alla volontà anche di gran parte delle gerarchie clericali cattoliche di imporre con leggi civili le proprie interpretazioni religiose (vedi la così detta bioetica e il diritto di famiglia ad esempio) , l'avvenire della casta clericale sarebbe segnato.
Ci troviamo quindi ad essere trattenuti da pregiudizi religiosi nel mettere mano a una lotta dura e serrata al fondamentalismo islamico.
Se non riusciremo velocemente a individuare questo nostro limite, allora sì che saremo veramente in pericolo.
Se prima non saremo capaci di superare i nostri tabu' legati ad interpretazioni delle nostre religioni arcaiche e anacronistiche, non potremo ragionevolmente contrastare il Califfato.
Per fare un altro esempio ,come faremmo a dire agli islamici che è inammissibile dare una interpretazione letterale al Corano, se poi prendiamo per buona l'affermazione liturgica cattolica “parola di Dio” usata tuttora come invocazione dopo la lettura acritica di qualsiasi passo biblico ?
Se non ci convinceremo che occorre espurgare i fantasmi del fondamentalismo a casa nostra, difficilmente potremo espurgare gli stessi fondamentalismi dai seguaci del Corano.
E poi, ovviamente occorrerà raggiungere delle idee chiare sul futuro del Medio Oriente.
E' chiaro che quello di prima con stati e confini come tracciati dai nostri politici alla caduta dell'Impero- Califfato Ottomano non hanno più significato nella realtà di oggi, ammesso che ne avessero mai avuto.
Erano stati artificiali, che oggi o non sono più nulla (Siria e Iraq per esempio), o non stanno più insieme.
E poi bisognerà affrontare come conseguenza immediata il problema dei nostri rapporti con le decrepite monarchie assolute del Golfo, Sauditi in testa.
I Sauditi praticano e indottrinano i popoli con ideologie religiose (il Wahabismo) identiche a quelle del Califfato, e noi li consideriamo come i migliori amici dell'Occidente perché hanno il petrolio.
Bisogna farla finita con queste follie.






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